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LA TUTELA DELLE ACQUE NEL CODICE PENALE. – QUOTIDIANO LEGALE
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LA TUTELA DELLE ACQUE NEL CODICE PENALE.

Natura fiume

Aree protette

 

LA TUTELA DELLE ACQUE NEL CODICE PENALE.

(di Adriano Pistilli Responsabile Tecnico Gestione Rifiuti)

Il delitto di cui all’articolo 439 c.p. è norma la cui consistenza è collegata a tutta una categorizzazione di fattispecie penali nelle quali entra in funzione il meccanismo del beneficio. Quando il legislatore utilizza tecnicamente una espressione che dice specificamente chiunque avvelena evidentemente non fa riferimento ad un termine generico che è quello del corrompimento dell’acqua o della adulterazione o della caratterizzazione diversa dal punto di vista fisico-chimico, ma fa riferimento ad un qualche cosa che si ricollega alla categoria del beneficio, alla categoria della sostanza velenosa che deve essere utilizzata tecnicamente all’interno della verificazione della fattispecie concreta.

Chiunque avvelena acque o sostanze destinate alla alimentazione, prima che siano attinte o distribuite per il consumo, è punito con la reclusione non inferiore a quindici anni: noteremo che il 439 c.p. non fa più riferimento al tema della pericolosità perché nel momento in avviene l’avvelenamento dell’acqua la pericolosità è già esistente nell’avvelenamento; diverso ragionamento del 440 c.p. dove si sottolinea che l’adulterazione dell’acqua crea pericolosità alla salute pubblica.

Questa distinzione dal punto di vista terminologico non è una distinzione marginale ma è una distinzione che si va a qualificare in termini concreti la evidenza della condotta materiale sotto il profilo della oggettività, della materia che ha rappresentato il presunto o effettivo contaminante dell’acqua.

Se nell’acqua si immette l’inchiostro, essa non viene avvelenata ma sporcata, adulterata, modificata; se nell’acqua si immette un veleno come la stricnina avviene l’avvelenamento e quindi non si rende necessaria una verifica di pericolosità perché l’avvelenamento dell’acqua è in sè un elemento che determina non il pericolo ma già la definizione di quella che è una adulterazione che in sè determina conseguenze negative nei confronti dei soggetti che potrebbero ingerire quell’acqua.

Nel momento in cui invece l’acqua viene in qualche maniera incisa da contaminanti di diversa natura che possono in qualche modo determinarne in termini concreti anche attraverso l’individuazione di un pericolo che deve essere concreto una possibile pericolosità per la salute pubblica, siamo in presenza del 440 c.p.

Il 440 c.p. non è norma generica perché è norma destinata alla tutela delle acque, chiunque corrompe o adultera acque o sostanze destinate all’alimentazione: l’oggetto della tutela penale del 440 c.p. non è solo il materiale destinato all’alimentazione ma anche l’acqua. Quando abbiamo l’attacco alla qualità dell’acqua dobbiamo verificare se quell’attacco presenta in sè la caratteristica dell’avvelenamento o del corrompimento, adulterazione o modifica delle caratteristiche chimico-fisiche.

Il 439 c.p. si configura quando, ad esempio, viene aperta una cisterna pubblica e gli si immette un veleno prima dell’attingimento per l’uso umano: va avvelenata la risorsa idrica intesa come senso materiale, no come qualsiasi acqua.

Non tutte le acque sono destinate all’alimentazione: il Decreto Legislativo n.31/2001 (1), articolo 2, definisce le acque destinate al consumo umano come: le acque trattate o non trattate, destinate ad uso potabile, per la preparazione di cibi e bevande, o per altri usi domestici, a prescindere dalla loro origine, siano esse fornite tramite una rete di distribuzione, mediante cisterne, in bottiglie o in contenitori; le acque utilizzate in un’impresa alimentare per la fabbricazione, il trattamento, la conservazione o l’immissione sul mercato di prodotti o di sostanze destinate al consumo umano, escluse quelle, individuate ai sensi dell’articolo 11, comma 1, lettera e), la cui qualità non p avere conseguenze sulla salubrità del prodotto alimentare finale.

In caso di disastri ambientali addebitati a gestori di discarica viene contestato quasi sempre il 439 c.p. E’ notevolmente difficile individuare le acque dove ci sarebbe l’incidenza delle discariche che hanno queste caratteristiche.

