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LA TEORIA DEI SISTEMI

Sergio Benedetto Sabetta

Premessa

Nell’attuale crisi internazionale, che sembra riportarci indietro nella storia, si manifestano tutte le problematiche e le tensioni accumulate in questi tre decenni, quando sembrava superata la storia dei popoli e delle persone grazie ad una tecnologia invasiva tendente ad una socializzazione liquida, informe.

Tutto era ridotto al puro aspetto economico, staccato dal proprio vissuto, dalle emozioni che la nostra storia ci crea, dove una élite senza radici precise trasferiva capitali, investimenti e indicava la strada del puro individualismo edonistico.

Tutte le reazioni non erano che il risultato di un residuato storico, frutto del sottosviluppo culturale, una globalizzazione indifferente era il futuro a cui tutti dovevano adattarsi.

La pandemia, la gestione talvolta confusa della stessa, le difficoltà delle ripresa economica e sociale, infine l’esplodere dei conflitti latenti hanno mostrato le debolezze di ciascun sistema, recuperando il valore della propria storia. Un insegnamento per il futuro.

I gruppi nell’organizzazione sociale e il suo mutamento

Ogni sistema sociale umano è intrinsecamente dinamico e non può essere pensato in forma separata dalla storia, l’equilibrio che in esso vi deve essere al fine di una sua durata sono da Braudel, secondo la Scuola delle Annales, individuati nelle dimensioni:

  • Ecologica;

  • Economica;

  • Sociale;

  • Politica;

  • Culturale.

Tutte queste dimensioni interagiscono fra loro, diventando volta per volta, a seconda delle epoche, prevalenti a turno all’interno del sistema in equilibrio congiunturale.

Il mutare di uno dei sistemi trasforma gli scenari, in un riequilibrio conflittuale, variamente rinegoziato.

Conflitti fra popoli che si traducono in guerre; conflitti fra gruppi sociali, teorizzati quali conflitti di classe; conflitti tra sistema politico e società civile, guerre civili; conflitto fra il sistema umano e ambiente naturale, dissesti ecologici; conflitti di modernizzazione, tecnologici, fra equilibri passati e futuri equilibri di sistema non ancora consolidati.

Attualmente è proprio quest’ultimo conflitto, nascente dall’accelerazione tecnologica, che nell’espandere attraverso il progresso scientifico le basi produttive e le comunicazioni, viene a prevalere nel causare gli attriti tra sistemi.

Processi di modernizzazione indotti dall’esterno, senza una adeguata trasformazione culturale e dei rapporti sociali, creano forme di sfruttamento selvaggio delle risorse umane e naturali da parte di gruppi elitari, ponendo le premesse per i futuri conflitti sia interni che esterni tra sistemi confinanti che ne subiranno i contraccolpi.

Luhman ci ricorda che nel preciso momento in cui un sistema non riesce a relazionare tutti i suoi elementi procede in modo selettivo, creando dei sottosistemi che si relazionano differentemente con l’ambiente esterno, si crea una complessa rete auto replicante formata da sottosistema e ambiente sia interno che esterno.

I limiti della crescita sono dati dalla necessità di una gerarchizzazione delle diseguaglianze interne, ma con il ricorso ad una differenziazione funzionale, come avvenuto nelle società moderne di matrice europea, si supera la limitazione alla crescita e sviluppo del sistema.

Si ottiene così una complessità maggiore rispetto alle società semplicemente stratificate, con la rinuncia ad una “stretta e vincolante” regolamentazione dei rapporti che vengono lasciati in parte liberi, con una maggiore adattabilità alle prospettive di successo e al tempo stesso cambiando il senso dell’esistere.

Omeostasi, retroazione o autoregolazione, informazione selettiva, sono tutti elementi che intervengono nella trasmissione dell’informazione nei sistemi complessi, in cui vi è un rapporto variabile tra gerarchia e differenziazione funzionale, l’insieme del sistema nel suo interagire acquista un significato maggiore della semplice somma delle sue parti (Simon).

L’evoluzione dei sistemi è facilitata dal formarsi di strutture interne stabili che facilitano la gerarchizzazione tra sottosistemi, in previsione dell’ulteriore passo della differenziazione funzionale.

Nella “teoria dei sistemi quasi scomponibili” vi sono interazioni deboli ma non trascurabili tra sottosistemi, vi sono a riguardo alcuni sistemi gerarchici che si avvicinano a tale tipologia, in cui a “breve termine” esiste una quasi indipendenza tra sottosistemi, mentre a “lungo termine” ciascun sottosistema dipende dagli altri solo in termine di “aggregato”.

Un punto critico è l’interazione tra due o più sistemi che viene ad escludere l’interazione con tutti gli altri sottosistemi, in quello sociale l’essere umano procede per elaborazione delle informazioni in termini seriali più che paralleli, essendo limitata a poche persone l’interazione diretta o verbale, a cui deve aggiungersi il tempo necessario che il ruolo comporta in compiti e responsabilità.

Vi è un continuo passaggio da “descrizioni di stato” a “descrizioni di processo” nella ricerca di soluzioni ai problemi di sistema, che nella consapevolezza diventa una analisi di mezzi-fini, dobbiamo tuttavia considerare che la complessità o la semplicità dipendono fortemente dal modo in cui si descrive la struttura stessa.

