LA STRATEGIA DI PREVENZIONE DELLA CORRUZIONE. Il P.N.A., IL P.T.P.C.T. E IL R.P.C.T.
Pietro Cucumile1
SOMMARIO.
CAPITOLO 1 – IL QUADRO GIURIDICO DI RIFERIMENTO NELLA DIMENSIONE SOVRANAZIONALE E NAZIONALE
1.1. LA DIMENSIONE INTERNAZIONALE NEL CONTRASTO ALLA CORRUZIONE
1.2. L’INTERVENTO DEL LEGISLATORE ITALIANO CON “PROVVEDIMENTI OMNIBUS”
CAPITOLO 2 – IL MODELLO ITALIANO DI AUTORITA’ INDIPENDENTE
2.1 IL MODELLO ITALIANO DI AUTORITA’ INDIPENDENTE E LE SUE REGOLARITA’
2.2 LA NATURA AMMINISTRATIVA DELL’A.N.A.C. E LA FRIZIONE CON IL PRINCIPIO DI LEGALITA’ SOSTANZIALE
2.3 POTERI E FUNZIONI DELL’A.N.A.C.: DALLA VIGILANZA ALLA REGOLAZIONE
2.4 I COMPITI DI REGOLAZIONE E DI PARTECIPAZIONE AI PROCESSI NORMATIVI
2.4.1 LA NATURA GIURIDICA DELLE LINEE GUIDA DELL’A.N.A.C. TRA ATTI AMMINISTRATIVI E SOFT LAW
2.4.2 IL PROCEDIMENTO DI FORMAZIONE DELLE LINEE GUIDA E LA LORO GIUSTIZIABILITÀ
2.5 L’UNICUM DEL POTERE MONOCRATICO DEL PRESIDENTE DELL’A.N.A.C.
2.6 IL POTERE D’ORDINE COME ATTIVITA’ DI VIGILANZA PER GLI INADEMPIMENTI
2.7 L’ATTIVITA’ CONSULTIVA DELL’A.N.A.C. E LA DISCREZIONALITA’ DELLE PUBBLICHE AMMINISTRAZIONI
2.8 LA MISURA DEL COMMISSARIAMENTO DELLE IMPRESE E LA CERTEZZA DEL DIRITTO
CAPITOLO 3 – IL DOPPIO LIVELLO DI PIANIFICAZIONE
3.2 IL NUOVO P.N.A. DELL’ANNO 2019. IL CONSOLIDAMENTO DEGLI INTERVENTI DELL’A.N.A.C.
CAPITOLO 4 – LA FILOSOFIA DELLA PREVENZIONE
4.1 LE MISURE CHE INCIDONO SUL PILASTRO ORGANIZZATIVO DEL TRIANGOLO DELLA FRODE
4.2 LA REGOLAMENTAZIONE DEL PANTOUFLAGE. UNA IPOTESI DI INCONFERIBILITA’ SUCCESSIVA
4.3 I CODICI DI COMPORTAMENTO. LA GIURIDICIZZAZIONE DELL’ETICA DAL SOFT LAW ALL’HARD LAW
CAPITOLO 5 – UNO SGUARDO ALLA TUTELA DEL WHISTLEBLOWER
5.1 LA CORNICE ORDINAMENTALE DI RIFERIMENTO. VEDETTA CIVICA, NON DELATORE
5.3 LE POLITICHE DI TUTELA DEL SEGNALANTE E LA GESTIONE DEI FLUSSI INFORMATIVI
5.4 GLI APPRODI PRETORI SULLA DIMENSIONE SOGGETTIVA DEL SEGNALANTE
5.5 IL WHISTLEBLOWING COME MISURA DI PREVENZIONE DELLA CORRUZIONE
CAPITOLO 6 – UN BINOMIO DA GOVERNARE: TRASPARENZA E RESPONSABILITA’
Abstract in italiano.
Il sistema italiano di prevenzione della corruzione delineato dalla legge n° 190/2012 si realizza attraverso un’azione coordinata tra un livello nazionale ed uno “decentrato”. Al riguardo, la strategia, a livello nazionale, si attua mediante il PNA adottato da ANAC che costituisce atto di indirizzo per le pubbliche amministrazioni, ai fini dell’adozione dei propri PTPCT. Il PNA individua, in relazione alla dimensione e ai diversi settori di attività degli enti, i principali rischi di corruzione e i relativi rimedi; contiene inoltre l’indicazione degli obiettivi, dei tempi e delle modalità di adozione e attuazione delle misure di contrasto al fenomeno corruttivo. A livello decentrato, invece, ogni amministrazione o ente definisce un PTPCT predisposto, ogni anno, di norma entro il 31 gennaio. Il PTPCT individua il grado di esposizione delle amministrazioni al rischio di corruzione e indica gli interventi organizzativi, ovvero le misure, volti a prevenire il medesimo rischio (art. 1, co. 5, legge n° 190/2012). Il presente lavoro intende approfondire i vari livelli di interazione tra il PNA, il PTPCT, anche attraverso l’analisi del ruolo dei soggetti coinvolti quali il RPCT.
Abstract in inglese.
The Italian system of corruption prevention outlined by Law No. 190/2012 is realized through a coordinated action between a national and a “decentralized” level. In this regard, the strategy, at the national level, is implemented through the PNA adopted by ANAC which constitutes an act of guidance for public administrations, for the purpose of adopting their own PTPCT. The PNA identifies, in relation to the size and the various sectors of activity of the entities, the main risks of corruption and the relative remedies; it also contains an indication of the objectives, timeframes and methods for the adoption and implementation of measures to combat corruption. At decentralized level, instead, each administration or body defines a PTPCT prepared every year, usually by January 31. The PTPCT identifies the degree of exposure of administrations to the risk of corruption and indicates the organizational interventions, or measures, aimed at preventing the same risk (art. 1, co. 5, Law No. 190/2012). The present work intends to deepen the various levels of interaction between the PNA, the PTPCT, also through the analysis of the role of the subjects involved such as the RPCT.
La corruzione emerge quando il potere di un funzionario pubblico è utilizzato per un vantaggio privato in una modalità che contravviene alle regole del gioco”2.
A voler esemplificare, il comportamento corruttivo trova il suo fondamento nella interazione tra due o più parti, prevede un vantaggio reciproco delle stesse e include attività che deviano non solo dalle norme e dai regolamenti ma anche da standard di comportamento e, dunque, da “regole” socialmente condivise.
Di corruzione parla anche Dante Alighieri nella Divina Commedia definendola “baratteria” ove i “barattieri” sono coloro che usano le loro caratteristiche per arricchirsi attraverso la compravendita di provvedimenti, permessi e privilegi3. Questo comportamento viene reputato tante grave che viene perfino riservato loro, all’Inferno, un girone che comporta un supplizio dolorosissimo4.
Della trasformazione criminologica della corruzione, da fatto singolo ascrivibile al funzionario pubblico a strumento utilizzato da gruppi organizzati e centri di potere per appropriarsi delle risorse pubbliche, si sono fatte carico le organizzazioni internazionali, attraverso lo strumento delle Convenzioni internazionali5.
La dottrina ha riscontrato un’annosa difficoltà nel definire la corruzione, a seconda che la stessa venga traguardata con la lente delle Convenzioni internazionali, del codice penale o della normativa in materia di prevenzione.
Parimenti si è riscontrata l’importanza di misurare la corruzione e la correlata difficoltà di misurarla attraverso i “dati giudiziari”.
Ciò detto, il concetto di corruzione, per quel che qui interessa, deve essere inteso in senso lato, come comprensivo delle varie situazioni in cui, nel corso di un’attività amministrativa, si riscontri l’abuso da parte di un soggetto del potere a lui affidato al fine di ottenere vantaggi privati.
Le situazioni rilevanti sono, quindi, evidentemente più ampie della fattispecie penalistica, che, come noto, è disciplinata negli artt. 318, 319 e 319 ter, c.p., e sono tali da comprendere non solo l’intera gamma dei delitti contro la pubblica amministrazione disciplinati nel Titolo II, Capo I, del “codice penale”, ma anche le situazioni in cui, a prescindere dalla rilevanza penale, venga in evidenza un malfunzionamento dell’amministrazione a causa dell’uso a fini privati delle funzioni attribuite6.
La definizione del fenomeno contenuta nel Piano nazionale anticorruzione (P.N.A.), dunque, non solo è più ampia dello specifico reato di corruzione e del complesso dei reati contro la pubblica amministrazione, ma coincide con la “mal-administration”, intesa come assunzione di decisioni7 devianti dalla cura dell’interesse generale a causa del condizionamento improprio da parte di interessi particolari.
Occorre, cioè, avere riguardo ad atti e comportamenti che, anche se non consistenti in specifici reati, contrastano con la necessaria cura dell’interesse pubblico e pregiudicano l’affidamento dei cittadini nell’imparzialità delle amministrazioni e dei soggetti che svolgono attività di pubblico interesse.
CAPITOLO 1 – IL QUADRO GIURIDICO DI RIFERIMENTO NELLA DIMENSIONE SOVRANAZIONALE E NAZIONALE
SOMMARIO. 1.1 LA DIMENSIONE INTERNAZIONALE NEL CONTRASTO ALLA CORRUZIONE; 1.2. L’INTERVENTO DEL LEGISLATORE ITALIANO CON “PROVVEDIMENTI OMNIBUS”
1.1. LA DIMENSIONE INTERNAZIONALE NEL CONTRASTO ALLA CORRUZIONE
Negli ultimi anni il panorama legislativo in materia di prevenzione alla corruzione si è arricchito di diversi interventi che, dalla “Legge Severino” del 2012 in poi, a oggi, hanno contribuito a modificare il paradigma stesso della lotta alla corruzione, spostando l’accento dai profili puramente repressivi, per anni dominanti, a quelli preventivi, ampliando inoltre il concetto di corruzione, da una definizione meramente penalistica, a una classificazione più interdisciplinare che abbraccia il concetto di cattiva amministrazione o mal-administration.
Occorre partire, però, dal diritto internazionale nell’approccio alla materia. In primo luogo, va considerato che la stessa “Legge Severino” è volta a dare attuazione alle Convenzioni internazionali in materia, in particolare alla Convenzione O.N.U. di Merida del 20038 e alla Convenzione Penale sulla Corruzione (1999).
In secondo luogo, occorre ricordare che una strategia uniforme a livello internazionale è indispensabile, dal momento che la corruzione ha naturalmente una dimensione internazionale, che lede la governance statale e internazionale, distorce la competizione e allontana gli investitori, facilitando i crimini internazionali come quelli legati a traffici, droghe e armi. Di conseguenza, è necessaria anche una dimensione internazionale degli strumenti giuridici di contrasto alla corruzione.
È opportuno, quindi, fare riferimento in primo luogo alla Convenzione O.C.S.E. contro la corruzione del 1997, seguita dalla Recommendation for Further Combating Bribery of Foreign Public Officials in International Business Transactions (2009) e dalla Good Practice Guidance on Internal Controls, Ethics and Compliance (2010).
Prima dell’entrata in vigore della Convenzione O.C.S.E., infatti, la corruzione di pubblico ufficiale straniero non integrava gli estremi di reato, anzi, fino agli anni novanta la corruzione era perseguita solo a livello nazionale, e la corruzione di funzionari stranieri poteva essere anche considerata una sorta di necessità per fronteggiare la concorrenza: addirittura, in alcuni sistemi giuridici, le spese sostenute a titolo di tangenti potevano essere deducibili dalle imposte e ciò chiaramente poteva incoraggiare o legittimare la corruzione. La Convezione O.C.S.E., invece, impone agli Stati aderenti di considerare reato per le persone fisiche e giuridiche la corruzione di pubblici funzionari stranieri per ottenere indebiti vantaggi nel commercio internazionale. Oggi, quindi, un atto di corruzione è considerato un reato perseguibile in Italia, qualunque sia la cittadinanza del funzionario corrotto o l’organizzazione statale o internazionale cui questi appartenga.
L’Italia ha ratificato la Convenzione nel 2001 e partecipa attivamente al complesso meccanismo di controllo sul rispetto degli obblighi, assunti dagli Stati aderenti con la ratifica, con il cosiddetto Working Group on Bribery. Va segnalato che le diverse fasi di verifica (2003, 2004, 2011) sono state tutte favorevolmente concluse.
Nell’ambito delle Nazioni Unite, invece, va citata la Convenzione O.N.U. contro la corruzione (U.N.C.A.C.) del 2003, di Merida, in Messico, che a oggi conta ben 186 paesi aderenti9. La Convenzione considera la corruzione come una minaccia per la stabilità e la sicurezza delle società, minando le istituzioni e i valori democratici, i valori etici e la giustizia e compromettendo lo sviluppo sostenibile e lo stato di diritto. Di conseguenza, la corruzione non può essere affrontata solo come fenomeno locale, ma transnazionale, che colpisce tutte le società e tutte le economie e quindi è essenziale una cooperazione internazionale, ma anche un approccio globale e multidisciplinare10.
Al riguardo, per la prima volta in un atto internazionale compare il riferimento non solo a interventi repressivi ma anche a misure preventive11.
È previsto anche in questo caso un meccanismo di monitoraggio basato sul criterio peer review; l’organo deputato è l’Intergovernmental Working Group (I.W.G.) presso l’United Nations Office on Drugs and Crime (U.N.O.D.C.).
Per completare il quadro internazionale, occorre citare le due Convenzioni del Consiglio d’Europa, la Convenzione Civile sulla Corruzione (1999) e la Convenzione Penale sulla Corruzione (1999), ratificate entrambe dall’Italia nel 201212, che prevedono anche un meccanismo di monitoraggio, il G.R.E.C.O., Group of States against Corruption, che fornisce un processo di valutazione incrociata sul livello di contrasto della corruzione nello Stato esaminato, controllando gli impegni presi dai singoli Stati firmatari per la messa in atto delle disposizioni incluse nella Convenzione. L’Italia fa parte del G.R.E.C.O. dal 2007.
Al riguardo, è stato soprattutto a seguito di un monitoraggio del G.R.E.C.O. che è stata adottata la legge anticorruzione n. 190 del 2021; anche la recentissima legge 9 gennaio 2019, n. 3 (divenuta nota come “Spazzacorrotti”) nella sua relazione introduttiva fa riferimento alle raccomandazioni del G.R.E.C.O. per giustificare l’adozione di alcune misure.
Se lo scopo della “Convenzione Civile” è rafforzare la cooperazione internazionale per la lotta contro la corruzione, riconosciuta come una forte minaccia allo sviluppo economico e al corretto funzionamento dei mercati, la “Convenzione Penale” considera la corruzione una minaccia per la preminenza del diritto, la democrazia ed i diritti dell’uomo, che mina i principi di corretta amministrazione, di equità e di giustizia sociale, distorce la concorrenza, ostacola lo sviluppo economico e mette a repentaglio la stabilità delle istituzioni democratiche e le fondamenta morali della società.
A livello comunitario, si sono succeduti diversi interventi, a partire dalla Convenzione per tutelare gli interessi finanziari dell’Unione europea (1995), seguita poi dalla Convenzione del 1997 sulla lotta alla corruzione nella quale sono coinvolti i funzionari unionali e gli Stati membri. Va altresì ricordata la Comunicazione della Commissione sulla politica globale U.E. contro la Corruzione (2003) e la Relazione della Commissione sulla lotta alla corruzione nell’Unione europea del 2011.
Comunque, sicuramente più attuale è il “Rapporto U.E. Anticorruzione” del 201413, composto da una parte generale, che descrive le tendenze in materia di corruzione nell’Unione europea e riassume le principali risultanze14 per paese e che fornisce un’analisi della corruzione nei 28 Stati membri dell’U.E. e delle misure adottate per prevenirla e combatterla. In particolare, l’allegato sulla situazione specifica dell’Italia da una parte saluta con entusiasmo l’entrata in vigore della legge n. 190 del 2012, come importante strumento di prevenzione della corruzione, ma dall’altra sottolinea come la legge lasci irrisolte questioni cruciali come la disciplina della prescrizione, la normativa penale sul falso in bilancio e sull’autoriciclaggio, e non introduce fattispecie di reato per il voto di scambio. Sono considerate inoltre ancora insufficienti le nuove disposizioni sulla corruzione nel settore privato e sulla tutela del dipendente pubblico che segnala illeciti, anche se questa materia è stata poi oggetto di regolamentazione nel 2017 con la legge n. 179.
Infine, sempre a livello europeo, va segnalata la nuova Direttiva U.E. 2019/1937, Protezione degli individui che segnalano violazioni delle norme comunitarie, allo scopo di armonizzare la protezione per i whistleblower all’interno dei vari paesi dell’Unione Europea, protezione che, allo stato attuale, non è considerata uniforme, come anche è stato rilevato dal Report del 2014.
Anche l’Italia, sebbene sia tra i dieci stati europei ad avere già una normativa in materia, dovrà comunque procedere a una riforma, viste le maggiori tutele presentate dalla normativa comunitaria.
Le nuove norme contenute nella direttiva dovranno essere attuate nel nostro ordinamento entro due anni, ma va subito chiarito che, per la clausola di non regressione, l’attuazione della direttiva non potrà ridurre il livello di protezione già offerto dagli Stati membri, che comunque possono anche introdurre disposizioni più favorevoli ai diritti delle persone segnalanti.
Il punto fondamentale sul quale vale la pena soffermarsi riguarda l’ambito di applicazione, perché la Direttiva non fa alcuna distinzione tra settore pubblico e privato.
Ai sensi dell’art.4, infatti, la direttiva si applica alle persone segnalanti che lavorano nel settore privato o pubblico che hanno acquisito informazioni sulle violazioni in un contesto lavorativo, intendendo per violazioni atti od omissioni illecite o che vanificano l’oggetto e le finalità di norme dell’Unione relative agli specifici settori individuati, sia che siano già state commesse, sia non ancora commesse ma che verosimilmente lo saranno.
Di conseguenza, i dipendenti del settore privato che, ad oggi, in Italia godono di una protezione minore rispetto ai dipendenti del settore pubblico, vedranno aumentata la propria tutela, posto che se la legge n. 179 del 17 si applica solo agli enti che hanno adottato il modello di organizzazione e gestione previsto dal d.lgs. n. 231 del 2001, la Direttiva si applica a tutte le imprese con almeno 50 dipendenti, a prescindere dall’adozione del modello di organizzazione e gestione.
Particolarmente interessante è, poi, il comma 4 dell’art. 4, che sostanzialmente mira a garantire una rete di solidarietà intorno al whistleblower, prevedendo una tutela non solo per i colleghi che lo aiutano nel suo percorso di segnalazione, i cosiddetti facilitatori, ma anche per i membri della famiglia, che potrebbero subire ritorsioni indirette. Ciò è particolarmente importante perché dovrebbe servire per spezzare quel patto di omertà tra i colleghi che spesso viene erroneamente considerato alla stregua di normale solidarietà.
Nel concreto, le tutele per il segnalante si estrinsecano nella protezione della riservatezza dell’identità e nel divieto di misure ritorsive.
Ai sensi dell’art. 16, infatti, l’identità della persona segnalante, infatti, non deve essere divulgata, senza il suo consenso esplicito, a nessuno che non faccia parte del personale autorizzato competente a ricevere o a dare seguito alle segnalazioni. Altrettanto vale per qualsiasi altra informazione da cui si possa dedurre direttamente o indirettamente l’identità della persona segnalante.
Tuttavia la divulgazione dell’identità del segnalante è ammessa qualora ciò rappresenti un obbligo necessario e proporzionato imposto dal diritto dell’Unione o nazionale nel contesto di indagini da parte delle autorità nazionali o di procedimenti giudiziari, anche al fine di salvaguardare i diritti della difesa della persona coinvolta, come d’altronde la legge n. 179 del 2017 già prevede. In questi casi, però, il segnalante deve essere preventivamente informato della divulgazione della sua identità. Devono essergli altresì spiegate le ragioni della divulgazione.
Inoltre, la concreta tutela del segnalante si esplicita nel divieto di qualunque misura ritorsiva nei confronti di chi segnala15.
Non diversamente da come previsto dalla legge n. 179 del 2017, spetta alla persona che ha adottato la misura lesiva dimostrare che tale ultima sia imputabile a motivi debitamente giustificati e non concretizzi una ritorsione per la segnalazione.
Infine, la direttiva, a differenza della normativa italiana, introduce anche delle misure concrete di sostegno, in particolare: accesso gratuito a informazioni e consulenze complete e indipendenti sulle procedure e sui mezzi di ricorso disponibili, assistenza legale nel corso del procedimento ovvero patrocinio a spese dello Stato, sostegno finanziario e psicologico.
Quanto al regime sanzionatorio, gli Stati membri devono prevedere sanzioni effettive, proporzionate e dissuasive applicabili alle persone fisiche o giuridiche che ostacolano o tentano di ostacolare le segnalazioni, attuano atti di ritorsione contro i segnalanti, intentano procedimenti vessatori contro i segnalanti e violano l’obbligo di riservatezza sull’identità delle persone segnalanti.
Allo stesso tempo, però, gli Stati membri devono prevedere sanzioni effettive, proporzionate e dissuasive applicabili anche alle persone segnalanti per le quali sia accertato che hanno scientemente effettuato segnalazioni o divulgazioni pubbliche false. In questi casi si devono prevedere anche misure per il risarcimento dei danni derivanti da tali segnalazioni o divulgazioni.
1.2. L’INTERVENTO DEL LEGISLATORE ITALIANO CON “PROVVEDIMENTI OMNIBUS”
In realtà, già prima degli ultimi interventi del legislatore comunitario, l’Italia era stata chiamata a tutta una serie di interventi legislativi allo scopo di adeguarsi agli standard internazionali, come poi è avvenuto con l’approvazione della legge n. 190 del 2012, “provvedimento omnibus” che disciplina un’eterogeneità di situazioni.
Prima di esaminare le riforme dalla “Legge Severino” in poi, è però opportuno ricordare che già a livello costituzionale è presente una prima disciplina fondamentale, condensata agli artt. 28, 54, 97, e 98.
In particolare, con riferimento all’art. 54: se il primo comma pone un dovere a tutti i cittadini di essere fedeli alla Repubblica e di osservare la Costituzione e le leggi, il secondo comma si rivolge invece ai cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche. Questi hanno il dovere di adempierle con disciplina e onore, prestando giuramento nei casi stabiliti dalla legge. Ciò vuol dire che chi accede a funzioni pubbliche deve assumersi doveri più gravosi di quelli richiesti ai ‘semplici’ cittadini16. In breve, se la disciplina può essere identificata con la fedeltà all’apparato, nell’onore si riflette la fedeltà all’ordinamento17.
La responsabilità di chi esercita una funzione pubblica è ulteriormente specificata dall’art. 28 che impone, al singolo dipendente pubblico, di comportarsi legalmente nello svolgimento delle proprie funzioni: I funzionari e i dipendenti dello Stato e degli enti pubblici, infatti, sono direttamente responsabili, secondo le leggi penali, civili e amministrative, degli atti compiuti in violazione di diritti. Il secondo comma poi, estende la responsabilità del dipendente all’ente, per consentire al danneggiato una maggior possibilità di ristoro, dato che, mentre il dipendente potrebbe non essere in grado di risarcirlo, ciò non può accadere con una struttura pubblica.
Un principio fondamentale è espresso poi dall’art. 98, che stabilisce che i pubblici impiegati sono al servizio esclusivo della Nazione. Ciò vuol dire, tra le tante accezioni, che l’attività del dipendente pubblico non deve perseguire l’interesse del datore di lavoro, bensì l’interesse pubblico indicato dall’ordinamento.
In questo modo si sottolinea la separazione tra politica e amministrazione, per cui, l’Amministrazione pubblica, anche quando è strumento di attuazione delle politiche governative, ha un ruolo autonomo in diretto collegamento con la società per la realizzazione delle «finalità pubbliche obiettivate dall’ordinamento18».
Ciò detto, la disciplina sicuramente più interessante è sicuramente quella posta dall’art. 97 della Costituzione, il cui secondo comma recita: “I pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge, in modo che siano assicurati il buon andamento e l’imparzialità dell’amministrazione”.
Questa norma contiene i due principi fondamentali che devono guidare la buona amministrazione, cioè il buon andamento e l’imparzialità19.
Ricordando che anche l’art. 41 della Carta di Nizza del 2000, riconosce il diritto ad una buona amministrazione, buon andamento significa ottimale funzionamento della pubblica amministrazione, tanto sul piano dell’organizzazione quanto su quello della sua attività.
Quindi, nella pratica, buon andamento si traduce nel dovere di cura dell’interesse pubblico nella maniera più immediata, conveniente e adeguata possibile20.
Sostanzialmente, il buon andamento indica un’Amministrazione efficace, efficiente ed economica, dove l’efficacia esprime il rapporto tra obiettivi programmati e raggiunti e l’efficienza indica il rapporto tra risultati/obiettivi raggiunti e risorse impiegate per raggiungerli.
Quanto al principio di imparzialità, possiamo definirlo una sorta di corollario del principio di uguaglianza21. Nella sua accezione oggettiva, il principio di imparzialità si riferisce all’obbligo di ponderare tutti gli interessi coinvolti, mentre in quella soggettiva nel divieto di disparità22.
L’imparzialità è quindi “l’esigenza che l’amministrazione si mantenga fedele alla funzione e allo scopo che le è stato assegnato dalla legge, senza deviarne per la pressione di interessi estranei23”.
Il principio di imparzialità, d’altronde, è ribadito anche dall’art. 1 della legge n. 241 del 90, intitolato “principi generali dell’attività amministrativa”. Il testo attuale24 afferma che l’attività amministrativa “è retta da criteri di economicità, efficacia, imparzialità, pubblicità e trasparenza”.
Il cambio di passo in materia avviene con la nascita del governo tecnico presieduto dal sen. Mario Monti la cui riforma ha interessato entrambi i versanti dell’anticorruzione: quello penale, con modifiche alle fattispecie incriminatrici e aumento delle pene edittali e quello preventivo.
Si arriva, quindi, così alla disciplina specifica in materia di anticorruzione, che vede nella “Legge Severino” una sorta di spartiacque con il passato: se, fino al 2012, l’approccio dominante era quello repressivo, la legge n. 190 del 2012, “Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell’illegalità̀ nella pubblica amministrazione”, ha riequilibrato la strategia rafforzandone l’aspetto preventivo e potenziando la responsabilità dei pubblici ufficiali25.
È una legge composta da due articoli, il primo articolato in 83 commi, e il secondo determina la clausola di invarianza finanziaria.
Va subito detto che uno dei limiti di tale normativa è la sua struttura: una sorta di grande contenitore destinato a disciplinare materie poco omogenee, con un coordinamento decisamente complesso tra le disposizioni introdotte o modificate. La “Legge Severino” infatti incide, riformandolo, sul codice penale, di procedura penale, sul codice civile, nonché su tutta una serie di decreti legislativi26. Si tratta, quindi, di “provvedimento omnibus”, che disciplina un’eterogeneità di situazioni, dal diritto amministrativo al diritto penale, per lo più rientranti nell’alveo dell’attività amministrativa e dell’organizzazione aziendale pubblica.
La riforma si articola su quattro punti fondamentali.
In primo luogo, la stessa impone un inasprimento del trattamento sanzionatorio previsto per alcuni tipi di reato, allo scopo di potenziare l’efficacia dissuasiva27.
In secondo luogo declina una rimodulazione di alcune fattispecie e una ridefinizione dei reati di corruzione e concussione. Ad esempio, si pensi allo spacchettamento, controverso, del reato di concussione, distinguendo il caso della costrizione da quello dell’induzione, oggetto ora di autonoma norma: induzione indebita a dare o promettere utilità. In questo modo, però, come osservato anche dal rapporto U.E. del 2014, si rischia di dare adito ad ambiguità nella pratica e di limitare ulteriormente la discrezionalità dell’azione penale. Più positiva invece è l’introduzione della fattispecie di traffico di influenze illecite: la legge n. 190 del 2012 introduce l’art. 346 bis del codice penale che punisce con la reclusione da 1 a 3 anni sia chi si fa dare o promettere denaro o altre utilità, sia chi versa o promette con riferimento ad un atto contrario ai doveri dell’ufficio o all’omissione o al ritardo di un atto dell’ufficio. In questo modo, si realizza una tutela anticipata del buon andamento e dell’imparzialità della pubblica Amministrazione, andando a colpire comportamenti eventualmente prodromici all’accordo corruttivo.
In terzo luogo, e questo è sicuramente l’aspetto principale, la “legge Severino” impone alcuni obblighi a carico della pubblica Amministrazione allo scopo di prevenire i fenomeni corruttivi. Lo strumento principale è sicuramente la redazione del P.T.P.C., che deve seguire il modello del P.N.A. Va specificato che la “Legge Severino” ha scelto un modello decentrato in cui il P.N.A. detta solo linee generali ma rimanda alle singole Amministrazioni la contestualizzazione e la costruzione di una rete preventiva efficace. Ne discende che, in un rapporto tra uniformità dettata dal P.N.A. e autonomia organizzativa perseguita dai P.T.P.C., le singole Amministrazioni non hanno solo un ruolo passivo di “adempimento” ma attivo di costruzione dei piani, in cui tutti, e non solo i referenti e responsabili anticorruzione, devono cooperare nella segnalazione delle criticità dei rischi e nell’attuazione delle misure.
La redazione del P.T.P.C. è affidata al Responsabile per la prevenzione della corruzione, una sorta di garante della legalità all’interno delle singole pubbliche Amministrazioni. Questi viene scelto normalmente tra i dirigenti di prima fascia e, oltre a essere responsabile della redazione del P.T.P.C., che sarà adottato dall’organo di indirizzo politico, è anche responsabile della verifica dell’efficace attuazione del Piano e della sua idoneità, nonché della sua eventuale modifica, se necessario. Inoltre, in caso di commissione, all’interno dell’Amministrazione, di un reato di corruzione accertato con sentenza passata in giudicato, il responsabile risponde ai sensi dell’articolo 21 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n.165, nonché sul piano disciplinare, per danno erariale e all’immagine a meno che non dimostri di aver predisposto correttamente il P.T.P.C. e di aver vigilato sul corretto funzionamento e sull’osservanza del piano.
L’aspetto preventivo è, quindi, volto prevalentemente a dissuadere il dipendente pubblico dal porre in atto condotte illecite, sviluppandone la consapevolezza etica e morale, ma anche a incoraggiare lo stesso dipendente pubblico a segnalare eventuali illeciti di cui dovesse venire a conoscenza, attraverso una disciplina, sebbene racchiusa in un unico comma, della tutela del cosiddetto whistleblower.
Infine, la legge n. 190 del 2012 ha dato ottemperanza agli obblighi internazionali, prevedendo la creazione di un’Autorità nazionale anticorruzione, con compiti di controllo e indagine sulla pubblica Amministrazione. Identificata inizialmente nella preesistente C.I.V.I.T., alla quale la “Legge Severino” aveva dato il nome di Autorità Nazionale Anticorruzione e per la valutazione e la trasparenza nelle amministrazioni pubbliche, il decreto legge n. 90 del 2014 ha soppresso tale autorità, facendone confluire strutture e personale nell’A.N.A.C., Autorità Nazionale Anticorruzione.
La missione dell’A.N.A.C. consiste nella prevenzione della corruzione nell’ambito delle Amministrazioni pubbliche, nelle società partecipate e controllate anche mediante l’attuazione della trasparenza e pubblicità in tutti gli aspetti gestionali, nonché mediante l’attività di vigilanza nell’ambito dei contratti pubblici, degli incarichi e comunque in ogni settore della pubblica Amministrazione che potenzialmente possa sviluppare fenomeni corruttivi, evitando nel contempo di aggravare i procedimenti con ricadute negative sui cittadini e sulle imprese. L’A.N.A.C. ha, altresì, funzione consultiva, orientando i comportamenti e le attività delle pubbliche Amministrazioni, funzioni ispettive, sanzionatorie, nonché una funzione che potremmo definire regolatoria, dato che il nuovo codice degli appalti attribuisce all’A.N.A.C. il potere di predisporre un complesso di regole recepite all’interno delle linee guida che costituiranno gli atti di riferimento per l’applicazione del D. Lgs. n. 50 del 2016.
A completamento della “riforma Severino”, vanno citati poi i tre decreti legislativi che ne costituiscono il naturale completamento: il d.lgs. n. 33 del 2013 (riguardante gli obblighi di pubblicità e trasparenza), il d.lgs. n. 39 del 2013 (sul regime delle inconferibilità e incompatibilità degli incarichi presso le pubbliche Amministrazioni) e il d.lgs. n. 235 del 2012 (disciplina delle incandidabilità).
Le riforme, però, non si sono fermate e sono proseguite con il fondamentale D.P.R. n. 62 del 2013 (che dispone la promulgazione di un codice di comportamento pubblici dipendenti), la legge n. 69 del 2015 dei delitti contro la pubblica amministrazione, di associazioni di tipo mafioso e di falso in bilancio, il D.lgs. n. 50 del 2016 “nuovo codice appalti”, il d.lgs. n. 97 del 2016 su pubblicità e trasparenza e la legge n. 179 del 2017 sulla tutela del whistleblower.
Un ultimo recente intervento del legislatore è la legge n. 3 del 2019 riguardante misure per il contrasto dei reati contro la pubblica amministrazione, nonché in materia di prescrizione del reato e in materia di trasparenza dei partiti e movimenti politici. Con questa legge, composta da un solo articolo suddiviso in 30 commi, che compongono una prima parte sui reati contro la pubblica Amministrazione e la prescrizione, e una seconda parte sulla trasparenza e il controllo dei partiti e movimenti politici, vengono riformati alcuni articoli del codice civile, penale e di procedura penale. Si segnala, in particolare, la disciplina del c.d. “Daspo a vita” per i corrotti, cioè l’incapacità di contrattare con la pubblica Amministrazione. Ai reati già previsti dal codice penale, si aggiungono il peculato, escluso quello d’uso, la corruzione in atti giudiziari e il traffico di influenze illecite. Inoltre, viene prevista l’estensione dell’interdizione perpetua dai pubblici uffici: tuttavia, qualora venga inflitta la reclusione per un tempo non superiore a due anni o se ricorre la circostanza attenuante di cui all’art. 323-bis c.p., primo comma per i fatti di particolare tenuità, l’interdizione e il divieto saranno temporanei, per una durata non inferiore a cinque anni né superiore a sette anni.
Va segnalato, però, che la giurisprudenza recente ne ha evidenziato criticità e problematiche. Si consideri, in particolare, la sentenza della Corte costituzionale n. 253 del 2019 che ha dichiarato l’illegittimità dell’articolo 4-bis dell’ordinamento penitenziario, come modificato da legge n. 3 del 2019.
CAPITOLO 2 – IL MODELLO ITALIANO DI AUTORITA’ INDIPENDENTE
2.1 IL MODELLO ITALIANO DI AUTORITA’ INDIPENDENTE E LE SUE REGOLARITA’; 2.2 LA NATURA AMMINISTRATIVA DELL’A.N.A.C. E LA FRIZIONE CON IL PRINCIPIO DI LEGALITA’ SOSTANZIALE; 2.3 POTERI E FUNZIONI DELL’A.N.A.C.: DALLA VIGILANZA ALLA REGOLAZIONE; 2.4 I COMPITI DI REGOLAZIONE E DI PARTECIPAZIONE AI PROCESSI NORMATIVI; 2.4.1. LA NATURA GIURIDICA DELLE LINEE GUIDA DELL’A.N.A.C. TRA ATTI AMMINISTRATIVI E SOFT LAW; 2.4.2 IL PROCEDIMENTO DI FORMAZIONE DELLE LINEE GUIDA E LA LORO GIUSTIZIABILITÀ; 2.4.3 LA NATURA ATIPICA DEI COMUNICATI DEL PRESIDENTE DELL’A.N.A.C. E IL TABU’ DEL POTERE REGOLAMENTARE; 2.5 L’UNICUM DEL POTERE MONOCRATICO DEL PRESIDENTE DELL’A.N.A.C.; 2.6 IL POTERE D’ORDINE COME ATTIVITA’ DI VIGILANZA PER GLI INADEMPIMENTI; 2.7 L’ATTIVITA’ CONSULTIVA DELL’A.N.A.C. E LA DISCREZIONALITA’ DELLE PUBBLICHE AMMINISTRAZIONI; 2.8 LA MISURA DEL COMMISSARIAMENTO DELLE IMPRESE E LA CERTEZZA DEL DIRITTO; 2.9 I POTERI DI ORGANIZZAZIONE, DI VIGILANZA E SANZIONATORI DELL’A.N.A.C.: IL PROBLEMA DEL FONDAMENTO NORMATIVO; 2.10 LA NUOVA DISCIPLINA DELLA VIGILANZA COLLABORATIVA. DALLE RACCOMANDANZIONI VINCOLANTI AL PARERE MOTIVATO.
2.1 IL MODELLO ITALIANO DI AUTORITA’ INDIPENDENTE E LE SUE REGOLARITA’
L’Autorità nazionale anticorruzione non è una peculiarità italiana, essendo presente già in molti Paesi grazie anche alle sollecitazioni provenienti da organismi internazionali. È stato, poi, il dibattito dottrinario e giurisprudenziale, come si vedrà di seguito, che ha consentito di individuare le regolarità per un modello italiano di Autorità indipendente.
La prima esperienza nota risale a quella della città di New York con il Department of investigation (D.O.I.) del 1873; altre pure note risalgono alla fase della transizione post coloniale nei paesi del Sud Est asiatico. Grande successo hanno riscosso le agenzie a Singapore e Honk Kong.
Tre sono le tipologie di agenzie anticorruzione: “Multi purpose agencies”, con poteri sia preventivi, sia di indagine per la repressione delle violazioni, sia di formazione del personale; “Law enforcement agencies, departments or units”, con funzioni prevalentemente investigative e di repressione dei reati; “Preventive, policy devolpment and co-ordination institutions”, con compiti soprattutto di prevenzione della corruzione e connessi poteri di indagine amministrativa nonché di definizione delle politiche di contrasto.
L’art. 6, della Convenzione di Merida, rubricato “Organo o organi di prevenzione della corruzione”, richiede ai singoli Stati di “assicurare, conformemente ai principi fondamentali del proprio sistema giuridico, l’esistenza di uno o più organi, secondo quanto necessario, incaricati di prevenire la corruzione medianti mezzi quali: a) l’applicazione delle politiche di cui all’art. 5 della presente Convenzione e, se necessario, la supervisione ed il coordinamento di tale applicazione; b) l’accrescimento e la diffusione delle conoscenze concernenti la prevenzione della corruzione”.
Il secondo paragrafo dell’art. 6 detta, infatti, due prescrizioni sulla struttura delle agenzie; gli Stati, in particolare, devono garantire agli organi anticorruzione sia “l’indipendenza necessaria a permettere loro di esercitare efficacemente le loro funzioni al riparo di ogni indebita influenza” sia “le risorse necessarie ed il personale specializzato necessari, nonché la formazione di cui tale personale può avere bisogno per esercitare le sue funzioni”.
Con la legge n. 3 del 16 gennaio 2003 l’Italia aveva previsto la costituzione dell’”Alto commissario per la prevenzione ed il contrasto della corruzione”, istituito poi con D.P.R. 6 ottobre 2004, n. 258; il commissario operava presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, era un organo monocratico, scelto fra magistrati ordinari o amministrativi, avvocati dello stato ed alti dirigenti dello Stato, dotato di una scarna struttura di supporto.
Le sue competenze erano soprattutto di studio del fenomeno della corruzione e di monitoraggio su procedure contrattuali e di spesa e su comportamenti e conseguenti atti da cui potesse derivare danno erariale, con l’obbligo di segnalare all’autorità giudiziaria o a quella contabile le eventuali anomalie.
A distanza di poco meno di quattro anni, un decreto legge28 lo sopprimeva, trasferendo i suoi poteri alla Presidenza del Consiglio.
È stato poi prevista l’attribuzione della funzione di autorità al Servizio anticorruzione e trasparenza (S.A.E.T.); nel 2009, è stata quindi istituita la Commissione per la valutazione, trasparenza e integrità della pubblica amministrazione (C.I.V.I.T.).
L’Italia ha attuato l’impegno assunto a livello internazionale con la “legge Severino”, n. 190 del 2012, che esplicitamente dichiara al suo primo comma di voler individuare, in ambito nazionale, l’Autorità nazionale anticorruzione, con modalità tali da assicurare azione coordinata, attività di controllo, di prevenzione e di contrasto della corruzione e dell’illegalità nella pubblica Amministrazione.
La legge investe del ruolo di Autorità la C.I.V.I.T., attribuendole specifici compiti in materia di prevenzione della corruzione, ispettivi di vigilanza e di ordine.
Riconosce, sperò, altrettante significative funzioni al Dipartimento della funzione pubblica, ufficio della Presidenza del Consiglio dei Ministri.
Si tratta di un ruolo bicefalo dell’autorità anticorruzione che ha ricevuto numerose critiche.
Nel 2013, con decreto legge29, la C.I.V.I.T. assume la nuova denominazione di “Autorità nazionale anticorruzione e per la valutazione e la trasparenza delle pubbliche amministrazioni” che ne evidenziava anche la nuova mission istituzionale.
Vengono modificati i criteri di nomina del Presidente e dei Componenti del Consiglio, la cui durata in carica era fissata in sei anni, senza possibilità di riconferma.
Il menzionato Decreto legge proroga i componenti della C.I.V.I.T. fino alla nomina del nuovo presidente e dei suoi consiglieri.
Nel Marzo 2014 viene nominato il primo presidente A.N.A.C. che esercita di fatti «funzioni monocratiche» fino a luglio 2014.
Nel 2014, sull’onda di una serie di scandali per fatti di corruzione, si ha, con il decreto n. 90, convertito in legge 114 del 2014, un importante intervento normativo che riguarda l’autorità anticorruzione e le sue competenze.
Innanzitutto, l’autorità assume la denominazione di Autorità nazionale anticorruzione (A.N.A.C.); vengono, poi, ridefiniti i rapporti con il Dipartimento della funzione pubblica e le sono attribuiti diversi poteri anche sanzionatori. Il decreto attribuisce poteri monocratici al Presidente dell’Autorità. Vengono poi trasferiti competenze e funzioni un tempo facenti capo all’Autorità di vigilanza sui contratti pubblici di lavori, forniture e servizi (A.V.C.P.). La legge n. 69 del 2015 ed il nuovo codice degli appalti, d.lgs. n. 50 del 2016, attribuiscono ulteriori funzioni e poteri.
È utile ricordare come nell’ordinamento nazionale non si rinvenga una disciplina positiva che individui un modello unitario di autorità indipendente, dettando quindi indici che consentano, con certezza, di ascrivere un ente alla tipologia sopra citata. È stata soprattutto l’elaborazione dottrinaria e giurisprudenziale ad individuare quelle “regolarità” strutturali e funzionali, in presenza delle quali può riconoscersi lo status in discussione30.
È appena il caso di precisare che, con il termine “Autorità indipendenti” si è soliti indicare una serie di poteri pubblici, caratterizzati da uno specifico grado di indipendenza dal potere politico, dall’esercizio di funzioni “neutrali” in diversi settori dell’ordinamento (principalmente economici) e da un elevato livello di competenze tecniche31.
Un esame scevro da pregiudizi dimostra come queste “regolarità” sono certamente presenti nell’ente istituito per sovraintendere al sistema della prevenzione della corruzione. L’A.N.A.C., infatti, non è un organismo creato ex novo ma è una filiazione diretta di un altro, la C.I.V.I.T., nei confronti del quale si era posta in passato la medesima domanda, a cui si era data risposta positiva sia da gran parte della dottrina che del Consiglio di Stato, valorizzando le modalità di nomina dei componenti della governance che garantivano l’indipendenza rispetto al Governo.