Il Decreto Legislativo 152/2006 (2) articolo 94 (3) recita: in assenza dell’individuazione da parte delle regioni o delle province autonome della zona di rispetto ai sensi del comma 1, la medesima ha un’estensione di 200 metri di raggio rispetto al punto di captazione o di derivazione.

Quindi per quanto riguarda l’individuazione delle acque che possono essere utilizzate per uso potabile, alimentare e umano, i pozzi di captazione devono trovarsi nell’arco di 200 metri rispetto a quelli che possono essere i punti inquinanti. Non sarebbe quindi configurabile il 439 c.p. perché non c’è stato “l’avvelenamento del pozzo”.

La presenza di discariche che insistono in una determinata area inibiscono l’uso dei pozzi per uso potabili, alimentare e umano.

Una delle prime sentenze di 439 c.p. e 440 c.p. è quella riferibile alla società ACNA – Chimica organica di Cengio (4) che smaltiva i proprie reflui in discariche campane di 2° categoria tipo B (5) e nel fiume bormida a Savona, corso d’acqua di idropotabilità certa, ad uso umano. In tale circostanza, presso il Tribunale di Savona, fu contestato il 440 c.p. e non il 439 c.p.

Un altro caso di 439 c.p. e 440 c.p. fu discusso presso il Tribunale di Sortona e ripreso nella Rivista Penale nella quale dopo aver indicato che la contaminazione può essere diretta o indiretta sottolineava che una giurisprudenza garantista indica come non valida una contaminazione indiretta per cadere nel 440 c.p. e di conseguenza neanche nel 439 c.p. perché non viene posta in essere una aggressione diretta del bene giuridicamente tutelato, l’acqua, ma l’adulteramento avviene in conseguenza naturalistica della evoluzione di una condotta a monte per la quale va dimostrata una prevedibilità in concreto e in astratto e una previsione specifica da parte del soggetto: se c’è questo la condotta diventa colposa.

Facciamo un esempio: se butto un sacchetto dell’immondizia per strada risponderò del reato specifico ma se esso andrà a finire nel fiume e quest’ultimo subirà un inquinamento o un avvelenamento non sarò io il responsabile di esso.

Va sottolineato che gli articoli 439 c.p. e 440 c.p. furono introdotti durante il ventennio fascista dal Codice Rocco per poi essere modificati, con l’aggiunta anche di altri reati nel campo della tutela ambientale, dalla Legge n.68 del 22 maggio 2015. (6)

Vale la pena di sottolineare che il 439 c.p. non richiede una prova di pericolosità perché è insita nell’avvelenamento la pericolosità e lo strumento utilizzato (il veleno) rievoca l’aggravante ai sensi degli articoli 576 c.p. (7) e 577 c.p. (8)

Anche l’articolo 452bis c.p. Inquinamento ambientale introdotto con la Legge n.68/2015 tutela in maniera diretta l’acqua: è punito con la reclusione da due a sei anni e con la multa da euro 10.000 a euro 100.000 chiunque abusivamente cagiona una compromissione o un deterioramento significativi e misurabili:delle acque o dell’aria, o di porzioni estese o significative del suolo o del sottosuolo; di un ecosistema, della biodiversità, anche agraria, della flora o della fauna.

NOTE

(1)Decreto Legislativo n.31 del 02 febbraio 2001 Attuazione della Direttiva 98/83/CE relativa alla qualità delle acque destinate al consumo umano (GU Serie Generale n.52 del 03/03/2001 – Suppl. Ordinario n.41). Entrata in vigore del decreto: 18/03/2001.

(2)Decreto Legislativo n.152 del 03 aprile 2006 Norme in materia ambientale (Gazzetta Ufficiale n. 88 del 14 aprile 2006 – Supplemento Ordinario n. 96).

  1. Articolo 94 del Decreto Legislativo n.152 del 03 aprile 2006 Disciplina delle aree di salvaguardia delle acque superficiali e sotterranee destinate al consumo umano.Codice dell’ambientePARTE TERZA – Norme in materia di difesa del suolo e lotta alla desertificazione, di tutela delle acque dall’inquinamento e di gestione delle risorse idricheSezione II – Tutela delle acque dall’inquinamentoTitolo III – Tutela dei corpi idrici e disciplina degli scarichiCapo I – Aree richiedenti specifiche misure di prevenzione dall’inquinamento e di risanamento.