Il mutamento sociale non è da considerarsi una tappa logica ineluttabile dell’evoluzione umana, né può considerarsi un nuovo modello razionalmente migliore, esso è piuttosto la trasformazione di un sistema di azione, in cui non sono le regole a cambiare bensì le relazioni umane, con nuove forme di controllo e modelli di governo nuovi ma efficaci, sostanzialmente una nuova forma culturale (Crozier).

La circolarità ricorsiva risulta essere l’origine della semplicità di una logica complessa, Morin considera la complessità come la capacità di elaborare contemporaneamente diversi livelli, mettendoli in relazione tra loro, riducendo pertanto ciò che appare complicato in complesso, ossia un vincolo in una risorsa.

Mutamenti culturali e sociali sono collegati tra loro mediante una relazione complessa di carattere circolare, vi è un trattamento dell’informazione che passa attraverso gli “agenti della modernizzazione”, ovvero coloro che elaborano le informazioni e le socializzano.

Il mutamento crea simboli in quanto ogni struttura sociale ne ha bisogno per identificarsi e consolidare le relazioni, esso è qualcosa di più del semplice significato convenzionale, nel rapporto con la mente crea scintille di idee poste al di là delle semplici capacità razionali.

I simboli vengono quindi a rappresentare la parte inconscia di una organizzazione e del sistema che essa rappresenta, in uno stretto intreccio tra profilo funzionale-razionale e simbolico – affettivo.

Si è discusso se esiste una “mente di gruppo”, mentre Allport nega tale evenienza, rifacendosi interamente alla psicologia individuale, Lewin e Asch ne sostengono l’esistenza nel momento in cui le persone hanno una percezione di sé come membri di un gruppo, l’esternalizzazione avverrà con una produzione culturale di gruppo, quali parole d’ordine, regole e valori.

Naturalmente occorre distinguere tra comportamenti individuali e di gruppo, questi sussistono nel momento in cui differisce il rapportarsi a seconda se gli altri siano appartenenti o meno al gruppo, si manifestano così due identità una personale e l’altra sociale, costituita da una uniformità di comportamento.

Nella realtà anche nell’identità sociale restano elementi dell’identità individuale, come non deve confondersi la folla con il gruppo, dove non vi è una identità sociale ma una semplice e momentanea interazione intergruppo, senza che vi sia una perdita dell’ identità individuale.

Con l’entrata nel gruppo l’individuo modifica la percezione di se stesso e quindi della sua autostima, ma anche il gruppo deve adattarsi, nell’entrare può verificarsi una “dissonanza cognitiva” tra aspettative e difficoltà d’accesso, la quale viene ricomposta modificando la percezione del gruppo.

L’interdipendenza all’interno del gruppo è fondata su due elementi:

  • l’interdipendenza del destino, in cui i singoli membri identificano il proprio destino con quello del gruppo;

  • l’interdipendenza del compito, possedere degli scopi comuni i cui risultati dipendono dagli effetti delle azioni dei singoli membri.

Con il diminuire dell’interdipendenza la produttività diminuisce, prevalendo all’interno del gruppo rapporti interpersonali, base per la realizzazione di interessi del tutto personali.

L’attenzione rivolta al compito fa emergere la rilevanza dei “contenuti”, che possono essere strumentali, diretti al compito, o espressivi, socio-emozionali, questi ultimi hanno la funzione di ridurre le tensioni interne al gruppo.

Nella condivisione dei “valori” interviene sia la comunicazione che la formazione, quest’ultima è tra i più importanti fattori nei processi di gruppo, determinando la scala dei valori su cui si poggia il gruppo e quindi le reciproche aspettative tra i membri del gruppo.

Le norme rappresentano elementi essenziali per interpretare il mondo, essendo un sistema di concetto a cui sono associati dei valori, al fine di creare ordine e prevedibilità di azione nel contesto in cui vive il singolo.

Essendo le norme punti di riferimento, l’individuo trascorrerà un periodo di attesa prima di agire nel gruppo per poter apprendere e così orientarsi tra le norme, le quali tra l’altro riducono l’ansia nei momenti di destrutturazione del gruppo stesso.

Regolazione sociale e codifica dei comportamenti per le azioni necessarie agli scopi del gruppo, non possono comunque eliminare la “latitudine di accettazione” della norma, questa è più o meno elastica a seconda se riguarda aspetti centrali o periferici della vita del gruppo, elastica all’interno, rigorosa su attività fondamentali e verso l’esterno, pena la delegittimazione.

NOTE

  • Jackendoff R., Coscienza e mente computazionale, Il Mulino, 1990;

  • Miller G. A. – Galanter E. – Pribram K. H., Piani e struttura del comportamento, Franco Angeli, 1973;

  • Berruto G., La sociolinguistica, Zanichelli, 1974;

  • Parisi D. – Castelfranchi, Linguaggio, conoscenza e scopi, Il Mulino, 1980;

  • Kanirsa G. – Legrenzi P. – Sonino M., Percezione, linguaggio, pensiero, Il Mulino, 1983.