Chi manifestava dubbi lo faceva sia sul presupposto della permanenza di alcuni rapporti fra C.I.V.I.T. e Governo sia sulla previsione della rinnovabilità dei membri della Commissione che finiva per minarne l’indipendenza sia per la dipendenza economica della struttura dal bilancio dello Stato, sia, infine, per l’assenza di poteri di autoorganizzazione32.
L’A.N.A.C. si ritiene che goda comunque della “indipendenza necessaria a per mettere di esercitare le … funzioni al riparo di ogni indebita influenza“, in quanto, a prescindere dal suo carattere di autorità indipendente, la nomina, la durata nella carica, l’impossibilità di revoca, la non rinnovabilità del mandato dei membri della governance dell’A.N.A.C. sono elementi oggettivi tali da garantire l’autonomia rispetto all’autorità33.
2.2 LA NATURA AMMINISTRATIVA DELL’A.N.A.C. E LA FRIZIONE CON IL PRINCIPIO DI LEGALITA’ SOSTANZIALE
Ancorché la dottrina prevalente e la giurisprudenza concordino sulla necessità di riconoscere alle Autorità indipendenti una natura amministrativa, appare difficile ricondurre queste Autorità al modello di amministrazione delineato dalla Costituzione. In effetti, l’Amministrazione è tenuta al perseguimento degli obiettivi stabiliti dagli organi di indirizzo politico ed è sempre soggetta al controllo di tali organi. Le Autorità indipendenti si collocano, invece, al di fuori del circuito della rappresentanza politico-parlamentare, determinano una rottura della tradizionale organizzazione ministeriale e una deroga al principio della responsabilità politica del governo per l’operato dell’Amministrazione. I problemi sono accentuati dal fatto che, in molti casi, a queste Autorità sono attribuiti incisivi poteri normativi che determinano un’evidente frizione con il principio di legalità sostanziale34.
La natura amministrativa delle Autorità indipendenti costituisce un principio acquisito da parte della giurisprudenza interna (fin dalla nota pronuncia n. 7341 del 2001 ad opera della Corte di Cassazione)35 e ormai sancito, anche sul piano legislativo, dal Codice del processo amministrativo, che ha espressamente assoggettato gli atti delle Autorità indipendenti alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo.
Per quanto concerne le vicende che hanno caratterizzato la nascita e l’evoluzione dell’A.N.A.C. in Italia, esse sono “sintomatiche” di quella tendenza a una «deresponsabilizzazione» degli organi di indirizzo politico in un settore particolarmente “sensibile”, qual è quello della concorrenza e della lotta alla corruzione negli appalti pubblici36.
È noto che l’Autorità Nazionale Anticorruzione è la prima Authority che unisce il controllo e la vigilanza nel settore dei contratti pubblici al sistema di prevenzione della corruzione37; essa incorpora, infatti, i poteri della soppressa Autorità di Vigilanza sui Contratti pubblici (A.V.C.P.), assommando a tali competenze specifici poteri sanzionatori in materia di anticorruzione. Non si tratta, però, del primo ente istituito con la specifica finalità di vigilanza e di contrasto della corruzione. Un primo tentativo di attribuire compiti di prevenzione e contrasto della corruzione ad un ente apposito, sebbene in assenza di poteri di regolazione e sanzionatori, fu quello che portò all’istituzione dell’Alto Commissario per la prevenzione e il contrasto della corruzione e delle altre forme di illecito nella pubblica Amministrazione., con il D.P.R. 6 ottobre 2004, n. 25838.
Le prerogative rimesse a questo organismo consistevano nella possibilità di disporre analisi conoscitive, di elaborazione dei relativi dati e nel monitoraggio di procedure contrattuali e di spesa; inoltre, gravava sull’Alto Commissario un obbligo di denuncia all’Autorità giudiziaria e alla Corte dei Conti dei fatti di reato e di quelli nei quali fosse ravvisabile un danno erariale. L’esperienza istituzionale dell’Alto Commissario per la lotta alla corruzione ebbe tuttavia vita breve e non fu significativa.
Seguendo con maggior precisione il suo percorso evolutivo, al momento della sua istituzione, l’A.N.A.C. ha assunto compiti di amministrazione attiva, consultiva, ispettiva e di controllo, in un quadro di collaborazione con il Dipartimento della funzione pubblica e con un Comitato interministeriale previsto dall’art. 1, comma 4, della legge. Tra gli altri compiti, l’A.N.A.C. ha assunto quello di approvare il Piano Nazionale Anticorruzione e di illustrare al Parlamento, entro il 31 dicembre di ogni anno, una relazione sull’attività di contrasto della corruzione e dell’illegalità nella pubblica amministrazione e sull’efficacia delle disposizioni vigenti in materia39. Quanto all’attività consultiva, l’A.N.A.C. esprime pareri facoltativi agli organi dello Stato e a tutte le amministrazioni pubbliche in materia di conformità di atti e comportamenti dei funzionari pubblici alla legge, ai codici di comportamento ed ai contratti, collettivi e individuali, regolanti il rapporto di lavoro pubblico. Esprime, inoltre, pareri facoltativi in materia di autorizzazioni allo svolgimento di incarichi esterni da parte dei dirigenti amministrativi dello Stato e degli enti pubblici nazionali40. I poteri di vigilanza e controllo dell’A.N.A.C. riguardano l’applicazione e l’efficacia delle misure di prevenzione alla corruzione adottate dalle pubbliche amministrazioni ed il rispetto delle nuove regole sulla trasparenza dell’attività amministrativa. Nell’esercizio delle funzioni ispettive, l’Autorità può richiedere notizie, informazioni, atti e documenti alle pubbliche amministrazioni e ordinare l’adozione di atti o provvedimenti richiesti dai piani di prevenzione alla corruzione e dalle regole sulla trasparenza dell’attività amministrativa, ovvero la rimozione di comportamenti o atti contrastanti con i piani e le regole sulla trasparenza citati. L’A.N.A.C. e le amministrazioni interessate danno notizia, nei rispettivi siti web istituzionali, dei provvedimenti conseguentemente adottati. L’A.N.A.C. ha subito un’ulteriore evoluzione con il decreto legge 26 giugno 2014 n. 90, convertito in legge 11 agosto 2014 n. 114, con il quale, anche a seguito delle inchieste penali che hanno riguardato il Mose di Venezia e Expo 2014 di Milano, sono state dettate disposizioni volte a garantire un migliore livello di certezza giuridica, correttezza e trasparenza delle procedure nei lavori pubblici. L’art. 19 di tale provvedimento, infatti, ha soppresso l’Autorità di Vigilanza sui Contratti Pubblici – A.V.C.P. e ha determinato l’assorbimento delle relative funzioni da parte dell’A.N.A.C. Inoltre, lo stesso provvedimento ha tolto all’A.N.A.C. la materia del controllo di performance delle amministrazioni (ereditate dalla C.I.V.I.T.) e la ha trasferita al Dipartimento per la funzione pubblica della presidenza del Consiglio dei Ministri, così rendendo A.N.A.C. un’Autorità concentrata sulla lotta alla corruzione in tutti i settori dell’attività amministrativa41. Con specifico riferimento ai contratti pubblici (a seguito della soppressione dell’A.V.C.P.) A.N.A.C. è diventata l’Autorità di settore che assolve il compito della vigilanza e garanzia della qualità, efficienza e efficacia dell’azione amministrativa42, dotata di specifici poteri sanzionatori, volti ad assicurare l’effettività dell’azione svolta. Peraltro, l’assorbimento dell’A.V.C.P. in A.N.A.C. evidenzia quale sia la reputazione (ovvero quella di un settore fortemente corrotto) di cui gode il settore dei contratti pubblici in Italia, fatta propria dal Governo. Con il “codice dei contratti pubblici” di cui al d.lgs. n. 50 del 2016, l’A.N.A.C. ha assunto ulteriori compiti e poteri, che ne esaltano la centralità del ruolo43. Ai sensi dell’art. 213 comma 1, l’A.N.A.C. assume la vigilanza e il controllo sui contratti pubblici, l’attività di regolazione degli stessi, l’attività di prevenire e contrastare illegalità e corruzione; dunque, con l’obbiettivo di garantire tanto l’efficienza quanto l’integrità del settore. Ai sensi di tale disposizione, assume poteri molto ampi e trasversali, tra i quali: la vigilanza sull’affidamento e l’esecuzione dei contratti pubblici e l’esercizio dei poteri sanzionatori ad essi correlati; formula proposte al Governo di modifica della disciplina vigente; svolge attività di vigilanza collaborativa alle stazioni appaltanti per affidamenti di particolare interesse; provvede all’ elaborazione dei costi standard; gestisce il sistema di qualificazione delle stazioni appaltanti e delle centrali di committenza; può disporre ispezioni avvalendosi della collaborazione di altri organi dello Stato e della Guardia di Finanza, trasmettendo i propri rilievi agli organi di controllo, comprese le Procure della Repubblica e la Procura generale della Corte dei conti; gestisce e aggiorna l’Albo Nazionale dei componenti delle commissioni giudicatrici e l’elenco delle stazioni appaltanti che operano mediante affidamenti diretti nei confronti di proprie società. Presso la stessa A.N.A.C. è istituito, nell’ambito dell’Anagrafe unica delle stazioni appaltanti, l’elenco dei soggetti aggregatori. Un compito di particolare rilievo, che fa assurgere l’A.N.A.C. a vero regolatore del settore, a seguito dell’abrogazione del regolamento attuativo del codice dei contratti pubblici di cui al D.P.R. 207 del 2010, è quello della redazione della c.d. soft regulation, incentrata su un sistema di linee guida che possono assumere carattere vincolante o non vincolante per le stazioni appaltanti, ma anche sull’emanazione di bandi-tipo, capitolati-tipo, contratti-tipo ed altri strumenti di regolamentazione flessibile44. Nell’assetto attualmente vigente, oltre agli appena ricordati compiti e poteri che afferiscono al settore della contrattualistica pubblica, l’A.N.A.C., svolge un ruolo generale di prevenzione della corruzione nell’ambito delle amministrazioni pubbliche, nelle società partecipate e controllate anche mediante l’attuazione della trasparenza in tutti gli aspetti gestionali. Tale attività può considerarsi trasversale ad ogni settore della pubblica amministrazione che potenzialmente possa sviluppare fenomeni corruttivi. Può anche osservarsi che l’attività relativa al settore della contrattualistica pubblica, settore in cui l’A.N.A.C. ha assunto un ruolo di assoluta centralità, è probabilmente divenuta prevalente rispetto a quella generale.
2.3 POTERI E FUNZIONI DELL’A.N.A.C.: DALLA VIGILANZA ALLA REGOLAZIONE
Già dal 2014, nell’A.N.A.C. sono confluiti i compiti di due diverse Autorità, quella anticorruzione e quella per la vigilanza sui contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture45.
Si tratta di una via italiana alla lotta alla corruzione, che si annida massimamente nel settore degli appalti pubblici.
Attraverso una lenta transizione, l’originaria mission di sola vigilanza,
attribuita all’Autorità sui lavori pubblici all’epoca della sua istituzione, con l’art. 4 della “legge Merloni” nel 1994 e, poi, dal codice dei contratti pubblici del 2006, si è definitivamente arricchita con i compiti di regolazione.
L’A.N.A.C., oggi, è autorità che regola, con le linee guida e tutti gli altri strumenti ad essa assegnati, quali bandi tipo, raccomandazioni, pareri e quant’altro, oltre a vigilare con pregnanti poteri ispettivi e sanzionatori.
La vocazione “regolatoria”, tipica delle Autorità indipendenti, nel caso dell’A.N.A.C. viene declinata in modo peculiare, perché gli atti di regolazione, in alcune materie, per la generalità e astrattezza dei contenuti, assurgono a veri e propri regolamenti in senso sostanziale, anche se non ne hanno il nome.
Del resto, l’A.N.A.C. partecipa alla funzione regolamentare del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, con un potere di proposta, tipico atto predeterminativo del contenuto dell’atto finale.
L’A.N.A.C. cura anche molto altro, perché ha anche compiti propriamente gestionali di amministrazione attiva46 e ha compiti che sono paragiurisdizionali (parere vincolante sul contenzioso relativo alle gare) e una funzione consultiva.
L’A.N.A.C. riveste, poi, una non meno importante funzione informativa, atteso che le compete gestire la banca dati dei contratti pubblici e il sistema di pubblicità informatica dei bandi e degli atti di gara.
Si ha dunque un’Autorità a vocazione indipendente, che cumula funzioni ordinariamente attribuite a distinti poteri pubblici: normative/regolatorie, di amministrazione attiva, consultive, di vigilanza/controllo, paragiurisdizionali.
L’ordinamento ha, peraltro, previsto un sistema di pesi e contrappesi volto a riequilibrare, nei rapporti esterni, l’accentramento di tante competenze.
Gli strumenti di bilanciamento sono costituiti:
-
dalla impugnabilità di tutti gli atti dell’A.N.A.C. davanti agli organi della giustizia amministrativa;
-
dall’istituzione della Cabina di regia presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, con compiti di monitoraggio, impulso e coordinamento;
-
dalla cogestione di alcune tipologie di linee guida attraverso il potere di proposta dell’A.N.A.C. e di approvazione del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti.
Ciò detto, poteri e funzioni vengono individuati in via generale dai commi 2, 3 e 4 dell’art. 1 della legge n. 190, ma sono anche previsti da altre disposizioni contenute nel d.lgs. n. 33 del 2013, nel d.lgs. n. 39 del 2013, nel d.lgs. n. 165 del 200147.
I poteri principali dell’Autorità possono essere raggruppati in quattro tipologie: di vigilanza, consultivi, di regolazione e sanzionatori.
Ci sono, poi, altri compiti che non rientrano nelle tipologie indicate; ad esempio, il potere di collaborare con i paritetici organismi internazionali ex comma 2, lett a); di adozione del P.N.A., ex comma 2, lett b); di analisi ed individuazione delle cause e fattori della corruzione ex comma 2, lett. c); di riferire annualmente al Parlamento ex comma 2, lettera g).
Il potere di vigilanza è, in via generale, previsto dall’art. 1, comma 2, lett. f) della legge n. 190 sulla «effettiva applicazione e sull’efficacia» delle misure adottate dalle pubbliche Amministrazioni ai sensi dei commi 4 e 5 dell’art. 1 e sul rispetto delle regole della trasparenza, ribadito dall’art. 45 del d.lgs. n. 33 del 2013 e dall’art. 16 del d.lgs. n. 39 del 2013.
Il potere consultivo è espressamente previsto dall’art 1, comma 2, lett. d) ed e) della legge n. 190 e consiste nell’esprime pareri «facoltativi»
L’A.N.A.C. però ha esteso la funzione consultiva a tutte le materie di propria competenza a condizione che si tratti di questioni poste con valenza generale.
Il valore dei pareri forniti è non vincolante ma una volta richiesti comunque da prendere in considerazione.
Il potere di regolazione riguarda quei provvedimenti a carattere generale, in quanto destinati ad una pluralità di destinatari non predeterminati, attraverso cui l’Autorità offre indicazioni ed istruzioni sull’applicazione di singoli istituti.
Il fondamento di tale potere è rinvenibile nelle norme di cosiddetta regolazione autorizzata o, in generale, nel potere di vigilanza riconosciuto su un settore, altrimenti detta regolazione libera o soft regulation.
Il potere sanzionatorio consiste nella possibilità dell’autorità di adottare sanzioni amministrative di natura pecuniaria e interdittiva.
Il decreto n. 90 del 2014 ha attribuito poteri monocratici al Presidente dell’A.N.A.C. distinguibili in due categorie: quelli di carattere contingente – e dunque temporanei – e quelli assegnati stabilmente in via ordinaria.
Rientra nella prima categoria il potere di definire gli assetti dell’Autorità attraverso la predisposizione di un Piano di riordino e le attività di controllo sugli appalti del grande evento “Expo Milano 2015”.
Rientra nella seconda ipotesi il potere contemplato nell’art. 19, comma 7, decreto legge n. 90 del 2014 che prevede la segnalazione all’Autorità indicata nell’art. 47, comma 3, d.lgs. n. 33 del 2013 delle infrazioni ivi previste ed il potere di proporre “misure straordinarie di gestione, sostegno e monitoraggio di imprese nell’ambito della prevenzione della corruzione”.
Il sistema previsto, poi, dall’art. 32 prevede tre misure distinte ed alternative. La prima è volta ad estromettere dalla governance societaria i soggetti coinvolti nei fatti illeciti; la norma concede all’impresa un termine di 30 giorni per dare seguito all’ordine di sostituzione, decorso inutilmente il quale il prefetto è tenuto a disporre, nei dieci giorni successivi, la misura della temporanea e straordinaria gestione descritta nella lettera successiva. La seconda misura si attiva sia nel caso di inottemperanza all’ordine appena descritto che nei casi ritenuti fin dall’origine più gravi. Questa misura prevede un vero e proprio commissariamento del contratto. La terza misura è quella del c.d. “sostegno e monitoraggio”.
Nonostante la disorganicità che caratterizza la materia, l’A.N.A.C., risponde ai criteri di indipendenza richiesti dall’art. 6 della Convenzione di Merida.
La normativa fino ad ora analizzata garantisce l’indipendenza della governance48, recide i rapporti con il Dipartimento, concede ai dipendenti lo stesso statuto dei dipendenti di altre autorità, prevede l’autonomia finanziaria. Infine, la peculiarità che pure si riscontrano49 non sono tali da metterne in discussione l’indipendenza, essendo solo testimonianza della multiformità che caratterizza il panorama italiano della Autorità indipendenti.
Senza scomodare la discussa categoria degli atti amministrativi impliciti50, il potere di regolazione “libero” può essere considerato funzionale all’esercizio degli altri poteri dell’Autorità ad essa riconosciuti nelle materie di competenza.
Inoltre, in relazione alla regolazione delegata dell’A.N.A.C., il Consiglio di Stato, sia pure riferendosi alla categoria di quelli di regolazione vincolanti emanati nell’ambito dell’attuazione del codice dei contratti, ha escluso che essi possano avere valenza di atti normativi e li ha inquadrati fra gli atti di cosiddetta regolazione generale51. In conformità, invece, con la posizione della dottrina maggioritaria52, non sembra vi siano ragioni ostative per negare il carattere normativo degli atti di regolazione autorizzati, la cui valenza sarà determinata entro i limiti, esplicitamente o implicitamente, indicati nella norma autorizzatoria.
2.4 I COMPITI DI REGOLAZIONE E DI PARTECIPAZIONE AI PROCESSI NORMATIVI
Tra i compiti “normativi” in senso lato l’A.N.A.C. adotta linee guida, a volte vincolanti e altre volte non vincolanti, partecipa, in veste di proponente, all’adozione di linee guida ministeriali e formula al Governo proposte in ordine a modifiche occorrenti in relazione alla normativa vigente di settore.
Di particolare interesse, sul piano dogmatico della gerarchia delle fonti nel sistema costituzionale e sul piano pratico dell’impatto per stazioni appaltanti e operatori, è il potere di adottare linee guida53, della cui natura giuridica e giustiziabilità si è ampiamente disputato in dottrina.
2.4.1 LA NATURA GIURIDICA DELLE LINEE GUIDA DELL’A.N.A.C. TRA ATTI AMMINISTRATIVI E SOFT LAW
La dottrina e giurisprudenza maggioritarie considerano le linee guida non vincolanti come atti amministrativi sprovvisti di natura normativa. Esse, infatti, non contenendo prescrizioni precettive e vincolanti erga omnes, appaiono prive del requisito dell’innovatività, che è, invece, proprio degli atti normativi. Nonostante la prevalente riconduzione al genus degli atti amministrativi, tuttavia, si registrano opinioni piuttosto diverse in ordine alla più specifica qualificazione delle linee guida non vincolanti. Secondo un primo orientamento54,tali atti potrebbero rientrare nella controversa categoria della c.d. “soft law”, la quale comprenderebbe tutte le “norme di comportamento non vincolanti ma rilevanti sul piano giuridico”55. Tale ricostruzione, peraltro, troverebbe almeno in parte conferma nell’espressione “regolazione flessibile” impiegata dall’art. 213, d.lgs. 50 del 2016. Parte della dottrina, tuttavia, ritiene che il riferimento alla nozione di soft law sia inconferente, in quanto tale categoria comprende in sé atti tra loro eterogenei, senza definirne un regime unitario quanto a natura ed effetti giuridici. Alcuni studiosi, invece, tendono ad accostare le linee guida non vincolanti ad istituti ben noti nella tradizione del diritto amministrativo italiano, come le circolari o le direttive: l’elemento comune, evidentemente, andrebbe rinvenuto nella natura di “norme interne” all’Amministrazione, incapaci di produrre effetti vincolanti erga omnes.
In primo luogo, è evidente che, dal punto di vista pratico, le linee guida costituiscono un punto di riferimento essenziale nell’attività operativa delle stazioni appaltanti. Nella prassi, infatti, le amministrazioni tendono a rispettare le linee guida56,anche al fine di tutelarsi da eventuali responsabilità, talvolta sconfinando nella c.d. “amministrazione difensiva”57. Sarebbe, tuttavia, riduttivo ritenere che le linee guida non vincolanti producano effetti esclusivamente in via di fatto. Come si è già evidenziato con riferimento alla soft law, infatti, “non vincolatività” non equivale ad irrilevanza giuridica In particolare, la dottrina ritiene che le linee guida non vincolanti siano caratterizzate dalla c.d. “obbligatorietà condizionata”: le singole stazioni appaltanti possono discostarsi da quanto previsto dalle linee guida, ma solo fornendo adeguata motivazione58.Negli stessi termini si sono recentemente espressi anche la sezione atti normativi59 e l’ufficio studi60 del Consiglio di Stato. A fronte di quanto esposto, appare criticabile l’orientamento c.d. “minimalista” espresso da parte della giurisprudenza, secondo il quale le linee guida non vincolanti rappresenterebbero una mera raccolta di buone pratiche, non produttiva di alcun effetto giuridico di rilievo. Pertanto, viene frequentemente sostenuto che esse “non risultano idonee a rappresentare parametro di legittimità delle determinazioni adottate dalle singole stazioni appaltanti nella fissazione delle regole di gara”61. Tale affermazione non sembra pienamente condivisibile, per almeno due ragioni. In primo luogo, la violazione delle linee guida può costituire una figura sintomatica di eccesso di potere, analogamente a quanto si ritiene con riferimento alle circolari. In secondo luogo, le linee guida possono essere utilizzate dal giudice amministrativo come criterio di interpretazione della normativa primaria e, dunque, incidere sulla verifica di un’eventuale violazione di legge da parte del provvedimento a valle.
Di conseguenza, appare difficile disconoscere il ruolo delle linee guida non vincolanti nel sindacato di legittimità sui provvedimenti adottati dalle singole stazioni appaltanti: contrariamente a quanto sostenuto da quella parte di giurisprudenza che aderisce all’orientamento minimalista, esse sono certamente un “parametro di legittimità delle determinazioni adottate dalle singole stazioni appaltanti”. Naturalmente, con ciò non si vuole equiparare del tutto le linee guida non vincolanti a quelle vincolanti o agli atti di natura regolamentare, poiché in tal modo si priverebbe di qualunque significato la non vincolatività di tali linee guida e si entrerebbe in contraddizione con la nozione di “regolazione flessibile” prevista dall’art. 213, d.lgs. n. 50 del 201662.
Sul punto, il primo parere del Consiglio di Stato sullo schema di “codice dei contratti”, mentre ha ritenuto la natura regolamentare delle linee guida ministeriali, non ha acceduto alla tesi della natura regolamentare delle linee guida vincolanti dell’A.N.A.C., invece sostenuta dalla dottrina prevalente, optando per la natura di atti di regolazione propri delle Autorità indipendenti; in pratica atti amministrativi generali63.
Tale tesi è stata ribadita dal successivo parere del Consiglio di Stato sulle linee guida in tema di responsabile unico del procedimento, offerta economicamente più vantaggiosa e sui servizi attinenti all’architettura e all’ingegneria64, che, muovendo dalla natura delle linee guida A.N.A.C. vincolanti come atti di regolazione delle Autorità amministrative indipendenti, sia pure connotati in modo peculiare, ha osservato che detti atti di regolazione si caratterizzano per il fatto che il principio di legalità assuma una valenza diversa rispetto ai normali provvedimenti amministrativi. La legge, infatti, in ragione dell’elevato tecnicismo dell’ambito di intervento, si limita a definire lo scopo da perseguire lasciando un ampio potere, implicito, alle Autorità di sviluppare le modalità di esercizio del potere stesso.
Nella fattispecie in esame, la legge, invece, ha definito in modo più preciso le condizioni e i presupposti per l’esercizio del potere, lasciando all’Autorità un compito di sviluppo e integrazione del precetto primario nelle parti che afferiscono a un livello di puntualità e dettaglio non compatibile con la caratterizzazione propria degli atti legislativi.
La natura non regolamentare delle linee guida dell’A.N.A.C. consente, inoltre, che la fase di attuazione delle disposizioni del codice che rinviano a esse non incontri i limiti che l’art. 117, comma 6, Cost. pone all’esercizio del potere regolamentare statale.
La tesi prospettata dal parere del Consiglio di Stato non ha mancato di sollevare dubbi negli interpreti.
Si è da taluno sostenuto che si esula dall’ambito tipico della soft law e degli atti di regolazione e che le linee guida dell’A.N.A.C. hanno una natura regolamentare vera e propria65.
Va rilevato che tale tipologia di linee guida non sono una mera “spiegazione” della portata delle norme primarie e non si limitano a indicare buone prassi comportamentali66, ma costituiscono una vera e propria “integrazione” di norme primarie incomplete; questa argomentazione sembrerebbe far propendere per una natura regolamentare vera e propria.
L’orientamento più diffuso nella prima dottrina, che peraltro non ha avuto ancora conferma nella giurisprudenza, sembra che vada nel senso della natura regolamentare delle linee guida vincolanti e della natura di circolari delle linee guida non vincolanti.
In particolare, in relazione al comportamento da osservare da parte delle stazioni appaltanti destinatarie di linee guida non vincolanti, si può affermare che le stesse sortiscono un effetto analogo a quello delle circolari, ancorché non sussista il tipo di relazione gerarchica che è, di regola, il presupposto delle circolari.
Se le stazioni appaltanti intendono discostarsi da quanto disposto dall’Autorità, devono adottare un atto che contenga una adeguata e puntuale motivazione, anche a fini di trasparenza, che indichi le ragioni della diversa scelta amministrativa. Ferma la imprescindibile valutazione del caso concreto, l’amministrazione potrà non osservare le linee guida67 se, come in molti casi previsto da queste ultime, la peculiarità della fattispecie concreta giustifica una deviazione dall’indirizzo fornito dall’A.N.A.C. ovvero se, sempre la vicenda puntuale, evidenzi eventuali illegittimità delle linee guida nella fase attuativa.
Al di fuori di questa ipotesi, la violazione delle linee guida può essere
considerata come elemento sintomatico dell’eccesso di potere, sulla falsariga dell’elaborazione giurisprudenziale che si è avuta con riguardo alla violazione delle circolari.
2.4.2 IL PROCEDIMENTO DI FORMAZIONE DELLE LINEE GUIDA E LA LORO GIUSTIZIABILITÀ
Sia per le linee guida vincolanti che per quelle non vincolanti, è previsto un procedimento di formazione partecipato, attraverso la consultazione degli stakeholders e l’utilizzo di metodi di analisi e verifica di impatto; è prevista la pubblicazione non solo sul sito dell’A.N.A.C. ma anche nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana; a tal proposito, si tende al consolidamento delle linee guida in testi unici integrati, organici e omogenei per materia, in modo che siano rispettati la qualità della regolazione e il divieto di introduzione o di mantenimento di livelli di regolazione superiori a quelli minimi richiesti ex art. 213, comma 2.
Quanto alla loro giustiziabilità, le linee guida dell’A.N.A.C., sia vincolanti che non vincolanti, sono dichiarate impugnabili davanti al giudice amministrativo ex art. 213, comma 2.
Spetterà al giudice amministrativo, quindi, chiarire, se e quando le linee guida saranno impugnate, il tipo di giurisdizione, il rito applicabile, la legittimazione e l’interesse al ricorso e, dunque, il regime di impugnazione immediata o differita, la portata del sindacato esercitabile dal giudice amministrativo.
Quanto al tipo di giurisdizione, si ricade nell’ambito della giurisdizione
esclusiva del giudice amministrativo su talune Autorità indipendenti (tra cui l’A.N.A.C. subentrata all’A.V.C.P.), ex art. 133, comma 1, lett. l), c.p.a.
Va, qui, ricordato che l’A.N.A.C. assomma funzioni di due pregresse e diverse Autorità e, questa stratificazione, ha riflessi sul riparto di giurisdizione: mentre per quelli che sono i compiti di A.V.C.P., in cui l’A.N.A.C. è subentrata, la pressoché totalità degli atti ricade sotto la giurisdizione del giudice amministrativo, così non è per gli atti che essa adotta quale Autorità anticorruzione, per alcuni dei quali è espressamente prevista la giurisdizione del giudice ordinario.
Si noti che l’art. 133, comma 1, lett. l) c.p.a., nell’affermare la giurisdizione esclusiva sui provvedimenti delle Autorità indipendenti, non individua un genus, ma indica nominativamente singole Autorità; tra queste non è menzionata – formalmente – l’A.N.A.C. che si può far rientrare in via esegetica se e nei limiti in cui sia “erede” dell’A.V.C.P., invece espressamente nominata.
Quanto al rito applicabile, che non è esplicitato nell’art. 213 codice dei contratti pubblici, si tratterà del rito dell’art. 120 se le linee guida vengano impugnate in connessione con un atto di una procedura di affidamento68, ovvero del rito dell’art. 119, applicabile agli atti delle Autorità indipendenti, qualora vengano impugnate autonomamente.
Quanto al regime di impugnazione immediata e differita, stante la natura generale e astratta di entrambe le tipologie di linee guida, di regola l’interesse concreto e attuale a impugnarle sorgerà solo quando verrà adottato un provvedimento lesivo che si basa su di esse69.
L’interesse a impugnare, inoltre, può sussistere non solo in capo agli operatori economici, o loro associazioni rappresentative, ma anche in capo alle stazioni appaltanti che non le condividano.
Quanto alle linee guida non vincolanti, ritenendole assimilabili alle circolari, la loro contestazione può avvenire, di regola, unitamente all’atto applicativo. Si aggiunga che qualora ritenute immediatamente lesive, perché impongono in via immediata regole di condotta e oneri, possono essere immediatamente impugnate, come talora la giurisprudenza ha ritenuto per le circolari.
Inoltre, può in concreto verificarsi che l’Amministrazione si adegui alle linee guida e che il destinatario dell’atto applicativo contesti quest’ultimo unitamente alle linee guida ritenendoli entrambi illegittimi.
Può al contrario verificarsi che l’amministrazione si discosti dalle linee guida e, allora, si aprono due sotto-ipotesi: che si discosti senza motivazione ovvero motivando. In entrambi i casi potrà sorgere un contenzioso sulla legittimità di un atto attuativo che si discosti dalle linee guida o per difetto di motivazione ovvero perché la motivazione appare irragionevole o illogica.
La natura del sindacato del giudice amministrativo su tutti i tipi di linee guida dell’A.N.A.C. non differisce da quello che viene espletato sugli atti di natura regolamentare e sugli atti amministrativi generali.
Si tratta anzitutto di un sindacato che riguarda tutti i vizi di legittimità afferenti sia al procedimento di formazione che al rispetto dei limiti sostanziali imposti dalle norme primarie.
In secondo luogo, sebbene l’attività normativa sia, in astratto, “libera nei fini”, per i regolamenti tale “libertà” incontra il doppio vincolo del rispetto della Costituzione, delle fonti sovranazionali e della fonte primaria attributiva del potere.
Il margine di “scelta discrezionale” del regolamento, sebbene più ampio rispetto a quello di un provvedimento puntuale, non esime da un sindacato condotto attraverso lo strumentario proprio dell’eccesso di potere, che consente di verificare anche la congruità, logicità, proporzionalità, ragionevolezza delle scelte, con il solo limite della non sindacabilità di quelle che implicano margini di apprezzamento di merito e che non siano illegittime o illogiche, irragionevoli, diseconomiche70.
Gli atti generali e regolamentari che l’A.N.A.C. adotta quale Autorità di vigilanza sui contratti pubblici pongono, in prospettiva, un’ulteriore questione, in ordine all’ampiezza di eventuali “poteri impliciti”, non chiaramente desumibili dalla fonte primaria, specie laddove quest’ultima attribuisca genericamente la competenza ad adottare strumenti di regolazione flessibile.
Tale tema non è stato sinora affrontato dalla giurisprudenza con riferimento ai compiti di Autorità di vigilanza sui contratti pubblici mentre ci sono alcuni precedenti giurisprudenziali in ordine ai “poteri impliciti” esercitati dall’A.N.A.C. nei compiti di Autorità anticorruzione, la cui sussistenza è stata negata dal giudice amministrativo.
Invero, in relazione alle attribuzioni dell’ANAC quale Autorità anticorruzione il giudice amministrativo ha affermato la necessità di individuare i poteri dell’A.N.A.C. nel rispetto del principio di stretta legalità, negando la sussistenza di “poteri impliciti” non immediatamente derivanti dalla fonte primaria.
In particolare, in tema di inconferibilità di incarichi, si è affermato che l’art. 16 d.lgs. n. 39 del 2013, che attribuisce all’A.N.A.C. un potere di vigilanza e cautelare, non le attribuisce anche un potere sostitutivo né un potere di ordinare alle pubbliche amministrazioni di adottare determinati provvedimenti71.
È stato inoltre stigmatizzato che l’insussistente potere di “ordine” sia stato in concreto esercitato senza motivazione e si è osservato che l’insussistenza di un siffatto potere in capo all’A.N.A.C. non determini un vuoto di tutela nell’ordinamento, attesa la ordinaria impugnabilità dei provvedimenti amministrativi illegittimi72.
Il tema dei “poteri impliciti” dell’A.N.A.C. quale Autorità di vigilanza sui contratti pubblici è “aperto”, non è stato ancora approfondito: del resto, sono così tanti i “poteri espliciti” che sarà rara la necessità di ricorre a poteri impliciti.
Oltre alla menzionata giurisprudenza del T.A.R. Lazio, che nega i poteri impliciti di A.N.A.C. quale Autorità anticorruzione, va ricordato un passaggio del parere del Consiglio di Stato, già citato, sulle linee su R.U.P., S.I.A. e offerte economicamente più vantaggiose, che sembra, sia pure an passant, negare i poteri impliciti:
“Gli atti di regolazione delle Autorità indipendenti si caratterizzano per il fatto che il principio di legalità assume una valenza diversa rispetto ai normali provvedimenti amministrativi. La legge, infatti, in ragione dell’elevato tecnicismo dell’ambito di intervento, si limita a definire lo scopo da perseguire lasciando un ampio potere (implicito) alle Autorità di sviluppare le modalità di esercizio del potere stesso. Nella fattispecie in esame, la legge, invece, ha definito in modo più preciso le condizioni e i presupposti per l’esercizio del potere, lasciando all’Autorità un compito di sviluppo e integrazione del precetto primario nelle parti che afferiscono a un livello di puntualità e dettaglio non compatibile con la caratterizzazione propria degli atti legislativi.”
2.4.3 LA NATURA ATIPICA DEI COMUNICATI DEL PRESIDENTE DELL’A.N.A.C. E IL TABU’ DEL POTERE REGOLAMENTARE
Dopo l’entrata in vigore del codice, oltre alle linee guida dell’A.N.A.C., sono stati talora adottati comunicati del suo Presidente, a fini interpretativi, come quello del 5 ottobre 2016 che affronta alcune questioni in tema di offerte anomale.
Non sono una tipologia di atto previsto dal codice e esso non può svolgere alcuna efficacia vincolante ma solo di orientamento per le stazioni appaltanti, che possono scostarsi da tali comunicati senza necessità di una specifica motivazione. In tal senso, la prima giurisprudenza, proprio con riferimento al comunicato 5 ottobre 2016, ha affermato che hanno “natura di meri pareri” i “comunicati del Presidente dell’ANAC, privi di qualsivoglia efficacia vincolante per le stazioni appaltanti, trattandosi di meri opinamenti inerenti all’interpretazione della normativa in tema di appalti pubblici. Infatti, per quanto a norma dell’art. 213 d.lgs. n. 50/2016 il novero dei poteri e compiti di vigilanza affidati all’ANAC sia invero penetrante ed esteso, a presidio della più ampia legalità nell’attività contrattuale delle stazioni appaltanti e della prevenzione della corruzione, non può
ammettersi nel vigente quadro costituzionale, in tal delicato settore, un generale vincolante potere interpretativo con effetto erga omnes affidato ad organo monocratico di Autorità Amministrativa Indipendente, i cui comunicati ermeneutici – per quanto autorevoli – possono senz’altro essere disattesi. Diversamente dalle linee guida, per la cui formazione è previsto un percorso procedimentalizzato e partecipato (art. 213 c. 2 codice) – nel solco d’altronde degli stessi principi affermati dalla giurisprudenza in tema di esercizio di poteri di tipo normativo o regolatorio da parte di Autorità indipendenti (…) – i comunicati del Presidente dell’ANAC sono dunque pareri atipici e privi di efficacia vincolante per la stazione appaltante e gli operatori economici” Sicché dal “comunicato ANAC del 5 ottobre 2016” la stazione appaltante può ”discostarsi senza dover fornire alcuna motivazione”73.
Vi è poi una novità apparentemente solo lessicale, ma di grande impatto sistematico: gli artt. 52-ter e 52-quater decreto legge n. 50 del 2017, aggiunti dalla legge di conversione, a proposito di alcuni “atti” dell’A.N.A.C., adottano la parola “regolamento”. Una parola diventata tabù nel codice del 2016, mai da esso utilizzata per indicare atti attuativi del codice e che ora compare nell’art. 211 come novellato.
Sembra registrarsi, in un sistema a Costituzione rigida, con rigida gerarchia delle fonti, il fallimento della soft law, o più semplicemente il ritorno al sano buon senso di chiamare le cose con un nome che corrisponda alla loro sostanza.
Si assiste poi ad una significativa “marcia indietro” sui poteri regolamentari dell’A.N.A.C. in ambiti che attengono a una platea indifferenziata dei destinatari. In particolare, quanto alla qualificazione degli operatori economici.
Sul punto, sia il parere del Consiglio di Stato sullo schema di codice che quello sullo schema di correttivo avevano osservato, in relazione alle linee guida sulla qualificazione degli operatori economici (artt. 83 e 84), che si tratta di una materia intrinsecamente normativa, da affidare alle linee guida ministeriali74.
Il codice aveva previsto un tipo sui generis di linee guida, un quartum genus rispetto ai tre ipotizzati dalla delega, ipotizzando linee dell’A.N.A.C. sulla qualificazione, previo parere delle competenti commissioni parlamentari.
Ne era dubbia la costituzionalità: sia per eccesso di delega sia perché si creava un “atto anomalo” in cui un organo costituzionale quale il Parlamento rende parere ad un organo tecnico che, per quanto indipendente, non ha rango costituzionale. Questo, con le ulteriori implicazioni nel caso in cui l’A.N.A.C. si discostasse dal parere, obbligatorio ma mai vincolante, delle Commissioni parlamentari, senza alcuna responsabilità politica per mancata osservanza del parere del Parlamento, come accade invece quando vi è il parere del Parlamento nei confronti del Governo75.
Di regola è l’organo tecnico che dà parere all’organo politico dovendo illuminare con il sapere scientifico la scelta del decisore politico; non può viceversa prevedersi che l’organo politico dia parere all’organo tecnico, sia perché l’organo tecnico deve restare indipendente dalle posizioni politiche sia perché l’organo tecnico, ove si scosti dal parere “politico”, non incorre in responsabilità politica.
L’aver previsto il parere delle Camere nel procedimento di formazione delle linee guida A.N.A.C. sulla qualificazione degli operatori economici metteva una seria ipoteca di illegittimità costituzionale per eccesso di delega, su un pezzo importante della riforma.
Il decreto correttivo ha opportunamente affidato la qualificazione ad un regolamento ministeriale, in particolare un decreto del M.I.T., su proposta dell’A.N.A.C., previo parere delle competenti commissioni parlamentari.
2.5 L’UNICUM DEL POTERE MONOCRATICO DEL PRESIDENTE DELL’A.N.A.C.
In tema di imprese, un particolare potere ascritto al Presidente dell’A.N.A.C. trova la sua fonte nell’art. 32 del decreto legge, convertito con modificazioni, dalla L. 11 agosto 2014, n. 114 che ha introdotto uno strumento di particolare incisività, definito dalla rubrica come “misure straordinarie di gestione, sostegno e monitoraggio di imprese nell’ambito della prevenzione della corruzione“76,
L’obiettivo perseguito dal legislatore è chiaramente individuabile nell’esigenza di evitare che illeciti di matrice corruttiva possano riverberarsi sui tempi di esecuzione delle commesse e pregiudicare l’interesse pubblico alla realizzazione delle opere o alla prestazione di servizi. La decretazione del 2014, con l’istituto prima menzionato, si preoccupava soprattutto di “mettere in sicurezza” gli appalti del grande evento “Expo 2015” ma le misure introdotte hanno, però, una portata generale e hanno registrato, nella prassi, una non trascurabile efficacia applicativa che è andata molto al di là dei contratti connessi all’evento del 201577.
Il menzionato decreto legge n. 90 del 2014 ha poi attribuito al Presidente dell’Autorità poteri monocratici, con ciò creando un unicum nel panorama delle autorità di regolazione e vigilanza.
2.6 IL POTERE D’ORDINE COME ATTIVITA’ DI VIGILANZA PER GLI INADEMPIMENTI
Fra i provvedimenti conclusivi dell’attività di vigilanza si riscontra quello con cui si “ordina” all’amministrazione l’adozione di determinati atti o di comportamenti78.
Esso, a differenza degli altri, sopra indicati, è esplicitamente regolato dal comma 3 dell’art. 1 della più volte menzionata legge n. 190, norma oggetto di una lieve ma significativa modifica da parte del d.lgs. n. 97 del 2016.
Al riguardo, l’A.N.A.C. nel novembre 2014 ha emanato un lungo e dettagliato atto regolatorio79 chiarendo in primo luogo che il potere d’ordine rientra fra le attività di vigilanza e non ha, quindi, né contenuto sanzionatorio, essendo volto solo ad assicurare il rispetto della legge, né sostitutivo delle prerogative dell’amministrazione80. L’Autorità ha inoltre individuato, quale presupposto per il suo esercizio, l’inadempimento da parte delle amministrazioni di obblighi derivanti dalla legge, dal P.N.A. o dai P.T.P.C., purché di particolare gravità, tale da integrare cioè una “grave distanza fra la situazione accertata presso una determinata amministrazione pubblica e l’interesse pubblico alla prevenzione della corruzione e della garanzia del principio di trasparenza“.
Quanto al procedimento vero e proprio, ha ritenuto indispensabile una preliminare contestazione dell’inadempimento all’amministrazione, a cui far seguire l’ordine solo in caso di persistente inottemperanza. Il contenuto dell’ordine va naturalmente modulato sulla tipologia dell’inadempimento e a seconda dei casi può richiedere di adottare un atto, tenere un certo comportamento o rimuovere un provvedimento illegittimo, agendo in autotutela.