(4)Ordinanza del 6 luglio 1989 Sospensione delle attività produttive dello stabilimento della società ACNA – Chimica organica di Cengio. (GU Serie Generale n.157 del 07-07-1989)

(5)Delibera Comitato Interministeriale del 27 luglio 1984 Classificazione delle discariche: discariche di prima categoria (semplici impianti di stoccaggio nei quali possono essere smaltiti rifiuti solidi urbani, rifiuti speciali assimilati agli urbani, fanghi non tossici e nocivi); discariche di seconda categoria, definiti “impianti di stoccaggio definitivo sul suolo o nel suolo”, suddivise a loro volta in: discariche di tipo A (nei quali possono essere smaltiti soltanto i rifiuti inerti); discariche di tipo B (nei quali possono essere smaltiti rifiuti sia speciali che tossici e nocivi, tal quali o trattati, a condizione che non contengano – in determinate concentrazioni – sostanze appartenenti ai gruppi 9-20 e 24, 25, 27 e 28 dell’allegato al D.P.R. n. 915 del 1982); discariche di terza categoria: impianti aventi caratteristiche di sicurezza particolarmente elevate per la protezione dell’ambiente e della salute dell’uomo, nei quali possono essere confinati rifiuti tossici e nocivi contenenti sostanze appartenenti ai gruppi 9-20 e 24, 25, 27 e 28 dell’allegato al D.P.R. n. 915 del 1982, anche in concentrazioni superiori a una determinata soglia fissata dalle stesse norme.

  1. Legge n.68 del 22 maggio 2015 Disposizioni in materia di delitti contro l’ambiente (GU Serie Generale n.122 del 28 maggio 2015). Entrata in vigore del provvedimento: 29 maggio 2015.

  1. Articolo 577 c.p. R.D. 19 ottobre 1930, n.1398 Circostanze aggravanti. Ergastolo.

Codice Penale > LIBRO SECONDO – Dei delitti in particolare > Titolo XII – Dei delitti contro la persona > Capo I – Dei delitti contro la vita e l’incolumità individuale > Articolo 576

(8)Articolo 577 c.p. R.D. 19 ottobre 1930, n.1398 Altre circostanze aggravanti. Ergastolo. Codice Penale > LIBRO SECONDO – Dei delitti in particolare > Titolo XII – Dei delitti contro la persona > Capo I – Dei delitti contro la vita e l’incolumità individuale > Articolo 577

GLOSSARIO

Avvelenare: introdurre negli alimenti sostanze venefiche, cioè qualsiasi sostanza tossica, organica o inorganica (con esclusione dell’introduzione di germi patogeni presa espressamente in considerazione dall’art. 438).

Acque: si tratta delle acque destinate all’alimentazione umana, indipendentemente dal fatto che abbiano o meno le caratteristiche di purezza prescritte dalla legge per essere potabili. È necessario semplicemente che le acque siano potenzialmente destinabili all’uso alimentare.

Attingere: il termine si riferisce specificamente al momento del prelievo delle acque dalla fonte o dai pozzi da cui sgorgano.

Sostanze destinate all’alimentazione: sono tutti i prodotti che l’uomo mangia o beve, sia allo stato naturale che dopo i necessari procedimenti di trasformazione. Non si comprendono tra gli alimenti i prodotti che non abbiano una funzione nutrizionale (es.: chewing gum, dentifricio etc.).

Adulterazione: consiste nell’alterare la natura della sostanza, attraverso un procedimento con cui si aggiungono o si sostituiscono elementi nocivi alla salute.

Corrompere: significa alterare l’assenza e la composizione della cosa.

Art. 439 c.p. Avvelenamento di acque o di sostanze alimentari

Chiunque corrompe o adultera acque o sostanze destinate all’alimentazione (1), prima che siano attinte o distribuite per il consumo (2), rendendole pericolose alla salute pubblica (3), è punito con la reclusione da tre a dieci anni.

Chiunque avvelena acque (1) o sostanze destinate alla alimentazione, prima che siano attinte o distribuite per il consumo (2), è punito con la reclusione non inferiore a quindici anni.

