La Polverini, o in sua vece, nel caso di persistente inadempimento, il commissario ad acta già nominato con la sentenza di primo grado, dovrà pertanto provvedere “all’immediata indizione delle elezioni, in modo da assicurarne lo svolgimento entro il più breve termine tecnicamente compatibile con gli adempimenti procedimentali previsti dalla normativa vigente in materia di operazioni elettorali”.
Il ricorso della Regione era fondamentalmente incentrato sulla corretta interpretazione dell’art. 5 della legge regionale n. 2/2005(la cui applicabilità anche all’ipotesi di dimissioni volontarie del Presidente è confermata dal Consiglio di Stato): secondo l’ente ricorrente, infatti, l’espressione “indizione delle nuove elezioni del Consiglio e del Presidente della Regione entro tre mesi”, ivi contenuta, andrebbe intesa nel senso che le elezioni possano essere semplicemente convocate entro tale lasso di tempo senza che sia necessario, nell’ambito di siffatto spatium temporis, anche il loro svolgimento.
Tale tesi non è però condivisa dal giudice d’appello.
Già sul piano strettamente letterale, infatti. <<la collocazione del complemento di specificazione temporale “entro tre mesi”, in posizione successiva e contigua, senza soluzione di continuità, alle parole “nuove elezioni”, anziché alla locuzione “si procede” o alle parole “all’indizione”, non consente di riferire, sul versante schiettamente semantico, la previsione del termine allo svolgimento delle elezioni piuttosto che alla sola indizione. Inoltre, l’uso del termine “procede”, invece di “provvede”, rafforza il richiamo legislativo non ad un atto puntuale di indizione ma all’inizio di una procedura amministrativa che reclama la certezza temporale della definizione in forza dei canoni di cui all’articolo 2 della legge 2 agosto 1990, n. 241, e ai sottostanti canoni costituzionali di efficienza e buon andamento dell’azione amministrativa.>>
Onde escludere gli aspetti di equivocità che potrebbero derivare dalla mera interpretazione letterale, il Consiglio di Stato rafforza la propria argomentazione facendo ricorso al canone teleologico e al principio della preferenza per l’esegesi costituzionalmente orientata.
“Sul versante della ratio, la norma si prefigge l’obiettivo di assicurare una tempestiva ricostituzione degli organi di governo regionale, in conformità al principio della sovranità popolare sancito dall’art. 1 della Carta Fondamentale e ai canoni costituzionali di efficacia e buon andamento. Viene, quindi, perseguito lo scopo di garantire la restaurazione del pieno funzionamento delle pubbliche istituzioni in modo da ripristinarne la piena legittimazione democratica e l’assolvimento della funzione legislativa garantita e ampliata a seguito della riforma del titolo V della parte seconda della Carta Fondamentale. In questa prospettiva si appalesa incongrua l’interpretazione che, imponendo una puntuale tempistica solo per la fase dell’indizione delle elezioni, di per sé inidonea a soddisfare le esigenze sopra prospettate, non ancori ad alcun limite temporale il loro effettivo svolgimento, ossia il segmento della procedura che effettivamente assicura la piena investitura dell’ente e ne suggella l’integrale ripristino operativo.”
Venendo all’esigenza di privilegiare la lettura armonizzabile con il dettato costituzionale, “si deve reputare che una lettura che non imponesse un vincolo temporale per la celebrazione delle elezioni, rimettendo detta scelta all’incondizionata discrezionalità del Presidente dimissionario della Regione, non assicurerebbe il rinnovo in tempi ragionevolmente brevi degli organi e, con esso, il soddisfacimento dei valori costituzionali sottesi all’espressione della volontà popolare secondo il meccanismo della democrazia elettorale”.
Il CdS richiama, a conferma di tale assunto, la sentenza della Corte Costituzionale 5 giugno 2003, n. 196, che – pronunciandosi sull’art. 3 della legge della Regione Abruzzo 19 marzo 2002, n. 1 (Disposizioni sulla durata degli Organi e sull’indizione delle elezioni regionali), che sancisce l’indizione delle elezioni entro tre mesi, ha interpretato la disposizione nel senso che le elezioni debbano aver luogo, e non semplicemente essere indette, entro tale lasso di tempo.
“Stante l’interpretazione accolta, risulta acclarata la violazione, nel caso in esame, del termine legale. Non è, infatti, controversa fra le parti la circostanza secondo cui il Presidente uscente della Regione Lazio, a seguito delle sue dimissioni in data 27.9.2012 e dello scioglimento del Consiglio regionale in data 28.9.2012, non ha indetto le nuove elezioni in tempo utile ai fini del loro svolgimento entro i tre mesi dallo scioglimento del Consiglio, tenendo conto che, che ai sensi dell’art. 3, comma 5, della legge 17 febbraio 1968, n. 108, applicabile per rinvio recettizio da parte della legge elettorale del Lazio, i Sindaci danno notizia dell’indizione dei comizi elettorali con manifesti affissi almeno 45 giorni prima della data di svolgimento.”
La Regione Lazio, nelle proprie difese, aveva inoltre obiettato che “la perdurante mancata indizione trova, in ogni caso, giustificazione nella triplice esigenza di dare attuazione con legge regionale alla riduzione di seggi del Consiglio prevista dalla normativa statale, di attendere l’entrata in vigore del d.l. 5 novembre 2012, n. 188 di riordino e riduzione delle Province e di rispettare l’obbligo posto dall’art. 7 del d.l. 6 luglio 2011, n.98, conv. dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, in materia di concentrazione in un’unica data delle elezioni del Parlamento e degli organi di governo regionali e locali (c.d.“ election day”).”
A tal proposito, il Consiglio di Stato osserva che
“l’obbligo legale sancito dalla puntuale norma precettiva fin qui scrutinata (l’art. 5 della l.r. n. 2/2005) non è derogabile, specie alla luce dei cogenti valori costituzionali in rilievo, in forza di argomentazioni che riposano su profili di opportunità; (…) in ogni caso l’accorpamento, in un’unica data dell’anno, delle consultazioni elettorali per le elezioni dei sindaci, dei Presidenti delle province e delle regioni, dei Consigli comunali, provinciali e regionali, del Senato della Repubblica e della Camera dei deputati, è subordinato al limite della compatibilità con quanto previsto dai rispettivi ordinamenti, limite nella specie non rispettato in ragione del non derogabile precetto relativo alla tempistica della consultazione elettorale.”