2.7 L’ATTIVITA’ CONSULTIVA DELL’A.N.A.C. E LA DISCREZIONALITA’ DELLE PUBBLICHE AMMINISTRAZIONI
Accanto alla funzione consultiva attribuita all’Autorità per legge81 ed in aggiunta a questi casi, l’A.N.A.C. rilascia altre tipologie di pareri in tutte le materie di sua competenza, considerando tale compito una funzione strettamente connessa con le funzioni di regolazione e vigilanza, in quanto volta a fornire indicazioni ex ante e ad orientare l’attività delle Amministrazioni, nel pieno rispetto della discrezionalità che le caratterizza82.
Essendo quest’ultimo l’obiettivo perseguito e non una generica funzione di consulenza, i pareri sono forniti solo se hanno ad oggetto questioni di particolare rilevanza sotto il profilo della novità, dell’impatto socio economico o della significatività dei profili problematici posti in relazione alla corretta alla corretta applicazione delle norme”83.
Tranne che nei casi in cui sia la legge a riconoscere uno specifico valore a questi atti, i pareri rilasciati non sono vincolanti per i richiedenti.
Per i soggetti diversi dai richiedenti, queste deliberazioni potranno esse e utili, invece, come meri “precedenti”, a cui poter attingere per individuare l’interpretazione più corretta delle norme. Proprio in questa funzione, l’Autorità pubblica i pareri sul proprio sito e da essi trae una sorta di massima contenente i principi sinteticamente affermati, così da consentirne un’ampia fruizione84. In casi in cui poi vengono avanzate domande semplici su problematiche di tipo tecnico, l’Autorità risponde con una cosiddetta FAQ (acronimo dalla espressione inglese “frequently asked questions“) anch’esso pubblicato sul sito, con cui si limita, in modo stringato, a indicare la soluzione da adottare.
Nelle situazioni, invece, in cui ritiene che una certa questione meriti di essere segnalata all’attenzione delle amministrazioni pubbliche o di altri soggetti anche privati, l’A.N.A.C. adotta un “comunicato del presidente”, un atto, cioè, attraverso cui indica, sinteticamente, quale è la sua posizione rispetto ad una specifica problematica interpretativa.
Anche i comunicati, come tutti gli altri atti da ultimo indicati, non hanno alcuna valenza regolatoria e potranno al più essere utili come supporto interpretativo nel quotidiano esercizio dell’attività delle amministrazioni85.
La seconda tipologia di atti è, inoltre, quella dei regolamenti adottati dall’A.N.A.C.
2.8 LA MISURA DEL COMMISSARIAMENTO DELLE IMPRESE E LA CERTEZZA DEL DIRITTO
Ha destato, fin dall’inizio, significativi dubbi interpretativi la misura del commissariamento dell’impresa per fatti di corruzione, disposta dall’art. 32 del decreto legge n. 90 del 201486 e, in particolare, la nozione di “fatti gravi ed accertati”, che costituisce il presupposto per disporre il commissariamento sia nel caso in cui l’autorità giudiziaria proceda per uno dei reati elencati dal comma 1 dell’art. 32 sia quando ricorrano situazioni sintomatiche di condotte illecite o eventi criminali87.
Per la verità, la nozione appare piuttosto generica ed indeterminata e, pertanto, insufficiente, nell’ottica della certezza del diritto, a qualificare le situazioni nelle quali possano ricorrere i presupposti per il commissariamento. Inoltre, la valutazione dei fatti gravi ed accertati che costituiscono il presupposto per l’avvio dell’iniziativa di commissariamento è rimessa al Presidente dell’A.N.A.C., ovvero ad un organo che non ha le competenze dell’autorità giudiziaria e nemmeno i corrispondenti poteri istruttori: il timore legato a tale previsione normativa è, quindi, che la misura possa essere disposta anche in presenza di situazioni che non hanno un’effettiva consistenza penale o che la gestione straordinaria dell’impresa possa essere applicata anche ad attività diverse da quelle necessarie a dare esecuzione all’appalto88. Anche lo stesso Presidente dell’A.N.A.C. è intervenuto sulla questione e, con le Linee guida per l’avvio di un circuito collaborativo tra A.N.A.C.-Prefetture-UTG ed enti locali per la prevenzione dei fenomeni di corruzione e l’attuazione della trasparenza amministrativa, pubblicate congiuntamente al Protocollo di intesa tra l’A.N.A.C. e il Ministero dell’interno sottoscritto il 15 luglio 2014, ha tentato di fornire una chiave di lettura oggettiva della norma sul commissariamento. Secondo quanto previsto dalle citate “Linee Guida” i fatti gravi ed accertati ai quali la norma fa riferimento sono da intendersi come le situazioni sintomatiche di condotte illecite o eventi criminali. In particolare, i fatti “accertati” sarebbero quelli corroborati da riscontri oggettivi, mentre sarebbero “gravi” i fatti che abbiano raggiunto un livello di concretezza tale da rendere altamente probabile un giudizio di condanna nei confronti dei responsabili dei fatti corruttivi.
Al momento in cui si scrive, la norma è ancora in corso di sperimentazione e ha trovato una prima applicazione solo in riferimento ad un appalto ottenuto per le cd. “infrastrutture di servizio” nell’ambito delle opere per l’EXPO 2015 di Milano89. Si tratta, invero, di una prima applicazione che rappresentava il caso emblematico che aveva portato all’attribuzione all’A.N.A.C. di poteri speciali in materia di anticorruzione, legata alla scoperta di fenomeni corruttivi negli appalti per l’EXPO. Nel caso di specie, il Presidente dell’A.N.A.C. osservava come fosse assolutamente certo che l’appalto fosse stato aggiudicato grazie ad un’attività illecita, essendo stato sottoposto a misura cautelare della custodia in carcere l’amministratore della società. Anche quanto alla valutazione di gravità, nella richiesta di commissariamento rivolta al Prefetto di Milano, il Presidente dell’A.N.A.C. traeva direttamente dai fatti accertati in sede penale il presupposto della gravità e dunque motivava approfonditamente sulla necessità della misura. Proprio in riferimento alla medesima vicenda, una recente sentenza del T.A.R. Milano ha posto in dubbio l’utilità dello strumento del commissariamento, osservando come i medesimi effetti legati alla misura del commissariamento avrebbero potuto essere raggiunti anche mediante gli strumenti già previsti dall’ordinamento, quali l’annullamento dell’aggiudicazione e il subentro nell’esecuzione del contratto. In presenza di fatti gravi ed accertati penalmente, infatti, vengono in rilievo motivi sufficienti per disporre l’annullamento dell’aggiudicazione, inteso quale «rimedio finalizzato a costituire una frontiera più avanzata di tutela dell’Amministrazione contro i possibili abusi dei partecipanti alle procedure di evidenza pubblica»90. La citata pronuncia del T.A.R. Milano ha posto in evidenza come la misura introdotta dall’art. 32 del decreto legge n. 90 del 2014 «nulla aggiungerebbe, in termini di speditezza ed efficienza all’ipotesi di stipulazione del contratto con il RTI ricorrente» e che inoltre «non potrebbe garantire la definizione degli insorti conflitti, dal momento che l’eventuale provvedimento emesso dal Prefetto in accoglimento della proposta del Presidente dell’A.N.A.C. potrebbe essere oggetto di impugnazione ed incidere ancor di più sui tempi di consegna delle opere». È evidente come, ad avviso del giudice amministrativo, l’introduzione della misura straordinaria da parte del decreto legge n. 90 del 2014 non sia in alcun modo risolutiva dei problemi legati all’esecuzione del contratto in presenza di rilevanti interessi pubblici alla prosecuzione dell’opera, per i quali esistono gli strumenti già previsti dal Codice degli appalti e dal Codice del processo. La diffidenza manifestata dal giudice amministrativo è, invero, più in generale, la stessa che si coglie anche in dottrina rispetto all’utilizzo di poteri emergenziali, che comportano deroghe al principio di legalità o alle ordinarie procedure amministrative91. In questo quadro assumeranno un fondamentale rilievo le scelte che farà l’A.N.A.C. nell’applicazione della norma: a tal proposito la scelta di prevedere, nell’unico caso in cui ne è stata fatta applicazione, la comunicazione di avvio del procedimento esprime un’attenzione verso il rispetto delle garanzie procedimentali, che consente anche all’A.N.A.C. di recuperare quella legittimazione dal basso che le Autorità indipendenti tentano faticosamente di costruirsi92.
2.9 I POTERI DI ORGANIZZAZIONE, DI VIGILANZA E SANZIONATORI DELL’A.N.A.C.: IL PROBLEMA DEL FONDAMENTO NORMATIVO
Il codice nella sua versione originaria non si è preoccupato di prevedere un fondamento normativo chiaro del potere di auto-organizzazione, vigilanza e sanzionatorio dell’A.N.A.C.
Nella previgente disciplina recata dal codice del 2006 era espressamente previsto il potere regolamentare dell’A.N.A.C. in materia di vigilanza e ne erano fissati i principi direttivi, stabilendosi che il regolamento dell’Autorità, nella disciplina dell’esercizio della funzione di vigilanza, prevedesse:
a) il termine congruo entro cui i destinatari di una richiesta dell’Autorità dovessero inviare i dati richiesti;
b) la possibilità che l’Autorità invii propri funzionari nella sede di amministrazioni, soggetti aggiudicatori e operatori economici, al fine di acquisire dati, notizie, documenti, chiarimenti;
c) la possibilità che l’Autorità convocasse, con preavviso e indicazione specifica dell’oggetto, i rappresentanti di amministrazioni e soggetti aggiudicatori, operatori economici, S.O.A., o altri soggetti che ritenga necessario o opportuno sentire;
d) le modalità di svolgimento dell’istruttoria nel rispetto dei principi di cui alla legge n. 241 del 1990;
e) le forme di comunicazione degli atti, idonee a garantire la data certa della piena conoscenza.
Il silenzio del nuovo codice non fa venir meno la sussistenza di tale potere regolamentare, nell’ambito dell’autonomia organizzativa dell’A.N.A.C., pur con tutte le riserve che si esporranno circa la vaghezza dei criteri normativi di esercizio della potestà regolamentare; il procedimento va disciplinato nel rispetto dei principi procedimentali desumibili dalla legge n. 241 del 1990 e di quelli sanzionatori desumibili dalla legge n. 689 del 198193.
Tanto, in virtù della generale previsione dell’art. 30, comma 8, codice, secondo cui «per quanto non espressamente previsto nel presente codice e negli atti attuativi, alle procedure di affidamento e alle altre attività amministrative in materia di contratti pubblici si applicano le disposizioni di cui alla legge 7.8.1990, n. 241», dovendosi ricomprendere tra le altre attività amministrative, menzionate dalla disposizione, anche i procedimenti di vigilanza sui contratti pubblici.
È chiaro, però, che tale previsione, di indubbia valenza sistematica, da sé sola non è sufficiente a risolvere tutte le complesse questioni poste dal procedimento di vigilanza e dai suoi effetti nei confronti dei terzi.
Benché ascrivibile alla categoria dei regolamenti di organizzazione, il regolamento menzionato condiziona e conforma, per la peculiarità del suo oggetto, le situazioni giuridiche soggettive incise dall’esercizio della vigilanza, riverberando innegabili effetti nei confronti dei terzi94, ben al di là della mera efficacia interna all’apparato organizzativo dell’A.N.A.C. La decisione organizzativa si rivela necessariamente come «decisione di indirizzo dell’attività» e, appunto perché modellata sugli interessi che deve curare, l’organizzazione reagisce su tali interessi e ne influenza la realizzazione, assumendo «una funzione attiva e direttiva nell’intero processo di soddisfazione di essi».
Il correttivo in parte rimedia a tali lacune, in quanto dispone che il potere sanzionatorio dell’A.N.A.C. si esercita nel rispetto dei principi della legge n. 689 del 1981, ex art. 213, comma 13.
Per la previgente Autorità di vigilanza sui contratti pubblici l’autonomia organizzativa e finanziaria era declinata dettagliatamente dall’art. 8, d.lgs. n. 163 del 2006. Tali previsioni non erano state riprodotte nella versione originaria del codice.
Esso si limitava a fare salvo l’art. 1, comma 67, legge n. 266 del 2005, che a sua volta, sia pure incidentalmente, riconosce espressamente l’autonomia organizzativa e finanziaria dell’Autorità. Tale norma, dettata ad altri fini, costituiva comunque il fondamento della potestà regolamentare in materia di organizzazione e in materia di bilancio. Un fondamento “debole” in quanto, in essa, l’autonomia organizzativa dell’A.N.A.C. era solo proclamata, ma non declinata.
L’art. 52-quater, decreto legge n. 50 del 2017, inserito dalla legge di conversione n. 96 del 2017 con previsione rimasta extravagante, dispone, poi, che l’A.N.A.C. definisce, con propri regolamenti, la propria organizzazione, il proprio funzionamento e l’ordinamento giuridico del proprio personale.
Per il personale dell’A.N.A.C. l’art. 52-quater citato dispone che esso sarà regolato secondo i princìpi contenuti nella legge n. 481 del 1995. Con tale previsione il rapporto di impiego del personale dell’A.N.A.C. sembra passare dal regime privatizzato al regime di diritto pubblico, con conseguente spostamento della giurisdizione dal giudice ordinario al giudice amministrativo.
2.10 LA NUOVA DISCIPLINA DELLA VIGILANZA COLLABORATIVA. DALLE RACCOMANDANZIONI VINCOLANTI AL PARERE MOTIVATO
In sede di conversione del decreto legge n. 50 del 2017 è stato inserito un emendamento che interviene, in via di novella, sull’art. 211 del “codice dei contratti pubblici”, tuttavia senza ripristinare il potere dell’A.N.A.C. di rendere raccomandazioni vincolanti95.
Invece, sulla scia del parere del Consiglio di Stato sullo schema di codice, si attribuisce all’A.N.A.C. un potere analogo a quello che l’art. 21-bis, della legge n. 287 del 1990 che conferisce all’A.G.C.M., di impugnare, previo parere motivato che invita l’Amministrazione a emendare i vizi di legittimità, i provvedimenti amministrativi illegittimi.
Si tratta di un modello di vigilanza collaborativa già sperimentato con successo, che supera i dubbi di legittimità delle previgenti raccomandazioni vincolanti. Lo strumento può ascriversi sia alla vigilanza, sia ai mezzi deflattivi del contenzioso.
Il “parere motivato”96, da un lato, serve a sollecitare la pubblica Amministrazione a rivedere quanto statuito al fine di stimolare la conformazione di questa agli indirizzi dell’Autorità, se del caso, con uno speciale esercizio della funzione d’autotutela giustificato dalla particolare rilevanza dell’interesse pubblico così coinvolto. Dall’altro, mira a tutelare quest’ultimo anzitutto all’interno della stessa pubblica Amministrazione, sì da concepire il ricorso al giudice amministrativo quale extrema ratio nella risoluzione del conflitto tra due soggetti pubblici.
Giova ricordare che il modello dell’art. 21-bis, legge n. 287 del 1990, a cui si ispira il nuovo potere dell’A.N.A.C., ha già superato indenne il vaglio di costituzionalità.
La Corte costituzionale ha ritenuto inammissibile la censura secondo cui la disposizione denunziata finirebbe «col sottoporre gli atti regolamentari ed amministrativi regionali ad un nuovo e generalizzato controllo di legittimità, su iniziativa di un’autorità statale», così travalicando i limiti desumibili dalla sentenza della Corte n. 64/2005 e violando gli artt. 117, c. 6, e 118, commi 1 e 2, Cost.; secondo la Corte è inesatto parlare di «nuovo e generalizzato controllo di legittimità», laddove la norma, integrando i poteri conoscitivi e consultivi già attribuiti all’Autorità garante dagli artt. 21 ss., legge n. 287 del 1990, prevede un potere di iniziativa finalizzato a contribuire ad una più completa tutela della concorrenza e del corretto funzionamento del mercato (art. 21, comma 1) e, comunque, certamente non generalizzato, perché operante scopo dell’istituto è assicurare la legittimità dell’azione amministrativa, anche a prescindere da una iniziativa impugnatoria di soggetti privati, o di un’autotutela “spontanea” della stazione appaltante.
Sicché, l’interesse pubblico e generale alla legittimità dell’azione amministrativa trova tutela immediata e diretta e non per il “tramite”
dell’interesse legittimo quale interesse individuale.
L’A.N.A.C. diventa, come già l’A.G.C.M., titolare di una legittimazione “straordinaria” basata non già sulla titolarità di un interesse legittimo, e di un interesse concreto e attuale alla rimozione dell’atto, ma direttamente sull’interesse pubblico e generale alla legalità dell’azione pubblica. Un modello simile a quello del pubblico ministero nel processo penale o del procuratore presso la Corte dei conti.
Un modello che introduce dunque, una legittimazione ad agire pubblicistica davanti al giudice amministrativo e che, tuttavia, non si spinge a connotare il processo amministrativo come un processo officioso; esso continua ad avere, anche nel caso di legittimazione straordinaria97, i connotati del processo di parti.
CAPITOLO 3 – IL DOPPIO LIVELLO DI PIANIFICAZIONE
SOMMARIO. 3.1 IL P.N.A. E I P.T.P.C.: UN DOPPIO LIVELLO TRA ESIGENZE DI UNIFORMITA’ E DI AUTONOMINA ORGANIZZATIVA; 3.2 IL NUOVO P.N.A. DELL’ANNO 2019. IL CONSOLIDAMENTO DEGLI INTERVENTI DELL’A.N.A.C. ; 3.3 UN PRIMO INQUADRAMENTO DEL RUOLO DEL R.P.C.T.: UN GARANTE INTERNO DELLA LEGALITA’ CHE NON SVOLGE CONTROLLI DI LEGITTIMITA’.
3.1. IL P.N.A. E I P.T.P.C.: UN DOPPIO LIVELLO TRA ESIGENZE DI UNIFORMITA’ E DI AUTONOMINA ORGANIZZATIVA
Il modello italiano solo in parte si lega alle esperienze internazionali sul tema perché mutua quella già maturata in ambito nazionale con riferimento sia al programma triennale per la trasparenza e l’integrità introdotto dal d.lgs. 27 ottobre 2009, n. 250 sia, soprattutto, alla responsabilità amministrativa delle imprese, così come definita dal d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231, emanato a seguito dell’approvazione della legge di ratifica della Convenzione O.C.S.E. contro la corruzione internazionale98.
L’idea del legislatore è di trasferire alle pubbliche Amministrazioni un impianto assimilabile, sia pure con differenze di non poco rilievo, a quello previsto per la responsabilità sociale d’impresa.
Il piano viene esplicitamente qualificato come “atto di indirizzo per le pubbliche Amministrazioni…ai fini dell’adozione dei propri piani triennali di prevenzione della corruzione”, rientrando, quindi, a pieno titolo fra gli atti di natura regolatoria”99, attraverso cui fornire indicazioni alle Amministrazioni tenute alla redazione del piano triennale.
Le indicazioni, proprio perché “atti di indirizzo”, avranno natura analoga alle “direttive” e pertanto, in quanto tali, saranno parzialmente vincolanti per le amministrazioni, le quali per discostarsi dovranno motivare in maniera puntuale le ragioni100.
Ciò detto, lo strumento principale in materia è il Piano Nazionale Anticorruzione, adottato dall’A.N.A.C. in conformità a quanto previsto dalla “legge Severino” del 2012, con un procedimento aperto alla partecipazione, attraverso cui l’Autorità fornisce a tutte le pubbliche Amministrazioni indicazioni di carattere generale.
Il P.N.A. è, infatti, un atto di indirizzo per le pubbliche Amministrazioni e per gli altri soggetti tenuti all’applicazione della normativa, ha durata triennale e ogni anno viene aggiornato, fornendo un approfondimento relativo ad alcuni tipi di attività e di Amministrazioni specifiche, allo scopo, in primo luogo, di esaminare i principali rischi di corruzione e i relativi rimedi e poi di fornire supporto nella predisposizione dei P.T.P.C. alle Amministrazioni coinvolte.
Gli obiettivi del P.N.A. sono, quindi, ridurre le opportunità che si manifestino fenomeni corruttivi, aumentare la capacità di scoprire i casi di corruzione e, più in generale, creare un contesto sfavorevole alla corruzione, attraverso tre linee direttrici.
In primo luogo viene identificato il rischio che si verifichi un evento corruttivo. In secondo luogo il livello di rischio viene analizzato e valutato. Inoltre, il P.N.A. procede a elaborare strategie di contenimento del rischio con misure (presuntivamente) adeguate.
Dettando alcune regole generali valide per ogni Amministrazione, il P.N.A. garantisce un livello di uniformità e omogeneità. Tuttavia, ogni amministrazione, per competenza, funzioni, dimensioni, collocazione geografica e altri fattori, presenta delle specificità particolari che non possono essere contemplate a livello generale.
Per questo motivo, e per assicurare una maggiore aderenza alle singole realtà, ogni Amministrazione sviluppa il proprio Piano di prevenzione101, anche questo di durata triennale e, come il P.N.A., aggiornato ogni anno.
Il rapporto tra P.N.A. e P.T.P.C. è, quindi, un rapporto tra esigenza di uniformità generale da una parte ed esigenza di maggiore autonomia organizzativa dall’altra, per cui ogni singola Amministrazione traduce le direttive del P.N.A. sviluppando la propria azione di gestione del rischio corruzione e adattando le indicazioni nazionali in previsioni dettagliate e vincolanti102.
Il P.N.A., infatti, deve guidare le amministrazioni nel percorso che conduce all’adozione di concrete ed effettive misure di prevenzione della corruzione, senza imporre soluzioni uniformi, che finirebbero per calarsi in modo innaturale nelle diverse realtà organizzative compromettendone l’efficacia preventiva dei fenomeni di corruzione.
Il P.T.P.C., quindi, rappresenta lo strumento attraverso il quale l’amministrazione sistematizza e descrive un “processo” finalizzato a formulare una strategia di prevenzione del fenomeno corruttivo: è un concreto programma di attività che indica le aree di rischio, che variano a seconda del contesto interno ed esterno e dalla tipologia di attività istituzionale svolta dalla specifica amministrazione103 e dei rischi specifici, le misure da implementare per la prevenzione in relazione al livello di pericolosità dei rischi specifici e i responsabili per l’applicazione di ciascuna misura e dei tempi.
Il P.T.P.C. deve essere obbligatoriamente redatto: come previsto dall’art. 1, comma 8, della legge n. 190/2012, l’organo di indirizzo definisce gli obiettivi strategici in materia di prevenzione della corruzione e trasparenza, e adotta il Piano triennale per la prevenzione della corruzione su proposta del Responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza entro il 31 gennaio di ogni anno e ne cura la trasmissione all’Autorità nazionale anticorruzione.
Anche se la prospettiva del Piano è, come dice il nome stesso, triennale, in realtà tanto il menzionato comma 8 della “legge Severino”, tanto il Comunicato del Presidente A.N.A.C. del 16 marzo 2018, precisano che le Amministrazioni sono tenute ad adottare, ciascun anno, alla scadenza prevista dalla legge, un nuovo completo P.T.P.C., che include anche una apposita sezione dedicata alla trasparenza, valido per il successivo triennio.
L’obbligatorietà del piano è stata poi ulteriormente rafforzata con l’introduzione, da parte dell’art. 19 del decreto legge 24 maggio 2014, n. 90, di una sanzione amministrativa non inferiore a mille euro e non superiore a diecimila euro nei confronti dei soggetti obbligati che non lo abbiano adottato.
Per quanto riguarda i soggetti coinvolti nella prevenzione della corruzione, oltre al R.P.C.T., vanno annoverati l’autorità di indirizzo politico, che designa il responsabile e adotta il P.T.P.C., i referenti per la corruzione, che svolgono attività informativa e di monitoraggio, tutti i dirigenti104 e soprattutto tutti i dipendenti che sono tenuti a partecipare al processo di gestione del rischio e a segnalare le situazioni di illecito al proprio dirigente o all’Ufficio procedimenti disciplinari.
3.2 IL NUOVO P.N.A. DELL’ANNO 2019. IL CONSOLIDAMENTO DEGLI INTERVENTI DELL’A.N.A.C.
Nel mese di Novembre 2019, a conclusione del periodo di consultazione on line durato dal 24 luglio al 15 settembre 2019, è stato pubblicato il nuovo P.N.A. per il triennio 2019-2021.
Il nuovo P.N.A. rappresenta un’interessante e importante novità, dal momento che si tratta di un tentativo di rivedere e consolidare, in un unico atto di indirizzo, tutti gli interventi dell’A.N.A.C. che si sono succeduti fino ad ora, in modo da agevolare il lavoro delle singole Amministrazioni, chiamate a recepire nei loro P.T.P.C. le indicazioni generali contenute nel P.N.A.
Come sappiamo, infatti, fin dall’inizio si è optato per un modello decentrato, che vede il P.N.A. a livello centrale come strumento destinato ad assicurare l’uniformità e l’omogeneità delle soluzioni, e i diversi P.T.P.C., a livello locale, per assicurare l’autonomia organizzativa e per meglio rispondere alle specifiche e peculiari necessità di ogni singola Amministrazione105.
Il nuovo “P.N.A. 2019”, quindi, in certa misura interrompe la serie di interventi che si sono succeduti dal 2013 al 2018, cioè due P.N.A. (2013 e 2016) e tre Aggiornamenti.
Volendo assecondare uno sforzo di riepilogo il “P.N.A. 2013” era stato adottato dal Dipartimento della Funzione Pubblica della Presidenza del Consiglio dei Ministri nel 2013 con l’approvazione della C.I.V.I.T.; si trattava del primo documento programmatico in cui veniva presentato il nuovo modello di prevenzione e contrasto alla corruzione e venivano indicati i contenuti minimi dei P.T.P.C.
Nel 2015, in seguito alle modifiche organizzative che hanno visto venire alla luce l’A.N.A.C., con decreto legge 2014 n. 90, è stato pubblicato un aggiornamento in cui, tra le altre cose, si puntualizza il sistema di valutazione e gestione del rischio per la predisposizione dei P.T.P.C.106 e soprattutto, in un’ottica di maggiore autonomia delle singole Amministrazioni, si invitano le pubbliche Amministrazioni a andare oltre le cosiddette aree di rischio obbligatorie e individuarne altre specifiche per ogni realtà organizzativa. Se il primo “P.N.A. 2013” individuava le quattro aree obbligatorie107, l’aggiornamento dell’anno 2015, quindi, ne suggeriva altre quattro generali: cioè la gestione delle entrate, delle spese e del patrimonio, controlli, verifiche, sanzioni, incarichi e nomine e affari legali e contenzioso.
Va sottolineato, tuttavia, che l’approfondimento specifico sull’area di rischio “Contratti pubblici”, però avrebbe dovuto essere ulteriormente rivisto alla luce della nuova disciplina sugli appalti introdotta dal d.lgs. n. 50 del 2016.
Con il “P.N.A. 2016”, l’A.N.A.C. elabora il suo primo piano completo, composto da una parte generale e una parte speciale. Viene quindi codificata la metodologia, poi normalmente applicata, di far seguire a una parte generale in cui si affrontano questioni di impostazione sistematica dei P.T.P.C. e degli approfondimenti tematici su specifiche aree di rischio, su misure specifiche, su tipologie di attività o di enti. In particolare, il “P.N.A. 2016” si è concentrato sugli ordini professionali, scuola e sanità, nonché sui piccoli comuni e città metropolitane, usufruendo nella stesura della collaborazione di esperti dei singoli settori.
Lo stesso modus operandi ha caratterizzato l’aggiornamento 2017 e 2018. Se nella parte generale è stato dato ampio spazio alle novità introdotte dal “Decreto Madia”, nella parte speciale dell’aggiornamento dell’anno 2017 l’approfondimento ha riguardato l’autorità di sistema portuale, la gestione dei commissari straordinari nominati dal governo, le istituzioni universitarie.
L’aggiornamento dell’anno 2018, invece, si è concentrato sulla gestione dei fondi strutturali, sulla gestione dei rifiuti e sulle agenzie fiscali; sempre nel 2018 va citato anche un approfondimento sulle semplificazioni per i piccoli comuni.
Ovviamente, tutti questi approfondimenti sono ancora oggi validi, così come tutti gli argomenti di carattere generale presentati dal 2013 a oggi: dall’analisi del contesto interno ed esterno alla mappatura dei processi, dalla valutazione del rischio al trattamento del rischio, dal ruolo dei soggetti coinvolti108 alle singole misure specifiche.
A tal proposito, l’analisi del contesto esterno ha come duplice obiettivo, evidenziare come le caratteristiche strutturali e congiunturali dell’ambiente nel quale l’Amministrazione si trova ad operare possano favorire il verificarsi di fenomeni corruttivi e condizionare la valutazione del rischio corruttivo e il monitoraggio dell’idoneità delle misure di prevenzione.
La diversità territoriale incide sulle modalità specifiche con cui il rischio corruttivo si può verificare nel contesto di riferimento e all’interno delle Amministrazioni pubbliche che operano in quello specifico territorio.
Occorre, poi, analizzare i dati e ragionare su come essi possano suggerire profili di rischio specifici109.
A tal fine, i dati possono essere reperiti attraverso banche dati o studi di diversi soggetti e istituzioni varie110.
L’analisi del contesto interno riguarda, invece, gli aspetti legati all’organizzazione e alla gestione per processi che influenzano la sensibilità della struttura al rischio corruttivo ed è volta a far emergere, da un lato, il sistema delle responsabilità e, dall’altro, il livello di complessità dell’amministrazione.
L’effettivo svolgimento della mappatura deve, poi, risultare, in forma chiara e comprensibile, nel P.T.P.C.T.
È indispensabile, poi, che la mappatura del rischio sia integrata con i sistemi di gestione spesso già presenti nelle organizzazioni quali i controlli di gestione, il sistema di auditing e i sistemi di gestione per la qualità, sistemi di performance management111.
Il problema, però, è che, nel corso degli anni, l’A.N.A.C. è dovuta più volte ritornare sugli stessi temi o perché erano intervenute novità a livello legislativo o perché si erano riscontrate problematiche di vario tipo e tutto ciò ha prodotto una stratificazione di interventi con conseguenti dubbi interpretativi, sovrapposizioni e, in generale, potremmo parlare di una mancanza di organizzazione sistematica e razionale.
Per questo motivo, con il nuovo “P.N.A. 2019”, l’A.N.A.C. ha deciso di cambiare rotta e, in un certo senso, di sistemare tutto il materiale accumulatosi nel corso degli anni.
Il “P.N.A. 2019” quindi si concentra sulla parte generale, allo scopo di rivedere e consolidare in un unico atto di indirizzo tutti gli interventi effettuati fino a oggi, integrandoli con gli orientamenti maturati nel corso del tempo. In questo modo si dovrebbe da una parte semplificare il quadro regolatorio e quindi agevolare il lavoro delle amministrazioni e, dall’altra, “contribuire ad innalzare il livello di responsabilizzazione delle pubbliche amministrazioni a garanzia dell’imparzialità dei processi decisionali”112, in un’ottica di sempre maggiore ottimizzazione e razionalizzazione.
Aggiornando e consolidando le indicazioni metodologiche per la gestione del rischio corruttivo, l’A.N.A.C. ha precisato che il “P.N.A. 2019” rappresenta oggi l’unico riferimento metodologico da seguire nella predisposizione dei singoli P.T.P.C., sostituendo così le indicazioni contenute nel “P.N.A. 2013” e nei successivi aggiornamenti.
Vediamo, però, in pratica, di cosa si occupa il “P.N.A. 2019”.
Sostanzialmente, si tratta di un riepilogo dello stato dell’arte della disciplina in materia di prevenzione della corruzione, rivedendo e consolidando in un unico atto di indirizzo tutte le indicazioni dell’A.N.A.C. di carattere generale, integrato da orientamenti e delibere che diventano parte integrante del Piano.
Nello specifico, vengono affrontati i temi dell’ambito oggettivo, dell’ambito soggettivo, dei P.T.P.C.T. e delle misure, del codice di comportamento, del conflitto di interessi e del R.P.C.T.
In relazione all’ambito oggettivo, la nozione di corruzione si richiama a quella più ampia introdotta dalla “legge Severino”, cioè qualunque malfunzionamento della pubblica Amministrazione a causa dell’uso a fini privati delle funzioni attribuite, oltre ovviamente alla nozione penalistica che fa riferimento all’intera gamma dei delitti contro la pubblica Amministrazione.
In relazione all’ambito soggettivo, nel suo perimetro ricadono le pubbliche amministrazioni definite all’art. 1, comma 2, del d.lgs. n. 165 del 2001, ma anche le Autorità di sistema portuale, le Autorità amministrative indipendenti, gli ordini professionali, gli enti pubblici economici, le società in controllo pubblico, anche congiunto, le associazioni, le fondazioni e gli altri enti di diritto privato che abbiano le caratteristiche precisate all’art. 2-bis, comma 2, del d.lgs. n. 33 del 2013113.
In relazione ai P.T.P.C., vengono indicate le finalità, i contenuti, la programmazione del monitoraggio, i soggetti coinvolti, l’adozione annuale, la pubblicazione, la relazione annuale, la relazione tra P.T.P.C. e performance e il ruolo degli O.I.V. che devono essere maggiormente coinvolti. Interessante, poi, il legame tra P.T.P.C. e piano delle performance, posto che le misure programmate nel P.T.P.C. devono essere tradotte in obiettivi organizzativi e individuali e corrispondere quindi agli specifici obiettivi indicati nel piano delle performance.
In relazione alle misure, vengono esaminate esclusivamente quelle relative, cosiddette soggettive, cioè quelle relative all’imparzialità soggettiva dei funzionari pubblici, in particolare le misure sull’accesso e permanenza nell’incarico o carica pubblica, sotto forma di tutele di tipo preventivo, non sanzionatorio, e la rotazione straordinaria, misura di carattere successivo al verificarsi dei fenomeni corruttivi, da non confondersi con la misura ordinaria, che è invece preventiva.
In relazione ai codici di comportamento occorre qui rimarcare la differenza con i codici etici o deontologici, che hanno una dimensione valoriale e non disciplinare, rilevando solo su un piano etico e morale, mentre i codici di comportamento fissano obblighi che hanno una rilevanza giuridica che prescinde dalla personale e spontanea adesione del funzionario.
Va specificato, poi, come i codici di comportamento delle singole amministrazioni debbano necessariamente essere elaborati in stretta sinergia con il P.T.P.C., costituendone un elemento complementare. L’A.N.A.C. ribadisce, poi, che i singoli codici non devono limitarsi a ripetere i contenuti del codice nazionale ma devono dettare una disciplina che, basandosi su quella generale, “diversifichi i doveri dei dipendenti e di coloro che vi entrino in relazione, in funzione delle specificità di ogni amministrazione, delle aree di competenza e delle diverse professionalità”114.
In relazione al conflitto di interessi viene specificato che occorre fare riferimento a una nozione ampia, che tenga in considerazione qualunque posizione che, anche solo potenzialmente, possa minare il corretto agire dell’Amministrazione e compromettere, anche in astratto, l’imparzialità richiesta al dipendente pubblico nell’esercizio del suo potere decisionale. Un approfondimento specifico viene dedicato al conflitto di interessi nel codice dei contratti pubblici.
Inoltre, si fa riferimento all’inconferibilità e incompatibilità degli incarichi, alla prevenzione della corruzione nella formazione di commissioni115 e nelle assegnazioni agli uffici, agli incarichi extra-istituzionali, al pantouflage e ai patti d’integrità.
Le altre misure esaminate nel “P.N.A. 2019” sono la formazione, la rotazione ordinaria e la trasparenza.
Sulla formazione è interessante sottolineare come l’A.N.A.C. auspichi un ruolo sempre più attivo dei discenti, valorizzando le loro esperienze, anche con un lavoro su casi concreti calati nel contesto delle singole Amministrazioni. Inoltre, è fondamentale che la formazione riguardi tutte le fasi di costruzione del P.T.P.C.T. e delle relazioni annuali.
Quanto alla rotazione ordinaria, l’A.N.A.C. ha rilevato diverse criticità, sia in merito a una mancanza, nei P.T.P.C., di una programmazione adeguata e dei criteri della rotazione, sia a una carenza di coordinamento con le altre misure. In ogni caso, su questo argomento il P.N.A. rinvia all’allegato 2, “Rotazione ordinaria del personale”.
Sulla trasparenza, invece, il “P.N.A. 2019” sottolinea il ruolo fondamentale di questo istituto non solo come presupposto per realizzare una buona amministrazione, ma anche come fondamentale misura di prevenzione della corruzione e promozione della cultura della legalità.
A questo proposito, il P.N.A. richiama sia un parere del Consiglio di Stato116 che considera la trasparenza “come un mezzo per porre in essere una azione amministrativa più efficace e conforme ai canoni costituzionali e come un obiettivo a cui tendere, direttamente legato al valore democratico della funzione amministrativa”, sia una recente sentenza della Corte costituzionale, n. 20 del 2019, che ha considerato come, con la legge n. 190 del 2012, «la trasparenza amministrativa viene elevata anche al rango di principio-argine alla diffusione di fenomeni di corruzione» e come i principi di pubblicità e trasparenza trovano un loro riferimento nella Costituzione italiana in quanto corollario del principio democratico, ex art. 1, e del buon funzionamento dell’amministrazione, ex art. 97.
Questa sentenza della Corte costituzionale è stata richiamata nel P.N.A. dell’anno 2019 anche a proposito della cruciale questione del bilanciamento tra diritto alla riservatezza dei dati personali e il libero accesso ai dati e informazioni detenute dalle pubbliche Amministrazioni: secondo la Corte, entrambi i diritti sono “contemporaneamente tutelati sia dalla Costituzione che dal diritto europeo, primario e derivato”.
Manca in questa sezione del “P.N.A. 2019” la disciplina della tutela del whistleblower, accennata in parte nella sezione relativa ai poteri del R.P.C.T., ma in realtà viene poi specificato che sui poteri del R.P.C.T. con riferimento alle segnalazioni di whistleblowing, l’A.N.A.C. fornirà indicazioni nelle apposite Linee guida sull’istituto117.
Con riferimento al ruolo del R.P.C.T. sono state consolidate le indicazioni contenute nella delibera A.N.A.C. 840 del 2018118.
Inoltre, con riferimento alla prevenzione della corruzione e trasparenza negli enti di diritto privato, il P.N.A. si limita sostanzialmente a rinviare alle Linee Guida contenute nella delibera n. 1134/2017.
Infine, vanno citati i tre allegati al “P.N.A. 2019”:
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allegato 1 sulle indicazioni metodologiche per la gestione dei rischi corruttivi. Si tratta, anche qui, di un atto di consolidamento in continuità con i precedenti P.N.A. ma aggiornato e sviluppato allo scopo di indirizzare ed accompagnare le Amministrazioni verso un approccio alla prevenzione della corruzione finalizzato alla riduzione del rischio corruttivo che consenta di considerare la predisposizione del P.T.P.C.T. come un processo sostanziale e non meramente formale. Lo schema è quello dell’analisi del contesto, della mappatura dei processi e della valutazione e trattamento del rischio, considerando superato il modello proposto nell’allegato 5 del P.N.A. 2013119.
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Allegato 2 sulla rotazione ordinaria, che integra quanto anticipato nella sezione del P.N.A.
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Allegato 3 sui riferimenti normativi sul ruolo e sulle funzioni del R.P.C.T.
3.3 UN PRIMO INQUADRAMENTO DEL RUOLO DEL R.P.C.T.: UN GARANTE INTERNO DELLA LEGALITA’ CHE NON SVOLGE CONTROLLI DI LEGITTIMITA’
Un ruolo fondamentale, in questo ambito, spetta però al Responsabile della Prevenzione della Corruzione e Trasparenza, R.P.C.T., una sorta di vero e proprio garante della legalità all’interno delle singole pubbliche Amministrazioni, nonché diretto interlocutore con l’A.N.A.C., come chiarito dal Regolamento del 29 marzo 2017120, che però non svolge, come vedremo meglio di seguito, controlli di legittimità o di merito sugli atti adottati dall’Amministrazione di pertinenza.
Si tratta di un dirigente scelto tra persone che abbiano sempre mantenuto una condotta integerrima, escludendo coloro destinatari di provvedimenti giudiziali di condanna o provvedimenti disciplinari121.
Il R.P.C.T. ha tutta una serie di funzioni e responsabilità che attengono a diversi ambiti, in primis la realizzazione del P.T.C., ma anche in merito a singole misure, in particolare la trasparenza.
Per quanto riguarda le responsabilità connesse con la realizzazione, efficacia e verifica del P.T.C., il R.P.C. è ovviamente responsabile della sua redazione122; deve, infatti, predisporlo e poi sottoporlo all’approvazione dell’organo di indirizzo politico.
Il R.P.C. è anche responsabile della verifica dell’efficace attuazione del Piano e della sua idoneità, nonché della sua eventuale modifica, se necessario, ad esempio qualora vengano accertate significative violazioni delle prescrizioni, oppure siano intervenuti mutamenti nell’organizzazione o nell’attività dell’amministrazione.
In caso di commissione, all’interno dell’amministrazione, di un reato di corruzione accertato con sentenza passata in giudicato, il responsabile risponde ai sensi dell’articolo 21 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n.165, nonché sul piano disciplinare, per danno erariale e all’immagine della pubblica Amministrazione, a meno che non dimostri di aver predisposto correttamente il P.T.P.C., e di aver vigilato sul corretto funzionamento e osservanza dello stesso.
Inoltre, in caso di ripetute violazioni delle misure di prevenzione previste dal Piano, il responsabile risponde non solo ai sensi dell’art. 21 del d.lgs. n. 165 del 2001, ma anche per omesso controllo, sul piano disciplinare, salvo che provi di avere comunicato agli uffici le misure da adottare e le relative modalità e di avere vigilato sull’osservanza del Piano. Va specificato, altresì, che la violazione, da parte dei dipendenti dell’amministrazione, delle misure di prevenzione previste dal Piano costituisce illecito disciplinare.
Il responsabile è tenuto a segnalare, all’organo di indirizzo e all’Organismo Indipendente di Valutazione, eventuali “disfunzioni” inerenti all’attuazione delle misure in materia di prevenzione della corruzione e di trasparenza e, di conseguenza, deve anche indicare agli uffici competenti all’esercizio dell’azione disciplinare i nominativi dei dipendenti che non hanno attuato correttamente le misure in materia di prevenzione della corruzione e di trasparenza.
Infine, il R.P.C.T. redige la relazione annuale recante i risultati dell’attività svolta tra cui il rendiconto sull’attuazione delle misure di prevenzione definite nei P.T.P.C.
Per quanto riguarda invece le singole misure, il R.P.C.T. ha alcune responsabilità specifiche: ad esempio, il R.P.C.T. ha il compito di verificare, d’intesa con il dirigente competente, l’effettiva rotazione degli incarichi negli uffici maggiormente esposti ai reati di corruzione, nonché quello di definire le procedure appropriate per selezionare e formare i dipendenti destinati ad operare nelle aree a rischio corruzione.
Inoltre, ai sensi dall’art. 15 del d.lgs. n. 39 del 2013, al R.P.C.T. è affidato il compito di vigilare sul rispetto delle disposizioni sulle inconferibilità e incompatibilità degli incarichi, con capacità proprie di intervento, anche sanzionatorio, e di segnalare le violazioni all’A.N.A.C. D’altronde, le Linee guida in materia di accertamento delle inconferibilità e delle incompatibilità degli incarichi amministrativi da parte del responsabile della prevenzione della corruzione specificano esplicitamente che spetta al R.P.C.T. “avviare il procedimento sanzionatorio, ai fini dell’accertamento delle responsabilità soggettive e dell’applicazione della misura interdittiva prevista dall’art. 18, per le sole inconferibilità”.
Restando sempre nel merito delle misure, va anche indicato il ruolo del R.P.C.T. in merito alla diffusione della conoscenza dei “Codici di comportamento” nell’amministrazione, il monitoraggio annuale della loro attuazione, la pubblicazione sul sito istituzionale e la comunicazione all’A.N.A.C. dei risultati del monitoraggio, come previsto dall’art. 15, comma 3, del D.P.R. 16 aprile 2013 n. 62.