Se dal fatto deriva la morte di alcuno, si applica l’ergastolo; e, nel caso di morte di più persone, si applica la pena [di morte] (3).

(1)Tenuto conto della definizione di acque rilevante ai fini della presente norma secondo quanto stabilito dalla giurisprudenza della Suprema Corte, il reato di avvelenamento delle stesse ricorre anche nel caso in cui delle sostanze nocive siano state versate sul terreno in modo tale da contaminare pozzi contenenti acque che, dopo la necessaria clorazione, sarebbero divenute potabili.

Si discute, altresì, se la norma possa essere applicata anche ai casi di avvelenamento di acque non destinate direttamente all’alimentazione.

Seguendo la tesi tradizionale espressa dal suddetto orientamento giurisprudenziale, si deve concludere che la norma possa essere applicata alle sole acque destinate all’alimentazione umana. In alcune sentenze di merito, però, si è affermato che la norma debba trovare un’applicazione estensiva tale da comprendere, per esempio, i casi di avvelenamento delle acque di superficie destinate alla coltivazione delle piante o all’allevamento del bestiame, sempre che le stesse risentano direttamente della qualità dell’acqua utilizzata per la loro produzione o allevamento.

(2)Per la sussistenza del reato previsto dall’art. 439 è necessario che l’avvelenamento delle sostanze alimentari sia compiuto prima che le stesse siano state somministrate alle singole persone che le devono consumare. La norma,

infatti, punisce le condotte che mettono in pericolo la salute di un numero indeterminato di persone. Viceversa, se l’avvelenamento avviene dopo che gli alimenti siano entrati nella disponibilità di persone determinate, vi sarà solo una situazione di pericolo individuale.

(3)L’ipotesi aggravata prevista dal comma 2 è da considerarsi soppressa in conseguenza della abolizione della pena di morte e la conseguente applicazione dell’ergastolo in luogo di questa V. anche nota (2) sub art. 17.

Art. 440 c.p. Adulterazione e contraffazione di sostanze alimentari

Chiunque corrompe o adultera acque o sostanze destinate all’alimentazione (1), prima che siano attinte o distribuite per il consumo (2), rendendole pericolose alla salute pubblica (3), è punito con la reclusione da tre a dieci anni.

La stessa pena si applica a chi contraffa, in modo pericoloso alla salute pubblica, sostanze alimentari destinate al commercio.

La pena è aumentata se sono adulterate o contraffatte sostanze medicinali [442, 443, 448, 4522] (4) (5).

(1)Si ritiene che la norma in commento costituisca un tipico esempio di reato commesso per mezzo di una condotta fraudolenta, cioè ponendo in essere atti che insidiano la salute pubblica senza che la collettività possa predisporre efficaci mezzi di tutela. In giurisprudenza, però, non sono mancate pronunzie secondo cui la condotta tipica del reato previsto dall’art. 440 può essere realizzata anche con atti non occulti o fraudolenti, né espressamente vietati dalla legge.

(2)V. nota (2) sub art. 439.

(3)La pericolosità della condotta deve essere valutata in relazione alle circostanze del caso concreto, tenuto conto dei dati della comune esperienza.

In pratica, il giudice deve verificare se la condotta posta in essere sia stata tale da rendere probabile il verificarsi di un danno alla salute collettiva (nel caso di acquedotto pubblico, la giurisprudenza ha ritenuto che l’adulterazione delle sue acque costituisca reato anche nel caso in cui determini un mero pericolo di ledere la salute degli utenti, senza richiedere la certezza circa la capacità lesiva delle sostanze introdotte).

  1. Cfr. l. 30-4-1962, n. 283; l. 26-2-1963, n. 441; d.lgs. 25-1-1992, n. 107; d.lgs. 27-1-1992, n. 110; d.lgs. 17-3-1995, n. 194; d.lgs. 6-11-2007, n. 193.

(5)L’ipotesi prevista dal terzo comma contempla una circostanza aggravante delle ipotesi previste dai primi due commi della stessa norma. La giurisprudenza prevalente ritiene che, in caso di contraffazione di farmaci, la condotta debba essere considerata per se stessa pericolosa, senza bisogno di accertamenti in concreto. Si osserva, infatti, che i farmaci sono destinati, per loro stessa natura,ad essere somministrati a persone ammalate, di modo che la loro alterazione e/o contraffazione possa impedire loro di recuperare lo stato di salute compromesso dalla malattia, se non determinare, addirittura, un aggravamento delle condizioni.

