di Daniela Di Paola. La normativa concernente gli effetti della confisca definitiva a titolo di misura di prevenzione attiene alla competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di ordine pubblico e sicurezza. Lo ha stabilito ieri la Corte Costituzionale, che si è pronunciata sulla questione di legittimità costituzionale promossa dalla Regione siciliana, con riferimento agli articoli 45, comma 1, 47 e 48, comma 3, del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159 (Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, nonché nuove disposizioni in materia di documentazione antimafia, a norma degli articoli 1 e 2 della legge 13 agosto 2010, n. 136). Le disposizioni impugnate concernono il procedimento di assegnazione dei beni oggetto di confisca definitiva di prevenzione. Essi sono acquisiti al patrimonio dello Stato (art. 45, comma 1, del d.lgs. n. 159 del 2011) e ivi mantenuti, ovvero trasferiti al patrimonio del Comune, della Provincia o della Regione (art. 48, comma 3), con provvedimento dell’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata (art. 47).
La Regione siciliana ha impugnato l’art. 45, c. 1, secondo cui sono acquisiti al patrimonio dello Stato tutti i beni oggetto di confisca definitiva, in quanto ritenuto lesivo dell’art. 33, secondo comma, dello statuto siciliano, tenuto conto che in tale previsione confluiscono anche i beni assegnati dallo Statuto al patrimonio indisponibile regionale (segnatamente, le cave e le torbiere).
La questione non è stata ritenuta fondata dalla Corte Costituzionale: l’assegnazione di una categoria di beni al patrimonio regionale viene compiuta, infatti, «in relazione alle funzioni pubbliche attribuite dalle norme costituzionali alla Regione», così da costituire un «legame beni-funzioni», che ponga i primi in rapporto di strumentalità con le seconde. Ne consegue che la formula statutaria non può spingersi fino ad includere fattispecie conformate da interessi cui la sfera regionale è del tutto estranea e in relazione alle quali non è perciò ipotizzabile alcuna competenza decentrata. La normativa concernente gli effetti della confisca definitiva a titolo di misura di prevenzione attiene alla competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di ordine pubblico e sicurezza, anche con riferimento all’assegnazione dei beni e alle funzioni di vigilanza sulla corretta utilizzazione di essi da parte degli assegnatari. La norma impugnata opera, perciò, entro un’area estranea alle attribuzioni della Regione siciliana, sicché l’art. 33, secondo comma, dello statuto non può governare la relativa vicenda acquisitiva, connessa a finalità, essenzialmente statali, di sottrazione del bene al “circuito economico” di origine, per inserirlo in un altro, esente dai condizionamenti criminali che caratterizzavano il primo.
La seconda norma impugnata dalla Regione siciliana è l’art. 48, comma 3, del d.lgs. n. 159 del 2011, che individua nel Comune, nella Provincia o nella Regione i destinatari del provvedimento di assegnazione dei beni che non siano stati mantenuti al patrimonio dello Stato.
Secondo la regione, tale disposizione esprimerebbe un’opzione di favore per il mantenimento al patrimonio statale dei beni confiscati, rendendone il trasferimento agli enti territoriali meramente residuale. In tal modo, si realizzerebbe un depauperamento dell’ambito locale con riguardo a beni che, invece, proprio in esso troverebbero adeguato impiego.
La questione non è stata ritenuta fondata dalla Corte, giacché si basa su un erroneo presupposto interpretativo.
Né la lettera, né lo spirito della disposizione impugnata depongono infatti in tal senso, poiché da essa non si può trarre alcun criterio preferenziale circa il mantenimento allo Stato, ovvero il trasferimento alla Regione o agli enti locali, dei beni confiscati. Si tratta, infatti, di un profilo applicativo, impregiudicato sul piano normativo, sul quale dovrà cadere, caso per caso, l’apprezzamento dell’Agenzia nazionale. In particolare, quest’ultimo non potrà prescindere dal principio ispiratore sulla destinazione dei beni confiscati, secondo il quale «la restituzione alle collettività territoriali – le quali sopportano il costo più alto dell’“emergenza mafiosa” – delle risorse economiche acquisite illecitamente dalle organizzazioni criminali rappresenta (…) uno strumento fondamentale per contrastarne l’attività, mirando ad indebolire il radicamento sociale di tali organizzazioni e a favorire un più ampio e diffuso consenso dell’opinione pubblica all’intervento repressivo dello Stato per il ripristino della legalità».