Vanno, poi, considerate le funzioni del Responsabile della Corruzione nella sua veste di Responsabile anche della trasparenza, come stabilito dall’art. 43 d.lgs. n. 3 del 2013. In questo ambito, il R.P.C.T. ha tre compiti ulteriori:
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un’attività di controllo sull’adempimento, da parte dell’Amministrazione, degli obblighi di pubblicazione previsti dalla normativa vigente, assicurando la completezza, la chiarezza e l’aggiornamento delle informazioni pubblicate, nonché segnalando all’organo di indirizzo politico, all’Organismo indipendente di valutazione, all’Autorità nazionale anticorruzione e, nei casi più gravi, all’ufficio di disciplina i casi di mancato o ritardato adempimento degli obblighi di pubblicazione;
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un’attività su casi di riesame dell’accesso civico, se diniego totale, parziale o mancata risposta. In questo caso deve rispondere con provvedimento motivato, entro il termine di venti giorni;
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nel caso in cui la richiesta di accesso civico riguardi dati, informazioni o documenti oggetto di pubblicazione obbligatoria, il R.P.C.T. ha l’obbligo di effettuare la segnalazione all’Ufficio di disciplina ai sensi dell’art.43, comma 5, del d.lgs. n. 33 del 2013.
Tuttavia, occorre specificare che, a fronte di tutti i compiti e responsabilità che gravano sul R.P.C.T., questi non è tenuto, nell’esercizio delle proprie funzioni, secondo criteri di proporzionalità, ragionevolezza ed effettività, a svolgere controlli di legittimità o di merito su atti e provvedimenti adottati dall’Amministrazione, né a esprimersi sulla regolarità tecnica o contabile di tali atti, a pena di sconfinare nelle competenza dei soggetti a ciò preposti all’interno di ogni ente o amministrazione ovvero della magistratura123.
Quindi, qualora il R.P.C.T. riscontri o riceva segnalazioni di irregolarità e/o illeciti, dovrà, in primis, valutare il fumus di quanto rappresentato e verificare se, nel P.T.P.C., vi siano o meno misure volte a prevenire il tipo di fenomeno segnalato. Se nel P.T.P.C. esistono misure di prevenzione adeguate, il R.P.T.C. dovrà richiedere, per iscritto, ai responsabili dell’attuazione delle misure, informazioni e notizie sull’attuazione delle misure stesse.
Qualora, invece, a seguito dell’esame del P.T.P.C. non risulti mappato il processo in cui si inserisce il fatto riscontrato o segnalato ovvero, pur mappato il processo, le misure manchino o non siano ritenute adeguate rispetto alla fattispecie rappresentata, il R.P.C.T. è opportuno che proceda con la richiesta scritta di informazioni e notizie agli uffici responsabili su come siano state condotte le attività istituzionali su cui si innesta il fenomeno di presunta corruzione riscontrato o segnalato, rappresentando, anche in modo circostanziato e con riferimento alla fattispecie specifica riscontrata o segnalata, le ragioni per le quali tali notizie e informazioni vengono richieste.
Va poi fatta una riflessione sulle garanzie da attribuire a chi ricopre questo delicato e difficile ruolo di R.P.C.T. In primo luogo, questi deve mantenere una posizione di indipendenza dall’organo di indirizzo. Inoltre, il responsabile va tutelato da eventuali ritorsioni per l’esercizio delle sue funzioni. Su questa materia è intervenuta recentemente l’A.N.A.C. con un Regolamento sull’esercizio del potere dell’Autorità di richiedere il riesame dei provvedimenti di revoca o di misure discriminatorie adottati nei confronti del Responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza per attività svolte in materia di prevenzione della corruzione, adottato dal Consiglio dell’Autorità in data 18 luglio 2018. Qualora ci sia una fondata correlazione tra la revoca dell’incarico o l’adozione di altre misure discriminatorie e le attività svolte dal R.P.C.T. in materia di prevenzione della corruzione, l’A.N.A.C. può chiedere all’Amministrazione un provvedimento di riesame degli atti indicati.
Infine, è opportuno ribadire un’ultima osservazione: come specificato nel “P.N.A. 2013”, il fatto che la previsione normativa concentri la responsabilità per il verificarsi di fenomeni corruttivi, ex art. 1, comma 12, legge n. 190, in capo al responsabile per la prevenzione, non vuol dire però che tutti gli altri dipendenti siano esonerati da una responsabilità in tal senso. Al contrario, tutti i dipendenti delle strutture coinvolte nell’attività amministrativa mantengono, ciascuno, non solo il personale livello di responsabilità in relazione ai compiti effettivamente svolti ma, per realizzare fattivamente la prevenzione, hanno anche un compito di coordinamento e collegamento con l’attività del responsabile.
Di conseguenza, le singole Amministrazioni non hanno un mero atteggiamento passivo di adempimento, bensì un ruolo attivo di costruzione dei P.T.P.C., in cui tutti i dipendenti, e non solo il Responsabile della Prevenzione, devono cooperare nella segnalazione delle criticità dei rischi e nell’attuazione delle misure. D’altronde, lo stesso codice di comportamento dei pubblici dipendenti dispone, all’art. 8, che tutti i dipendenti dell’Amministrazione sono tenuti a rispettare le prescrizioni contenute nel piano per la prevenzione della corruzione e a prestare collaborazione al responsabile della prevenzione della corruzione.
Questo perché, a seguito del nuovo paradigma creato dalla “legge Severino”, che pone l’accento su un’ottica preventiva prima che repressiva, “l’Amministrazione pubblica non deve essere considerata più solo un oggetto di controlli (penali o amministrativi) ab externo o, persino, un terreno insano da bonificare ma un attore, con un ruolo particolarmente proattivo nella lotta agli illeciti penali124”.
CAPITOLO 4 – LA FILOSOFIA DELLA PREVENZIONE
SOMMARIO. 4.1 LE MISURE CHE INCIDONO SUL PILASTRO ORGANIZZATIVO DEL TRIANGOLO DELLA FRODE; 4.2. LA REGOLAMENTAZIONE DEL PANTOUFLAGE. UNA IPOTESI DI INCONFERIBILITA’ SUCCESSIVA; 4.3 I CODICI DI COMPORTAMENTO. LA GIURIDICIZZAZIONE DELL’ETICA DAL SOFT LAW ALL’HARD LAW.; 4.4 IL CONFLITTO DI INTERESSI, PERSONALE ED ISTITUZIONALE, DEI FUNZIONARI PUBBLICI: UNO DEI PRINCIPALI FATTORI DI RISCHIO.
4.1 LE MISURE CHE INCIDONO SUL PILASTRO ORGANIZZATIVO DEL TRIANGOLO DELLA FRODE
Nel disegno riformatore della “Legge Severino” si possono cogliere tre direttrici di fondo: la prima richiede alle pubbliche Amministrazioni di svolgere un ruolo proattivo, individuando i rischi di corruzione che possono annidarsi nella attività svolte e i relativi rimedi; la seconda rivolge la sua attenzione al funzionario pubblico, ai suoi doveri e ai suoi comportamenti, evitando e prevenendo situazioni di conflitto di interessi; la terza tende a costruire un diverso rapporto fra amministrazione e cittadini125.
Come si è visto, il primo pilastro della strategia anticorruzione consiste nella dotazione di un piano che, nel nostro sistema, è previsto a un doppio livello: un piano nazionale per assicurare l’uniformità (P.N.A.) e un piano specifico di ogni amministrazione per assicurare l’autonomia organizzativa (P.T.P.C.), allo scopo di minimizzare il rischio che si verifichi un evento corruttivo. Entrambi hanno validità triennale ed entrambi devono essere aggiornati annualmente. A tal proposito, risulta particolarmente significativo, come si vedrà, poter incidere sull’aspetto organizzativo del “triangolo della frode”.
Se da una parte il P.N.A. deve guidare le Amministrazioni nel percorso che conduce all’adozione di concrete ed effettive misure di prevenzione della corruzione126, dall’altra il P.T.P.C. rappresenta il concreto programma di attività, con l’indicazione delle aree di rischio e dei rischi specifici, delle misure da implementare per la prevenzione in relazione al livello di pericolosità dei rischi specifici e dei responsabili per l’applicazione di ciascuna misura e dei tempi.
Ovviamente, predisporre il P.T.P.C. non è un’operazione semplice, dato che presuppone tutta una serie di attività impegnative e complesse quali, in primis, la mappatura dei rischi e poi il corretto trattamento o gestione del rischio, secondo un approccio ormai corrente, tanto che esistono specifiche regole I.S.O. (gli standard di qualità) relative al rischio nelle organizzazioni. Lo scopo è individuare i rischi che provengono dal contesto esterno e da quello interno.
Quando si parla di contesto esterno, si fa riferimento, ad esempio, a situazioni ambientali esterne all’ente o un particolare contesto territoriale per cui in una zona dove è molto forte l’abusivismo edilizio il rischio corruzione per chi effettua i controlli sarà maggiore rispetto a un’area con forti vincoli ambientali o paesaggistici. Allo stesso modo, in una zona soggetta a gravi illeciti ambientali, ci sarà un rischio maggiore per gli uffici incaricati di rilasciare le autorizzazioni in materia.
Per quanto riguarda il contesto interno, invece, questo dipende da come è organizzata nel concreto l’amministrazione, se ci sono uffici che gestiscono attività oggettivamente rischiose, perché magari si occupano di questioni dagli importanti risvolti economici, o perché magari, in precedenza, in quegli stessi uffici si sono verificati episodi corruttivi.
Le aree di rischio obbligatorie sono individuate dalla “legge Severino”, al comma 16 dell’art. 1 e sono i procedimenti di autorizzazione o concessione, la scelta del contraente per l’affidamento di lavori, forniture e servizi, anche con riferimento alla modalità di selezione prescelta ai sensi del codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture, di cui al decreto legislativo 50 del 2016, la concessione ed erogazione di sovvenzioni, contributi, sussidi, ausili finanziari, nonché attribuzione di vantaggi economici di qualunque genere a persone ed enti pubblici e privati e, infine, i concorsi e le prove selettive per l’assunzione del personale e progressioni di carriera.
Ovviamente, queste aree non sono le uniche individuabili: già il “P.N.A. 2015” prevedeva che «sin dalla fase di prima attuazione è raccomandato che ciascuna amministrazione includa nel P.T.P.C. ulteriori aree di rischio che rispecchiano le specificità funzionali e di contesto».
Ogni Amministrazione ha, infatti, ambiti di attività peculiari che possono far emergere particolari aree di rischio. Va specificato comunque che le “aree di rischio specifiche” non sono meno rilevanti o meno esposte al rischio di quelle “generali”, ma si differenziano da queste ultime unicamente per la loro presenza in relazione alle caratteristiche tipologiche delle Amministrazioni.
Inoltre, l’aggiornamento A.N.A.C. del 2015 individua altre quattro aree generali, che si vanno ad aggiungere alle prime quattro obbligatorie, ovvero la gestione delle entrate, delle spese e del patrimonio, controlli, verifiche, ispezioni e sanzioni, incarichi e nomine, affari legali e contenzioso.
Gli aggiornamenti successivi hanno individuato più che aree di rischio in senso stretto alcuni settori di attività su cui l’A.N.A.C. compie alcuni specifici approfondimenti a supporto delle Amministrazioni che vi operano nella redazione del piano triennale.
In particolare si tratta di ordini professionali, Scuole, Sanità (2016), Autorità di Sistema Portuale, Gestione dei Commissari Straordinari nominati dal Governo e Istituzioni universitarie (2017) e di gestione fondi strutturali, rifiuti e agenzie fiscali (2018).
Solo una volta mappato il rischio, questo potrà essere trattato, calando nello specifico procedure ad hoc che possano attenuare questi rischi127. Ovviamente, le aree di rischio possono essere anche ulteriori rispetto a quelle indicate dal P.N.A. e spetta a ogni singolo P.T.P.C. individuarle, per poi indicare le misure di prevenzione da implementare per ridurre la probabilità che il rischio si verifichi.
Il P.T.P.C. dovrà, quindi, individuare le misure organizzative più adeguate, calibrate in base ai rischi specifici evidenziati, in modo da produrre sostanzialmente gli anticorpi delle singole Amministrazioni al fenomeno corruttivo.
Le misure sono quindi alcuni accorgimenti organizzativi che vanno a incidere su uno dei tre pilastri del cosiddetto triangolo della frode.
Come è noto, infatti, la propensione alla frode o alla corruzione dipende sostanzialmente da tre variabili che devono essere compresenti128: in primo luogo una motivazione forte, dipendente ad esempio da pressioni interne o esterne129; in secondo luogo un meccanismo di razionalizzazione o legittimazione sociale, per cui si tende a corrompere o essere corrotti, senza modificare la propria immagine morale, perché si trova una giustificazione130 e infine l’opportunità, cioè la possibilità di compiere l’atto senza essere scoperti: i dipendenti pensano che non saranno individuati perché nessuno sta controllando il loro lavoro. Si tratta del famoso fattore abilitante. In pratica, questo si traduce in una cattiva organizzazione o in un malfunzionamento, come ad esempio l’assenza di controlli, la possibilità di sfruttare i punti deboli dell’organizzazione o controlli inadeguati. Se in passato l’approccio era prevalentemente repressivo e mirava, quindi, a intervenire solo sulle motivazioni, ponendo in capo al dipendente tutta una serie di responsabilità e di sanzioni nel caso del compimento di un atto illecito, oggi, dalla “legge Severino” in poi è cambiato il modo di vedere la stessa strategia di anticorruzione, per cui viene privilegiato l’aspetto preventivo, cioè intervenire prima che l’atto illecito sia compiuto, attraverso la creazione di un contesto sfavorevole alla diffusione di comportamenti corruttivi.
Di conseguenza, tornando all’immagine del triangolo della frode, è proprio sul secondo e sul terzo elemento che il legislatore è intervenuto con la legge n. 190 del 2012.
Infatti, se da una parte si è cercato di alzare la soglia etica del dipendente attraverso azioni di sensibilizzazione e creazione di una maggiore consapevolezza sui temi della lotta e contrasto alla corruzione131, dall’altra, si è evidenziata la necessità di porre in essere delle misure che concretamente impediscano il proliferare dei fenomeni corruttivi, andando quindi a incidere sull’organizzazione stessa della pubblica Amministrazione.
D’altronde, l’unico modo per attenuare il rischio corruttivo è proprio eliminare uno dei tre vertici del triangolo della frode, se in passato, ad esempio con la “riforma Brunetta”, si è inciso prevalentemente sulla motivazione, la “legge Severino” ha oggi capovolto il paradigma, andando a incidere sugli altri due fattori, in particolare l’organizzazione.
Le misure, infatti, sono alcuni accorgimenti meramente organizzativi diretti a fornire una risposta concreta e specifica dell’Amministrazione per prevenire il rischio di un fenomeno corruttivo al suo interno. Le misure possono definirsi oggettive o soggettive, a seconda che mirino, attraverso soluzioni organizzative, a ridurre ogni spazio possibile all’azione di interessi particolari volti all’improprio condizionamento delle decisioni (misure di prevenzione oggettiva), oppure che abbiano lo scopo di garantire la posizione di imparzialità del funzionario pubblico che partecipa, nei diversi modi previsti dall’ordinamento132 ad una decisione amministrativa (misure di prevenzione soggettiva).
Le misure, inoltre, possono essere obbligatorie o ulteriori.
Nel primo caso, l’applicazione discende obbligatoriamente dalla legge o da altre fonti normative mentre, nel secondo caso, pur non essendo obbligatorie per legge, le misure sono rese obbligatorie dal loro inserimento nel P.T.P.C. Per la loro individuazione è opportuno stabilire un confronto mediante il coinvolgimento dei titolari del rischio.
La tempistica per l’introduzione e per l’implementazione delle misure ovviamente può essere differenziata, a seconda che si tratti di misure obbligatorie o di misure ulteriori ma, in ogni caso, il termine deve essere definito perentoriamente nel P.T.P.C.
Le misure obbligatorie trovano, quindi, la loro definizione all’interno della “legge Severino” e possono raggrupparsi in diverse categorie.
In primo luogo, vanno segnalate quelle misure che hanno una portata decisamente trasversale, quali la trasparenza e il codice di comportamento. Se la trasparenza è un concetto polivalente, rappresentando non solo una misura anticorruzione ma anche un fondamento del diritto amministrativo133 che potremmo definire ormai elevato a rango costituzionale, da una lettura coordinata degli artt. 21, 97 e 98 cost., il codice di comportamento dei dipendenti rappresenta oggi una giuridicizzazione dell’etica, contenendo al suo interno tutta una serie di norme che devono guidare il corretto comportamento all’interno delle pubbliche Amministrazioni.
Anche la tutela del whistleblower, in realtà, può essere considerata una misura trasversale, dal momento che la cosiddetta vedetta civica agisce dall’interno dell’Amministrazione per segnalare qualunque tipo di illecito e, in questo modo, contribuisce a rendere più trasparente l’amministrazione, più etico il comportamento dei dipendenti, a segnalare eventuali conflitti di interesse e, infine, a rendere necessaria l’applicazione di altre misure quali, ad esempio, la rotazione.
La rotazione, finalizzata a limitare il consolidarsi di relazioni che possano alimentare dinamiche improprie nella gestione amministrativa, conseguenti alla permanenza nel tempo di determinati dipendenti nel medesimo ruolo o funzione, è sicuramente la misura più importante, anche se talvolta di difficile realizzazione per problemi oggettivi all’interno delle Amministrazioni.
La rotazione è una misura organizzativa che consiste nello spostamento, periodico o occasionale, di dipendenti dall’ufficio o servizio cui sono preposti a un altro134. L’alternanza nello svolgimento delle mansioni garantisce un arricchimento professionale dei singoli ed una maggiore efficienza nell’attività degli uffici, ma rappresenta, secondo le indicazioni internazionali135, anche un efficace presidio anticorruzione, perché consente di “limitare il consolidarsi di relazioni che possano alimentare dinamiche improprie nella gestione amministrativa, conseguenti alla permanenza nel tempo e nel medesimo ruolo o funzione“136 e, proprio in questa logica, fa ad essa riferimento la “legge Severino”.
Ci sono poi misure che agiscono direttamente sull’imparzialità del dipendente, dirette a contenere i conflitti di interesse. “L’idea di fondo, per rafforzare l’imparzialità soggettiva dell’amministrazione, è quella di evitare situazioni di rischio, favorire l’emersione di eventuali interessi privati che possono pregiudicare la migliore cura dell’interesse pubblico e regolare le condotte individuali dei funzionari”137. Lo scopo di queste misure, che comprendono la disciplina del conflitto di interesse, degli incarichi extra-istituzionali, delle incompatibilità per dirigenti, del pantouflage ma anche, in certa misura, i controlli sui precedenti penali, è in primo luogo sottolineare la distinzione fra politica e amministrazione138, attraverso più penetranti regole di incompatibilità e di inconferibilità. Fondamentale in materia è il riferimento al decreto n. 39 del 2013.
Infine, ci sono delle misure che potremmo definire più tecniche, quali il monitoraggio del rispetto dei tempi procedimentali e l’informatizzazione, oltre quelle più “culturali”, quali la formazione139 e le azioni di sensibilizzazione.
Per quanto riguarda i protocolli di integrità negli affidamenti, si tratta di strumenti di carattere pattizio che, nel corso degli ultimi anni, hanno consentito di elevare la cornice di sicurezza nel settore degli appalti pubblici, stabilendo un complesso di regole di comportamento finalizzati a prevenire fenomeni di corruzione e a valorizzare comportamenti eticamente adeguati per tutti i concorrenti e per il personale aziendale impiegato, ad ogni livello, nell’espletamento delle procedure di affidamento di beni, servizi e lavori e nel controllo dell’esecuzione del relativo contratto assegnato140.
Per quanto riguarda le misure ulteriori, come si è visto, queste non derivano da disposizioni normative, ma diventano obbligatorie se inserite nel Piano. Devono essere valutate in base a costi stimati, all’impatto sull’organizzazione e al grado di efficacia attribuito a ciascuna.
L’individuazione e la valutazione delle misure è compiuta dal responsabile della prevenzione con il coinvolgimento dei dirigenti per le aree di competenza.
Tra le misure ulteriori si possono annoverare gli atti organizzativi interni, quali ad esempio i regolamenti, mediante i quali individuare le regole, i criteri, i confini entro i quali si esplica l’autonomia decisionale dell’Ente e del soggetto titolare dell’esercizio della funzione: questi atti sono aggiuntivi e specificativi della normativa di carattere generale già esistente.
Si aggiungono le procedure di controllo interno, mirate a controllare i tempi dei procedimenti, i risultati, i costi di produzione, la presenza di irregolarità; queste procedure devono essere sostenute da adeguati sistemi informativi. Inoltre, quando possibile e per particolari tipologie di rischio, esse devono essere messe in atta da soggetti esterni all’Amministrazione141;
Infine, si annoverano le azioni di trasparenza: si fa riferimento alla pubblicazione sui siti web di informazioni aggiuntive rispetto agli obblighi attualmente imposti dalla normativa.
A titolo puramente esemplificativo, si possono considerare come misure ulteriori i seguenti interventi:
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un’intensificazione dei controlli a campione sulle dichiarazioni sostitutive di certificazione e di atto notorio rese dai dipendenti e dagli utenti;
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una razionalizzazione organizzativa dei controlli;
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convenzioni tra amministrazioni per l’accesso alle banche dati. istituzionali contenenti informazioni e dati relativi a stati, qualità personali e fatti di cui agli artt. 46 e 47 del D.P.R. n. 445 del 2000;
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l’affidamento delle ispezioni, dei controlli e degli atti di vigilanza di competenza dell’amministrazione ad almeno due dipendenti abbinati secondo rotazione casuale;
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l’individuazione di “orari di disponibilità” dell’Ufficio procedimenti disciplinari durante i quali i funzionari addetti sono disponibili ad ascoltare ed indirizzare i dipendenti dell’amministrazione su situazioni o comportamenti, al fine di prevenire la commissione di fatti corruttivi e di illeciti disciplinari;
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la pubblicazione sul sito internet dell’Amministrazione di casi esemplificativi e anonimi, tratti dall’esperienza concreta, in cui si prospetta il comportamento non adeguato, che realizza l’illecito disciplinare e, di contro, il comportamento che invece sarebbe stato adeguato;
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l’inserimento di apposite disposizioni nei Codici di comportamento settoriali per fronteggiare situazioni di rischio specifico;
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l’introduzione di procedure che prevedano che i verbali relativi ai servizi svolti presso l’utenza debbano essere sempre sottoscritti dall’utente destinatario;
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in caso di delega di potere, controlli a campione sulle modalità di esercizio della delega;
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la regolazione dell’esercizio della discrezionalità mediante circolari o direttive interne, in modo che lo scostamento dalle indicazioni generali debba essere motivato.
Ovviamente, è opportuno ricordare che questo elenco è puramente esemplificativo e ogni amministrazione può individuare altre “misure ulteriori” che più rispondano alle esigenze e peculiarità del proprio assetto organizzativo.
4.2 LA REGOLAMENTAZIONE DEL PANTOUFLAGE. UNA IPOTESI DI INCONFERIBILITA’ SUCCESSIVA
Il comma 42 della “Legge Severino” e, in particolare, la sua lettera l) innesta il comma 16 ter nell’art. 53 del d.lgs. n. 165 del 2011 e contiene la regolamentazione del cd. pantouflage142 secondo cui “I dipendenti che, negli ultimi tre anni di servizio, hanno esercitato poteri autoritativi o negoziali per conto delle pubbliche amministrazioni di cui all’art. 1, comma 2, non possono svolgere, nei tre anni successivi alla cessazione del rapporto di pubblico impiego, attività lavorativa o professionale presso i soggetti privati destinatari dell’attività della pubblica amministrazione svolta attraverso i medesimi poteri”.
Ciò detto, appare discutibile la sedes materiae scelta per l’inserimento del nuovo istituto: risulta, in primo luogo, poco comprensibile, anche sul piano simbolico, come una novità così importante finisca quasi occultata in un unico capoverso di un articolo composto di ventuno commi e che fra l’altro non si occupa direttamente né di contrasto alla corruzione né di conflitto di interesse143; in secondo luogo, l’istituto non integra nemmeno, a ben vedere, un’ipotesi di incompatibilità, fattispecie che si configura con il contemporaneo svolgimento di due impieghi che impone l’opzione per uno, mentre, nel caso in esame, il soggetto, nel lasciare l’Amministrazione per approdare ad altro impiego, l’opzione l’ha già preventivamente esercitata144.
Tale impedimento intende evitare che le prospettive di futuri incarichi possano compromettere l’esercizio imparziale delle funzioni, in modo da scongiurare, inoltre, che il pubblico dipendente possa sfruttare indebitamente la propria posizione.
4.3 I CODICI DI COMPORTAMENTO. LA GIURIDICIZZAZIONE DELL’ETICA DAL SOFT LAW ALL’HARD LAW
Nati come strumenti deontologici privi di efficacia prescrittiva e vincolante, quindi espressione etica prima che normativa, visto il crescente divario tra le norme e i comportamenti reali, i codici di comportamento hanno subito una trasformazione nel corso degli anni, passando dalla mera deontologia a una contrattualizzazione degli obblighi di comportamento fino ad arrivare a una progressiva giuridicizzazione della materia.
In questo modo è stato conferito valore giuridico ai codici di comportamento che, in passato, erano non giuridicamente vincolanti, ma solo norme etiche. Ciò non deve però far sminuire il valore dell’etica o soft law in contrapposizione al diritto o hard law. Sebbene si tratti ovviamente di due strumenti diversi, sono uno complementare all’altro.
Infatti, “le norme etiche (soprattutto i codici di comportamento adottati da singole categorie e non rese giuridicamente vincolanti) si pongono al di qua (prima) della legge e al di là di essa. Per esempio norme etiche contengono regole di condotta ulteriori e più dettagliate (di sviluppo) di quelle giuridiche”
Inoltre, le norme etiche contribuiscono a fissare un quadro di regole più soft, perché non necessariamente assistito da sanzioni giuridicamente rilevanti, sebbene in realtà le norme etiche non sono sempre prive di conseguenze: la loro violazione, infatti, può comportare conseguenze negative, come la riprovazione del gruppo di appartenenza, che l’interessato può avvertire persino come più gravi di quelle giuridiche.
Inoltre, è fondamentale ricordare che le norme etiche contribuiscono all’individuazione di un’area grigia al confine tra il lecito e l’illecito, che consente di “sperimentare” la possibilità di indurre comportamenti virtuosi senza imporli con norme giuridiche ma semplicemente sperimentando nuovi doveri e nuovi obblighi, in vista di una futura ed eventuale loro giuridicizzazione145, come effettivamente è avvenuto con il D.P.R. n.62 del 2013.
Considerando che, per una efficace lotta alla corruzione, non basta incidere sull’organizzazione e sulle procedure della pubblica Amministrazione, ma è fondamentale investire sulle singole persone146 che compongono l’apparato burocratico, il codice di comportamento è diretto proprio a rafforzare le garanzie di integrità e imparzialità dei dipendenti pubblici, cercando di orientarne le condotte in modo da combattere la corruzione, promuovendo in positivo il corretto adempimento della prestazione lavorativa147. Lo scopo è incidere sul funzionario per innalzare la sua soglia etica e promuovere la sua integrità, intendendo cioè l’agire conformemente alle norme e ai valori riconosciuti per assicurare la cura dell’interesse pubblico.
La natura dei codici di comportamento si è trasformata, però, nel corso del tempo, passando dall’etica al diritto. Si è passati da una “Proposta di un codice di condotta dei dipendenti pubblici”, elaborata dal Dipartimento della Funzione pubblica per una deontologia del pubblico impiego nel 1993, al “Codice di comportamento del dipendente dell’ente”148 che ha invece reso di natura contrattuale gli obblighi ivi contenuti attraverso l’inserimento nei contratti collettivi nazionali.
Il processo di giuridicizzazione delle regole di natura etica è poi stato completato con la “legge Severino”. La legge n. 190 del 2012 prevede, infatti, l’adozione di un codice nazionale e di codici di ogni singola amministrazione che integrano e specificano quello nazionale: al riguardo, il comma 44 dell’art. 1 ha sostituito l’articolo 54 del decreto legislativo n. 165 del 2001, rimodulando lo strumento dei codici di comportamento dei dipendenti della pubblica Amministrazione.
In attuazione a quanto previsto, è stato promulgato il D.P.R. 62 del 2013 con il quale è stato adottato un nuovo “Codice di comportamento dei pubblici dipendenti”.
La principale novità rispetto al passato consiste, quindi, non tanto nel contenuto del codice che, pur riprendendo molti concetti dei testi precedenti offre comunque degli spunti originali, soprattutto in merito all’ambito di applicazione, quanto invece nella sua natura normativa: questo codice è, infatti, stato emanato nelle forme previste per i regolamenti governativi149 e, quindi, rientra, di pieno diritto, fra le «fonti normative».
Scopo del Codice è garantire l’effettività dei precetti costituzionali in tema di azione amministrativa, definendo i doveri minimi di diligenza, lealtà, imparzialità e buona condotta che i pubblici dipendenti sono tenuti a osservare sia sul posto di lavoro, sia in ambito extralavorativo. In pratica, il codice di comportamento è diretto a esplicitare lo statuto costituzionale, ex art. 54 della Costituzione, che qualifica il dipendente pubblico come tenuto a servire l’interesse generale, a essere imparziale e a operare fedelmente con disciplina e onore150. Si tratta, quindi, di un tentativo di moralizzare i comportamenti dei dipendenti pubblici, traducendo in concreto i principi enunciati a livello costituzionale, in particolare gli artt. 28, 54, 67, 97 e 98.
Tuttavia, non potendo dettare regole eccessivamente specifiche o dettagliate, il menzionato D.P.R. specifica che i contenuti del Codice devono essere comunque integrati e specificati da ciascuna Amministrazione pubblica con l’adozione di un proprio codice di comportamento, tenuto conto delle specificità dell’organizzazione e delle competenze istituzionali, del contesto interno ed esterno, nonché della rete dei rapporti con i cittadini-utenti.
Anche in questo ambito assistiamo quindi a un intervento su due livelli: uno nazionale (come nel caso del P.N.A.) comune a tutti i dipendenti (il D.P.R. del 2013) e l’altro a livello locale, con carattere integrativo, speciale e decentrato151.
Per quanto riguarda il contenuto, il Codice nazionale detta, nei suoi 17 articoli, alcune regole generali che costituiscono una sorta di standard minimo cui i codici delle singole Amministrazioni dovranno uniformarsi, in una continua dialettica tra esigenze di uniformità nazionale e autonomia organizzativa. Lo scopo è quindi fornire risposte certe che pongano un limite netto e preciso tra quelli che sono i comportamenti accettabili e quelli che non lo sono, pur non costituendo reato, in una sorta di processo di moralizzazione dei pubblici dipendenti.
Inoltre, è previsto chiaramente un apparato di controllo e sanzionatorio, stabilendo in primis che, sull’applicazione dei codici, dovranno vigilare i dirigenti, le strutture di controllo interno e gli uffici di disciplina mentre, annualmente, le pubbliche Amministrazioni dovranno verificare lo stato di applicazione, organizzando le attività di formazione del personale per la conoscenza e la corretta applicazione degli stessi.
Inoltre, la violazione degli obblighi previsti nel codice di comportamento, al pari delle prescrizioni contenute nel Piano per la prevenzione della corruzione, è fonte di responsabilità disciplinare, rilevante anche ai fini della responsabilità penale, civile, amministrativa e contabile. Quanto al tipo e all’entità della sanzione disciplinare concretamente applicabile è previsto che si debba tener conto della gravità del comportamento e del pregiudizio, anche morale, cagionato “al decoro o al prestigio dell’amministrazione di appartenenza“, ma nei casi di violazioni gravi e reiterate può portare fino al licenziamento.
Quanto all’ambito di applicazione, l’art. 2 del D.P.R. n. 62 del 2013 dispone l’estensione degli obblighi di condotta, per quanto compatibili, a tutti i collaboratori o consulenti con qualsiasi tipologia di contratto o incarico e a qualsiasi titolo, ai “titolari di organi e di incarichi negli uffici di diretta collaborazione delle autorità politiche“, ai “collaboratori a qualsiasi titolo di imprese fornitrici di beni o servizi” e che realizzano opere in favore dell’amministrazione. Inoltre, è previsto l’obbligo di inserire, negli incarichi e nei contratti, apposite clausole di risoluzione o decadenza in caso di violazione degli obblighi derivanti dal codice.
L’estensione degli obblighi previsti dal codice di comportamento152 a qualsiasi soggetto che svolga funzioni finalizzate al perseguimento di interessi pubblici è diretta al fine di garantire la diffusione di valori e comportamenti di buona condotta funzionali alla prevenzione della corruzione.
Come si diceva prima, il codice di comportamento rappresenta una meta misura dal momento che prevede al suo interno tutta una serie di misure specifiche:
Tra le principali disposizioni del D.P.R. n. 62 del 2013 si ricordano le norme in materia di regali (art.4), di partecipazione ad associazioni e organizzazioni (art. 5), di conflitto di interessi (art. 6), di prevenzione della corruzione (art. 8), di trasparenza (art. 9), di comportamento nei rapporti privati, in servizio e con il pubblico (artt. 10-12) e di disposizioni particolari per i dirigenti (art. 13).
Con riguardo ai regali, viene stabilito il divieto per il dipendente di chiedere, sollecitare o di accettare, per sé o per altri e a qualsiasi titolo (quindi, anche sotto forma di sconto), compensi, «regali o altre utilità», fatti salvi quelli d’uso e di modico valore «non superiore, in via orientativa, a 150 euro». I regali e le altre utilità comunque ricevuti sono immediatamente messi a disposizione dell’Amministrazione per essere devoluti a fini istituzionali.
Con riguardo alla partecipazione ad associazioni e organizzazioni, il dipendente deve dare tempestiva comunicazione al responsabile dell’ufficio di appartenenza della propria «adesione o appartenenza» ad associazioni od organizzazioni (esclusi partiti politici e sindacati) i cui ambiti di interesse possano interferire con lo svolgimento delle attività dell’ufficio.
Con riguardo al conflitto di interessi, la norma prevede l’obbligo per il dipendente di astenersi «dal prendere decisioni o svolgere attività inerenti alle sue mansioni in situazioni di conflitto, anche potenziale, di interessi» di qualsiasi natura, anche non patrimoniali, come quelli «derivanti dall’intento di assecondare pressioni politiche, sindacali o dei superiori gerarchici».
Con riguardo alla trasparenza, tutti i dipendenti devono assicurare la trasparenza e la tracciabilità dei processi decisionali adottati che dovrà «essere, in tutti i casi, garantita attraverso un adeguato supporto documentale, che consenta in ogni momento la replicabilità».
Con riguardo alla prevenzione della corruzione, i codici rinviano alle misure contenute nel Piano triennale di prevenzione della corruzione. Specificano, altresì, gli obblighi di collaborazione dei dipendenti con il Responsabile per la prevenzione della corruzione, soprattutto con riferimento alla comunicazione di dati e segnalazioni e indicano le misure di tutela del dipendente che segnala un illecito nell’Amministrazione, in raccordo con quanto previsto dalla legge e dal Piano triennale di prevenzione della corruzione.
Con riguardo al comportamento nei rapporti privati, in servizio e con il pubblico, sono previsti vari obblighi di «comportamento nei rapporti privati» e «in servizio» e all’interno dell’organizzazione amministrativa; in particolare, l’obbligo per il dipendente, nella trattazione delle pratiche, di rispettare, salvo diverse esigenze di servizio o diversa disposizione di priorità stabilito dall’Amministrazione di appartenenza, l’ordine cronologico e di non rifiutare, con motivazioni generiche, le prestazioni a cui sia tenuto.
Inoltre, è fondamentale il «rispetto dei vincoli posti dall’amministrazione» nell’utilizzo del materiale o delle attrezzature assegnate ai dipendenti per ragioni di ufficio, anche con riferimento all’utilizzo dei servizi telematici e delle linee telefoniche dell’ufficio; quanto ai mezzi di trasporto dell’amministrazione a disposizione del dipendente è previsto che l’uso degli stessi avvenga «soltanto per lo svolgimento dei compiti d’ufficio, astenendosi dal trasportare terzi, se non per motivi d’ufficio»153.
Con riguardo ai dirigenti, viene specificato l’obbligo per gli stessi, prima di assumere le loro funzioni, di comunicare all’amministrazione «le partecipazioni azionarie e gli altri interessi finanziari» che possano porli in conflitto d’interesse con le funzioni pubbliche che svolgono; l’obbligo di fornire «le informazioni sulla propria situazione patrimoniale e le dichiarazioni annuali dei redditi soggetti all’imposta sui redditi delle persone fisiche previste dalla legge»; il dovere, nei limiti delle loro possibilità, di evitare che si diffondano notizie non rispondenti al vero sull’organizzazione, sull’attività e sugli altri dipendenti.
Queste stesse norme sono riprodotte sostanzialmente in tutti i codici delle singole pubbliche Amministrazioni, talvolta con alcune specificità peculiari, altre volte invece in maniera alquanto pedissequa.
Ad esempio, in materia di regali, singoli codici adottati dalle amministrazioni di appartenenza del dipendente possano introdurre criteri ancor più rigorosi154 prevedendo «limiti inferiori, anche fino all’esclusione della possibilità di ricevere», oppure, a seconda delle Amministrazioni, si possono trovare alcune norme particolari155.
In ogni caso, al di là delle specificità dei singoli codici, va detto che la scelta di un modello decentrato, cioè un codice nazionale valido erga omnes e diversi specifici codici per le singole amministrazioni, coniugando così l’esigenza di uniformità con quella di autonomia organizzativa, rappresenta forse la previsione più significativa di tutta la riforma, perché conferisce allo strumento del codice una straordinaria flessibilità ed una capacità di adattamento ai diversi contesti, in modo da rappresentare un’importante e imprescindibile mezzo di prevenzione e contrasto alla corruzione.
In conclusione, secondo le indicazioni del “P.N.A. 2019”, il codice costituisce un elemento complementare del P.T.P.C.T. di ogni Amministrazione. Inoltre, nei codici di amministrazione non vi deve essere una generica ripetizione dei contenuti del codice di nazionale cui al D.P.R. n. 62 del 2013 e gli stessi dovranno caratterizzarsi per un approccio concreto in modo da consentire al dipendente di comprendere, con facilità, il comportamento eticamente e giuridicamente adeguato nelle diverse situazioni critiche. Infine, la mancata adozione dei codici di comportamento da parte delle Amministrazioni è trattata dall’Autorità̀ in sede di procedimento per l’irrogazione delle sanzioni di cui all’art. 19, co. 5, del decreto legge n. 90 del 2014.
4.4 IL CONFLITTO DI INTERESSI, PERSONALE ED ISTITUZIONALE, DEI FUNZIONARI PUBBLICI: UNO DEI PRINCIPALI FATTORI DI RISCHIO
Uno dei principali fattori di rischio per l’imparzialità dei funzionari va di certo individuato nell’esistenza di conflitti di interessi che, se non adeguatamente affrontati e risolti, possono, poi, sfociare in fatti corruttivi156. Della rilevante pericolosità del conflitto di interessi vi è piena consapevolezza in molti degli Stati del mondo, nonché nelle organizzazioni internazionali.
L’ordinamento nazionale, già prima della normativa anticorruzione, si è occupato dell’argomento sotto diverse angolature; al conflitto di interessi fanno riferimento, ad esempio, norme del codice civile (in materia di rappresentanza di interessi, condominio degli edifici e, soprattutto, societaria157) persino di quello penale158.
Dell’endiadi è stata elaborata da dottrina e giurisprudenza anche una definizione, considerata valida tendenzialmente per tutti gli ambiti in cui il conflitto d’interessi è preso in considerazione; si ritiene sussistente in particolare il conflitto in presenza di un contrasto di interessi facenti capo alla stessa persona, uno dei quali di tipo istituzionale ed un altro di tipo personale159.
La dottrina declina tre diverse tipologie del conflitto: attuale, potenziale ed apparente.
Nel primo caso l’interesse privato, secondario e alieno, entra effettivamente in conflitto con l’interesse istituzionale; nel secondo, invece, l’interesse personale fa soltanto tenere un pregiudizio per quello istituzionale; nel terzo, infine, non vi è un interesse privato, secondario e alieno, che possa entrare in conflitto con quello istituzionale primario ma all’esterno emerge una situazione che quel conflitto lo fa apparire esistente160.
Sempre restando su un piano generale, si è ritenuto che l’interesse in contrasto con quello istituzionale non debba per forza avere natura patrimoniale o economica, ben potendo avere una consistenza diversa, ad esempio di natura meramente affettiva161, e possa anche non essere strettamente personale ma di soggetti legati all’agente da rapporti di parentela o di altro tipo. Sono poi le singole norme, caso per caso, ad individuare quale tipologia di conflitto di interesse debba avere rilievo nella situazione specifica.
Nel corso degli anni si sono presentate varie ragioni per occuparsi del conflitto di interessi; in dottrina si ricorda, ad esempio, come già nella seduta della Camera dei deputati del 17 luglio 1864, in occasione di uno scandalo che aveva sfiorato un parlamentare, venne votato un ordine del giorno il quale si invitava il governo a proporre una legge che disciplinasse le possibili interferenze fra interesse personale e quello pubblico collegato alla funzione di parlamentare162.
Il tema del conflitto di interessi è ritornato centrale nel dibattito politico a partire dagli anni ’90, in concomitanza con l’assunzione della carica di Presidente del Consiglio dei Ministri di un noto e facoltoso imprenditore, operante in vari settori economici e, soprattutto, in quello delle telecomunicazioni. Si discusse a lungo, in quel periodo, del rischio che l’azione politica e di governo potesse risentire, sotto vari profili, di tali molteplici interessi economici. Quel dibattito ha infine prodotto una legge163, divenuta nota come “legge Frattini” che però non si occupa del tema nei suoi aspetti generali ma, più limitatamente, dei soli conflitti di interesse dei titolari di cariche di governo164. Di quella legge165 basta qui ricordare che le precauzioni che introduce si limitano, in pratica, a sancire l’incompatibilità fra cariche di governo166 ed altri incarichi, sia pubblici che nell’ambito di imprese.
Il funzionario potrà rispondere a titolo di responsabilità civile167, per eventuali danni cagionati a terzi, in via contabile, per i danni economici cagionati con il suo comportamento all’Amministrazione ed anche penalmente.
L’art. 323 c.p., in particolare, nell’ambito della fattispecie dell’abuso ufficio, punisce il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio nello svolgimento delle funzioni o del servizio, omettendo di astenersi presenza di un interesse proprio o di un prossimo congiunto, procuri a sé un ingiusto vantaggio patrimoniale ovvero arrechi ad altri un danno. La sola omessa astensione non è sufficiente, però, ad integrare il delitto ma è necessario che essa arrechi un vantaggio all’agente o un danno a terzi168.
Sul piano dell’attività amministrativa, invece, l’atto adottato nell’ambito di un procedimento in cui un funzionario doveva astenersi e non lo ha fatto è considerato viziato; la giurisprudenza, ormai consolidata in materia, tende a qualificare il vizio in questione come eccesso di potere, sub specie dello sviamento delle funzioni169.
Con una condivisibile posizione rigorosa, i giudici amministrativi ritengono che il vizio in discussione possa essere rilevato anche se il soggetto che non si astiene faccia parte di un organo collegiale, a prescindere dalla considerazione se il suo voto sia stato o meno determinante170.