Art. 452 c.p. Inquinamento ambientale

È punito con la reclusione da due a sei anni e con la multa da euro 10.000 a euro 100.000 chiunque abusivamente cagiona una compromissione o un deterioramento significativi e misurabili:delle acque o dell’aria, o di porzioni estese o significative del suolo o del sottosuolo; di un ecosistema, della biodiversità, anche agraria, della flora o della fauna.

Quando l’inquinamento è prodotto in un’area naturale protetta o sottoposta a vincolo paesaggistico, ambientale, storico, artistico, architettonico o archeologico, ovvero in danno di specie animali o vegetali protette, la pena è aumentata.

GIURISPRUDENZA ANNOTATA art. 439 c.p.

Ai fini della configurabilità del delitto di avvelenamento di acque o di sostanze alimentari non è sufficiente, neppure ai limitati fini dell’apprezzamento del “fumus” del reato, l’esistenza di rilevamenti attestanti il superamento dei livelli di contaminazione CSC (concentrazioni soglia di contaminazione) di cui all’art. 240, comma 1, lett. b) d.lg. n. 152 del 2006, trattandosi di indicazioni di carattere meramente precauzionale, il cui superamento non è sufficiente ad integrare nemmeno la fattispecie prevista dall’art. 257 d.lg. 3 aprile 2006 n. 152, la quale sanziona condotte di “inquinamento”, ossia causative di un evento che costituisce evidentemente un “minus” rispetto all’ipotesi di “avvelenamento”. (Annulla con rinvio, Trib. lib. Napoli, 01/04/2014 )

Cassazione penale sez. I  19 settembre 2014 n. 45001  

In tema di responsabilità amministrativa degli enti, ai fini della esperibilità del sequestro preventivo finalizzato alla confisca di danaro, beni o altre utilità di valore equivalente al profitto del reato, secondo il combinato disposto degli art. 19 comma 2 e 53 d.lg. n. 231 del 2001, deve intendersi per profitto soltanto il vantaggio patrimoniale che l’ente abbia già conseguito, anche sotto forma di risparmio di costi che altrimenti avrebbe dovuto affrontare e che presenti un diretto nesso di causalità con l’illecito, rimanendo quindi escluso che esso possa esser fatto automaticamente coincidere con l’entità del danno che si assume prodotto dallo stesso illecito. (Nella specie, in applicazione di tale principio, la Corte ha annullato senza rinvio il provvedimento con il quale era stato confermato, dal tribunale del riesame, il sequestro preventivo di danaro e beni di varia natura fino a concorrenza della somma che si assumeva corrispondente al danno che sarebbe stato conseguenza dei reati di cui agli art. 434, 437 e 439 c.p., e di altri reati previsti dalla normativa in materia di tutela ambientale, sulla base della postulata identificabilità di detta somma con quella corrispondente alle presunte economie che sarebbero state realizzate dall’impresa nell’interesse della quale gli imputati avrebbero operato, omettendo l’adozione delle necessarie misure di sicurezza, prevenzione e protezione dell’ambiente).

Cassazione penale sez. VI  20 dicembre 2013 n. 3635  

Nei reati contro la p.a., il giudizio di prognosi sfavorevole sulla pericolosità sociale dell’incolpato non è di per sé impedito dalla circostanza che l’indagato abbia dismesso la carica o esaurito l’ufficio nell’esercizio del quale aveva realizzato la condotta addebitata, purché il giudice fornisca adeguata e logica motivazione sulle circostanze di fatto che rendono probabile che l’agente, pur in una diversa posizione soggettiva, possa continuare a porre in essere condotte antigiuridiche aventi lo stesso rilievo ed offensive della stessa categoria di beni e valori di appartenenza del reato commesso. (Nella specie la Corte ha ritenuto la sussistenza del “periculum in mora” in ordine ai reati di cui agli art. 434 commi 1 e 2, 437 commi 1 e 2 e 439 c.p. relativamente alla eventualità che gli indagati, quali titolari dello stabilimento industriale inquinante ponessero in essere interventi di fatto a tutela della proprietà e, quindi, per finalità opposte a quelle del sequestro preventivo cui era stato sottoposto lo stabilimento medesimo. Rigetta, Trib. lib. Taranto, 07/08/2012