Permangono, però, in capo al funzionario possibili profili di responsabilità disciplinare, quantomeno per non avere ottemperato all’obbligo di segnalare l’esistenza del conflitto e non avere, di conseguenza, consentito all’amministrazione di valutare la necessità o meno dell’astensione.
Nella pratica attuazione è emerso anche come in alcune situazioni il dovere di astensione non solo non sia sufficiente per sterilizzare i conflitti di interesse ma possa, se lo strumento è utilizzato dal funzionario, persino cagionare una paralisi dell’attività amministrativa. Ci si riferisce a quelle ipotesi di “conflitto strutturale” che si verificano quando il funzionario sia portatore di interessi di tale ampiezza da poter, anche solo in via potenziale, interferire non con una singola attività o procedura ma con il complessivo esercizio delle funzioni pubbliche affidate.
In assenza di indicazioni legislative, escludendo l’ipotesi non rientri in una di quelle tipizzate come incompatibilità o inconferibilità, l’unico strumento per rimuovere il rischio di stasi amministrativa può essere rappresentato dallo spostamento definitivo del funzionario dal ruolo svolto da parte dei vertici dell’Amministrazione171.
CAPITOLO 5 – UNO SGUARDO ALLA TUTELA DEL WHISTLEBLOWER
SOMMARIO. 5.1 LA CORNICE ORDINAMENTALE DI RIFERIMENTO. VEDETTA CIVICA, NON DELATORE; 5.2. L’EVOLUZIONE DELLA NORMATIVA: LA PROTEZIONE PER SEGNALAZIONI AL R.P.C.T. E SOLO NELL’INTERESSE DELL’INTEGRITÀ DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE; 5.3 LE POLITICHE DI TUTELA DEL SEGNALANTE E LA GESTIONE DEI FLUSSI INFORMATIVI; 5.4 GLI APPRODI PRETORI SULLA DIMENSIONE SOGGETTIVA DEL SEGNALANTE; 5.5 IL WHISTLEBLOWING COME MISURA DI PREVENZIONE DELLA CORRUZIONE
5.1 LA CORNICE ORDINAMENTALE DI RIFERIMENTO. VEDETTA CIVICA, NON DELATORE
Nell’ordinamento italiano, la tutela del whistleblower è una materia talmente recente da non avere nemmeno un termine corrispondente con cui indicare l’istituto: si è costretti, infatti, a utilizzare una parola di origine inglese, che letteralmente significa soffiare nel fischietto. Se come affermava Heidegger, “Nessuna cosa esiste dove la parola manca”, ciò sta a indicare che si tratta di un problema culturale, prima che giuridico; non è un caso che ancora oggi è così difficile a tutti i livelli172 valutare positivamente la figura di chi denuncia, perché implicitamente accusato di tradire la fedeltà alla propria organizzazione, ai colleghi, al superiore.
Per questi motivi, non si riesce a trovare un termine italiano che contenga tutte le sfumature dell’omologo anglofono, superando l’accezione negativa di “informatore”, “talpa”, “delatore” o peggio, per porre l’accento invece sulla componente altamente etica: l’istituto del whistleblower, infatti, va assolutamente incoraggiato e incentivato, dato che può contribuire concretamente a quell’innalzamento della soglia etica del dipendente pubblico di cui si parlava nelle lezioni precedenti, trasformandolo in una “vedetta civica” attenta ai valori della legalità, in contrapposizione al non-valore di una apparente solidarietà tra colleghi che, alla fine, si traduce in una sorta di omertà173.
Una definizione quasi onomatopeica, dunque, che riesce ad esprimere un concetto per il quale, al momento e come si è visto, nella nostra lingua manca un termine idoneo a rappresentarlo174. I diversi tentativi fino ad ora esperiti, che hanno visto in campo persino l’Accademia della Crusca, non hanno prodotto alcun risultato convincente tanto che il legislatore nazionale, nel 2017, intervenendo a regolare la materia, per darne una definizione è stato costretto ad utilizzare una lunghissima circonlocuzione di oltre venti parole175. Non deve pertanto sorprendere se, in molti atti ufficiali italiani, si tende direttamente ad utilizzare il termine inglese. La questione terminologica non va sottovalutata in quanto sintomatica di un atteggiamento culturale di diffidenza nei confronti di chi collabora con le istituzioni.
Il whistleblowing è un istituto anglosassone secondo cui un individuo denuncia pubblicamente o riferisce alle autorità attività illecite o fraudolente all’interno del governo, di un’organizzazione pubblica o privata o di un’azienda e non ha un termine italiano corrispondente176.
Le rivelazioni o denunce possono essere di varia natura: violazione di una legge o regolamento, minaccia di un interesse pubblico, come in caso di corruzione e frode, gravi e specifiche situazioni di pericolo per la salute e la sicurezza pubblica.
Dal punto di vista etimologico, la parola fa riferimento all’azione «to blow the whistle» ovvero di «soffiare il fischietto» ed è riferita all’azione dell’arbitro nel segnalare un fallo o a quella di un poliziotto che tenta di fermare un’azione illegale. Altri autori fanno risalire il whistleblowing allo strumento utilizzato dai cacciatori inglesi per «stanare» le volpi, cioè un particolare tipo di fischietto.
Diacronicamente, le bocche della verità furono istituite nel 1300 a Venezia, dopo una grave congiura, al fine di raccogliere segnalazioni anche anonime. Erano collocate vicino al palazzo Ducale e potevano accedere al contenuto delle segnalazioni solo i magistrati177. Le denunzie, pur garantite dal segreto, non potevano rigorosamente essere anonime, pena la distruzione, a meno che non riferissero di casi di particolare e speciale gravità che potevano mettere in pericolo la sicurezza dello Stato.
Per il legislatore italiano, il whistleblower è un “autore di segnalazioni di reati o irregolarità”. Pertanto, con whistleblower si indica una persona che, lavorando all’interno di un’organizzazione, sia un’amministrazione pubblica che un’azienda privata, si trova ad essere testimone di un comportamento irregolare, illegale, potenzialmente dannoso per la collettività e decide di segnalarlo all’interno dell’organizzazione stessa o all’autorità giudiziaria per porre fine a quel comportamento.
Il problema di assicurare una tutela rafforzata al lavoratore che segnali una condotta illecita di cui sia venuto a conoscenza per ragioni di lavoro deve contemperare la tutela del soggetto che viene segnalato da comportamenti diffamatori e calunniosi; è per questo che il nostro ordinamento, ad esempio, non ammette le segnalazioni anonime.
In tempi moderni si utilizza il termine “whistleblowing” per definire il comportamento di un lavoratore che segnala o denuncia in maniera riservata attraverso canali predeterminati una condotta illecita di cui sia venuto a conoscenza per ragioni di lavoro.
Dal punto di vista del quadro internazionale, la tutela dei trattamenti ingiustificati del dipendente segnalante è prevista dalla Convenzione O.C.S.E. del 1997, dalla Convenzione del Consiglio di Europa del 1999, dalla Convenzione ONU contro la corruzione178.
Inoltre, il Consiglio europeo, il 7 ottobre scorso, ha formalmente adottato le nuove norme in materia di protezione degli informatori (c.d. whistleblowers). La direttiva, dopo la pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale dell’Unione europea, sarà recepita nei diversi ordinamenti nell’arco di ventiquattro mesi. La finalità del Legislatore europeo, come già avvenuto per altri temi, è creare un tessuto normativo omogeneo. L’ordinamento nazionale dovrà, dunque, far convivere la disciplina domestica con le nuove previsioni. Anche l’Italia, sebbene sia tra i dieci stati europei ad avere già una normativa in materia, dovrà comunque procedere a una riforma, viste le maggiori tutele presentate dalla norma comunitaria.
Secondo il rapporto A.N.A.C. in materia, relativo all’anno 2017, occorreva emancipare il wistleblower dalle flessioni prettamente negative, quali «spione, delatore, traditore», radicate in una certa cultura dell’omertà, comune sia alle organizzazioni private che a quelle pubbliche, dove «l’attività di segnalazione «viene percepita come un «elemento di rischio»; occorreva prevedere la tutela del soggetto segnalante da discredito e dalle misure discriminatorie.
5.2. L’EVOLUZIONE DELLA NORMATIVA: LA PROTEZIONE PER SEGNALAZIONI AL R.P.C.T. E SOLO NELL’INTERESSE DELL’INTEGRITÀ DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE
In un’ottica di concreta prevenzione della corruzione, l’istituto del whistleblower gioca, quindi, un ruolo fondamentale e, mutuato dall’esperienza di Stati Uniti e Gran Bretagna, primi paesi a disciplinare la materia, è stato regolamentato in Italia per la prima volta dalla “legge Severino”, in ottemperanza con gli obblighi internazionalmente assunti.
In realtà prima della promulgazione della “legge 190”, gli unici riferimenti normativi applicabili in materia, sebbene non assolutamente sufficienti, erano gli artt. 361 e 362 del c.p. riguardanti l’omessa denuncia di reato da parte del pubblico ufficiale e dell’incaricato di pubblico servizio179, la normativa in materia di protezione dei testimoni di giustizia180 e, nel settore privato, la legge n. 231 del 2001 che impone a tutti i destinatari del modello organizzativo specifici obblighi di segnalazione.
L’art. 1, comma 51, della legge n. 190 del 2012, invece, dispone l’inserimento all’interno del d.lgs. n. 165 del 2001 di un nuovo art. 54 bis, intitolato “Tutela del dipendente pubblico che segnala illeciti”, che sostanzialmente introduce tre concetti fondamentali: tutela dell’anonimato del denunciante, divieto di discriminazione nei confronti del whistleblower e sottrazione della segnalazione al diritto di accesso.
Nonostante l’indiscutibile passo in avanti rappresentato da questo intervento del legislatore, non sono state poche le critiche: i problemi principali riguardavano l’ambito di applicazione troppo ristretto181, un’inadeguata tutela contro atti discriminatori182 e un’inadeguata tutela della riservatezza183.
Per questi motivi si è sentita l’esigenza di una razionalizzazione e sistematizzazione della materia, con una nuova legge n. 179 del 2017 «Disposizioni per la tutela degli autori di segnalazioni di reati o irregolarità di cui siano venuti a conoscenza nell’ambito di un rapporto di lavoro pubblico o privato», che di fatto fornisce maggiori tutele al segnalante.
In primo luogo viene ampliato l’ambito soggettivo di applicazione della nuova normativa: infatti, ai sensi dell’art. 1 comma 2, non solo si va a dilatare la nozione stessa di dipendente pubblico, ricomprendendo anche il dipendente di un ente pubblico economico e il dipendente di un ente di diritto privato sottoposto a controllo pubblico ai sensi dell’articolo 2359 del c.c., ma viene estesa tale normativa anche ai lavoratori e ai collaboratori delle imprese fornitrici di beni o servizi e che realizzano opere in favore dell’amministrazione pubblica.
Si può, quindi, affermare che tutti i soggetti che, a qualunque titolo, si trovino, anche solo temporaneamente, in rapporti lavorativi con l’Amministrazione, pur senza avere la qualità di dipendente pubblico, vengano ricompresi nella tutela offerta dalla “Legge 179”, allo scopo di aumentare sempre più la capacità di far emergere, e quindi di prevenire e di sanzionare, episodi di cattiva amministrazione.
Inoltre, l’art. 2 della normativa introduce anche una tutela specifica del lavoratore dipendente da un privato datore di lavoro che segnali illeciti, andando a incidere sul d.lgs. n. 231 del 2001, che disciplina la responsabilità amministrativa e penale per le persone giuridiche.
Inoltre, si è modificato l’impianto della “Legge Severino” anche in merito ai destinatari della segnalazione: a differenza di quanto previsto dalla legge n. 190 del 2012, il dipendente non segnala più l’illecito al “superiore gerarchico”, bensì al Responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza, vista anche l’importanza del suo ruolo in un’effettiva strategia di contrasto alla corruzione.
Inoltre, l’eventuale adozione di misure ritorsive deve essere denunciata non più al Dipartimento della funzione pubblica, bensì all’A.N.A.C., che dispone di maggiori poteri sia di intervento che sanzionatori.
Per quanto riguarda, invece, l’ambito oggettivo di applicazione, a differenza della “Legge Severino”, la protezione riguarda non tutte le possibili segnalazioni di condotte illecite di cui il lavoratore è venuto a conoscenza in ragione del proprio rapporto di lavoro, ma soltanto quelle effettuate nell’interesse dell’integrità della pubblica amministrazione184.
In sostanza, come specificato dal rapporto A.N.A.C. 2017, “Prevenzione della corruzione – segnalazione di illeciti e tutela del dipendente pubblico: presentazione del secondo monitoraggio nazionale sull’applicazione del whistleblowing”, il dipendente pubblico, con le proprie segnalazioni, può richiamare l’attenzione delle autorità185 su condotte di illegalità non necessariamente riconducibili nell’ambito della corruzione esclusivamente penalistica ma intese, invece, come comprensive dei comportamenti di maladministration, allo scopo di riportare le procedure amministrative e i comportamenti dei dipendenti pubblici sui binari della legalità.
Il fatto che non esista una lista tassativa di reati o di irregolarità che possono costituire l’oggetto del whistleblowing fa sì che vengano considerate rilevanti tutte le segnalazioni che riguardano non solo non solo l’intera gamma dei delitti contro la pubblica Amministrazione di cui al Titolo II, Capo I del codice penale, ma anche tutti i comportamenti, rischi, reati o irregolarità, consumati o tentati, a danno dell’interesse pubblico186.
In ogni caso, considerato lo spirito della norma187, ad avviso dell’Autorità non è necessario che il dipendente sia certo dell’effettivo avvenimento dei fatti denunciati e dell’autore degli stessi, essendo invece sufficiente che il dipendente, in base alle proprie conoscenze, ritenga altamente probabile che si sia verificato un fatto illecito nel senso sopra indicato.
Ovviamente, non possono essere oggetto di segnalazione eventuali accertamenti di un diritto denegato al segnalante188 e nemmeno doglianze di carattere personale del segnalante o rivendicazioni/istanze che rientrano nella disciplina del rapporto di lavoro o rapporti col superiore gerarchico o colleghi: come specificato dal rapporto “A.N.A.C. 2017”, infatti, un whistleblower è tale quando si fa carico di un interesse pubblico, collettivo e non del proprio, individuale.
L’istituto servirebbe quindi per sancire una stretta collaborazione e cooperazione tra Amministrazione e pubblici dipendenti, i quali, più di tutti e meglio degli organi preposti istituzionalmente al controllo, sono in grado di rilevare se ci siano comportamenti, nell’ente di appartenenza, ascrivibili latu sensu al fenomeno corruttivo.
Si tratta, quindi, di un comportamento etico e virtuoso, di una manifestazione di senso civico attraverso cui il whistleblower contribuisce all’emersione e alla prevenzione di rischi e situazioni pregiudizievoli per l’Amministrazione di appartenenza e, di riflesso, per l’interesse pubblico collettivo.
In punto di evoluzione della normativa, come si è visto, prima della promulgazione della “Legge 190”, gli unici riferimenti normativi applicabili in materia erano gli artt. 361 e 362 del c.p. riguardanti l’omessa denuncia di reato da parte del pubblico ufficiale e dell’incaricato di pubblico servizio189, la normativa in materia di protezione dei testimoni di giustizia e, nel settore privato, la legge n° 231 del 2001190.
Quindi, la legge 6 novembre 2012, n. 190, “Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell’illegalità nella pubblica amministrazione“, introduce, per la prima volta in Italia, una norma specificamente diretta alla regolamentazione del whistleblowing nell’ambito del pubblico impiego.
Precisamente, l’art. 1, comma 51, in relazione al d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165, “Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche”, introduce dopo l’articolo 54 una nuova disposizione, l’articolo 54-bis, intitolato “Tutela del dipendente pubblico che segnala illeciti”.
Altro riferimento utile in materia è la Determinazione A.N.A.C. n. 6 del 28 aprile 2015 “Linee guida in materia di tutela del dipendente pubblico che segnala illeciti (c.d. whistleblower)”191.
Ebbene, nonostante l’indiscutibile passo in avanti rappresento dalla legge n° 190 del 2012, non sono state poche le critiche ricevute: i problemi principali riguardavano l’ambito di applicazione troppo ristretto192, una inadeguata tutela contro gli atti discriminatori193 e una inadeguata tutela della riservatezza194.
Per questi motivi si è sentita l’esigenza di una razionalizzazione e sistematizzazione della materia, con una nuova legge, n°179 del 2017 «Disposizioni per la tutela degli autori di segnalazioni di reati o irregolarità di cui siano venuti a conoscenza nell’ambito di un rapporto di lavoro pubblico o privato», che di fatto fornisce maggiori tutele al segnalante.
Va, poi, ricordato che la segnalazione è sottratta all’accesso previsto dagli articoli 22 e seguenti della legge 7 agosto 1990, n. 241.
Per quanto riguarda la questione della riservatezza, è opportuno ricordare che la normativa vigente vuole sì proteggere l’identità del segnalante, ma deve comunque garantire la sua identificabilità, per cui, considerando anche che l’istituto del whistleblowing non presenta pertanto alcuna connotazione negativa di segretezza e anonimato legati a slealtà o al tradimento di un patto di fiducia, generalmente motivato da un tornaconto o un interesse personale, la segnalazione non può essere anonima.
Le segnalazioni anonime non sono quindi ricomprese nell’ambito applicativo del citato articolo 54 bis e la loro considerazione è rimessa alla scelta della singola amministrazione.
Tuttavia sia il P.N.A. ultimo che il Regolamento A.N.A.C. del 29 marzo 2017, relativo all’esercizio dell’attività di vigilanza in materia di prevenzione della corruzione, specificano che le segnalazioni anonime, se riguardano fatti di particolare rilevanza o gravità ovvero presentano informazioni adeguatamente circostanziate, possono essere tenute in considerazione al fine di integrare le informazioni in possesso dell’ufficio nell’ambito dell’esercizio della complessiva attività di vigilanza che l’Autorità stessa svolge.
Infine, occorre riferirsi anche alla Delibera ANAC n. 469 del 9.06.2021 recante linee guida in materia di whistleblowing, ai sensi delle quali l’Autorità, qualora ritenga la segnalazione fondata nei termini chiariti dalla menzionata Delibera, in un’ottica di prevenzione della corruzione, può avviare un’interlocuzione con il Responsabile della Prevenzione della Corruzione e della Trasparenza (R.P.C.T.) dell’Amministrazione oggetto di segnalazione o disporre l’invio della segnalazione alle istituzioni competenti, quali ad esempio l’Ispettorato per la Funzione Pubblica, la Corte dei conti, l’Autorità giudiziaria, la Guardia di Finanza195.
5.3 LE POLITICHE DI TUTELA DEL SEGNALANTE E LA GESTIONE DEI FLUSSI INFORMATIVI
Con la Legge n° 190 del 2012 il whistleblower è identificato con «il pubblico dipendente che denuncia all’autorità giudiziaria o alla Corte dei conti, ovvero riferisce al proprio superiore gerarchico condotte illecite di cui sia venuto a conoscenza in ragione del rapporto di lavoro».
Tra le azioni e le misure generali e obbligatorie finalizzate alla prevenzione della corruzione è previsto che:
-
le pubbliche Amministrazioni devono adottare i necessari accorgimenti tecnici per dare attuazione alla tutela del whistleblower;
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l’adozione delle iniziative necessarie deve essere prevista nell’ambito del Piano triennale di prevenzione della corruzione (P.T.P.C.) come intervento da realizzare con tempestività;
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nel rispetto della Determinazione A.N.A.C. n. 6 del 28 aprile 2015 deve essere prevista, come ulteriore misura, la realizzazione di una procedura di tipo informatico per effettuare segnalazioni on line. Il sistema invierà automaticamente le segnalazioni al R.P.C. che assumerà le iniziative ritenute adeguate.
La Legge 30 novembre 2017, n. 179 «Disposizioni per la tutela degli autori di segnalazioni di reati o irregolarità di cui siano venuti a conoscenza nell’ambito di un rapporto di lavoro pubblico o privato», entrata in vigore il 29 dicembre 2017, costituisce un salto di qualità in materia nell’ottica di trasparenza e di prevenzione e contrasto della corruzione. Incide sulla gestione dei rapporti di lavoro sia nell’ambito pubblico sia nel settore privato attraverso l’introduzione di una tutela rafforzata dei dipendenti che segnalano reati o irregolarità.
A tal fine, il pubblico dipendente, nell’interesse dell’integrità della pubblica Amministrazione, segnala al responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza di cui all’articolo 1, comma 7, della Legge 6 novembre 2012, n. 190, ovvero all’Autorità nazionale anticorruzione (A.N.A.C.) o denuncia all’autorità giudiziaria ordinaria o a quella contabile, condotte illecite di cui è venuto a conoscenza in ragione del proprio rapporto di lavoro196.
In punto di tutela del segnalante, il dipendente che ha segnalato non può essere sanzionato, demansionato, licenziato, trasferito, o sottoposto ad altra misura organizzativa avente effetti negativi, diretti o indiretti, sulle condizioni di lavoro determinata dalla segnalazione.
Di più, l’identità del segnalante non può essere rivelata ma la tutela non è assoluta, Infatti, nell’ambito del procedimento penale, l’identità del segnalante è coperta dal segreto nei modi e nei limiti previsti dall’art. 329 del codice di procedura penale; invece, nell’ambito del procedimento dinanzi alla Corte dei conti, l’identità del segnalante non può essere rivelata fino alla chiusura della fase istruttoria. Inoltre, nell’ambito del procedimento disciplinare l’identità del segnalante non può essere rivelata, ove la contestazione dell’addebito disciplinare sia fondata su accertamenti distinti e ulteriori rispetto alla segnalazione, anche se conseguenti alla stessa. Qualora la contestazione sia fondata, in tutto o in parte, sulla segnalazione e la conoscenza dell’identità del segnalante sia indispensabile per la difesa dell’incolpato, la segnalazione sarà utilizzabile ai fini del procedimento disciplinare solo in presenza di consenso del segnalante alla rivelazione della sua identità.
Ciò detto, sotto il profilo dell’impatto organizzativo, la Legge si applica ai dipendenti pubblici, ai dipendenti degli enti pubblici economici, ai dipendenti degli enti di diritto privato sottoposti a controllo pubblico, ai sensi dell’art. 2359 c.c., ai lavoratori e collaboratori delle imprese fornitrici di beni e servizi o realizzano opere a favore dell’amministrazione pubblica197.
Le tutele previste, però, non sono garantite nei casi in cui sia accertata, anche con sentenza di primo grado, la responsabilità penale del segnalante per i reati di calunnia o diffamazione o comunque per i reati commessi con la denuncia di cui al comma 1 ovvero la sua responsabilità civile, per lo stesso titolo, nei casi di dolo o colpa grave198.
Ciò detto, l’esito dei procedimenti de quibus può sfociare, a seconda delle competenze che si ritengono toccate, in una segnalazione all’ufficio disciplinare o all’A.N.A.C. o al Dipartimento della Funzione Pubblica ovvero all’ufficio della Procura della Repubblica o a quello della Procura della Corte dei Conti.
L’adozione di misure ritenute ritorsive, nei confronti del segnalante, è comunicata in ogni caso all’A.N.A.C. dall’interessato o dalle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative nell’amministrazione nella quale le stesse sono state poste in essere.
L’A.N.A.C. informa il Dipartimento della funzione pubblica della Presidenza del Consiglio dei ministri o gli altri organismi di garanzia o di disciplina per le attività e gli eventuali provvedimenti di competenza.
Sotto il profilo strettamente sanzionatorio199, qualora venga accertata, nell’ambito dell’istruttoria condotta dall’A.N.A.C., l’adozione di misure discriminatorie, fermi restando gli altri profili di responsabilità, l’A.N.A.C. applica al responsabile che ha adottato tale misura una sanzione amministrativa pecuniaria da 5.000 a 30.000 euro. Qualora venga accerta l’assenza di procedure per l’inoltro e la gestione delle segnalazioni ovvero l’adozione di procedure non conformi, l’A.N.A.C. applica al responsabile la sanzione amministrativa pecuniaria da 10.000 a 50.000 euro. Qualora venga accertato il mancato svolgimento da parte del responsabile di attività di verifica e analisi delle segnalazioni ricevute, si applica al responsabile la sanzione amministrativa pecuniaria da 10.000 a 50.000 euro. A tal fine, l’A.N.A.C. determina l’entità della sanzione sulla base dei criteri di dimensione dell’Amministrazione o dell’ente cui si riferisce la segnalazione200.
Dal punto di vista “strutturale”, l’oggetto della segnalazione si cristallizza in condotte illecite che possono ricomprendere condotte che integrano i reati, un qualunque malfunzionamento o inquinamento dell’azione amministrativa, distorsione o abuso di un potere o di una funzione conferita a fini privati.
Le “Linee guida A.N.A.C.” in materia di whistleblowing201, citano, a titolo meramente esemplificativo, i casi di sprechi, nepotismo, demansionamenti, ripetuto mancato rispetto dei tempi procedimentali, assunzioni non trasparenti, irregolarità contabili, false dichiarazioni, violazione delle norme ambientali e di sicurezza sul lavoro.
Le condotte illecite segnalate, comunque, devono riguardare situazioni di cui il soggetto sia venuto direttamente a conoscenza «in ragione del rapporto di lavoro» e, quindi, ricomprendono certamente quanto si è appreso in virtù dell’ufficio rivestito ma anche quelle notizie che siano state acquisite in occasione o a causa dello svolgimento delle mansioni lavorative, seppure in modo casuale.
A tal proposito si tenga presente il seguente approdo del giudice amministrativo campano: “se ogni denuncia di violazione dei diritti di lavoratori scaturita da situazioni di conflitto con i superiori fosse ascritta alla fattispecie del whistleblowing (che nasce, anche storicamente, da esigenze di contrasto di fenomeni corruttivi) e di conseguenza i relativi atti fossero sottratti ad accesso ne deriverebbe una irragionevole compressione del diritto di accesso ai documenti che costituisce «principio generale dell’attività amministrativa»202.
Dal punto di vista del contenuto, il “segnalante” è tenuto ad indicare tutti gli elementi utili a consentire agli uffici competenti, ed in particolare al R.P.C.T., di procedere alle dovute ed appropriate verifiche e controlli a riscontro della fondatezza dei fatti che sono ricompresi nell’oggetto della segnalazione. A tal fine, la segnalazione deve contenere, tra li altri elementi, una valutazione del segnalante circa il fatto che lo stesso ritenga che le azioni od omissioni commesse siano penalmente rilevanti o poste in essere in violazione dei Codici di comportamento o di altre disposizioni sanzionabili in via disciplinare o suscettibili di arrecare un pregiudizio patrimoniale alla pubblica Amministrazione o agli ospiti o suscettibili di arrecare un pregiudizio all’immagine.
L’Autorità ritiene altamente auspicabile che le amministrazioni e gli enti prevedano che le segnalazioni vengano inviate direttamente al Responsabile della prevenzione della corruzione, fulcro del sistema anticorruzione, nonché il soggetto competente a svolgere una prima istruttoria circa i fatti segnalati.
Al fine di rafforzare le misure a tutela della riservatezza dell’identità del segnalante, è opportuno che le amministrazioni introducano nei “Codici di comportamento”, adottati ai sensi dell’art. 54, comma 5, del citato d.lgs. 165 del 2001, forme di responsabilità specifica sia in capo al Responsabile della prevenzione della corruzione sia nei confronti dei soggetti che gestiscono le segnalazioni e che fanno parte, per esigenze di tutela del segnalante, di un gruppo ristretto a ciò dedicato.
Si rammenta, comunque, che ai sensi dell’art. 1, co. 14, della Legge n° 190 del 2012 la violazione da parte di dipendenti dell’amministrazione delle misure di prevenzione della corruzione previste nel Piano di prevenzione della corruzione, ivi compresa la tutela del dipendente che segnala condotte illecite ai sensi dell’art. 54-bis, è sanzionabile sotto il profilo disciplinare.
Al fine di evitare che il dipendente ometta di segnalare condotte illecite per il timore di subire misure discriminatorie, è opportuno che, per un’efficace gestione delle segnalazioni, le Amministrazioni si dotino di un sistema che si componga di una parte organizzativa e di una parte tecnologica, tra loro interconnesse. La parte organizzativa riguarda, principalmente, le politiche di tutela della riservatezza del segnalante; fanno riferimento sia al quadro normativo nazionale sia alle scelte politiche e gestionali del singolo ente pubblico. La parte tecnologica concerne il sistema applicativo per la gestione delle segnalazioni; comprende la definizione del flusso informativo del processo con attori, ruoli, responsabilità e strumenti necessari al suo funzionamento.
Ebbene, l’Amministrazione dovrà prevedere le opportune cautele al fine di identificare correttamente il segnalante acquisendone, oltre all’identità, anche la qualifica e il ruolo; separare i dati identificativi del segnalante dal contenuto della segnalazione, prevedendo l’adozione di codici sostitutivi dei dati identificativi, in modo che la segnalazione possa essere processata in modalità anonima e rendere possibile la successiva associazione della segnalazione con l’identità del segnalante nei soli casi in cui ciò sia strettamente necessario.
L’amministrazione non dovrà poi permettere di risalire all’identità del segnalante se non nell’eventuale procedimento disciplinare a carico del segnalato: ciò in ragione del fatto che l’identità del segnalante non può essere rivelata senza il suo consenso, a meno che la sua conoscenza non sia assolutamente indispensabile per la difesa dell’incolpato203.
Occorre, inoltre, mantenere riservato, per quanto possibile, anche in riferimento alle esigenze istruttorie, il contenuto della segnalazione durante l’intera fase di gestione della stessa. A tal riguardo si rammenta che la denuncia è sottratta all’accesso di cui all’art. 22 e seguenti della legge n° 241 del 1990.
Ai fini della tutela della riservatezza dell’identità del segnalante, la gestione delle segnalazioni realizzata attraverso l’ausilio di procedure informatiche è preferibile a modalità di acquisizione e gestione delle segnalazioni che comportino la presenza fisica del segnalante; è in ogni caso necessario che il sistema informatico di supporto sia realizzato in maniera tale da garantire adeguate misure di sicurezza delle informazioni. A tal riguardo, oltre alla corretta identificazione del segnalante, è necessario attuare modalità di audit degli accessi al sistema, la cui consultazione deve essere riservata esclusivamente ai soggetti che ne hanno diritto. È auspicabile, in particolare, l’adozione di protocolli sicuri e standard per il trasferimento dei dati nonché l’utilizzo di strumenti di crittografia end-to-end per i contenuti delle segnalazioni e dell’eventuale documentazione allegata. È opportuno, a tal fine, che l’Amministrazione proceda a un’analisi dei rischi nella gestione delle informazioni che consenta di identificare e adottare idonee misure di sicurezza di carattere sia tecnico sia organizzativo. A tal proposito è utile l’adozione di un idoneo modello organizzativo che definisca le responsabilità in tutte le fasi del processo di gestione delle segnalazioni, con particolare riguardo agli aspetti di sicurezza e di trattamento delle informazioni.
Nell’ottica di sensibilizzare i dipendenti, il Responsabile della prevenzione della corruzione invia a tutto il personale, con cadenza periodica, una comunicazione specifica in cui sono illustrate la finalità dell’istituto del “whistleblowing” e la procedura per il suo utilizzo. Ogni amministrazione intraprende ulteriori iniziative di sensibilizzazione mediante gli strumenti che saranno ritenuti idonei a divulgare la conoscenza relativa all’istituto.
Non sono invece meritevoli di tutela le segnalazioni fondate su meri sospetti o voci: tanto perché è necessario sia tenere conto dell’interesse dei terzi oggetto delle informazioni riportate nella segnalazione, sia evitare che l’amministrazione o l’ente svolga attività ispettive interne che rischiano di essere poco utili e comunque dispendiose. In ogni caso, considerato lo spirito della norma, che è quello di incentivare la collaborazione di chi lavora all’interno delle pubbliche amministrazioni per l’emersione dei fenomeni corruttivi, non è necessario che il dipendente sia certo dell’effettivo avvenimento dei fatti denunciati e dell’autore degli stessi, essendo invece sufficiente che il dipendente, in base alle proprie conoscenze, ritenga altamente probabile che si sia verificato un fatto illecito nel senso sopra indicato. In questa prospettiva, è opportuno che le segnalazioni siano il più possibile circostanziate e offrano il maggior numero di elementi al fine di consentire all’amministrazione di effettuare le dovute verifiche.
L’A.N.A.C., sentito il Garante per la protezione dei dati personali, adotta apposite linee guida relative alle procedure per la presentazione e la gestione delle segnalazioni. Le linee guida prevedono l’utilizzo di modalità anche informatiche e promuovono il ricorso a strumenti di crittografia per garantire la riservatezza dell’identità del segnalante e per il contenuto delle segnalazioni e della relativa documentazione.
Si tenga presente, poi, che è a carico dell’Amministrazione pubblica o dell’ente interessato dimostrare che le misure discriminatorie o ritorsive, adottate nei confronti del segnalante, sono motivate da ragioni estranee alla segnalazione stessa. Gli atti discriminatori o ritorsivi adottati dall’amministrazione o dall’ente sono nulli204. A tal fine, il segnalante che sia licenziato a motivo della segnalazione è reintegrato nel posto di lavoro ai sensi dell’articolo 2 del Decreto legislativo 4 marzo 2015, n. 23.
Entrando poi nel merito della disciplina, in concreto la tutela offerta dalla legge n. 179 del 2017 si manifesta nel fatto che il segnalante è “reintegrato nel posto di lavoro” in caso di licenziamento “a motivo della segnalazione”205 e sono nulli tutti “gli atti discriminatori o ritorsivi” eventualmente adottati.
È opportuno ricordare che tra gli atti ritorsivi vanno ricompresi oltre al licenziamento e alle sanzioni disciplinari, anche il demansionamento e il trasferimento, e ogni altra misura organizzativa avente effetti negativi, diretti o indiretti sulle condizioni di lavoro determinata dalla segnalazione.
Inoltre, l’onere di “dimostrare che le misure discriminatorie o ritorsive, adottate nei confronti del segnalante, sono motivate da ragioni estranee alla segnalazione” è a carico dell’Amministrazione ex art. 54-bis, commi 7 e 8.
La tutela è poi rafforzata dalla presenza di sanzioni amministrative di diversa entità a seconda della irregolarità riscontrata che l’A.N.A.C. può imporre all’Amministrazione206.
Per quanto riguarda invece la tutela dell’identità del segnalante, la nuova legge n. 179 del 2017 offre una protezione aumentata rispetto all’impianto originario previsto dalla “legge Severino”. Infatti, quest’ultima prevedeva che, nell’ambito dell’eventuale procedimento disciplinare avviato nei confronti del soggetto segnalato, l’identità del segnalante non potesse essere rivelata senza il suo consenso, a meno che la contestazione fosse fondata, in tutto o in parte, sulla segnalazione: in questa eventualità, l’identità poteva essere rivelata solo, qualora la sua conoscenza fosse “assolutamente indispensabile per la difesa dell’incolpato”.
La nuova “Legge n. 179” invece, se da una parte aggiunge un obbligo specifico di non divulgazione dell’identità del segnalante qualora la contestazione disciplinare a carico del segnalato sia fondata su accertamenti distinti e ulteriori rispetto alla segnalazione, anche se conseguenti alla stessa, dall’altra dispone che, qualora la contestazione sia fondata, in tutto o in parte, sulla segnalazione e la conoscenza dell’identità del segnalante sia indispensabile per la difesa dell’incolpato, la segnalazione sarà utilizzabile ai fini del procedimento disciplinare solo in presenza di consenso del segnalante alla rivelazione della sua identità.
Diverso è invece il caso dell’ambito del procedimento penale: il legislatore ha stabilito che «nell’ambito del procedimento penale, l’identità del segnalante è coperta dal segreto nei modi e nei limiti previsti dall’articolo 329 del codice di procedura penale» cioè fino a quando gli atti non diventano pubblici perché ad esempio è stata emessa una misura cautelare personale.
Infine, «nell’ambito del procedimento dinanzi alla Corte dei Conti, l’identità del segnalante non può essere rivelata fino alla chiusura della fase istruttoria».
Va, poi, ribadito che la segnalazione è sottratta all’accesso previsto dagli articoli 22 e seguenti della legge 7 agosto 1990, n. 241, ex art. 54-bis, comma 4. In ogni caso, la segnalazione deve offrire il maggior numero di elementi al fine di consentire all’amministrazione di effettuare le dovute verifiche207.
Una volta effettuata la segnalazione, questa sarà esaminata per decidere se avviare o meno un’istruttoria. In caso affermativo, potrebbero essere chieste integrazioni documentali, eventuali colloqui con il whistleblower o con altri uffici dell’Amministrazione, nonché acquisizione di informazioni da soggetti esterni. Tutto questo, entro dei precisi termini di avvio e conclusione della trattazione della segnalazione, porterà a una definizione della problematica, con eventuale trasmissione all’interno dell’Amministrazione208, o all’esterno209.
Alla luce di quanto descritto finora, risulta evidente che, tra le misure obbligatorie introdotte dalla legge n. 190 del 2012 in tema di prevenzione della corruzione, sicuramente il whistleblowing presenta numerosi problemi circa la sua concreta applicazione, per problemi sia organizzativi, sia culturali, vista la resistenza a considerare l’istituto come una manifestazione di etica e senso civico e non un incentivo alla delazione.
Va, infine, ricordato che la norma sul whistleblowing è sommariamente riprodotta poi anche dal codice di comportamento dei dipendenti pubblici (D.P.R. 62 del 2013, art. 8), nonché da tutti i codici di comportamento delle singole pubbliche Amministrazioni, che prevedono un riferimento alla tutela del dipendente che effettua segnalazioni di illecito, rinviando sostanzialmente all’art. 1, comma 51, della “Legge Severino”.
5.4 GLI APPRODI PRETORI SULLA DIMENSIONE SOGGETTIVA DEL SEGNALANTE
Una recente decisione del giudice amministrativo210 pone diversi interrogativi dal momento che scandaglia la cosiddetta “dimensione soggettiva” del segnalante. Si tratta di un terreno assai minato, a dire il vero, perché coinvolge la dimensione culturale ed etica di colui o colei che supera un dilemma a volte assai pesante ed assume la decisione di rivelare fatti e circostanze illecite. Secondo il T.A.R. Campania, dunque, il whistleblowing “non è utilizzabile per scopi essenzialmente di carattere personale o per contestazioni o rivendicazioni inerenti al rapporto di lavoro nei confronti dei superiori” … …bensì è volto a tutelare l’identità del segnalante che, per ragioni di servizio, sia venuto a conoscenza di condotte illecite e le abbia segnalate nell’ottica della prevenzione e repressione della corruzione e dell’integrità all’interno della pubblica Amministrazione.
C’è da ricordare, infatti, che la recente legge n° 179 del 2017, articolo 1 comma 1, stabilisce che il pubblico dipendente segnala o denuncia “nell’interesse dell’integrità della pubblica amministrazione “, non per finalità diverse da questo.
Si aggiunga che il richiamato e “fatidico” comma 6 dell’articolo 54-bis del Decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, così come modificato dall’articolo 1 della legge 30 novembre 2017, n. 179, fa sorgere il rischio che un R.P.C.T. di un’amministrazione riceva una segnalazione ma non la qualifichi come whistleblowing, ove non rilevi un interesse personale nella vicenda, esponendosi ad una sanzione ove l’A.N.A.C. non sia d’accordo.
Sotto un altro punto di vista, secondo la suprema Corte di Cassazione211, facendo leva sul dettato dell’articolo 54 bis del d.lgs. n° 165 del 2001 introdotto dalla legge n° 190 del 2012 e, successivamente, integrato dalla Legge n° 197 del 2017, la Corte prende atto che il segnalante abbia acquisito informazioni in merito ad attività illecite sul luogo di lavoro. Da nessuna parte, nella normativa vigente, viene disciplinato, però, il caso di “attiva acquisizione di informazioni” attraverso, ad esempio, improprie attività investigative, in violazione dei limiti posti dalla legge.
Anche in questo la dimensione soggettiva fa la differenza. Infatti, il limite tra acquisizione “passiva” e “attiva” di informazioni sembra essere davvero assai labile ed ha a che fare esclusivamente con un certo “atteggiamento” del segnalante. Insomma, il “vero” whistleblower, secondo le citate pronunce del T.A.R. e della Corte di Cassazione, deve essere disinteressato ed avere a cuore unicamente il buon andamento della pubblica amministrazione. Infine, le evidenze che lo portano a segnalare gli devono cadere nelle mani, quasi per caso.
Il dipendente che si improvvisa investigatore e che testa la vulnerabilità di un sistema informatico attraverso l’accesso ai sistemi con le credenziali di altro dipendente non è protetto dalla tutela del sistema di wistleblowing212 per cui, per la Corte di Cassazione non vi è alcun obbligo per il dipendente di «attiva acquisizione di informazioni autorizzando improprie attività investigative, in violazione dei limiti imposti dalla legge”.
La Corte ha ritenuto infondato il motivo di ricorso ricordando come la normativa in tema di tutela del dipendente che segnala illeciti «si limita a scongiurare conseguenze sfavorevoli, limitatamente al rapporto di impiego, per il segnalante che acquisisca, nel contesto lavorativo, notizia di un’attività illecita, senza fondare alcun obbligo di attiva acquisizione di informazioni, autorizzando improprie attività investigative, in violazione dei limiti posti dalla legge».
La mancata previsione di tale facoltà – prosegue la sentenza – «non consente di ritenerne la configurazione neanche in forma putativa, non profilandosi come scusabile alcun errore riguardo l’esistenza di un dovere che possa giustificare l’indebito utilizzo di credenziali d’accesso a sistema informatico protetto – peraltro illecitamente carpite in quanto custodite ai fine di tutelarne la segretezza – da parte di soggetto non legittimato».
L’insussistenza dell’invocata scriminante dell’adempimento del dovere – concludono i giudici – «è fondata sui medesimi principi che, in tema di “agente provocatore”, giustificano esclusivamente la condotta che non si inserisca, con rilevanza causale, nell’iter criminis, ma intervenga in modo indiretto e marginale, concretizzandosi prevalentemente in un’attività di osservazione, di controllo e di contenimento delle azioni illecite altrui».
Va, poi, evidenziato che la maggior parte dei casi di persecuzione dei segnalatori esaminati sono caratterizzati da denunce riguardanti superiori gerarchici, mentre nel caso di denunce tra colleghi la normativa in materia di tutela del segnalatore risulta rispettata senza l’attivazione di misure di ritorsione o discriminatorie nei confronti del dipendente che, pur con le sue denunce, magari, ha attirato l’attenzione dei media ovvero costretto il dirigente ad attivarsi213.
A tal riguardo, si segnala che la Corte di Cassazione, nella prima sentenza sul whistleblowing successiva all’entrata in vigore della legge 30 novembre 2017, n. 179, ha stabilito che “la tutela della riservatezza dell’identità del segnalante non è assoluta in quanto, nell’ambito di un procedimento penale, trovano applicazione le norme previste dal codice di rito in tema di segreto, mentre, in un eventuale procedimento disciplinare, sebbene l’anonimato sia garantito dalla novella legislativa, esso può cadere qualora la conoscenza dell’identità del segnalante sia assolutamente necessaria per la difesa dell’accusato”214.
5.5 IL WHISTLEBLOWING COME MISURA DI PREVENZIONE DELLA CORRUZIONE
Le misure di prevenzione della corruzione possono essere classificate come obbligatorie o ulteriori. Nel primo caso, l’applicazione discende obbligatoriamente dalla legge o da altre fonti normative, mentre nel secondo caso, pur non essendo obbligatorie per legge, le misure sono rese obbligatorie dal loro inserimento nel Piano triennale di prevenzione della corruzione. Per la loro individuazione è opportuno stabilire un confronto mediante il coinvolgimento dei titolari del rischio.
La tempistica per l’introduzione e per l’implementazione delle misure ovviamente può essere differenziata, a seconda che si tratti di misure obbligatorie o di misure ulteriori, ma in ogni caso il termine deve essere definito perentoriamente nel P.T.P.C.
Le misure obbligatorie trovano quindi la loro definizione all’interno della “Legge Severino” e possono raggrupparsi in diverse categorie.
In primo luogo, vanno segnalate quelle misure che hanno una portata decisamente trasversale, quali la trasparenza e il codice di comportamento. Se la trasparenza è un concetto polivalente, rappresentando non solo una misura anticorruzione, ma anche un fondamento del diritto amministrativo che potremmo definire ormai elevata a rango costituzionale, da una lettura coordinata degli artt. 21, 97 e 98 cost., il codice di comportamento dei dipendenti, rappresenta oggi una giuridicizzazione dell’etica, contenendo al suo interno tutta una serie di norme che devono guidare il corretto comportamento all’interno delle pubbliche Amministrazioni.
Anche la tutela del whistleblower, in realtà, può essere considerata una misura trasversale, dal momento che la cosiddetta vedetta civica agisce dall’interno dell’amministrazione per segnalare qualunque tipo di illecito, e in questo modo contribuisce a rendere più trasparente l’amministrazione, più etico il comportamento dei dipendenti, a segnalare eventuali conflitti di interesse e, infine, a rendere necessaria l’applicazione di altre misure quali ad esempio la rotazione.
CAPITOLO 6 – UN BINOMIO DA GOVERNARE: TRASPARENZA E RESPONSABILITA’
SOMMARIO. 6.1 TRASPARENZA E ACCESSO CIVICO: IL PASSAGGIO DA LIVELLO ESSENZIALE DELLE PRESTAZIONI A COORDINAMENTO INFORMATIVO, STATISTICO E INFORMATICO DEI DATI; 6.2 IL R.P.C.T.: RISCHI DI CONDIZIONAMENTO DELL’ORGANO DI INDIRIZZO POLITICO, PROFILI DI RESPONSABILITA’ E IL RAPPORTO CON I REFERENTI.
6.1 TRASPARENZA E ACCESSO CIVICO: IL PASSAGGIO DA LIVELLO ESSENZIALE DELLE PRESTAZIONI A COORDINAMENTO INFORMATIVO, STATISTICO E INFORMATICO DEI DATI
La disciplina della pubblicità, trasparenza e diffusione delle informazioni da parte della pubblica Amministrazione è stata riordinata e sistematizzata in un primo momento con il d.lgs. n. 33 del 2013, chiamato anche “codice della trasparenza” e emanato in attuazione di quanto previsto dalla legge n. 190 del 2012.
A tal proposito, la menzionata legge n. 190 del 2012, nel conferire la delega al governo per l’emanazione del testo unico in materia di trasparenza215, ha stabilito, ex art. 1, comma 36, che le disposizioni del decreto integrano l’individuazione del livello essenziale delle prestazioni erogate dalle amministrazioni pubbliche a fini di trasparenza, prevenzione, contrasto della corruzione e della amministrazione, a norma dell’art 117, comma 2, lett. m), della Costituzione, e costituiscono altresì esercizio della funzione di coordinamento informativo statistico e informatico dei dati dell’amministrazione statale, regionale e locale, di cui all’art. 117, comma 2, lett. r), della Costituzione216.
Il decreto n. 33 del 2013 ha introdotto il concetto di accesso civico allo scopo di favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche e di promuovere la partecipazione al dibattito pubblico. Appare evidente, quindi, come questo intervento del legislatore abbia sostanzialmente rovesciato la prospettiva dell’accesso agli atti disciplinato dalla legge n. 241 del 1990, che prevedeva un accesso parziale, episodico e soggettivamente limitato, dal momento che la richiesta di accesso civico non è sottoposta ad alcuna limitazione quanto alla legittimazione soggettiva del richiedente e non deve essere motivata.
Per assicurare l’attuazione della normativa sono stati introdotti due tipi di controllo, uno a livello decentrato, dato che ogni Amministrazione deve individuare un responsabile per la trasparenza217 e, l’altro, a livello centrale, attribuito all’A.N.A.C., titolare di poteri ispettivi, sanzionatori e di segnalazione.
L’A.N.A.C., infatti, può verificare, d’ufficio o su richiesta di chiunque, l’adempimento degli obblighi di pubblicazione, ordinando la pubblicazione e, nei casi più gravi, irrogando anche sanzioni pecuniarie che vanno dai 500 ai 10.000 euro218.
Tuttavia, nel primo anno di attuazione della normativa prevista dal d.lgs. n. 33 del 2013, l’A.N.A.C. ha riscontrato diversi problemi applicativi219, riassumibili in questi tre punti:
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la sostenibilità amministrativa delle nuove disposizioni, collegata alla necessità di adattare una disciplina uniforme ad enti estremamente diversificati;
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la difficoltà di certe Amministrazioni ad adeguarsi ai nuovi principi ed istituti;
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l’oscurità del testo normativo e la ridondanza nei numerosi obblighi di pubblicazione vigenti.
La disciplina è stata, quindi, ulteriormente riformata con il d.lgs. n. 97 del 2016220, che modifica sia il d.lgs. n. 33 del 2013 (artt. 1-40), sia la legge 190 del 2012 (art. 1.41), introducendo una nuova forma di accesso civico generalizzato più ampia, molto simile al FOIA statunitense.
Se l’accesso civico previsto dal d.lgs. n. 33 del 2013 veniva considerato una sorta di sanzione di fronte a un inadempimento degli obblighi di pubblicazione da parte della pubblica Amministrazione, la nuova prospettiva prevede invece il diritto di chiunque “di accedere ai dati e ai documenti detenuti dalle pubbliche amministrazioni, ulteriori rispetto a quelli oggetto di pubblicazione”, con le sole eccezioni tassative dei limiti degli interessi pubblici e privati previsti dalla legge.
La nuova normativa, infatti, rende libero l’accesso all’informazione pubblica e agli atti della pubblica Amministrazione e ne amplia l’ambito di applicazione sia sotto il profilo soggettivo che oggettivo. Lo scopo di tale normativa è garantire l’accessibilità totale delle informazioni concernenti l’organizzazione e l’attività delle pubbliche Amministrazioni. Viene riconosciuto in questo modo un vero e proprio diritto alla trasparenza, cioè il diritto di essere informati come espressione del più generale diritto di libertà di espressione previsto dall’art. 21 Cost. L’idea alla base di questa “rivoluzione” nell’ambito del diritto amministrativo è che le pubbliche Amministrazioni siano detentrici di un potere informativo pubblico, sostanzialmente bene comune a disposizione dei cittadini che, in questo modo, possono esercitare un controllo diffuso sull’operato della pubblica Amministrazione e, di conseguenza, un’efficace azione di prevenzione e contrasto alle condotte illecite nelle Amministrazioni.
Successivamente, l’A.N.A.C. ha adottato le “Linee guida recanti indicazioni operative ai fini della definizione delle esclusioni e dei limiti all’accesso civico di cui all’art. 5 co. 2 del d.lgs. 33 del 2013” che forniscono una prima serie di indicazioni, riguardanti prevalentemente le esclusioni e i limiti del F.O.I.A.221.
Inoltre, dal momento che il “Decreto Madia” introduce una nuova disciplina in materia di obblighi di trasparenza riguardanti i titolari di incarichi politici, ampliando il novero dei soggetti interessati, l’A.N.A.C. è intervenuta nuovamente con l’emanazione di apposite linee guida per l’attuazione dei nuovi obblighi222, poi parzialmente riformata dalla Delibera 12 aprile 2017 n. 382. Va ricordato, poi, che la Corte costituzionale, con la sentenza 21 febbraio 2019, n. 20, ha dichiarato illegittima la disposizione che ha esteso a tutti i dirigenti pubblici gli obblighi di pubblicazione previsti per i titolari di incarichi politici223.
Tra le misure di prevenzione della corruzione, la trasparenza ricopre un ruolo particolare, dal momento che si tratta ormai di un vero principio generale di rango quasi costituzionale, di un paradigma delle istituzioni pubbliche224, oltre che di una misura organizzativa.
La trasparenza si oppone, infatti, alla propensione al segreto come caratteristica delle burocrazie fino a non troppo tempo fa. Sul punto, Brandeis, nel 1913, considerava la luce del sole il miglior disinfettante225, ed effettivamente, una diffusa conoscenza delle regole da parte del cittadino è un potente strumento di garanzia di comportamenti virtuosi, che si traduce così in un controllo diffuso dal basso, in grado di arginare i fenomeni di corruzione: un funzionario che sa di essere osservato, sarà più propenso a comportarsi correttamente.
Ciò detto, per trasparenza si intende, in primo luogo, la conoscenza delle regole ma anche delle procedure: se da una parte ciò alimenta il controllo democratico, grazie all’indubbia pressione dell’opinione pubblica sul funzionario (o sul politico), dall’altra la convinzione che le regole siano applicate dall’Amministrazione in modo generalizzato, con efficaci strumenti di controllo e sanzione, contribuisce a innalzare il grado di condivisione dei valori di imparzialità e di virtù pubblica presso i cittadini, creando di fatto un circolo virtuoso226.
Solo con una reale trasparenza il cittadino, infatti, riesce a essere vero detentore di quella sovranità che, in suo nome, esercitano i funzionari pubblici227.
Si parlava di quasi costituzionalità del principio della trasparenza: in realtà la nostra Costituzione non la cita espressamente, ma un riferimento implicito può comunque essere estrapolato, in primis, dall’art. 1 con l’affermazione del principio democratico e, poi, anche dall’art. 97 con il principio di imparzialità dell’Amministrazione e dall’art. 98 che pone il principio per cui i pubblici impiegati sono al servizio esclusivo della Nazione. Secondo certa dottrina, in realtà, anche l’art. 21 della Costituzione potrebbe essere utilizzato a tale scopo, interpretando la libertà di espressione come il diritto a ricercare informazioni di interesse pubblico228. Oggi un riconoscimento costituzionale del principio di trasparenza viene affermato nel decreto legislativo 33 del 2013, all’art. 1 comma 2 che stabilisce che:
“La trasparenza, nel rispetto delle disposizioni in materia di segreto di Stato, di segreto d’ufficio, di segreto statistico e di protezione dei dati personali, concorre ad attuare il principio democratico e i principi costituzionali di eguaglianza, di imparzialità, buon andamento, responsabilità, efficacia ed efficienza nell’utilizzo di risorse pubbliche, integrità e lealtà nel servizio alla nazione. Essa è condizione di garanzia delle libertà individuali e collettive, nonché dei diritti civili, politici e sociali, integra il diritto ad una buona amministrazione e concorre alla realizzazione di una amministrazione aperta, al servizio del cittadino”.
In realtà, la storia italiana della trasparenza come principio fondamentale nasce con la legge 241 del 1990, considerata all’epoca una sorta di vera e propria rivoluzione copernicana in un momento in cui era ancora dominante la propensione al segreto. Tuttavia, la trasparenza che veniva assicurata con quel testo normativo era decisamente parziale, episodica e soggettivamente limitata: non veniva riconosciuto, infatti, alcun diritto di accesso generalizzato dei cittadini ma solo un diritto di accedere a quei soggetti portatori di un proprio interesse specifico, concreto, diretto e attuale.
Una seconda tappa parimenti significativa è sicuramente stata la legge n. 150 del 2000, sulla disciplina delle attività di informazione e di comunicazione delle pubbliche amministrazioni e, poi, il codice dell’amministrazione digitale, d.lgs. 82 del 2005, il cui l’art. 54 definisce per la prima volta il contenuto obbligatorio dei siti web istituzionali della pubblica Amministrazione e, in parte, anche le riforme Brunetta di cui alla legge n. 15 del 2009.
Ancora una volta, poi, va citata a questo proposito la “Legge Severino” che, oltre a conferire al governo la delega per una nuova normativa in materia, disciplina, al comma 15 dell’art. 1, la trasparenza considerata: “livello essenziale delle prestazioni concernenti i diritti sociali e civili ai sensi dell’articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione, secondo quanto previsto all’articolo 11 del decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150”.
Di conseguenza, il sistema, avviato con la legge n. 150 del 2009, prevede la pubblicazione nei siti web istituzionali delle pubbliche Amministrazioni alcune informazioni relative ai procedimenti amministrativi, secondo criteri di facile accessibilità, completezza e semplicità di consultazione, con i limiti del segreto di Stato, del segreto d’ufficio e della protezione dei dati personali.
Con il d.lgs. n. 33 del 2013 (chiamato anche “Codice della trasparenza”), invece, si introduce il concetto di accesso civico allo scopo di favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche e sulla promozione della partecipazione al dibattito pubblico.
Interessante notare che, per assicurare maggiore efficacia alla riforma, il d.lgs. n. 33 del 2013 attribuisce all’A.N.A.C. un forte potere di vigilanza e controllo. L’A.N.A.C. infatti può verificare, d’ufficio o su richiesta di chiunque, l’adempimento degli obblighi di pubblicazione, ordinando la pubblicazione e, nei casi più gravi, irrogando anche sanzioni pecuniarie che vanno dai 500 ai 10.000 euro.
Sempre alla stessa ratio risponde poi l’unione della figura del Responsabile per la prevenzione della Corruzione con quella del “Responsabile della Trasparenza”: in questo modo si è assicurato, all’interno di ogni singola amministrazione, la presenza di un sistema di vigilanza e controllo sulle eventuali omissioni di pubblicazione del proprio ente.
La disciplina è stata ulteriormente riformata dall’entrata in vigore del d.lgs. 97 del 2016 (Decreto Madia), che modifica sia il d.lgs. n° 33 del 2013 (artt. 1-40), sia la legge 190 del 2012 (art. 1.41)229, introducendo una nuova forma di accesso civico più ampia, molto simile al F.O.I.A. statunitense230.
La nuova normativa interviene sul precedente “codice della trasparenza” rendendo libero l’accesso all’informazione pubblica e agli atti della pubblica Amministrazione ed ampliandone l’ambito di applicazione sia sotto il profilo soggettivo che oggettivo.
Dal punto di vista soggettivo, chiunque, indipendentemente dalla titolarità di situazioni giuridicamente rilevanti, può accedere a tutti i dati e ai documenti detenuti dalle pubbliche amministrazioni, nel rispetto di alcuni limiti tassativamente indicati dalla legge, cioè interessi pubblici231 e privati232 giuridicamente rilevanti.
Nella pratica, è importante sottolineare che, a differenza della legge n. 241 del 90, l’esercizio del diritto accesso non è più sottoposto ad alcuna limitazione quanto alla legittimazione soggettiva del richiedente e non è nemmeno richiesta una motivazione233.
Inoltre, il rilascio di dati o documenti in formato elettronico o cartaceo è gratuito, salvo il rimborso del costo effettivamente sostenuto e documentato dall’amministrazione per la riproduzione su supporti materiali.
Dal punto di vista oggettivo, viene rafforzata ulteriormente la trasparenza amministrativa, ampliando i dati oggetto della disciplina in modo da garantire efficaci forme di controllo diffuso da parte dei cittadini: infatti, secondo il “Decreto Madia”, al fine di tutelare i diritti dei cittadini e promuovere la partecipazione degli interessati all’attività amministrativa, deve essere garantita l’accessibilità totale dei dati e documenti detenuti dalle pubbliche Amministrazioni, dunque non limitando l’accessibilità alle sole “informazioni relative all’organizzazione e all’attività delle pubbliche Amministrazioni”.
Si comprende, quindi, come, a differenza della disciplina prevista dal d.lgs. n. 33 del 2013, l’ambito di applicazione sia più ampio in quanto ricomprende dati ulteriori rispetto a quelli a pubblicazione obbligatoria. Viene così sancita l’universale pubblicità, conoscibilità, fruizione, utilizzo e riutilizzo di documenti, informazioni e dati, oggetto di pubblicazione obbligatoria “e non”, mentre l’accesso civico riguardava solo dati a pubblicazione obbligatoria.
Tuttavia, occorre ricordare che l’istanza di accesso civico deve identificare i dati, le informazioni o i documenti richiesti; pertanto, non è ammissibile una richiesta meramente esplorativa, volta semplicemente a “scoprire” di quali informazioni l’Amministrazione dispone. Le richieste, inoltre, non devono essere generiche ma consentire l’individuazione del dato, del documento o dell’informazione, con riferimento, almeno, alla loro natura e al loro oggetto.
Parimenti, nei casi particolari in cui venga presentata una domanda di accesso per un numero manifestamente irragionevole di documenti, imponendo così un carico di lavoro tale da paralizzare, in modo molto sostanziale, il buon funzionamento dell’amministrazione, la stessa può ponderare, da un lato, l’interesse dell’accesso del pubblico ai documenti e, dall’altro, il carico di lavoro che ne deriverebbe, per salvaguardare l’interesse ad un buon andamento dell’amministrazione.
Per quanto riguarda i destinatari della disciplina, il “decreto Madia” prevede che gli obblighi in materia di trasparenza si applichino anche a ulteriori categorie di soggetti, quali gli enti pubblici economici e gli ordini professionali, le società in controllo pubblico alle società a partecipazione pubblica non maggioritaria, alle associazioni, alle fondazioni e agli enti di diritto privato comunque denominati, anche privi di personalità giuridica, con bilancio superiore a 500.000 euro, la cui attività sia finanziata in modo maggioritario, per almeno due esercizi finanziari consecutivi nell’ultimo triennio, da pubbliche Amministrazioni e in cui la totalità dei titolari o dei componenti dell’organo d’amministrazione o di indirizzo sia designata dalla pubblica Amministrazione.
Riassumendo, si può considerare che se il menzionato Decreto n. 33 del 2013 prevedeva una trasparenza proattiva, imponendo un obbligo di pubblicazione sui siti, la “riforma Madia” offre un modello di trasparenza reattiva, in risposta alle istanze di conoscenza da parte del comune cittadino o di un giornalista, a favore del quale viene comunque facilitato tutto l’iter, eliminando l’obbligo di identificare chiaramente i dati o documenti richiesti, esplicitando la prevista gratuità del rilascio di dati e documenti e prevedendo che l’accoglimento o il rifiuto dell’accesso dovranno avvenire con un provvedimento espresso e motivato.
Inoltre, in caso di diniego, il cittadino potrà richiedere il riesame della decisione al Responsabile per la Prevenzione della Corruzione o al difensore civico nelle regioni in cui è stato istituito, fatto salvo il diritto di ricorrere anche al competente Tribunale amministrativo regionale, ma con i tempi e le spese necessarie.
Alla luce di quanto evidenziato finora sembrerebbe che, almeno in teoria, il F.O.I.A. rappresenti un vero e proprio passo in avanti, soprattutto considerando come dal 1966, anno di promulgazione del F.O.I.A. statunitense, il diritto di accesso viene considerato un fondamentale principio delle nazioni democratiche ed era quindi imperativo per l’Italia adeguarsi agli standard internazionali. In realtà, però, trattandosi di una normativa ancora molto giovane in Italia non sono stati pochi i problemi applicativi.
In primo luogo, va citata la vexata quaestio del bilanciamento della trasparenza con il diritto alla privacy: in teoria sarebbe facile considerare che se le Amministrazioni pubbliche devono essere guidate dal principio di trasparenza e pubblicità, il cittadino ha diritto alla riservatezza delle informazioni che lo riguardano, soprattutto quando “dati sensibili”. Nella pratica, però, il bilanciamento tra questi due principi non è così semplice, dal momento che nelle attività della pubblica Amministrazione sono sempre coinvolti cittadini e negli atti della pubblica Amministrazione ci sono dati personali riguardanti singoli cittadini. Questo giustificava, quindi, in passato un atteggiamento di chiusura da parte della pubblica Amministrazione nei confronti delle richieste di accesso che, però, fino alle recenti riforme erano soggettivamente limitate a chi ne avesse interesse. Avendo ampliato l’ambito di applicazione soggettivo della materia, oggi la questione è diventata sicuramente più complessa e uno dei criteri utilizzabili finora è quello della pertinenza e della proporzionalità. Interessanti a tale proposito le linee guida dell’A.N.A.C. del 2016: “Linee guida recanti indicazioni operative ai fini della definizione delle esclusioni e dei limiti all’accesso civico di cui all’art. 5 co. 2 del d.lgs. 33/2013” e “Prime linee guida recanti indicazioni sull’attuazione degli obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni contenute nel d.lgs. 33/2013 come modificato dal d.lgs. 97/2016”.
In generale, si può affermare che il principio che guida l’intera normativa è la tutela preferenziale dell’interesse conoscitivo di tutti i soggetti della società civile: in assenza di ostacoli riconducibili ai limiti previsti dalla legge, le Amministrazioni devono dare prevalenza al diritto di chiunque di conoscere e di accedere alle informazioni possedute dalla pubblica Amministrazione.
In secondo luogo, va considerato il problema di una sovrapposizione tra diversi tipi di accesso: quello procedimentale o documentale previsto dalla legge 241 del 90234, l’accesso civico del d.lgs. n. 33 del 2013 o accesso civico semplice, che consente a chiunque di richiedere documenti, dati o informazioni che le Amministrazioni hanno l’obbligo di pubblicare, e l’accesso civico generalizzato che consente a chiunque di richiedere documenti, dati o informazioni ulteriori rispetto a quelli che le Amministrazioni sono obbligate a pubblicare con l’unica condizione che siano tutelati gli interessi pubblici e privati espressamente indicati dalla legge.
Come specificano le “Linee Guida A.N.A.C.”, questi due ultimi tipi di accesso, pur accomunati dal diffuso riconoscimento in capo a “chiunque”, indipendentemente dalla titolarità di una situazione giuridica soggettiva connessa, sono quindi destinati a muoversi su binari differenti. L’accesso generalizzato si delinea come affatto autonomo ed indipendente da presupposti obblighi di pubblicazione e come espressione, invece, di una libertà che incontra, quali unici limiti, da una parte, il rispetto della tutela degli interessi pubblici e/o privati indicati all’art. 5 bis, commi 1 e 2, e dall’altra, il rispetto delle norme che prevedono specifiche esclusioni ex art. 5 bis, comma 3.
La terza questione riguarda i tempi di “apprendimento” e di “adeguamento” da parte delle pubbliche Amministrazioni. In altri paesi, si pensi ad esempio alla Gran Bretagna, si è previsto un termine di quattro anni per far sì che le pubbliche Amministrazioni si adeguassero alla nuova normativa. Qui in Italia, il d.lgs. n. 33 del 2013 ha previsto il termine ordinario di quindici giorni dalla pubblicazione del decreto in gazzetta ufficiale e il “decreto madia” invece un termine maggiore di sei mesi. In ogni caso troppo poco per permettere alla pubblica Amministrazione di adeguarsi a una novità così rivoluzionaria.
D’altro canto, le citate linee guida dell’A.N.A.C. invitano le Amministrazioni ad adottare anche adeguate soluzioni organizzative, quali, ad esempio, la concentrazione della competenza a decidere sulle richieste di accesso in un unico ufficio235 che, ai fini istruttori, dialoga con gli uffici che detengono i dati richiesti.
6.2. IL R.P.C.T.: RISCHI DI CONDIZIONAMENTO DELL’ORGANO DI INDIRIZZO POLITICO, PROFILI DI RESPONSABILITA’ E IL RAPPORTO CON I REFERENTI
Il responsabile della prevenzione della corruzione (R.P.C.) è il perno della strategia anticorruzione, quantomeno nelle singole amministrazioni e da lui dipende molto del successo della strategia medesima.
La “Legge Severino” ha scelto per questo ruolo un soggetto interno all’amministrazione, in base alla condivisibile considerazione che solo chi conosce a fondo la struttura degli uffici e le loro possibili patologie può essere in grado di mappare i rischi e scegliere le misure migliori per impedire il verificarsi di illeciti.
Questa opzione, però, espone il R.P.C. a due possibili conseguenze negative, sostanzialmente opposte. La prima è quella che venga scelto sulla base di criteri di “fedeltà” con i vertici dell’organo di indirizzo politico e che, quindi, manchi della necessaria indipendenza per poter adempiere in modo adeguato alle sue funzioni. Di questo rischio né la “legge Severino” né le modifiche successive si sono fatte particolare carico, non prevedendo per la nomina specifici requisiti, né soggettivi né organizzativi, tali da assicurare la necessaria autonomia236 limitandosi a richiedere all’organo di indirizzo politico di assicurare al R.P.C. poteri idonei per lo svolgimento dell’incarico con piena autonomia ed effettività.
Ciò detto, il Responsabile della prevenzione della corruzione è una nuova figura inserita all’interno della pubblica Amministrazione dall’art. 1, comma 7, della legge n. 190 del 2012. La figura del R.P.C. è stata interessata dalle modifiche introdotte dal d.lgs. n. 97 del 2016. La nuova disciplina unifica in capo ad un solo soggetto, l’incarico di responsabile prevenzione della corruzione e della trasparenza e ne rafforza il ruolo; prevede poteri e funzioni idonei a garantire lo svolgimento dell’incarico con autonomia ed effettività, eventualmente anche con modifiche organizzative. Ora, quindi, il Responsabile viene identificato con riferimento ad entrambi i ruoli come Responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza.
I compiti del R.P.C.T. consistono nel proporre all’organo di indirizzo politico l’approvazione e le modifiche del Piano triennale di Prevenzione della Corruzione verificandone l’efficace attuazione ed idoneità, nel definire le procedure appropriate per selezionare e formare i dipendenti destinati ad operare in settori di attività particolarmente esposti alla corruzione, nel verificare l’effettiva rotazione degli incarichi negli uffici preposti allo svolgimento delle attività per le quali è più elevato il rischio che siano commessi reati di corruzione, nel pubblicare, sul sito web dell’Amministrazione, una relazione recante i risultati dell’attività svolta e trasmetterla all’organo di indirizzo, nel riferire all’organo di indirizzo politico sull’attività svolta e nel curare che, nell’Amministrazione, siano rispettate le disposizioni del d.lgs. n. 39 del 2013 sull’inconferibilità e incompatibilità degli incarichi.
Ciò detto, l’art. 1, comma 7, della legge n. 190 del 2012, come novellato, prevede che «l’organo di indirizzo individua, di norma tra i dirigenti di ruolo in servizio il responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza…»237. Viene superata la precedente disposizione che considerava, in via prioritaria, i dirigenti amministrativi di prima fascia quali soggetti idonei all’incarico. È, comunque, altamente consigliato da A.N.A.C. mantenere in capo a dirigenti di prima fascia, o equiparati, l’incarico di R.P.C.T. La nomina di un dipendente con qualifica non dirigenziale deve essere adeguatamente motivata con riferimento alle caratteristiche dimensionali e organizzative dell’ente. E’, invece, da considerare come un’assoluta eccezione la nomina di un dirigente esterno, con onere di una congrua e analitica motivazione anche in ordine all’assenza di soggetti aventi i requisiti previsti dalla legge.
Resta, quindi, ferma la sicura preferenza per personale dipendente dell’amministrazione, che assicuri stabilità ai fini dello svolgimento dei compiti. Considerata la posizione di autonomia che deve essere assicurata al R.P.C.T. e il ruolo di garanzia sull’effettività del sistema di prevenzione della corruzione, non appare coerente con i requisiti di legge la nomina di un dirigente che provenga direttamente da uffici di diretta collaborazione con l’organo di indirizzo laddove esista un vincolo fiduciario. Si evidenzia, inoltre, l’esigenza che il R.P.C.T. abbia adeguata conoscenza dell’organizzazione e del funzionamento dell’Amministrazione, sia dotato della necessaria autonomia valutativa, che non sia in una posizione che presenti profili di conflitto di interessi e sia scelto, di norma, tra i dirigenti non assegnati ad uffici che svolgano attività di gestione e di amministrazione attiva. In questa ottica va evitato, per quanto possibile, che il R.P.C.T. sia scelto tra i dirigenti assegnati a uffici che svolgono attività nei settori più esposti al rischio corruttivo, come l’ufficio contratti o quello preposto alla gestione del patrimonio.
Agli organi di indirizzo delle Amministrazioni, quindi, compete la valutazione in ordine alla scelta del R.P.C.T., compatibilmente con i vincoli posti dal legislatore in materia di dotazione organica nonché la nomina del responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza in relazione alle caratteristiche strutturali dell’ente e sulla base dell’autonomia organizzativa.
Al fine di garantire che il R.P.C.T. possa svolgere il proprio ruolo con autonomia ed effettività, come previsto dall’art. 41 del d.lgs. n. 97 del 2016, l’organo di indirizzo dispone «le eventuali modifiche organizzative necessarie per assicurare funzioni e poteri idonei» al R.P.C.T. È, dunque, altamente auspicabile, da una parte, che il R.P.C.T. sia dotato di una struttura organizzativa di supporto adeguata, per qualità del personale e per mezzi tecnici, al compito da svolgere. Dall’altra, che vengano assicurati al R.P.C.T. poteri effettivi, preferibilmente con una specifica formalizzazione nell’atto di nomina, di interlocuzione nei confronti di tutta la struttura, sia nella fase della predisposizione del Piano e delle misure sia in quella del controllo sulle stesse.
Per quanto riguarda gli aspetti organizzativi, ferma restando l’autonomia di ogni Amministrazione o ente, appare necessaria la costituzione di un apposito ufficio dedicato, ove già non costituito, allo svolgimento delle funzioni poste in capo al R.P.C.T. Ove ciò non sia possibile, è opportuno rafforzare la struttura di supporto mediante appositi atti organizzativi che consentano al R.P.C.T. di avvalersi di personale di altri uffici. Tale struttura, che potrebbe anche non essere esclusivamente dedicata a tale scopo, può, in una necessaria logica di integrazione delle attività, essere anche a disposizione di chi si occupa delle misure di miglioramento della funzionalità dell’Amministrazione. A tal riguardo, è opportuno prevedere un’integrazione di differenti competenze multidisciplinari di supporto al R.P.C.T.
Nelle modifiche apportate dal d.lgs. n. 97 del 2016 risulta evidente l’intento di rafforzare i poteri di interlocuzione e di controllo del R.P.C.T. nei confronti di tutta la struttura. Un modello a rete, quindi, in cui il R.P.C.T. possa effettivamente esercitare poteri di programmazione, impulso e coordinamento e la cui funzionalità dipende dal coinvolgimento e dalla responsabilizzazione di tutti coloro che, a vario titolo, partecipano dell’adozione e dell’attuazione delle misure di prevenzione.
In caso di ripetute violazioni del P.T.P.C. sussiste la responsabilità dirigenziale e per omesso controllo, sul piano disciplinare, se il R.P.C.T. non prova di aver comunicato agli uffici le misure da adottare e le relative modalità e di aver vigilato sull’osservanza del Piano. I dirigenti, pertanto, rispondono della mancata attuazione delle misure di prevenzione della corruzione, ove il R.P.C.T. dimostri di avere effettuato le dovute comunicazioni agli uffici e di avere vigilato sull’osservanza del Piano. Resta immutata, in capo al R.P.C.T., la responsabilità di tipo dirigenziale, disciplinare, per danno erariale e all’immagine della pubblica amministrazione, prevista all’art. 1, co. 12, della legge n. 190 del 2012, in caso di commissione di un reato di corruzione, accertato con sentenza passata in giudicato, all’interno dell’Amministrazione. Il R.P.C.T. può andare esente dalla responsabilità ove dimostri di avere proposto un P.T.P.C. con misure adeguate e di aver vigilato sul funzionamento e sull’osservanza dello stesso.
Responsabilità e sanzioni sono previste a carico del responsabile anticorruzione in caso di commissione di reato di corruzione, accertato con sentenza passata in giudicato, a meno che non provi di aver predisposto il piano e di aver vigilato sull’osservanza, secondo le seguenti declinazioni:
-
una responsabilità dirigenziale, ex art. 21 T.U. pubblico impiego ex art. 1, co. 12, legge n. 190 del 2012, con conseguente e possibile mancato rinnovo o revoca incarico;
-
una responsabilità disciplinare, con sospensione dal servizio senza retribuzione per minimo un mese, massimo sei; art. 1, comma 13, legge n. 190 del 2012;
-
una responsabilità per danno erariale e di immagine per la pubblica Amministrazione, ex art. 1, co. 12, legge n. 190 del 2012.
Sono previste, poi, responsabilità e sanzioni a carico del responsabile della prevenzione della corruzione e trasparenza per inadempimento degli obblighi pubblicazione o per mancata predisposizione del piano triennale trasparenza, a meno che lo stesso non provi che l’inadempimento è dipeso da causa a lui non imputabile, ex art. 46, del d. lgs. n. 33 del 2013: una responsabilità dirigenziale238; un’eventuale responsabilità per danno all’immagine dell’Amministrazione; un rilievo ai fini della retribuzione di risultato e trattamenti accessori collegati alle performance individuali.
Sono, inoltre, previste, responsabilità a carico del responsabile della trasparenza per violazione degli obblighi di pubblicazione dei dati sugli enti vigilati, ex art. 47, d.lgs. n.33 del 2012239.
Gli altri soggetti che potrebbero essere coinvolti nell’attuazione delle disposizioni in materia di anticorruzione e trasparenza sono:
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eventuali “referenti” del R.P.C.T.240, che devono essere individuati nel P.T.P.C. e che possono rivelarsi utili nelle organizzazioni particolarmente complesse. Fermo restando il regime delle responsabilità in capo al R.P.C.T., i referenti possono svolgere attività informativa nei confronti del responsabile, affinché questi abbia elementi e riscontri per la formazione e il monitoraggio del P.T.P.C. e sull’attuazione delle misure.
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I Responsabili degli uffici. Nelle Linee guida di cui alla determinazione n. 8 del 2015 sugli enti di diritto privato, è stata prevista la possibilità di nominare referenti del R.P.C.T. nelle società di ridotte dimensioni appartenenti ad un gruppo societario, laddove sia stata predisposta un’unica programmazione delle misure di prevenzione ex lege n. 190 del 2012 da parte del R.P.C.T. della capogruppo.
La corruzione in Italia costituisce un problema molto sentito e i dati sulla sua percezione lo confermano. Al contempo, i dati giudiziari mostrano l’insufficienza di un sistema di contrasto fondato sulla sola repressione della corruzione. Come si è visto, per porre rimedio a questa situazione, a partire dal 2012, è stata avviata una riforma che ha introdotto un grande numero di misure volte alla prevenzione della corruzione e ha portato l’A.N.A.C. ad assumere un ruolo di assoluta centralità. In tale contesto, anche l’aumento della trasparenza dell’attività amministrativa è stato considerato imprescindibile presupposto dell’integrità della stessa. Anche su questo punto la riforma dell’anticorruzione del 2012, in questa parte attuata con il successivo d.lgs. 33 del 2013241, ha introdotto importanti misure, riconducendo la trasparenza nell’alveo dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti sociali e civili di cui all’art. 117, comma 2, lett. m) della Costituzione. Oltre a precisi obblighi di trasparenza nei diversi ambiti dell’attività amministrativa242, è previsto che il piano di prevenzione della corruzione individui “specifici obblighi di trasparenza ulteriori rispetto a quelli previsti da disposizioni di legge” operando, dunque, un collegamento tra il piano di prevenzione ed il programma triennale per la trasparenza, che le Amministrazioni debbono adottare ai sensi dell’art. 11 del d.lgs. n. 150 del 2009. Sono altresì state dettate regole di trasparenza relative ai procedimenti amministrativi e a servizi on-line delle pubbliche Amministrazioni243. Utili alla prevenzione della corruzione sono, inoltre, le misure di semplificazione che negli ultimi anni sono state introdotte244, volte a ridurre la c.d. inflazione normativa che determina incertezza dei destinatari delle norme e certamente contribuisce a creare l’ambiente idoneo al malcostume. A parte le difficoltà applicative245, nella sostanza la Riforma è stata accolta con favore dalla Commissione europea246, che ha sottolineato come essa rafforzi soprattutto il profilo preventivo e superi la tradizionale e insufficiente politica di lotta alla corruzione fondata sulla mera repressione; anche l’O.C.S.E.247 ha promosso gli sforzi del Governo italiano nel definire una più efficace politica di prevenzione della corruzione nelle pubbliche amministrazioni248. Occorre tuttavia, tornare sulla necessaria distinzione tra integrità ed efficienza, che costituiscono due valori distinti dell’attività amministrativa, di cui si è accennato. Non sempre, infatti, tale distinzione ha guidato le scelte del Legislatore italiano che ha previsto misure volte alla prevenzione della corruzione senza una precisa valutazione del loro costo in termini di efficienza. Si pensi, ad esempio, all’esperienza dei piani di prevenzione della corruzione o agli obblighi di rotazione del personale che, a prescindere dai loro risultati in termini di contrasto alla corruzione, hanno indubbiamente causato ritardi ed inefficienze nell’attività amministrativa; a molti degli obblighi di trasparenza che costringono le amministrazioni a fornire dati spesso superflui, senza considerare anche che l’eccesso di dati forniti può condurre anche alla loro inutilizzabilità. Come è stato osservato, molte delle disposizioni introdotte impongono alle amministrazioni oneri rilevanti, a fronte di benefici molto limitati in termini di imparzialità e di trasparenza. Sarebbe forse stata utile una più seria analisi di impatto della regolazione, che avrebbe potuto indurre a rinunciare a qualcuna delle disposizioni introdotte o ad apportare modifiche249. E’, dunque, auspicabile un ulteriore passo in avanti, che si fondi sul capovolgimento del rapporto tra efficienza e corruzione, diverso da quello fondato sulla prevenzione della corruzione senza una valutazione del costo in termini di efficienza250. Il ragionamento può ancora partire dalla constatazione che una delle caratteristiche che distinguono le due diverse patologie dell’attività amministrativa di cui si tratta è quella della loro osservazione.
Come si è già detto, la corruzione è un fenomeno nascosto e difficilmente misurabile, essendo insufficienti, per motivi diversi, tanto i dati della corruzione percepita quanto quelli che vengono dai Tribunali. L’inefficienza, al contrario, è palese e può essere individuata nei dati disponibili, negli indicatori di performance, nel confronto tra i costi sostenuti e dei tempi impiegati dalle diverse Amministrazioni in relazione ad attività similari. Dietro i dati di inefficienza è stato ritenuto che si possano nascondere fenomeni corruttivi251 ma, tuttavia, di ciò non può aversi certezza fino a quando le indagini penali non li portino in evidenza. In ogni caso, i dati sull’inefficienza comprendono anche le inefficienze conseguenti a eventuale corruzione, dato che è ragionevole pensare che la corruzione generi inefficienza. Il fatto che la corruzione sia un fenomeno nascosto, peraltro, rende anche difficile la verifica dell’efficacia degli strumenti volti alla sua prevenzione. Al contrario, essendo l’inefficienza riscontrabile dai dati reali, l’efficacia degli strumenti volti al perseguimento dell’efficienza è più facilmente valutabile. Dunque, si può ragionevolmente sostenere che misure volte a contrastare e ridurre l’inefficienza possano avere anche l’effetto indiretto di ridurre la corruzione. Se, infatti, la corruzione corrisponde a una quota parte dell’inefficienza e dietro a questa si nasconde, il miglioramento dell’efficienza252 può ridurre gli spazi di attuazione dei patti corruttivi. L’efficienza dell’attività amministrativa appare il sistema più idoneo a creare all’interno dell’amministrazione gli anticorpi per evitare che possa generarsi la malattia della corruzione. Se si conseguisse la piena efficienza si azzererebbe lo spazio per la corruzione o, più correttamente, potrebbe permanere uno spazio solo per forme di corruzione neutrali all’efficienza253. Tali forme di corruzione rimarrebbero, ovviamente, indesiderabili sul piano etico e della moralità pubblica.
Il Legislatore, pertanto, dovrebbe perseguire l’obbiettivo dell’efficienza, nel senso della migliore spesa del denaro pubblico nel conseguimento dei risultati dell’attività (c.d. Best Value) e la realizzazione di tale obbiettivo potrebbe eliminare gli spazi di inefficienza entro i quali si nasconde e si può realizzare la corruzione. Con ciò non si vuole certo sostenere che non siano utili anche misure specifiche volte alla prevenzione della corruzione ma queste non devono avere l’effetto di determinare perdite di efficienza, creando ulteriori margini dietro ai quali proprio la corruzione si può nascondere. Detto in altri termini, la corruzione deve essere combattuta senza rinunciare all’efficienza dell’attività amministrativa. Il ragionamento può essere generalizzato anche alla disciplina della trasparenza, che il Legislatore considera come strumento per la prevenzione della corruzione e che non può diventare un ostacolo al perseguimento dell’efficienza dell’attività amministrativa quando abbia l’effetto di produrre oneri paralizzanti. Se l’obiettivo primario della regolazione deve rimanere quello dell’efficienza dell’attività amministrativa, gli altri valori quali la trasparenza e la stessa integrità devono considerarsi ad essa strumentali. Occorre, dunque, che il perseguimento di tali obiettivi strumentali non si traduca in un ostacolo al raggiungimento di quello primario, ponendosi in contrasto con l’efficienza. La trasparenza delle procedure non deve essere fine a se stessa, con l’effetto di creare inutili appesantimenti burocratici; deve invece inserirsi in una risistemazione degli strumenti di controllo, per i quali sono necessarie solo le informazioni essenziali, ed essere finalizzata a renderli più efficaci.
A tal proposito, devono essere accolte positivamente le misure di semplificazione, quando funzionali al raggiungimento di risultati. Secondo tale prospettiva andrebbero valutate le singole misure volte alla prevenzione della corruzione, con la consapevolezza che se sono fonte di inefficienza, nonostante un’astratta idoneità a contrastare la corruzione, esse creano, attraverso l’aumento dell’inefficienza dell’amministrazione, le condizioni perché si possano verificare fatti corruttivi254.
A tal proposito, la giurisprudenza ha configurato la responsabilità della pubblica Amministrazione per culpa in vigilando e in eligendo, per avere fallito nel sistema dei controlli e nella scelta dei funzionari da preporre a garanzia dell’integrità dell’attività amministrativa, con conseguente diritto al risarcimento del danno per i destinatari di tale attività. Ciò che è importante sottolineare è che, in tale ipotesi, la responsabilità attribuita all’amministrazione non discenderebbe “dalla illegittimità dell’atto adottato (che potrebbe anche essere legittimo), ma attiene al comportamento del funzionario (legato da rapporto di servizio o di ufficio), il cui comportamento illecito eventualmente causativo di danno a privati, pur svoltosi in cesura di rapporto organico (proprio perché penalmente illecito), avrebbe tuttavia potuto essere evitato attraverso un diligente esercizio del potere di scelta (recte: di preposizione organica), ovvero di vigilanza sull’operato del medesimo funzionario“. Dunque, la responsabilità dell’amministrazione per culpa in eligendo ed in vigilando si porrebbe fuori dal rapporto che lega il danno (quale conseguenza diretta) all’atto amministrativo, per il tramite del nesso di causalità, ma afferirebbe ad un più generale comportamento negligente, dal quale si afferma essere derivato un danno al privato. Detto in altri termini, la valutazione della responsabilità sembra spostarsi dall’atto all’attività amministrativa255. Al fine della valutazione dell’efficienza dell’attività amministrativa, che costituisce il presupposto dell’integrità, deve considerarsi certamente positivo il lavoro che l’A.N.A.C. sta compiendo in relazione alla standardizzazione dei costi di talune tipologie di contratti pubblici256.