Cassazione penale sez. I  16 gennaio 2013 n. 15667

Le condotte di avvelenamento e di corrompimento (o adulterazione o contraffazione) di acque o altre sostanze destinate all’alimentazione, punite dagli art. 439 e 440 c.p., costituiscono forme omogenee di offesa al medesimo bene protetto dalle norme incriminatici, che si distinguono solo per l’intensità del pericolo per salute pubblica, maggiore per l’avvelenamento, minore per il corrompimento; ne consegue che l’accertamento dell’esistenza di tale pericolo – richiesto espressamente dalla fattispecie del corrompimento di cui all’art. 440 c.p. – è requisito implicito anche della fattispecie dell’art. 439 c.p., poiché il pericolo è immanente al concetto stesso dell’avvelenamento, in relazione al quale si deve anzi fornire la prova della sua particolare intensità.

Tribunale Pescara  14 giugno 2011 n. 282  

Le condotte di avvelenamento e di corrompimento (o adulterazione o contraffazione) di acque o altre sostanze destinate all’alimentazione, punite, rispettivamente, dagli art. 439 e 440 c.p., costituiscono forme omogenee di offesa al medesimo bene protetto dalle norme incriminatrici, che si distinguono solo per l’intensità del pericolo per la salute pubblica, maggiore per l’avvelenamento, minore per il corrompimento; ne consegue che l’accertamento dell’esistenza di tale pericolo – richiesto espressamente dalla fattispecie del corrompimento di cui all’art. 440 c.p. – è requisito implicito anche della fattispecie dell’art. 439 c.p., poiché il pericolo è immanente al concetto stesso dell’avvelenamento, in relazione al quale si deve anzi fornire la prova della sua particolare intensità.

Ufficio Indagini preliminari Pescara 10 maggio 2010

Per la configurabilità del reato di avvelenamento (ipotizzato, nella specie, come colposo) di acque o sostanze destinate all’alimentazione, pur dovendosi ritenere che trattasi di reato di pericolo presunto, è tuttavia necessario che un “avvelenamento”, di per sé produttivo, come tale, di pericolo per la salute pubblica, vi sia comunque stato; il che richiede che vi sia stata immissione di sostanze inquinanti di qualità ed in quantità tali da determinare il pericolo, scientificamente accertato, di effetti tossico- nocivi per la salute. (Nella specie, in applicazione di tale principio, la Corte ha ritenuto fondata ed assorbente la censura con la quale, da parte dell’imputato, dichiarato responsabile del reato “de quo” a causa dello sversamento accidentale in un corso di acqua pubblica di un quantitativo di acido cromico, si era denunciato il mancato accertamento, in sede di merito, dell’effettiva pericolosità della concentrazione di detta sostanza in corrispondenza del punto d’ingresso delle acque nell’impianto di potabilizzazione, essendosi ritenuto sufficiente il mero superamento dei limiti tabellari). (Annulla con rinvio, App. Venezia, 3 giugno 2005)

Cassazione penale sez. IV  13 febbraio 2007 n. 15216  

La norma incriminatrice di cui agli art. 439 e 452 c.p., che punisce l’avvelenamento colposo di acque destinate all’alimentazione, se non richiede espressamente che dal fatto sia derivato un pericolo per la salute pubblica (onde può giustificarsi la tradizionale costruzione della norma incriminatrice come fattispecie di pericolo presunto), richiede pur sempre che si sia verificato un “avvelenamento”, che il giudice, quindi, deve accertare. (Da queste premesse, la Corte ha annullato con rinvio la sentenza di condanna evidenziando come il giudice di merito non avesse accertata l’effettiva quantità di cromo finita nelle acque, benché per aversi avvelenamento occorresse riferirsi a condotte tali da risultare, per la quantità e la qualità dell’inquinante, pericolose per la salute pubblica, vale a dire potenzialmente idonee a produrre effetti tossico-nocivi per la salute).