E’, poi, noto che tra le cause che favoriscono la corruzione vi sia il basso grado di accountability, ovvero di rendicontabilità nell’esercizio del potere pubblico, che determina la mancanza di responsabilità dei funzionari favorita dalla la natura formalistica dei controlli sull’operato dell’amministrazione e dalla mancanza di controlli di risultato. Se il controllo si sposta sui risultati dell’attività, con corrispondente attribuzione di un premio o di una sanzione, allora si può restituire fiducia alle pubbliche Amministrazioni quanto alle procedure più idonee per il conseguimento di quel risultato. Diversamente, se il controllo non tiene conte del risultato dell’attività257 ma si fonda sulla mera legittimità dei singoli atti delle procedure, si viene a creare un clima di sfiducia, che comporta perdite di efficienza; infatti, solo il rispetto della legalità formale, indipendentemente dai risultati raggiunti, mette al sicuro il funzionario pubblico dal pericolo di subire procedimenti giudiziari e crea l’ambiente inefficiente nel quale può svilupparsi la corruzione.
Un nuovo concetto di strategia di prevenzione dovrebbe prevedere, quindi, che la lotta alla corruzione vada condotta rinforzando le politiche di prevenzione dei comportamenti deviati, agendo contemporaneamente su dimensioni individuali come la formazione e di contesto258 e avviando un processo di analisi e intervento, capace di cogliere le specificità del contesto interno ed esterno nel quale la singola Amministrazione opera.
A tal proposito, risulta utile il ricorso alla logica del risk management, selezionandole aree, gli uffici o i processi organizzativi che fanno registrare un rischio più elevato e, conseguentemente, definire delle priorità di intervento in una logica razionale di massima efficienza.
Ciò detto e guardando il rovescio della medaglia, in un completo e controverso studio sugli sforzi anti-corruzione negli USA, Frank Anechiarico e James B. Jacobs259 mostrano come la proliferazione di norme e i meccanismi di controllo volti a prevenire la corruzione possono essere, a certe condizioni, controproducenti e minare seriamente l’efficienza e l’efficacia della pubblica Amministrazione.
Vincolando la discrezionalità dei decisori, la definizione delle priorità, e appesantendo le procedure, la prevenzione della corruzione, non meno della corruzione stessa, ha contribuito alla crisi contemporanea nella pubblica Amministrazione.
Ecco, chi scrive è fermamente convinto che questo sia il vero perno per una seria novella legislativa sul tema della prevenzione della corruzione.
A tal proposito, vale la pena di ricordare che la “riforma Brunetta”, piena di vincoli e fasce, è stata scritta da economisti aziendali, così come il primo “Piano Nazionale Anticorruzione”, il patto di stabilità e molti altri documenti e prescrizioni che limitano l’azione amministrativa perché richiedono la compilazione di sterili fogli di calcolo o il mero rispetto di vincoli e indicatori.
Sotto un altro punto di vista, allo stato attuale, la normativa di disciplina dell’A.N.A.C. risulta l’esito di una significativa opera di razionalizzazione: le competenze regolatorie e di vigilanza sono rese coerenti con il quadro costituzionale, le regole in tema di gerarchia delle fonti e la divisione dei poteri.
Restano, più in generale, però i dubbi sulla scelta di fare “un codice degli appalti”, comunque lungo e tutt’altro che snello e di differirne l’attuazione, per gli aspetti più innovativi, ad atti di secondo grado.
Resta l’equivoco di fondo sulla soft law che avrebbe dovuto solo spiegare, non integrare, il codice il quale avrebbe dovuto essere, di per sé, autosufficiente.
Il sistema ha bisogno di stabilità, che non significa immobilismo, e consolidamento delle regole. Ora occorre fermarsi con le norme primarie, darvi attuazione, quanto agli aspetti più innovativi rimasti solo sulla carta. In particolare, quanto all’A.N.A.C., un più solido fondamento dei suoi poteri di autoorganizzazione, di vigilanza e sanzionatori, non ultimo il potere di autoorganizzazione quanto al personale, e l’eliminazione di istituti spuri quali le linee guida sulla qualificazione e sulle raccomandazioni vincolanti, non può che giovare al migliore svolgimento delle sue importanti funzioni.
L’A.N.A.C. può dare molto per l’efficienza e la legalità del sistema degli appalti pubblici ma non è attrezzata per i miracoli: la sua azione deve poter contare su un contesto di regole chiare e stabili, che spetta a Parlamento e Governo assicurare, e su stazioni appaltanti qualificate; nessuna vigilanza può essere efficace se permane un numero esorbitante di soggetti da vigilare.
Come sempre, sarà cruciale il ruolo della giurisprudenza amministrativa, non solo e non tanto sulle singole norme e istituti del nuovo codice, quando sulle scelte di sistema, in ordine ai temi, sopra accennati, dei limiti del sindacato sulle linee guida, dei poteri impliciti dell’A.N.A.C., della legittimazione straordinaria dell’A.N.A.C. a impugnare gli atti di gara, e, infine, in ordine al controverso rito su ammissioni e esclusioni.
Più funzioneranno gli istituti sostanziali, più saranno efficienti le stazioni appaltanti e l’A.N.A.C., meno sarà il contenzioso davanti al giudice amministrativo.
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1 Avvocato, dottore di ricerca in diritto amministrativo, dirigente ministeriale
2 Jain, 2001. “Grand corruption” (Argandoña, 2003) implica comunemente la corruzione su larga scala che si svolge a livello nazionale e comprende decisori pubblici e politici a livello centrale. “Petty corruption” è una forma di corruzione che si verifica quando sono coinvolti “piccoli attori” con risorse limitate (Rose-Ackerman, 1978, 2016; Jansics, 2013)
3R. Cantone, Il sistema della prevenzione della corruzione, G. Giappichelli Editore, 2020, pag. 2
4 I barattieri, posizionati nella quinta bolgia dell’ottavo cerchio dell’Inferno, dovevano restare totalmente immersi nella pece bollente; se provavano ad uscire anche solo con la testa, le “melebranche”, demoni alati neri, armati di bastoni uncinati, li straziavano costringendoli a rientrare nella pece.
5 Di dinamismo delle organizzazioni internazionali parla F. Cingari, Possibilità e limiti del diritto penale nel contrasto alla corruzione, in F. palazzo (a cura di), Corruzione pubblica, Firenze University Press, 2011, 24
6 Circolare n. 1 del 25/1/2013 del D.P.F.
7 Di assetto di interessi a conclusione di procedimenti, di determinazioni di fasi interne a singoli procedimenti, di gestione di risorse pubbliche.
8 Ratificata con legge n. 116 del 2009.
9 Tra cui l’Italia, che ha ratificato la Convenzione con legge n. 116 del 2009.
10 La Convenzione si articola in un Preambolo e 71 articoli suddivisi in otto titoli che disciplinano le seguenti materie: I. Disposizioni generali II. Misure preventive III. Incriminazione, individuazione e repressione IV. Cooperazione internazionale V. Recupero di beni VI. Assistenza tecnica e scambio di informazioni VII. Meccanismi di applicazione VIII. Disposizioni finali. Per un esame sintetico del contenuto degli articoli, N. Parisi, Il contrasto alla corruzione e la lezione derivata del diritto internazionale: non solo repressione, ma soprattutto prevenzione, in Dir. Com. e sc. Intern., 2016, 191.
11 Art. 5 della Convenzione.
12 Legge n. 112 del 2012 e legge n. 110 del 2012.
13 3.2.2014 – COM (2014) 38 final.
14 Contiene alcune definizioni generali tra cui quella di corruzione come “abuso di potere ai fini di un profitto privato.
15 Tra le misure ritorsive si includono:
-
licenziamento, sospensione o misure equivalenti;
-
retrocessione di grado o mancata promozione;
-
mutamento di funzioni, cambiamento del luogo di lavoro, riduzione dello stipendio, modifica dell’orario di lavoro;
-
sospensione della formazione;
-
note di demerito o referenze negative;
-
imposizione o amministrazione di misure disciplinari, nota di biasimo o altra sanzione, anche pecuniaria;
-
coercizione, intimidazione, molestie od ostracismo;
-
discriminazione, trattamento svantaggioso o iniquo;
-
mancata conversione di un contratto di lavoro a termine in un contratto di lavoro permanente, laddove il lavoratore avesse legittime aspettative di vedersi offrire un impiego permanente;
-
mancato rinnovo o la risoluzione anticipata di un contratto di lavoro a termine;
-
danni, anche alla reputazione della persona, in particolare sui social media, o perdita finanziaria, comprese la perdita di opportunità economiche e la perdita di reddito;
-
inserimento nelle liste nere sulla base di un accordo settoriale o industriale formale o informale, che possono comportare l’impossibilità per la persona di trovare un’occupazione nel settore o nell’industria in futuro;
-
conclusione anticipata o l’annullamento del contratto per beni o servizi;
-
annullamento di una licenza o di un permesso;
-
sottoposizione ad accertamenti psichiatrici o medici.
16 G. Sirianni, Le qualità dei governanti nella Costituzione, in Diritto pubblico, 1/2012.
17 A. Cerri, Fedeltà (dovere di), in Enc. giur., vol. XIV, Roma, Istit. Enc. Ital., 1989, p. 4. L’onore costituisce al tempo stesso specificazione con riguardo alle maggiori responsabilità del generale dovere di fedeltà e trova espressione nel principio di legalità ed imparzialità.
18 Corte Cost. n. 1/1999. N. Longobardi, La posizione istituzionale dell’amministrazione pubblica e la Costituzione, in Amministrazione in cammino¸ 2017, pp. 1-17.
19 Oltre all’ovvio principio di legalità: l’organizzazione delle pubbliche Amministrazioni avviene secondo le disposizioni di legge ed è quindi logicamente a queste subordinata.
20 Ad esempio, distribuzione delle competenze tra i diversi uffici in maniera razionale, utilizzando il personale sulla base degli obiettivi che devono perseguire gli stessi uffici, commisurare la propria dotazione organica all’effettiva entità dei propri servizi indispensabili, attribuzione all’amministrazione di mezzi giuridici elastici idonei a consentire il migliore proporzionamento dell’attività erogata rispetto al fine prestabilito, congruità dell’azione in relazione all’interesse pubblico con criteri di convenienza e adeguatezza e, ancora, l’obbligo di motivazione a fronte dell’esercizio di determinate attività, completezza dell’istruttoria e evitare sprechi.
21 Cons. St., sez. V, 1 aprile 2009, n. 2070
22 Quindi astensione in caso di conflitto di interessi, disciplina delle incompatibilità per cui gli amministratori non possono essere portatori di interessi personali che possano trovarsi in posizione di conflittualità o anche solo di divergenza, rispetto a quello generale e ricusazione nelle ipotesi in cui vi sarebbe dovuta essere astensione e non vi sia stata.
23 A. Cerri, op. cit., p. 105.
24 La norma è stata modificata 3 volte: nel 2005 (con l’aggiunta dei due commi centrali e dei principi europei), nel 2009 (con inclusione del principio di imparzialità) e nel 2012 (con riferimento ai soggetti privati esercenti attività amministrative).
25 Per un esame completo della normativa introdotta dalla legge anticorruzione si rinvia a B.G. Mattarella – M. Pelissero (a cura di), La legge anticorruzione, Giappichelli, 2013
26 Decreti legislativi nn. 167/2000, 165/2001, 231/2001, 163/2006
27 Ad esempio, sono stati aumentati i minimi edittali del reato di peculato, di cui all’articolo 314 del codice penale, da tre a quattro anni di reclusione; parimenti per il reato di abuso di ufficio, di cui all’articolo 323 del codice penale, prima racchiusa da un minimo di sei mesi fino al massimo di tre anni, ora ricompresa tra uno e quattro anni di reclusione. le fattispecie di corruzione per un atto contrario ai doveri di ufficio (corruzione propria), di cui all’articolo 319 del codice penale, portato da quattro ad otto anni di reclusione, a fronte della “vecchia” pena della reclusione da due a cinque anni ed è stata aumentata inoltre la pena prevista per il reato di corruzione in atti giudiziari, di cui all’articolo 319-ter del codice penale, la cui pena per il fatto previsto dal primo comma, prima racchiusa tra tre ed otto anni di reclusione, è ora ricompresa tra quattro e dieci anni, mentre, con riguardo all’ipotesi aggravata, di cui al secondo comma, il minimo edittale è stato elevato a cinque anni di reclusione, a fronte dei quattro anni precedentemente previsti e infine, da tre a quattro anni di reclusione, previsto per il reato di concussione, di cui all’articolo 317 del codice penale.
28 Art. 68, decreto legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito in legge 6 agosto 2008, n. 133
29 Decreto legge n. 101 del 2013, convertito in legge 125 del 2013
30 Così, G. Napolitano, La logica del diritto amministrativo, Il Mulino, 2018, pag. 98 e, negli stessi termini, R. Garofoli-G. Ferrari, Manuale di diritto amministrativo, in Nel diritto, 2019, 324.
31 La letteratura in materia di autorità amministrative indipendenti è vastissima. Per inquadramento generale del tema, possono qui ricordarsi, ex multis, C. Franchini, Le autorità amministrative indipendenti, in Riv. trim.dir. pubbl., 1988, 549 ss.; G. VESPERINI, Le funzioni delle autorità amministrative indipendenti, in Dir. banc., 1990, I, 415 ss.; R. Lombardi, Autorità amministrative indipendenti: funzione di controllo e funzione sanzionatoria, in Dir. amm., 1995, 629 ss.; M. D’Alberti, Autorità indipendenti (dir. Amm.), in Enc. giur., Roma, 1995, 1 ss.; S. Cassese, Le autorità indipendenti: origini storiche e problemi odierni, in S. Cassese, C. Franchini (a cura di), I garanti delle regole, Bologna 1996, 217 ss.; F. Patroni Griffi , Tipi di autorità indipendenti, in S. Cassese, C. Franchini (a cura di), I garanti delle regole – Le autorità indipendenti, cit., 55 ss.; L. Torchia, Gli interessi affidati alle autorità indipendenti, ivi, 60 ss.; F. Merloni, Fortuna e limiti delle c.d. autorità amministrative indipendenti, in Pol. dir., 1997, 639 ss.; G. Morbidelli, Sul regime amministrativo delle amministrazioni indipendenti, in A. Predieri (a cura di), Le amministrazioni indipendenti nei sistemi istituzionali ed economici, Firenze, 1997 vol. I, 145 ss.; M. Manetti, Autorità indipendenti (dir. Cost.), in Enc. giur., 1997, IV, 1 ss.; G. VERDE, Autorità amministrative indipendenti e tutela giurisdizionale, in Dir. proc. amm., 1998, 739 ss.; F. Merusi, Eguaglianza e legalità nelle autorità amministrative indipendenti, in Atti del Convegno dell’Associazione italiana dei costituzionalisti su Eguaglianza e legalità nei sistemi giuridici contemporanei, Trieste 17-19 dicembre 1998, 11 ss. del testo dattiloscritto; V. Cerulli Irelli, Autorità indipendenti: c’è bisogno di una riforma?, in “ISEA”, Roma, 2001; L. Ieva, Autorità indipendenti, tecnica e neutralità del potere, in Foro amm., 2001, 30 71 ss.; G.P. Cirillo, Appunti per una ricerca sulla natura giuridica delle autorità amministrative indipendenti, in Cons. Stato, 2002, II, 71 ss.; M. De Benedetto, Autorità indipendenti, in Dizionario di Diritto pubblico, diretto da S. Cassese, I, Milano 2006, 588 ss.; D. Borsellino, Autorità amministrative indipendenti e tutela giurisdizionale, Padova, 2006; A. Clarizia, Autorità indipendenti e ordinamento comunitario. Il sistema antitrust dopo il regolamento 1/2003, in www.giustamm.it., n. 9/2006; G. Grasso, Le autorità amministrative indipendenti della repubblica – Tra legittimità costituzionale e legittimazione democratica, Milano, 2006; F. Merusi – M. Passaro, Le autorità indipendenti, Bologna, 2006; G. Napolitano, Autorità indipendenti e agenzie amministrative, in Il diritto, vol. II, Il Sole 24 Ore, Milano, 2007, 255 ss.; M. Poto, Autorità amministrative indipendenti, in Dig. disc. pubbl., Torino, 2008, aggiorn. I, 54 ss.; N. Longobardi, Autorità amministrative indipendenti e sistema giuridico-istituzionale, Torino, 2009; M. Pierri, Autorità indipendenti e dinamiche democratiche, Padova, 2009; G. Romagnoli, Il reclamo dinnanzi alle authorities e l’azione giudiziale, in Assicurazioni, 2009, I, 23 ss.; G. Della Cananea, Complementarietà e competizione tra le autorità indipendenti, in www.federalismi.it, n. 22/2010 e in P. Barucci, C. Rabitti Bedogni (a cura di), 20 anni di Antitrust. L’evoluzione dell’Autorità garante della Concorrenza e del Mercato, Torino, 2010; B. Caravita Di Toritto, Le autorità indipendenti attraverso il prisma delle loro relazioni annuali, in www.federalismi.it, n. 16/2010; G.P. Cirillo, R. Chieppa, Le autorità amministrative indipendenti, Padova, 2010; F. Luciani (a cura di), Le autorità indipendenti come istituzioni pubbliche di garanzia, Napoli, 2011.
32 F. Giuffre, Le autorità indipendenti nel panorama evolutivo dello stato di diritto: il caso dell’Autorità nazionale anticorruzione, in I.A. Nicotra (a cura di), L’Autorità nazionale anticorruzione fra prevenzione e attività regolatoria, Giappichelli, 2016, 27, 14 ss.; P. Tanda, Controlli amministrativi e modelli di governance della pubblica amministrazione, Giappichelli, 2012, 260 e a questa stessa conclusione Cons. Stato, sez, I, 22 marzo 2010, n. 861.
33 La dottrina dominante è concorde nel ritenere che il livello di indipendenza richiesto dalla norma convenzionale non giunga alla necessità di dover considerare necessario che l’autorità anticorruzione sia configurata come un’autorità amministrativa indipendente e a questa conclusione giunge anche tenendo conto delle soluzioni adottate da altri Paesi; così, M. Del Signore-M. Ramagnoli, La prevenzione della corruzione e l’illusione di un’amministrazione senza macchia, in Riv, trim. dir. pubbl., 2019, 62; analogamente G. Sciullo, L’organizzazione amministrativa della prevenzione della corruzione, in B.G. Mattarella – M. Pelissero (a cura di), La legge anticorruzione, Giappichelli, 2013, 80, 89.
34 Cfr., in questo senso, G. Morbidelli, Sul regime amministrativo delle autorità indipendenti, in Le amministrazioni indipendenti nei sistemi istituzionali ed economici, a cura di A. Predieri, Firenze, Passigli, 1997, 165 ss., il quale ritiene utilizzabile nel caso di specie una nozione «residuale» di Amministrazione, che include ogni organo o attività che non sia chiaramente riconducibile a una funzione costituzionalmente tipizzata. Per una diversa ricostruzione che configura gli enti in parola come organi costituzionali, cfr., invece M. Passaro, Le amministrazioni indipendenti, Torino, 1996, 311 ss.
35 Si tratta, nello specifico, della sentenza Cass. Civ., sez. I, 20 maggio 2002, n. 7341, Dir. & Formazione 2002, 1711 con nota di M. Alessandrini, Legittimazione passiva del Garante per la protezione dei dati personali al giudizio dinanzi al Tribunale ordinario, in opposizione ai suoi provvedimenti ex art. 29 L. n. 675 del 1996. Con tale pronuncia, la Cassazione ha escluso in modo categorico la possibilità di riconoscere natura giurisdizionale o para-giurisdizionale alle Autorità indipendenti, affermando che l’ordinamento giuridico non conosce un «tertium genus» tra Amministrazione e giurisdizione, alle quali la Costituzione riserva rispettivamente gli artt. 111 e 97. L’affermazione viene fatta in relazione ad un giudizio davanti al Tribunale ordinario di opposizione ai provvedimenti del Garante per la protezione dei dati personali, ai sensi dell’art. 29, comma 6, della L. 31 dicembre 1996 n. 675, nel quale veniva contestata la legittimazione passiva dello stesso Garante per la privacy. Distaccandosi dall’orientamento dottrinale citato nella nota precedente, la Cassazione ha, quindi, riconosciuto la legittimazione passiva del Garante per la protezione dei dati personali nel giudizio dinanzi al Tribunale in opposizione ad un suo provvedimento. L’affermazione era già contenuta, seppur in modo più sintetico, in Cassazione n. 8889/2001 in Foro it., 2001, I, p. 2448, ove si afferma che «il fatto che nel caso che ne occupa il ricorso all’Autorità Indipendente sia alternativo e concorrente con quello all’Autorità Giudiziaria non muta la natura dell’organo, dal momento che nel nostro ordinamento non esiste un tertium genus tra Amministrazione e Giurisdizione». Nella sentenza n. 7341/2002 la Corte indica anche un elemento letterale a sostegno della sua tesi, traendo spunto dall’art. 29, comma 7, che, consente al Tribunale di revocare, modificare o, eventualmente, annullare gli atti del Garante, anche in deroga al divieto di cui all’art. 4 della L. n. 2248 del 1865, all. E. È infatti evidente che la deroga non avrebbe senso, nella mens legis, se non sul presupposto della natura amministrativa dell’organo e del suo procedimento, al quale la legge, proprio in considerazione della fragilità dei diritti della persona, toglie la protezione dalla intrusione del AGO nella attività amministrativa, altrimenti spettante. La negazione della natura giurisdizionale o para-giurisdizionale delle Autorità indipendenti, riferita dalla Cassazione al Garante della Privacy, si pone in linea con i medesimi principi affermati dal Consiglio di Stato. Partendo dal medesimo assunto da cui muove la giurisprudenza ordinaria, secondo cui, nel nostro ordinamento, delineato dalle norme costituzionali, non sarebbe configurabile un tertium genus fra Amministrazione e Giurisdizione, i supremi giudici amministrativi hanno riconosciuto natura di pubblica Amministrazione alle Autorità indipendenti (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 12 febbraio 2001, n. 652, in Cons. Stato, 2002, I, 258; Id., sez. I, 16 marzo 2011, n. 4478, in www.giustizia-amministrativa.it). In particolare, la giurisprudenza, negli ultimi anni, ha analizzato il requisito dell’indipendenza dalla prospettiva dell’autonomia (organizzatoria, finanziaria e contabile), la quale consente alle Autorità di derogare alle norme generali valide per tutte le pubbliche amministrazioni, solo però a condizione di un ragionevole e funzionale esercizio in diretta correlazione con le specificità per cui tale autonomia è stata conferita (Cons. Stato, sez. III, 5 aprile 2011, n. 2120, in Foro amm.- CDS, 2011, 1152; Id., sez. VI, 28 novembre 2012, n. 6014, ivi, 2013, 1050 ss., con nota di V. Torano, Contributo sulla definizione di « pubblica amministrazione » rilevante per l’applicazione delle disposizioni in tema di finanza pubblica; Id., sez. IV, 21 agosto 2013, n. 4231, ivi, 2013, 2045; Id., sez. VI, 7 gennaio 2014, n. 14, ivi, 2014, 138; Id, sez. VI, 30 maggio 2014, n. 2818, ivi, 2014, 1460; Id., sez. III, 21 gennaio 2015, n. 184; Id., sez. III, 2 aprile 2015, n. 1739, entrambe consultabili in www.giustizia-amministrativa.it). L’effettività del grado di autonomia e d’indipendenza è richiesta con particolare attenzione anche dalle istituzioni europee, le quali hanno messo in luce come l’autonomia funzionale di tali organismi è condizione necessaria affinché possa ritenersi soddisfatto il criterio d’indipendenza richiesto dall’art. 28, par. 1, comma 2, Dir. 24 ottobre 1995, 95/46/CE (cfr. Corte di Giustizia, Grande sez., 9 marzo 2010, C-518/07, EU:C:2010:125; Id., Corte di Giustizia, 8 aprile 2014, C-288/12, EU:C:2014:237. Su tale specifico aspetto cfr., in dottrina, M. Granieri, Sulla c.d. tutela paragiurisdizionale dei diritti di fronte alle autorità amministrative indipendenti – Il caso del garante dei dati personali, in Foro it., 2000, I, c. 651 ss.) Va, peraltro, ricordato che lo stesso legislatore, in uno dei pochi interventi, in cui ha fatto espresso riferimento in via generale al fenomeno in questione, ha utilizzato il termine «autorità amministrative indipendenti», a conferma della natura amministrativa di tali soggetti: ci si riferisce all’art. 119, comma 1, lett. b), c.p.a., in cui è stato trasfuso l’art. 23 bis della l. Tar, cit., che include le controversie aventi ad oggetto i provvedimenti delle Autorità amministrative indipendenti tra quelle assoggettate al rito abbreviato introdotto dalla medesima disposizione.
36 Basti al riguardo ricordare che, nel 2016, l’Italia è risultata il secondo fra i Paesi dell’Unione europea per il tasso di corruzione percepita: è quanto emerso dal Corruption Perception Index 2016 di Transparency International (consultabile in www.transparency.org), che riporta le valutazioni degli osservatori internazionali sul livello di corruzione percepito in 176 Paesi del mondo. L’indice 2016 colloca l’Italia al 60esimo posto della classifica generale, ultimo tra i Paesi del G7 e penultimo tra gli Stati membri dell’Unione europea (seguito solo dalla Grecia). L’incidenza del fenomeno corruttivo desta, inoltre, una particolare preoccupazione quando si cerca di valutarne gli effetti nell’ambito degli appalti pubblici, che rappresentano circa il 7% del PIL nazionale e che risultano oltremodo importanti per la ripresa economica del Paese: per un’idea della consistenza del fenomeno nel settore dei contratti pubblici si vedano gli esiti del sondaggio Flash Eurobarometro 2013 illustrati da G. Fidone, La corruzione e la discrezionalità amministrativa: il caso dei contratti pubblici, in Giorn. dir. amm., 2015, 326-327. In argomento, v. anche F. Di Cristina, La corruzione negli appalti pubblici, in Riv. trim. dir. pubbl., 2012, 179 ss.; M.A. Cabiddu, L’ordinaria emergenza della corruzione: strumenti di contrasto tra breve e lungo periodo, in Dir. P.A., 2014, 5 ss
37 Occorre, d’altro canto, considerare che la stessa Autorità sta mostrando di avere accolto la scelta del legislatore di tenere distinta la vigilanza in materia di prevenzione della corruzione e trasparenza da quella in materia di contratti pubblici. È quanto emerge dall’esame dell’architettura organizzativa disegnata in attuazione del processo di riordino avviato dal d.l. n. 90/2014, cit., la quale mostra chiaramente la tendenza a contemplare la trasparenza e la prevenzione alla corruzione come veri e propri settori (cui sono attribuiti distinti uffici per ciascuna tipologia di vigilanza), al pari degli appalti pubblici.0
38 Su cui G. Sciullo, L’alto commissario per la prevenzione e il contrasto della corruzione e delle altre forme di illecito nella pubblica amministrazione, in L. Vandelli (a cura di), Etica pubblica e buona amministrazione. Quale ruolo per i controlli? Milano, 2009, 71 ss.
39 Art. 1, comma 2 lett. g), l. 190 del 2012
40 Tale valutazione è resa con attenzione alle nuove preclusioni che vietano ai dipendenti, che negli ultimi tre anni di servizio hanno esercitato poteri autoritativi o negoziali per conto delle pubbliche amministrazioni, di svolgere, nei tre anni successivi alla cessazione del rapporto di pubblico impiego, attività lavorativa o professionale presso i soggetti privati destinatari dell’attività della pubblica amministrazione svolta attraverso i medesimi poteri. Si confronti sul punto l’art. 16-ter introdotto nel testo dell’art. 53 del d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165. La stessa previsione sanziona con la nullità i contratti conclusi e gli incarichi conferiti in violazione e vieta ai soggetti privati che li hanno conclusi o conferiti di contrattare con le pubbliche amministrazioni per i successivi tre anni, con obbligo di restituzione dei compensi eventualmente percepiti e accertati ad essi riferiti
41 Art. 19, comma 9, decreto legge 90 del 2014. L’A.N.A.C. partecipa a protocolli d’intesa stipulati con Guardia di Finanza, Dipartimento delle politiche comunitarie, Dipartimento di Ragioneria dello Stato e sussistono rapporti di collaborazione con la Procura della Corte dei Conti. Dell’attività svolta l’Autorità redige periodicamente delle relazioni delle quali da conto alle camere Parlamentari e Governo, potendo altresì presentare proposte di modifiche della normativa afferente alle funzioni svolte.
42 In data 15.07.2014, è stato adottato di concerto tra l’A.N.A.C. e il Ministro dell’Interno un Protocollo di intesa contenente Linee Guida per l’avvio di un circuito stabile e collaborativo tra A.N.A.C. – Prefetture UTG – Enti Locali, per la prevenzione dei fenomeni di corruzione e l’attuazione della trasparenza amministrativa
43 Sul ruolo di A.N.A.C. nel nuovo Codice dei Contratti, tra gli altri: Cantone R. – Merloni F. (a cura di), La nuova Autorità Nazionale Anticorruzione, 2015, Giappichelli; Nicotra I. A. (a cura di), L’Autorità Nazionale Anticorruzione – Tra prevenzione e attività regolatoria, 2016, p. 14 ss.; Longobardi N., L’Autorità Nazionale Anticorruzione e la nuova normativa sui contratti pubblici, in Diritto e processo amministrativo, 2017, fasc.1, p. 20 ss.; Cassese S., Il ruolo dell’A.N.A.C. nel Codice dei contratti pubblici in Cerimonia di chiusura dodicesima edizione master in procurement management, 11 Ottobre 2017; De Nictoslis R, I poteri dell’A.N.A.C. dopo il correttivo, in Giustamm.it, 2017; Greco R., Il ruolo dell’A.N.A.C. nel nuovo sistema degli appalti pubblici, in www.giustamm.it, 2016.
44 Art. 213 comma 2, d.lgs. 50/2016. Molte disposizioni puntuali del Codice di cui al d.lgs. 50/2016 assegnano all’A.N.A.C. il compito della redazione di specifiche linee guida che vanno ad integrare la disciplina degli istituti previsti dalle stesse disposizioni. In dottrina: Licciardello S., Prime note sulla funzione di regolazione dell’A.N.A.C. nel nuovo codice degli appalti, in federalismi.it, 2016, p. 2 ss.; Chiti M. P., Il sistema delle fonti nella nuova disciplina dei contratti pubblici, in Giornale di Diritto Amministrativo, 2016, Fasc. 4, pp. 436-439; Deodato C., Le linee guida dell’A.N.A.C.: una nuova fonte del diritto?, in www.giustizia-amministrativa.it, 2016, p. 6; Torchia L., La regolazione del mercato dei contratti pubblici, in Rivista della regolazione dei mercati, 2016, Fasc. 2 ; Chimenti M. L., Nuovo diritto degli appalti e Linee Guida A.N.AC., 2016, Nel Diritto Editore, pp. 48- 53; Valguzza, La regolazione strategica dell’Autorità Nazionale Anticorruzione, in Rivista della regolazione dei mercati, 2016, Fasc. 1 ; Mari N., Linee guida A.N.A.C.: la soft law e la gerarchia delle fonti in www.italiappalti.it, 2017, pp. 2-8
45 Sull’A.N.A.C. v. AA.VV., L’autorità nazionale anticorruzione. Tra prevenzione e attività regolatoria (a cura di I. Nicotra), Giappichelli, Torino, 2016; R. Cantone – F. Merloni (a cura di), La nuova Autorità nazionale anticorruzione, Torino, 2015; E. D’Alterio, Regolare, vigilare, punire, giudicare: l’Anac nella nuova disciplina dei contratti pubblici, in Giorn. dir. amm. n. 4/2016, 499 ss.; N. Longobardi, L’Autorità nazionale anticorruzione e la nuova normativa sui contratti pubblici, relazione al convegno “Codice 50: atto secondo”, IGI – Roma, 14.6.2016; R. Greco, Il ruolo dell’ANAC nel nuovo sistema degli appalti pubblici, in www.giustizia-amministrativa.it, 29.12.2016.
46 Tali sono quelli di tenuta di albi, quale quello delle SOA, dei commissari di gara, degli arbitri, quello delle stazioni appaltanti con società in house, e il compito della gestione del sistema di qualificazione).
47 S. Sticchi Damiani, I nuovi poteri dell’Autorità Anticorruzione, in Il Libro dell’anno del diritto (2015), Treccani.it
48Specificando i requisiti di nomina del Presidente e dei componenti, prevedendo la non rinnovabilità del mandato
49 Ad esempio, poteri monocratici del Presidente
50 Per potere amministrativo implicito si intende quel potere “che, pur non previsto dalla legge, corre, però, “parallelamente” ad un potere autoritativo tipico viceversa espressamente conferito da una norma ad un organo amministrativo e che è legato da un nesso di strumentalità con l’oggetto materiale e con l’interesse cui si riferisce il potere esplicito”, così N. Bassi, Principio di legalità e poteri amministrativi impliciti, Giuffrè, 2001, 102; sul l’argomento, ex multis, M. Corradino, Manuale di diritto amministrativo, Cacucci, 2018, 54, a cui si rinvia anche per i riferimenti alla giurisprudenza in materia.
51 Così, ex multis, Cons. Stato, comm. spec., 14 settembre 2016, n. 1920 e Cons. Stato, comm. spec., 2 agosto 2016, n. 1767.
52 Ex plurimis, G. Morbidelli, Linee Guida dell’A.N.A.C.: comandi o consigli, in Dir. Amm., 2016 303; C. Benetazzo, I nuovi poteri “regolatori” e di precontenzioso dell’ANAC nel sistema europeo delle Autorità indipendenti, in Federalismi.it, 28 febbraio 2018, 47; F. Cintioli, Il sindacato del giudice amministrativo sulle linee guida, Dir. Proc. Amm., 2017, 407; secondo P. Pantalone, Autorità indipendenti e matrici della legalità, ES, 2018, 13, “con riguardo ai poteri normativi o ‘regolamentari [delle autorità indipendenti] non pare si possa contestare il fondamento in presenza di una norma legislativa attributiva del relativo potere“.
53 La giurisprudenza, a partire dal parere del Consiglio di Stato sul d.lgs. n. 50/2016, ha ricondotto le linee guida vincolanti alla categoria dei c.d. “atti di regolazione” della autorità indipendenti (Cons. St., parere n. 855/2016, cit., pp. 39 ss.). Tale impostazione è stata criticata dalla dottrina, la quale ha evidenziato le rilevanti differenze tra ANAC e le altre autorità indipendenti ed ha ritenuto preferibile qualificare le linee guida come regolamenti natura normativa (cfr. F. Cintioli, Il sindacato del giudice amministrativo sulle linee guida, sui pareri del c.d. precontenzioso e sulle raccomandazioni di ANAC, in Dir. Proc. Amm., 2017, II, pp. 381 ss.; F. Marone, Le linee guida dell’Autorità Nazionale Anti-Corruzione nel sistema delle fonti, in Riv. Trim. Dir. Pubbl., 2017, III, pp. 743 ss.; G. Morbidelli, Linee guida dell’ANAC: comandi o consigli? in Dir. Amm., 2016, III, pp. 273 ss.; C. Deodato, “L’attuazione normativa del Codice dei contratti pubblici: configurazione giuridica, struttura e questioni applicative”, in Foro Amm., 2018, IX, pp. 1559 ss.; A. Nardone, I poteri di vigilanza, controllo e regolazione dell’ANAC: natura giuridica e strumenti di tutela, in Foro Amm., 2019, VI, pp. 1131 ss., par. 2. Sempre su analogie e differenze tra l’ANAC e la regolazione delle altre autorità indipendenti si vedano M. Passalacqua, Soft law per la regolazione del mercato dei contratti pubblici, in Conc. e Merc., 2017, pp. 173 ss.; L. Torchia, La regolazione del mercato dei contratti pubblici, in www.rivistadellaregolazionedeimercati.it, 2016, II, pp. 72 ss.).
54 Cfr. Cons. St., comm. spec., parere n. 1435, 31.05.2018; Cons. St., comm. spec., parere n. 1767, 02.08.2016, par. 4.2. Di soft law si parla anche in G. DI GASPARE, Appalti e criminalità organizzata, in Amministrazione in Cammino, 21.05.2020, p. 8
55 B. Boschetti, Soft law e normatività: un’analisi comparata, in www.rivistadellaregolazionedeimercati.it, 2016, II, p. 33; si veda anche V. S. SNYDER, Soft law and International practice in the European Community, in S. MARTIN, The construction of Europe: essays in honour of Emile Noel, Kluwer Academic Publishers, Dordrecht, 1994, pp. 197-198.Si vedano sul punto R. BIN, Soft law, no law, in A. SOMMA (a cura di), Soft law e hard law nelle società postmoderne,Torino, Giappichelli, 2009 pp. 33 ss.; G. Morbidelli, Degli effetti della soft law, in www.rivistadellaregolazionedeimercati.it, 2016, II, pp. 1 s
56F. Marone, Le linee guida dell’Autorità Nazionale Anti-Corruzione, in Riv. Trim. Dir. Pubbl., 2017, III, pp. 743 ss, par. 6. In sostanza, come sostenuto a proposito della soft law da B. Boschetti, Soft law e normatività, in www.rivistadellaregolazionedeimercati.it, 2016, II, p. 48, “La soft law resta non vincolante, ma la non-compliance è resa più costosa (e, dunque, disincentivata)”.
57 Tematica ben approfondita in M. Cafagno, Contratti pubblici, responsabilità amministrativa e “burocrazia difensiva”, in Il diritto dell’economia, 2018, III, pp. 652 ss.; sul rischio che le linee guida contribuiscano a paralizzare l’attività amministrativa si veda S. Cassese, Che cosa resta dell’amministrazione pubblica? in Riv. Trim. Dir. Pubbl., 2019, I, par. 2.
58 N. Bobbio, Due variazioni sul tema dell’imperativismo, in Riv.Int. Fil. Dir., 1960, 71.
59 Cfr. Cons. St., sez. atti normativi, parere n. 3235, 27.12.2019.
60 Cfr. Cons. St., Ufficio Studi, Autorità indipendenti e sindacato giurisdizionale, 2017, p. 36, in www.giustizia-amministrativa.it.
61 Cfr. Cons. St., sez. V, sent. n. 7805, 13.11.2019; conformi, tra le altre, Cons. St., sez. V, sent. n. 6026, 22.10.2018; TAR Lazio, sez. I, sent. n. 8678, 03.07.2019.
62 G. Martino, Le linee guida non vincolanti dell’Autorità Nazionale Anti-Corruzione: soft law with hard effects, in Amministrazione in Cammino, 2020
63 Cons. St., sez. affari normativi, comm. spec., 1.4.2016 n. 855.
64 Cons. St., sez. affari normativi, comm. spec., 2.8.2016 n. 1767 reso su tre linee guida A.N.A.C.: R.U.P., O.E.P.V., S.I.A.
65 V. Italia, Le linee guida del codice degli appalti pubblici, relazione tenuta presso l’IGI il 9.2.2016; C. Deodato, Le linee guida dell’ANAC: una nuova fonte del diritto, in www.giustizia-amministrativa.it, 29.4.2016; G. Morbidelli, Linee guida dell’ANAC: comandi o consigli’, Relazione tenuta a Varenna il 22.9.2016; F. Cintioli, Il sindacato del giudice amministrativo sulle linee guida di ANAC, Relazione tenuta al convegno “L’amministrazione pubblica nella prospettiva del cambiamento: il codice dei contratti e la riforma “Madia”, Lecce, 28-29.10.2016.
66 Secondo quello che dovrebbe essere, in astratto, il proprium delle linee guida, intese come una sorta di “istruzioni per l’uso”.
67 Anche se esse dovessero apparire “prescrittive”, magari perché riproducono una disposizione del precedente regolamento attuativo
68 Ad esempio, un provvedimento di esclusione adottato dalla stazione appaltante fondandosi sulle linee guida A.N.A.C.
69 Un’ammissione, esclusione, aggiudicazione in una gara di appalto.
70 Afferma C. Deodato, Nuove riflessioni sull’intensità del sindacato (…), op. cit., che nel sindacato del g.a. sui regolamenti “è necessario, tuttavia, che lo scrutinio giurisdizionale dei profili di ragionevolezza resti circoscritto alla verifica di manifeste deviazioni dai canoni di razionalità e proporzionalità ai quali rimane soggetta anche l’attività normativa secondaria, ché altrimenti produrrebbe l’inaccettabile effetto di consentire al giudice di sostituirsi all’autorità titolare del potere regolativo nella scelta dell’opzione di intervento
liberamente giudicata più opportuna. Ma, con l’esclusione della patologica ipotesi da ultimo menzionata, l’analisi della ragionevolezza della scelta regolatoria, pur nel rispetto dei vincoli recati dalla disposizione legislativa di riferimento, non può intendersi preclusa al giudice amministrativo, dovendo, anzi, ritenersi naturalmente compresa nell’oggetto del giudizio,
nella misura in cui attiene direttamente al controllo del corretto esercizio della funzione pubblica giudicata (ancorché avente carattere normativo).”.
71 Nella specie, l’A.N.A.C. aveva ordinato a una amministrazione di revocare un incarico
72 Cfr. T.A.R. Lazio – Roma, I, 14.11.2016 n. 11270: “Come noto, il principio di legalità dell’azione amministrativa, di rilevanza costituzionale (artt. 1, 23, 97 e 113 Cost.), impone che sia la legge a individuare lo scopo pubblico da perseguire e i presupposti essenziali, di ordine procedimentale e sostanziale, per l’esercizio in concreto dell’attività amministrativa. Ne discende che il contenuto dei poteri spettanti all’Autorità nell’ambito dei procedimenti per il conferimento di incarichi va ricercato, quanto meno per i suoi profili essenziali, nel dato normativo primario, non essendo consentito il ricorso ad atti regolatori diversi, quali le linee guida o altri strumenti di cd. soft law, per prevedere l’esercizio di poteri nuovi e ulteriori, non immediatamente percepibili dall’analisi della fonte legislativa”. L’art. 16, d.lgs. n. 39/2013 “(…) delinea chiaramente il ruolo e i compiti dell’ANAC in materia di inconferibilità di incarichi e li descrive nei termini dell’esercizio di un generale potere di vigilanza, rafforzato attraverso il riconoscimento di forme di dissuasione e di indirizzo dell’ente vigilato, che possono financo condurre alla sospensione di un procedimento di conferimento ancora in fieri ma che non possono comunque mai portare alla sostituzione delle proprie determinazioni a quelle che solo l’ente vigilato è competente ad assumere. (…)
Giova sottolineare, sul punto, che la circostanza che, nella presente controversia, il potere di generale vigilanza ed indirizzo dell’Autorità abbia sconfinato i suoi propri limiti di esercizio trova ulteriore conferma nella circostanza che l’ANAC, nell’esercizio del suo potere di “ordine”, non ha neppure provveduto ad esplicitare le ragioni per cui non riteneva corrette le valutazioni svolte dal RPC sulla conferibilità dell’incarico.
È opportuno anche chiarire che l’assenza di un potere di ordine in capo all’Autorità e il riconoscimento al solo RPC del potere di decidere in ordine alla inconferibilità o meno di un incarico, non comportano comunque alcun vuoto di tutela né una potenziale sterilizzazione degli effetti perseguiti dalle norme in materia di anticorruzione, poiché l’atto adottato dal responsabile non si sottrae al possibile sindacato giurisdizionale di questo giudice e i suoi effetti potranno essere per questa via rimossi.”. V. anche Tar Lazio – Roma, III 8.6.2016 n. 6593: l’ANAC esprime “il proprio qualificato orientamento al naturale destinatario, invitandolo ad adottare, nel rispetto della propria autonomia organizzativa, le determinazioni a cui era tenuto nel rispetto delle disposizioni di legge in tema di inconferibilità o incompatibilità”.