Cassazione penale sez. IV  13 febbraio 2007 n. 15216  

Ai fini della configurabilità della ipotesi tentata del reato previsto dall’art. 439 c.p. occorre dare la dimostrazione non solo della univocità dell’azione ma anche della oggettiva idoneità degli atti a determinare l’avvelenamento delle acque destinate all’alimentazione. (Fattispecie nella quale era stata emessa misura cautelare personale in relazione allo smaltimento – mediante spandimento su terreni agricoli – di fanghi provenienti da un depuratore e contenenti sostanze pericolose in quantità superiori al consentito. Il tribunale della libertà aveva rilevato la mancata dimostrazione, sia pure a livello indiziario, del fatto che nei fanghi vi fossero sostanze pericolose in quantità tali da dare luogo ad effettivo pericolo di contaminazione di acque di falda, pozzi e coltivazioni. La Corte ha ritenuto che tale assunto fosse corretto).

Cassazione penale sez. V  26 aprile 2005 n. 23465  

GIURISPRUDENZA ANNOTATA art. 440 c.p.

L’art. 440 c.p. è un reato di pericolo concreto, pertanto anche se per la sua sussistenza non è necessario che si verifichi un evento dannoso è comunque necessaria l’esistenza dell’elemento della pericolosità pubblica che va accertata concretamente, di volta in volta, attraverso l’individuazione della sostanza somministrata (cassata, nella specie, la sentenza di condanna nei confronti di un allevatore accusato di avere trattato i propri bovini con prodotti farmaceutici, in particolare cortisonici, atteso che i giudici del merito non aveva adeguatamente motivato sul concreto pericolo per la salute pubblica destinato da tale somministrazione).

Cassazione penale sez. I  11 novembre 2014 n. 53747  

Integra il reato di cui all’art. 440 c.p. la condotta del titolare di macelleria che, per renderla accettabile esteticamente, aggiunga alla carne fresca, utilizzata per preparare polpette, una sostanza vietata (nella specie, solfiti), ponendo così in commercio un prodotto alimentare pericoloso per la salute pubblica a causa del rischio di shock anafilattico cui è esposto un soggetto allergico che consuma detto alimento. Dichiara inammissibile ricorso avverso App. Catania 19 marzo 2013

Cassazione penale sez. I  08 maggio 2014 n. 22618  

Il reato di adulterazione e contraffazione di sostanze alimentari, previsto dall’art. 440 c.p., è a forma libera e quindi può realizzarsi anche mediante attività non occulte o fraudolente, né espressamente vietate dalla legge (fattispecie in cui un macellaio aveva posto in commercio della carne tritata fresca alla quale era stata aggiunta un’alta concentrazione di solfiti; la carne, mangiata da una cliente allergica alla predetta sostanza, aveva comportato per la stessa uno shock anafilattico, con conseguenti lesioni personali gravissime).

Cassazione penale sez. I  08 maggio 2014 n. 22618  

In presenza di un pericolo per la salute umana derivante dalla potenziale natura mutante e cancerogena dell’olaquindox, la somministrazione della relativa sostanza ad animali vivi destinati all’alimentazione umana – vietata dalla normativa comunitaria in ragione dell’impossibilità di fissare un valore limite al di sotto del quale l’additivo non presenta alcun rischio per la salute del consumatore finale – è idonea a integrare il reato di contraffazione di sostanze alimentari di cui all’art. 440 c.p., in quanto gli animali vivi, pur non potendo considerarsi sotto il profilo strettamente fisiologico come sostanze destinate all’alimentazione, tali devono considerarsi sotto il profilo funzionale, essendo essi normalmente destinati, dopo la macellazione, all’alimentazione umana.

Cassazione penale sez. I  28 aprile 2014 n. 38624  

Non si ravvisa il “fumus delicti” dei reati contraffazione o adulterazione di medicinali di cui all’art. 440, comma 3, c.p. e di commercio di medicinali imperfetti di cui all’art. 443 c.p. nella condotta del produttore che abbia realizzato un farmaco privato del suo principio attivo e sostituito con altro principio attivo di minore o nessuna efficacia, in assenza della prova che tale sostituzione lo abbia reso pericoloso per la salute pubblica, non potendo tale elemento essere dedotto aprioristicamente dalla (implicita) inefficacia curativa del farmaco medesimo o dalle difficoltà diagnostiche indotte da tale inefficacia a Corte, pur confermando la natura di reati di pericolo presunto delle fattispecie in esame, ha rilevato che comune alle stesse è comunque il requisito della pericolosità per la salute pubblica come conseguenza delle condotte indicate, requisito non desumibile da argomentazioni pur logiche, ma formulate esclusivamente su base indiziaria).

Cassazione penale sez. I  07 novembre 2013 n. 50566  

L’art. 440 c.p. (adulterazione o contraffazione di sostanze alimentari) richiede il requisito oggettivo della pericolosità per la salute pubblica quale diretta conseguenza delle condotte illecite sanzionate, fermo restando che quella di cui al terzo comma è una fattispecie autonoma di reato e non una ipotesi aggravata.

Cassazione penale sez. I  07 novembre 2013 n. 50566  

In tema di reati contro l’incolumità pubblica, tra l’ipotesi delittuosa di cui all’art. 440 c.p. (adulterazione e contraffazione di sostanze alimentari) e quella di cui all’art. 444 c.p. (commercio di sostanze alimentari nocive) la differenza sostanziale non risiede nella natura delle sostanze prese in considerazione, bensì nell’attività posta in essere dal soggetto agente, considerato che l’elemento materiale della prima ipotesi è costituito dall’opera di corruzione o adulterazione delle sostanze alimentari destinate all’alimentazione o al commercio, mentre l’elemento oggettivo della seconda consiste nella detenzione per il commercio o nella distribuzione per il consumo di sostanze che non siano state contraffatte o adulterate ma che siano, comunque, pericolose per il consumatore, di guisa che il carattere nocivo della sostanza non dipende in quest’ultima ipotesi da una immutatio tra quelle descritte nella prima ipotesi (alterazione, corruzione, adulterazione), ma da altre cause, quali ad esempio il cattivo stato di conservazione, la provenienza delle carni da animali malati. Ne consegue che, pur costituendo entrambe le fattispecie criminose delitti di pericolo concreto che richiedono l’accertamento in concreto dello stato di pericolo – ancorché la sostanza pericolosa non abbia causato danno – trattasi di ipotesi non compatibili nel senso che esse possono ricorrere solo in via alternativa.

Cassazione penale sez. V  05 marzo 2013 n. 17979  

Se rientra nell’esclusiva competenza del giudice il giudizio circa l’effettiva possibilità di un pericolo per la salute pubblica rappresentato dall’acqua inquinata secondo i criteri di cui all’art. 440 c.p., gli accertamenti di natura tossicologica concernenti l’individuazione delle sostanze inquinanti e la loro intrinseca pericolosità sono di spettanza del perito o dei consulenti di parte, ai quali il giudice non può sostituirsi, operando autonome valutazioni tecniche in luogo della critica verifica della prova tecnica come prodotto scientifico.

Cassazione penale sez. I  26 ottobre 2012 n. 4878  

Le condotte di avvelenamento e di corrompimento (o adulterazione o contraffazione) di acque o altre sostanze destinate all’alimentazione, punite dagli art. 439 e 440 c.p., costituiscono forme omogenee di offesa al medesimo bene protetto dalle norme incriminatici, che si distinguono solo per l’intensità del pericolo per salute pubblica, maggiore per l’avvelenamento, minore per il corrompimento; ne consegue che l’accertamento dell’esistenza di tale pericolo – richiesto espressamente dalla fattispecie del corrompimento di cui all’art. 440 c.p. – è requisito implicito anche della fattispecie dell’art. 439 c.p., poiché il pericolo è immanente al concetto stesso dell’avvelenamento, in relazione al quale si deve anzi fornire la prova della sua particolare intensità.

Tribunale Pescara  14 giugno 2011 n. 282  

Nella condotta del gestore di un bar che abbia somministrato per errore ad un cliente, che aveva chiesto un bicchiere di acqua minerale, sapone liquido contenuto in una bottiglia recante all’esterno l’etichetta di un’acqua minerale e posta sul bancone di vendita, non è configurabile alcuno dei delitti di comune pericolo mediante frode (art. 439/444 c.p.), i quali hanno ad oggetto esclusivamente un’attività di avvelenamento, adulterazione, contraffazione o messa in commercio di sostanze alimentari o di cose destinate al commercio e non la somministrazione di sostanza che, pur nociva, non è destinata all’alimentazione.

Cassazione penale sez. I  17 maggio 2005 n. 20391  

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