73 T.A.R. Umbria, 31.5.2017 n. 428, ord. coll.
74 Si legge nel parere sub art. 83: “Il comma 2 affida all’ANAC la disciplina (caratterizzata da generalità e astrattezza) di rilevanti aspetti sostanziali in tema di selezione dei candidati, caratteri del sistema di qualificazione, casi e modalità di avvalimento e requisiti e capacità che devono essere posseduti dal concorrente, integrando una parte rilevante della materia disciplinata e incidendo altresì su specifici status soggettivi. Si tratta di materia intrinsecamente normativa, che completa il dettato delle disposizioni di rango primario e che andrebbe più propriamente affidata alla sede regolamentare, con le relative implicazioni anche in termini di garanzie procedimentali.
Alla luce di quanto osservato nella parte generale, si demanda al Governo di valutare se riconfermare il riparto di attribuzioni del presente articolo, ovvero modificarlo affidando una parte di tale materia ai decreti ministeriali adottati su proposta dell’ANAC, lasciando comunque all’ANAC il sistema di premialità e penalità del comma 10, nonché la disciplina delle SOA di cui al successivo art. 84, secondo quanto già previsto dall’abrogando d.lgs. n. 163/2006.
In tale seconda ipotesi, le competenze attribuite all’ANAC in tema di qualificazione avrebbero comunque piena esplicazione attraverso il potere di proposta, che costituisce tipico atto che predetermina il contenuto del provvedimento finale.”.
75 Per tale riflessione v. anche C. Deodato, Le linee guida dell’ANAC: una nuova fonte del diritto, in www.giustizia-amministrativa.it, 29.4.2016.
76 Sono davvero numerosissimi i contributi della dottrina in materia; senza alcuna pretesa di esaustività, S. Adamo, Contratti pubblici e anticorruzione. Commissario ex art. 32 legge 114/2014. limiti, equilibri e responsabilità anche dell’ANAC e della Prefettura, in Appalti & Contratti, 2017, 39, ss.; R. Cantone-B. Coccagna, La prevenzione della corruzione e delle infiltrazioni mafiose nei contratti pubblici: i commissariamenti per la costituzione di presidi di legalità nelle imprese, in LA. Nicotra (a cura di), L’Autorità nazionale anticorruzione tra prevenzione e attività regolatoria, cit., 69 ss.; F. Di Cristina, La nuova vita dell’Anac e gli interventi in materia di appalti pubblici in funzione anti-corruzione, in Giorn. dir. amm., 2014, 1029 ss., R. Garofoli, Il contrasto ai reati di impresa nel d.lgs. 231 del 2001 e nel d.l. 90 del 2014: non solo repressione, ma prevenzione e continuità aziendale, in www.penalecontemporaneo.it, 30 settembre 2015, 1 ss.; F. Gois, Le misure straordinarie di gestione, sostegno e monitoraggio delle imprese nell’ambito della prevenzione della corruzione, in F. Cerioni-V. Sarcone (a cura di), Legislazione anticorruzione e responsabilità nella pubblica amministrazione, Giuffrè, 2019, 419 ss.; T. Guerini-F. Sgubbi, L’art. 32 del decreto legge 24 giugno 2014, n. 90, un primo commento, in www.penalecontemporaneo it, 24 settembre 2014, 1 ss.; A. Mutarelli- M.M. Mutarelli, Considerazioni intorno alle possibili ricadute della misura straordinaria ex art. 32, d.l. n. 90/2014 (debiti pregressi e rapporti di lavoro), in Rass, avv. st., 2017, 253 ss.; G. Pignatone, Mafia e corruzione: tra confische, commissariamenti e interdittive, in Dir. pen. cont., 2015, 4, 259 ss.; F. Testi, Il commissariamento delle imprese appaltatrici ex art. 32, d.l. n. 90/2014, in M. D’Alberti (a cura di), Corruzione e pubblica amministrazione, Jovene, 2017, 689 ss.; V. Torano, Prime considerazioni sulle misure amministrative di gestione temporanea e straordinaria, sostegno e monitoraggio delle imprese nell’ambito del contrasto della corruzione e della criminalità organizzata, in www. giustamm.it, 2015, 1 ss.; A. Salerno, Le misure straordinarie di gestione, sostegno e monitoraggio introdotte con l’art. 32 del d.l. n. 90 del 24 giugno 2014, in Nuovo dir amm., 2015, 2, 61.
78 I provvedimenti d’ordine sono pubblicati su www.anticorruzione.it nella sezione “attività e documentazione” e divisi nelle sottosezioni “anticorruzione” e “trasparenza”; fra i provvedimenti d’ordine se ne segnala uno (delibera n. 459 del 20 aprile 2016, in www. anticorruzione.it), in cui il provvedimento era stato emesso nell’ambito della procedura di dichiarazione di inconferibilità di un incarico e aveva come destinatario il RPC, contro la suddetta delibera è stata proposta impugnazione e si è pronunciato il Consiglio di Stato (cfr. Cons. Stato, sez. V, 11 gennaio 2018, n. 126) che ha annullato il provvedimento d’ordine. A quanto è dato sapere si tratta dell’unica decisione giurisprudenziale in materia; da un passo della motivazione della sentenza si può trarre un arresto che, sia pure riferito al caso concreto, è utile in funzione di ricostruire i limiti di applicazione del potere in esame; affermano, in particolare, i giudici che “il potere d’ordine non è … un potere generalizzato attribuito all’ANAC al fine di contrastare condotte inerti o elusive dei responsabili della prevenzione della corruzione all’interno delle singole pubbliche amministrazioni, relativamente a tutte le disposizioni finalizzate alla prevenzione di eventi corruttivi, comprese quelle su inconferibilità ed incompatibilità degli incarichi“.
79 Delibera n. 146 del 18 novembre 2014 (in www.anticorruzione.it) avente ad oggetto “esercizio del potere di ordine in caso di mancata adozione di atti o provvedimenti richiesti dal Piano nazionale anticorruzione e dal Piano triennale di prevenzione della corruzione non ché dalle regole sulla trasparenza amministrativa o nel caso di comportamenti o atti contra stanti con i piani e le regole sulla trasparenza citati“; per un esame più approfondito della delibera si rinvia anche a V. Sarcone-M. Tartaglione, Prevenzione della corruzione e trasparenza nelle amministrazioni pubbliche e negli altri soggetti pubblici e privati individuati dalla disciplina vigente, Sapidata, 2016, 238 ss.
80 Alle stesse conclusioni, G. Piperata, Il sistema di prevenzione della corruzione nelle pubbliche amministrazioni. Una introduzione, in F. Cerioni-V. Sarcone (a cura di), Legislazione anticorruzione e responsabilità nella pubblica amministrazione, Giuffrè, 2019, 12, secondo cui quello in esame “è un potere che non ha contenuto sanzionatorio, ma è volto ad assicurare, in modo tempestivo, il rispetto della legge, con riferimento a particolari atti e comportamenti che la legge ha ritenuto particolarmente significativi ai fini della prevenzione della corruzione”.
81 Le lett. d) ed e) del comma 2 dell’art. 1 della legge n. 190 prevedono rispettivamente un parere “obbligatorio” sugli atti di direttiva e di indirizzo nonché sulle circolari del ministro della pubblica amministrazione in materia di conformità alla legge, ai codici di comportamento e ai contratti, collettivi e individuali, regolanti il rapporto di lavoro ed un parere “facoltativo” in materia di autorizzazione di incarichi extralavorativi di cui all’art. 53 del d.lgs. n. 165 del 2001.
82Il passo è tratto dalle premesse al Regolamento ANAC (approvato il 7 dicembre 2018, in www.anticorruzione.it) per l’esercizio della funzione consultiva svolta aprile 2016, n. 50, al di fuori dei casi di cui all’art. 211 del decreto stesso. In senso critico rispetto alla funzione consultiva esperita fuori dai casi previsti dalla legge, V. Sarcone-M. Tartaglione, Prevenzione della corruzione e trasparenza nelle amministrazioni pubbliche e negli altri soggetti pubblici e privati individuati dalla disciplina vigente, Sapidata, 2016, 227.
83 In questo senso, art. 2, comma 3 del regolamento 7 dicembre 2018.
84 “I pareri sia di precontenzioso sia quelli diversi (indicati come “pareri sulla normativa”) sono pubblicati sul sito dell’Autorità e sul medesimo sito sono reperibili sia le “massime” che vengono estrapolate dalle decisioni adottate in materia di contratti pubblici) che gli orientamenti” (che sono analoghe alle massime ma riguardano l’anticorruzione e che non sono stati più aggiornati dal 2015, tanto che sono reperibili nell’Archivio storico”).
85 La giurisprudenza si è espressa con riferimento specifico ai comunicati, ritenendo the essi non abbiano rilevanza giuridica alcuna; in questo senso, ex plurimis, T.A.R. Lazio, sez. II, 4 agosto 2017, n. 9195 secondo cui i comunicati sarebbero atti con i quali Autorità si limita ad esprimere, in funzione collaborativa e di supporto alle stazioni appaltanti, il proprio orientamento in ordine all’applicazione ed interpretazione della normativa di settore; alle stesse conclusioni, P. Pantalone, Autorità indipendenti e matrici della legalità, ES 2018, 269.
86 Per un primo commento critico alla disposizione si veda M. Arena, Le misure di straordinaria e temporanea gestione dell’impresa per fatti corruttivi, in www.filodiritto.it del 16.9.2014
87 S. Sticchi Damiani, I nuovi poteri dell’Autorità Anticorruzione, in Il Libro dell’anno del diritto (2015) – Treccani.it
88 In tal senso si era pronunciata in particolare Confindustria in una nota ufficiale del 27.6.2014, dal titolo “Decreto p.a., le misure per Expo 2015 e i contratti pubblici”
89 Nota Prot. ANAC n. 0013739 del 10.7.2014, avente ad oggetto «richiesta di straordinaria e temporanea gestione della società “Maltauro s.p.a.” con riferimento all’appalto relativo alle architetture di servizio afferenti al sito per l’esposizione universale del 2015
90 Cfr. T.A.R. Lombardia, Milano, 9.7.2014, n. 1802.
91 R. Cavallo Perin, Il diritto amministrativo dell’emergenza per fattori esterni all’amministrazione pubblica, in Dir. amm., 2005, 4, 776 ss.; A. Fioritto, L’amministrazione dell’emergenza tra autorità e garanzie, Bologna, 2008, 50 ss.
92 M. Clarich, Garanzia del contraddittorio nel procedimento innanzi alle Autorità amministrative indipendenti, intervento al Convegno Le Autorità amministrative indipendenti, tenuto in memoria di Vincenzo Caianiello in Roma presso il Consiglio di Stato in data 9.5.2003, in www.giustizia-amministrativa.it
93 In tal senso vedi il Cons. St, sez. affari normativi, comm. spec., 28.12.2016 n. 2777 sul regolamento ANAC relativo alla vigilanza e alle raccomandazioni vincolanti.
94 Stazioni appaltanti, operatori economici, enti portatori di interessi collettivi e diffusi.
95 Art. 52-ter, decreto legge n. 50 del 2017, introdotto dalla legge di conversione n. 96 del 2017, che inserisce i c. 1- bis, 1-ter e 1-quater nell’art. 211.
96 Soltanto in ordine agli atti amministrativi «che violino le norme a tutela della concorrenza e del mercato» (norma censurata, c. 1). Esso si esterna in una prima fase a carattere consultivo (parere motivato nel quale sono indicati gli specifici profili delle violazioni riscontrate), e in una seconda (eventuale) fase di impugnativa in sede giurisdizionale, qualora la pubblica Amministrazione non si conformi al parere stesso. La detta disposizione, dunque, ha un perimetro ben individuato (quello, per l’appunto, della concorrenza), compreso in una materia appartenente alla competenza legislativa esclusiva dello Stato (art. 117, c. 2, lett. e), Cost.), concernente anche la potestà regolamentare, ai sensi dell’art. 117, c. 6, primo periodo, Cost.
97 Dell’A.N.A.C. o dell’A.G.C.M.
98 Il programma triennale per la trasparenza e l’integrità era stato introdotto dall’art. 1, comma 2 del d.lgs. n. 150 del 2009 ed aveva l’obiettivo di tendere a modificare e ad orientare i comportamenti amministrativi verso la trasparenza, la legalità e l’integrità; aveva durata triennale ma era aggiornato ogni anno; per maggiori riferimenti si v. P. Tanda, Controlli amministrativi e modelli di governance della Pubblica Amministrazione, Giappichelli, 2012, 252 ss.
99 In questo senso, sia consentito il rinvio R. Cantone-E. Carloni, La prevenzione della corruzione e la sua autorità, in Diritto pubblico, 2017, 918 secondo cui “attraverso il Piano e l’esercizio delle sue funzioni in materia, l’Autorità finisce per disporre di un potere di regolazione particolarmente ampio, potendo disciplinare in modo innovativo le misure e gli istituti avvertiti come rilevanti nella prospettiva del contenimento della maladministration e dei conflitti di interesse o le regole da applicare a specifici settori sensibili“; a conclusioni analoghe, V. Sarcone, La pianificazione delle misure di prevenzione della corruzione e il coordinamento con la valutazione della performance, in F. Cerioni – V. Sarcone (a cura di), Legislazione anticorruzione e responsabilità nella pubblica amministrazione, Giuffrè, 2019, 75 che evidenzia come il P.N.A. sia un atto “atipico” nel pano rama delle fonti nazionali, perché si rivolge sia alle amministrazioni.
100 Sul valore giuridico del P.N.A., per quanto risulta, si è pronunciata in un’unica occasione la giurisprudenza amministrativa; in particolare, TAR Abruzzo, Pescara, ord. 25 giugno 2019, n. 87 che ha disposto la sospensione dell’efficacia di una graduatoria per un po sto di ricercatore universitario, sul presupposto che il regolamento universitario sulla com posizione delle commissioni non era rispettoso delle indicazioni del P.N.A., in particolare del l’aggiornamento 2017, nella parte degli “approfondimenti”, relativa alle istituzioni universitarie; sulla decisione si v. S. Regasto, Il TAR Abruzzo si pronuncia in materia di concorsi universitari, in www.dirittifondamentali.it, 29 giugno 2019, che ha definito l’ordinanza “molto coraggiosa”.
101 Piano Triennale Prevenzione Corruzione, P.T.P.C.
102 R. Cantone, La prevenzione della corruzione nelle società a partecipazione pubblica: le novità introdotte dalla “riforma Madia” della pubblica amministrazione, in Rivista delle Società, fasc. 1, febbraio 2018, p. 233.
103 Le aree di rischio che possiamo definire obbligatorie sono i procedimenti di autorizzazione o concessione; scelta del contraente per l’affidamento di lavori, forniture e servizi, concessione ed erogazione di sovvenzioni, contributi, sussidi, ausili finanziari, nonché attribuzione di vantaggi economici di qualunque genere a persone ed enti pubblici e privati; concorsi e prove selettive per l’assunzione del personale e progressioni di carriera. I successivi aggiornamenti al P.N.A. hanno indicato altri settori a rischio, quali ad esempio la gestione delle entrate, delle spese e del patrimonio, controlli, verifiche, ispezioni e sanzioni, incarichi e nomine e affari legali e contenzioso (Aggiornamento 2015); ordini professionali, Scuole e sanità (2016); Autorità di Sistema Portuale, Gestione dei Commissari Straordinari nominati dal Governo e Istituzioni universitarie (2017); gestione fondi strutturali, rifiuti e agenzie fiscali (2018).
104Che svolgono attività informativa nei confronti del responsabile, dei referenti e dell’autorità giudiziaria, e partecipano al processo di gestione del rischio, propongono le misure di prevenzione, assicurano l’osservanza del Codice di comportamento e verificano le ipotesi di violazione adottano le misure gestionali, quali l’avvio di procedimenti disciplinari, la sospensione e rotazione del personale
105Che per competenze, funzioni, dimensioni, collocazione geografica ed altro, presenta imprescindibili esigenze diverse dalle altre amministrazioni
106 Cause, rischi e misure di prevenzione specifica nel settore dei contratti pubblici e nella sanità
107 1. Acquisizione e progressione del personale; 2. affidamento di lavori, servizi e forniture; 3. provvedimenti ampliativi della sfera giuridica dei destinatari privi di effetto economico diretto ed immediato per il destinatario (ad es.: autorizzazioni, concessioni); 4. provvedimenti ampliativi della sfera giuridica dei destinatari con effetto economico diretto ed immediato per il destinatario (ad es.: sovvenzioni, contributi, sussidi).
108 Il R.P.C.T., gli O.I.V., gli organi di indirizzo e i vertici amministrativi
109 Esempi:
-
territorio a vocazione turistica: rischi di corruzione relativi alle concessioni demaniali o alla gestione dei lidi balneari o, ancora, alle organizzazioni e gestione di eventi, etc;
-
territorio a vocazione industriale: rischi di corruzione relativi ai controlli sul rispetto della normativa in materia ambientale o sulla sicurezza sui luoghi di lavoro, alla erogazione di contributi economici alle imprese, ai procedimenti autorizzatori nelle attività economiche, etc;
-
territorio a vocazione agricola: rischi di corruzione relativi all’erogazione di incentivi dell’UE nella catena del settore agroalimentare, etc.
110 Ad esempio, ISTAT, A.N.A.C., Transparency International, World Bank, Università e centri di ricerca e così via.
I dati sulla casistica giudiziaria possono essere ottenuti dalla Banca dati delle sentenze della Corte dei Conti o della Corte Suprema di Cassazione, o attraverso la collaborazione con le Prefetture.
Sarebbe utile, inoltre, condurre apposite indagini sulla cittadinanza (per es. per i comuni) o sugli utenti (per es. per gli enti erogatori di servizi) attraverso questionari on-line o altre metodologie idonee.
111Secondo la delibera C.I.V.I.T. n. 112/2010, l’analisi del contesto è un processo conoscitivo che un’amministrazione pubblica dovrebbe compiere nel momento in cui si accinge a definire le proprie strategie ed ha lo scopo di:
a) fornire una visione integrata della situazione in cui l’amministrazione va ad operare;
b) stimare preliminarmente le potenziali interazioni e sinergie con i soggetti coinvolti nella attuazione delle strategie che si intendono realizzare;
c) verificare i vincoli e le opportunità offerte dall’ambiente di riferimento;
d)verificare i punti di forza e i punti di debolezza che caratterizzano la propria organizzazione rispetto alle strategie da realizzare.
112 P.N.A. 2019, p. 10
113Si consideri che “il perimetro soggettivo delle disposizioni … non è inquadrato dal legislatore in maniera univoca e omogenea. L’ambito di applicazione soggettiva delle norme anticorruzione può essere definito a geometria variabile, in quanto differenziato per ciascuna disposizione, istituto o plesso normativo“; si v. P. Clarizia, L’ambito di applicazione della normativa anticorruzione, in M. Nunziata (a cura di), Riflessioni in tema di lotta alla corruzione, Carocci, 2017, 41.
114 P.N.A. 2019, p. 44
115 Con sentenza del 11 maggio 2020, n. 285, il T.A.R. Liguria, Genova, Sez. I, ha chiarito che la composizione della commissione di concorso deve ritenersi illegittima quando, pur rispettosa del regolamento di Ateneo, risulti in contrasto con le indicazioni del Piano nazionale anticorruzione e del successivo atto di indirizzo ministeriale n. 39/2018.
116Cfr. Cons. Stato., Sez. consultiva per gli atti normativi, 24 febbraio 2016, n. 515, parere reso sullo schema di decreto n. 97/2016
117Linee guida in materia di tutela degli autori di segnalazioni di reati o irregolarità di cui siano venuti a conoscenza in ragione di un rapporto di lavoro, ai sensi dell’art. 54-bis, del d.lgs. 165/2001 -c.d. whistleblowing.
118 Parere sulla corretta interpretazione dei compiti del R.P.C.T.
119 Oggetto di numerose critiche e di dubbi anche da parte della stessa A.N.A.C.
120 Delibera n. 330 del 29 marzo 2017.
121 Proprio in relazione alle funzioni attribuite, l’Autorità ritiene che il RPCT debba dare tempestiva comunicazione all’amministrazione o ente presso cui presta servizio di aver subìto eventuali condanne di primo grado, almeno tra quelle relative alle disposizioni sopra richiamate. A.N.A.C., Aggiornamento P.N.A. 2018, p. 15.
122 In via esclusiva, dato che è espressamente vietato un ausilio esterno alla Amministrazione.
123 A.N.A.C., Delibera n. 840 del 2 ottobre 2018, p. 9. Vedi anche A. Hinna – F. Rotondi – F. Ceschel, Il sistema del rischio di corruzione tra risk management e chance management, in Riflessioni in tema di lotta alla corruzione (nt. 1), 181 ss., e R. Turturiello – N. Porcari, Manuale teorico pratico di anticorruzione e trasparenza, Sant’Arcangelo di Romagna, 2017.
124R. Cantone, La prevenzione della corruzione nelle società a partecipazione pubblica: le novità introdotte dalla “riforma Madia” della pubblica amministrazione, in Rivista delle Società, fasc.1, 1° febbraio 2018, p. 233.
125 R. Cantone, Il sistema della prevenzione della corruzione, G. Giappichelli Editore, 2020, pag. 12
126 Senza imporre soluzioni uniformi, che finirebbero per calarsi in modo innaturale nelle diverse realtà organizzative compromettendone l’efficacia preventiva dei fenomeni di corruzione
127 R. Cantone, E. Carloni, Corruzione e Anticorruzione, 10 lezioni, Milano, 2018, p. 87.
128 Cressey D.R., Other People’s Money: A Study in the Social Psychology of Embezzlement, The free Press, Glencoe, 1953.
129 Eccessive attese verso un risultato, oppure necessità finanziarie, dipendenze e così via
130 Lo fanno tutti, non è nulla di grave, se non lo faccio io lo farà qualcun altro, è inutile opporsi, è il sistema…
131 In modo da impedirgli di autoassolversi nel caso di comportamenti scorretti, anzi, in modo da impedirgli di compiere comportamenti scorretti, vista anche la nuova nozione di corruzione che supera i profili penalistici per avere un approccio più generale, che comprende qualunque tipo di cattiva amministrazione
132 Adozione di atti di indirizzo, adozione di atti di gestione, compimento di attività istruttorie a favore degli uni e degli altri
133 Art. 1 della legge n. 241 del 90, intitolato “principi generali dell’attività amministrativa”. L’attività amministrativa “è retta da criteri di economicità, efficacia, imparzialità, pubblicità e trasparenza”.
134 Secondo E. Napolano, Pianificazione e programmazione delle strategie di prevenzione della corruzione, in A. Jazzetti – A. Bove (a cura di) La legge anticorruzione, vol. II, Giapeto, 2014, 72 si tratta di un meccanismo fra i più antichi e diffusi, specie fra gli appartenenti ai gangli più delicati degli apparati statali. L’Autore considera però la misura di difficile attuazione, specialmente nell’ambito delle realtà amministrative locali e territoriali, dove la carenza del personale è una costante.
135 L’art. 7, par. 1, lett. b), della Convenzione di Merida, dedicato al “settore pubblico”, prevede fra le raccomandazioni agli Stati aderenti quella di assicurare la rotazione nei posti pubblici particolarmente esposti a rischio corruzione
136 Così testualmente PNA 2016, che afferma altresì: “L’alternanza riduce il rischio che un dipendente pubblico, occupandosi per lungo tempo dello stesso tipo di attività, servizi, procedimenti e instaurando relazioni sempre con gli stessi utenti, possa essere sottoposto a pressioni esterne o possa instaurare rapporti potenzialmente in grado di attivare dinamiche inadeguate“: a conclusioni analoghe, in dottrina, F. Fracchia, L’impatto delle misure anticorruzione e della trasparenza nell’organizzazione amministrativa, in Dir. Ec., 2015 , 499 secondo cui “la corruzione dilaga proprio con riferimento alle situazioni in cui gli organi pubblici si trovano in condizione di sostanziale inamovibilità gestendo ed occupando posizioni consolidate che il corruttore mette nel proprio mirino”.
137 R. Cantone, La prevenzione della corruzione nelle società a partecipazione pubblica, cit., p. 233.
138 Cfr. Corte Cost. 1/1999. N. Longobardi, La posizione istituzionale dell’amministrazione pubblica e la Costituzione, in Amministrazione in cammino, 2017, pp. 1-17. Come previsto d’altronde dall’art. 98 Cost. per cui, l’amministrazione pubblica anche quando è strumento di attuazione delle politiche governative, ha un ruolo autonomo in diretto collegamento con la società per la realizzazione delle «finalità pubbliche obiettivate dall’ordinamento.
139 Anche propedeutica all’effettiva implementazione della rotazione.
140 G. Martellino, I patti d’Integrità in materia di contratti pubblici alla luce della recente giurisprudenza comunitaria e dell’evoluzione normativa – Applicazioni pratiche, in Appalti e contratti, 18 gennaio 2016. http://www.appaltiecontratti.it/2016/01/18/i-patti-dintegrita-in-materia-di-contratti-pubblici-alla-luce-della-recente-giurisprudenza-comunitaria-e-dellevoluzione-normativa-applicazioni-pratiche/.
141 Quali il Collegio dei revisori dei conti e gli Organismi indipendenti di valutazione
142 La parola francese utilizzata, ormai, anche nel linguaggio italiano, significa letteralmente “mettersi in pantofole”; attraverso di essa si intendono individuare i rimedi messi in campo per evitare che alti funzionari francesi, in genere ex studenti dell’Ecole politique e l’Ecole nationale d’amministration passino ad incarichi privati vanificando gli investimenti pubblici in istruzione e formazione; sull’argomento, B.G. Mattarella, Il pantouflage in Francia: i rapporti d’attività della commission de deontologie delle function pubblique, in Riv. trim. dir. pubbl., 2004, 623; nella terminologia anglosassone, invece, si fa riferimento per indicare la medesima situazione, alle parole “revolving doors“, letteralmente porte girevoli; cosi D. Andracchio, Il divieto di pantouflage: una misura di prevenzione della corruzione nella pubblica amministra zione, in www.giustamm, settembre 2016, 2.
143 R. Cantone, Il sistema della prevenzione della corruzione, G. Giappichelli Editore, 2020, pag. 165.
144 Dottrina e giurisprudenza inquadrano l’istituto fra le “incompatibilità successive”; così ex plurimis, M. Lucca, Poteri decisionali e inconferibilità successiva (ed. pantouflage).
145 Merloni, op. cit., p. 30.
146 Come diceva Bismark, una buona amministrazione si fonda su buoni funzionari prima che su buone leggi.
147 Cantone, Carloni, op. cit., p. 127.
148 Decreto del Ministro della Funzione Pubblica del 2000
149 Approvazione con d.P.R., previa deliberazione del Consiglio dei Ministri
150 R. Cantone, Carloni, op. cit., p. 128.
151 Sulla corretta adozione dei codici da parte delle amministrazioni vigila sempre l’A.N.A.C. che può applicare una sanzione da 1000 a 10000 euro le pubbliche Amministrazioni che non li abbiano adottati. Va detto che se, da una parte, si può riscontrare finora un numero molto esiguo di sanzioni irrogate, va anche detto che, a una sommaria valutazione, si può affermare che, finora, l’adempimento dell’obbligo di dotarsi di un codice di comportamento è stato meramente formale e burocratico, limitandosi nella maggior parte dei casi a una pedissequa riproduzione del codice nazionale.
152 Il codice precedente si applicava ai soli dipendenti pubblici, titolari cioè di un rapporto stabile e professionale con la pubblica Amministrazione
153 Non sarà quindi più possibile l’uso dell’auto per acquisti personali, per la gita domenicale, ecc
154 Si veda ad esempio l’art. 6 del codice di comportamento dell’INGV che fissa il modico valore ai 50 euro, o l’art. 3 del codice di comportamento dell’Agenzia delle entrate che specifica che il valore fissato di 150 euro è da intendersi come soglia massima raggiungibile nell’arco dell’anno.
155 Ad esempio, va segnalato il Codice di comportamento del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, il cui art. 5 sulla condotta extralavorativa e tutela dell’immagine dell’amministrazione, non trova un corrispondente esplicito nel codice nazionale, a parte un vago riferimento nell’art. 10 del menzionato D.P.R.
156 Cosi, S. Frego Luppi, L’obbligo di astensione nella disciplina del procedimento dopo la legge n, 190 del 2012, in Dir. amm., 2013, 671; in termini analoghi, G. Terracciano, Il conflitto di interessi nella disciplina del procedimento amministrativo e degli appalti pubblici, in F. Cerioni-V. Sarcone (a cura di), Legislazione anticorruzione e responsabilità nella pubblica amministrazione, Giuffrè, 2019, 327, secondo cui “in ambito pubblicistico, la disciplina del conflitto di interesse è principalmente finalizzata al perseguimento della buona amministrazione, nonché al pieno rispetto del principio di imparzialità, sebbene non si possa negare che giochi un ruolo fondamentale anche quanto alla lotta alla corruzione”
157 Per un esame anche più dettagliato delle principali disposizioni in tema di conflitto di interessi nei vari rami dell’ordinamento, A. Lalli, Conflitti di interessi nel diritto privato e nel diritto pubblico. Una rassegna, in Riv. trim. dir. pubbl., 2016, 155 s.
158 A titolo esemplificativo al conflitto di interessi fa riferimento l’art. 2634 c.c. che, nell’ambito dei reati societari, punisce l’infedeltà patrimoniale, ovvero il comportamento degli amministratori, direttori generali o liquidatori di una società che, avendo un interesse in conflitto con quello della società, al fine di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto o vantaggio, compiono atti di disposizioni di beni sociali, cagionando intenzionalmente alla società un danno: soprattutto al conflitto di interessi fa anche riferimento la fattispecie di abuso di ufficio di cui all’art. 323 c.p., in particolare quella che punisce il pubblico ufficia le o l’incaricato di pubblico servizio che, omettendo di astenersi in presenza di un interesse proprio o di un prossimo congiunto o negli altri casi prescritti, intenzionalmente procura a sé o ad altri un ingiusto profitto o arreca ad altri un danno ingiusto.
159 Così, ex plurimis, Cons. Stato, sez. V, 28 maggio 2012, n. 3133; in termini analoghi, Cass. civ., sez. II, 18 maggio 2001, n. 8853
160 In termini analoghi, M. Calcagnile, Inconferibilità amministrativa e conflitti di interesse, BUP, 2017, 64 e 67, che individua il conflitto di interesse “apparente” in quelle situazioni in cui il privato ha un interesse personale che potrebbe convergere in astratto anche con quello istituzionale ed indica quale esempio dello stesso l’art. 78 del d.lgs. n. 267 del 2000 (T.U.EE.LL.) che prevede l’obbligo di astensione degli amministratori degli enti locali riguardo a interessi propri o di loro parenti entro il quarto grado, a prescindere dalla circostanza che gli interessi personali possano anche essere coincidenti con quelli pubblici.
161 In tal senso, Cass. pen., sez. VI, 19 novembre 1997, Cappabianca, Cass. pen., 1999, n. 1441, secondo cui l’interesse proprio – in presenza del quale il pubblico ufficiale ha l’obbligo di astensione – non solo non deve essere inteso come il vantaggio di natura patrimoniale, la cui realizzazione perfeziona il delitto di abuso d’ufficio, ma non è neppure sinonimo di lucro o di utilità, per cui comprende ogni interesse personale, anche non economico e del tutto affettivo, quale la finalità di favorire altri quando da ciò derivi per l’agente una situa zione di vantaggio nella sfera personale delle sue relazioni sociali ed amicali.
162 Per questo specifico riferimento, M. Calcagnile, Inconferibilità amministrativa e conflitti di interesse, BUP, 2017, 71, il quale ricorda altresì come con la legge 3 maggio 1877 venne introdotta, fra le cause di incompatibilità dei parlamentari, anche quella “per affari”. Per ulteriori riferimenti storici all’evoluzione normativa e giurisprudenziale della tematica del conflitto di interessi, G. Iudica, Il conflitto di interessi nel diritto amministrativo, Giappichelli, 2016, 10 ss.
163 Legge 20 luglio 2004, n. 215
164 In termini analoghi, con riferimento all’occasio legis che diede la stura all’approvazione della legge Frattini, si v. R. Bin-G. Pitruzzella, Diritto costituzionale, Giappichelli, 2013, 158.
165 Per maggiori approfondimenti sulla legge si v, ex plurimis, C. Marchetta, La legislazione italiana sul conflitto di interessi. La legge 20 luglio 2004, n. 215. Orientamenti applicativi, criticità e prospettive di riforma, Giuffrè, 2013.
166 Ovvero Presidente del Consiglio, Ministri, Vice Ministri, sottosegretari e commissari di governo
167 L’art. 16 del D.P.R. n. 62 del 2013 prevede come conseguenza della violazione ivi prevista la responsabilità disciplinare, civile, penale o contabile. Lo stesso P.N.A. 2013 esplicitamente prevedeva che “la violazione sostanziale della norma, che si realizza con il compi mento di un atto illegittimo dà luogo a responsabilità disciplinare del dipendente suscettibile di essere sanzionata con l’irrogazione delle sanzioni all’esito del relativo procedimento”.
168 Così, Cass, pen., sez. VI, 12 febbraio 2003, n. 17628, CED Cass. n. 224683, secondo cui se la mancata astensione non abbia arrecato danno al destinatario dell’atto, per essere quest’ultimo conforme al trattamento riservato a tutte le altre istanze di identico contenuto non è configurabile il delitto di abuso di ufficio.
169 Ex plurimis, Cons. Stato, sez. IV, 9 gennaio 2013, n. 32; anche l’A.N.A.C., nel P.N.A. 2013 (all. 1, 46) aveva ritenuto configurabile il vizio di eccesso di potere; per un esame delle posizioni che avevano ritenuto configurabile il vizio di incompetenza, E. Lubrano, Il conflitto di interessi nell’esercizio dell’attività amministrativa, cit., 161.
170 Così, da ultimo, Tar Campania, Napoli, sez. II, 31 dicembre 2018, n. 7437 che ha annullato un concorso per un posto di ricercatore universitario sul presupposto che uno dei commissari d’esame avesse firmato con il candidato lavori scientifici ed avesse una intensa collaborazione con il candidato medesimo.
171 In termini, sia pure con riferimento alla disciplina precedente l’entrata in vigore dell’art. 6 bis, A. Pubusa, voce Ricusazione e astensione nel diritto amministrativo, in Dig. disc. pubbl, vol. XIII, 1997, 432; alle stesse conclusioni, dopo l’entrata in vigore della nuova norma, E. Lubrano, Il conflitto di interessi nell’esercizio dell’attività amministrativa, cit., 164 e, sia pure in termini più problematici, S. Frego Luppi, L’obbligo di astensione nella disciplina del procedimento dopo la legge n. 190 del 2012, cit., 700 e G. Iudica, Il conflitto di interessi nel diritto amministrativo, cit., 58; in giurisprudenza alle stesse conclusioni, Cons. Stato, sez. V, 16 maggio 2018, n. 1968 e Tar Campania, Salerno, 17 marzo 2014, n. 580.
40 Per esemplificare un’ipotesi di conflitto cd strutturale può essere ricordata la vicenda, minata dall’ANAC, relativa al Presidente di un’autorità portuale, in precedenza socio di una società di spedizioni doganali operante nel medesimo contesto territoriale
172 Si pensi all’asprezza del dibattito parlamentare sul tema
173 Cantone, Carloni, op. cit., p. 133.
174 Il nome proposto dall’Accademia della Crusca è “allertatore civico” (sul punto si v. il comunicato stampa pubblicato il 28 novembre 2016 “Chiamiamo allertatore civico il whistleblower, in www.accademiadellacrusca.it); sulle polemiche sull’uso del termine esterofilo, R. Cantone-E. Carloni, Corruzione e anticorruzione. Dieci lezioni, Feltrinelli, 2018, 134 che, fra l’altro, fanno anche menzione dell’iniziativa del Ministero dell’istruzione e dell’ANAC di indire nell’anno 2018 un concorso tra le scuole per favorire la conoscenza dell’istituto e individuare una definizione altrettanto efficace.
175 Nel comma 1 del nuovo art. 54 bis del d.lgs. n. 165 del 2001, come modificato dalla legge 30 novembre 2017, n. 179 si può leggere la seguente definizione del whistleblower. “Il pubblico dipendente che, nell’interesse dell’integrità della pubblica amministrazione, segnala..condotte illecite di cui è venuto a conoscenza in ragione del proprio rapporto di lavoro”. La delibera ANAC 28 aprile 2015, n. 8 (in www.anticorruzione.it) reca come titolo “Linee guida in materia di tutela del dipendente pubblico che segnala illeciti (cd. whistleblower)“; anche nel dibattito parlamentare collegato all’approvazione della legge n. 179 del 2017 si è fatto larghissimo uso della parola straniera. Sulla rilevanza della questione terminologia come sintomatica di una posizione culturale di fondo, ex multis, G. Amato, Profili penalistici del whistleblowing: una lettura comparatistica dei possibili strumenti di prevenzione della corruzione, in Riv. trim, dir. pen. econ., 2014, 556; A. Marcias, La disciplina del whistleblowing tra prospettive di riforma e funzioni dell’autorità nazionale anticorruzione, in I.A. Nicotra (a cura di), L’Autorità nazionale anticorruzione tra prevenzione e attività regolatoria, cit., 173; G. Gargano, La “cultura del whistleblower” quale strumento di emersione dei profili decisionali della pubblica amministrazione, in Federalismi.it, 13 gennaio 2016, 4.
176 Se come diceva Heidegger, “Nessuna cosa esiste dove la parola manca”, ciò sta a indicare che si tratta di un problema culturale, prima che giuridico; non è un caso che ancora oggi è così difficile a tutti i livelli (si pensi all’asprezza del dibattito parlamentare sul tema) valutare positivamente la figura di chi denuncia, perché implicitamente accusato di tradire la fedeltà alla propria organizzazione, ai colleghi, al superiore.
177 Savi dei Dieci e i Consiglieri dei Dieci.
178 Convenzione di Merida, 2003, in vigore per l’Italia dal 2009
179 Dove però l’ambito soggettivo e oggettivo è molto più ristretto rispetto alla disciplina del whistleblowing, e quindi, oltre a essere scarsamente applicata, tale norma non è direttamente riconducibile a un’ipotesi concreta di tutela del dipendente pubblico.
180 Ma solo in caso di gravi rischi per l’incolumità del testimone.
181 Solo dipendenti pubblici, lasciando quindi non tutelati i dipendenti di società pubbliche, come si è verificato nel caso di Andrea Franzoso.
182 Il Dipartimento della funzione pubblica della Presidenza del Consiglio dei Ministri non aveva reali poteri di intervento, e quindi occorreva rivolgersi al giudice del lavoro, con esito incerto e alte spese processuali.
183 Se la segnalazione aveva come oggetto un reato, nell’ambito del processo penale fin dalle indagini il nominativo del segnalante poteva essere noto.
184 Come specificato dalla Determinazione n. 6 del 28 aprile 2015 “Linee guida in materia di tutela del dipendente pubblico che segnala illeciti (c.d. whistleblower)”, non sono meritevoli di tutela le segnalazioni fondate su meri sospetti o voci: ciò in quanto è necessario sia tenere conto dell’interesse dei terzi oggetto delle informazioni riportate nella segnalazione, sia evitare che l’amministrazione o l’ente svolga attività ispettive interne che rischiano di essere poco utili e comunque dispendiose.
185 Interne all’ente di propria appartenenza, ma anche esterne.
186A titolo meramente esemplificativo, il rapporto A.N.A.C. 2017 cita casi di sprechi, nepotismo, demansionamenti, ripetuto mancato rispetto dei tempi procedimentali, assunzioni non trasparenti, irregolarità contabili, false dichiarazioni, violazione delle norme ambientali e di sicurezza sul lavoro.
187 Che è quello di incentivare la collaborazione di chi lavora all’interno delle pubbliche amministrazioni per l’emersione dei fenomeni corruttivi.
188 Per questo esiste il giudice o l’Ispettorato per la Funzione Pubblica presso il Dipartimento della Funzione Pubblica.
189 Dove però l’ambito soggettivo e oggettivo è molto più ristretto rispetto alla disciplina del whistleblowing, e quindi, oltre a essere scarsamente applicata, tale norma non è direttamente riconducibile a un’ipotesi concreta di tutela del dipendente pubblico.
190 Che impone a tutti i destinatari del modello organizzativo specifici obblighi di segnalazione.
191 Pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana, serie generale n. 110 del 14 maggio 2015.
192 Solo dipendenti pubblici, lasciando quindi non tutelati i dipendenti di società pubbliche, come si è verificato nel caso Franzoso.
193 Il Dipartimento della funzione pubblica della Presidenza del Consiglio dei Ministri non aveva reali poteri di intervento e quindi occorreva rivolgersi al giudice del lavoro, con esito incerto e il pagamento di consistenti spese processuali.
194 Se la segnalazione aveva come oggetto un reato, nell’ambito del processo penale fin dalle indagini il nominativo del segnalante poteva essere noto.
195 Consiglio di Stato, Sez. I – parere 24 marzo 2020 n. 615 – Pres. Mastrandrea, Est. Tucciarelli; oggetto: Autorità Nazionale Anticorruzione. Richiesta di parere in ordine al documento «Linee Guida in materia di tutela degli autori di segnalazioni di reati o irregolarità di cui siano venuti a conoscenza in ragione di un rapporto di lavoro, ai sensi dell’art. 54-bis, del d.lgs. n. 165/2001 (c.d. whistleblowing)». Le “Linee guida” dell’Autorità Nazionale Anticorruzione (ANAC) sul whistleblowing nel settore pubblico, ai sensi dell’art. 1, comma 5, l. n. 179 del 2017, non hanno carattere vincolante per le pubbliche amministrazioni; queste ultime, tuttavia, avranno comunque l’onere di motivare eventuali scelte diverse.
196 Art. 54-bis, primo comma D. Lgs.30 marzo 2001, n. 165.
197 Art. 54-bis, secondo comma D. Lgs.30 marzo 2001, n. 165.
198 Art. 54-bis, nono comma D. Lgs.30 marzo 2001, n. 165.
199 Autorità nazionale anticorruzione – delibera 10 aprile 2019 (in G.U. n. 97 del 26 aprile 2019) – Modificazioni al regolamento sull’esercizio del potere sanzionatorio in materia di tutela degli autori di segnalazioni di reati o irregolarità di cui siano venuti a conoscenza nell’ambito di un rapporto di lavoro di cui all’articolo 54-bis del decreto legislativo n. 165 del 2001 (c.d. whistleblowing) (Delibera n.312).
Autorità nazionale anticorruzione – delibera 30 ottobre 2018 n. 1033 (in G.U. n. 269 del 19 novembre 2018) – Regolamento sull’esercizio del potere sanzionatorio in materia di tutela degli autori di segnalazioni di reati o irregolarità di cui siano venuti a conoscenza nell’ambito di un rapporto di lavoro di cui all’art. 54-bis del decreto legislativo n. 165/2001 (c.d. whistleblowing).
200 Art. 54-bis, sesto comma Tutela del dipendente pubblico che segnala illeciti.
201 Determinazione n. 6 del 28 aprile 2015.
202 Cfr. T.A.R. Napoli n. 3880/2018.
203 Come previsto dall’art. 54-bis, co. 2, del d.lgs. n° 165/2001.
204 Delibera n. 782, Adunanza del 4 settembre 2019, di accertamento della natura ritorsiva dei provvedimenti adottati da un Ufficio procedimenti disciplinari.
205 Con previsione di risarcimento pieno del danno che non prevede il tetto massimo delle 24 mensilità in quanto si applica in questo caso l’art. 2, d.lgs. n. 23 del 2015.
206 Ad esempio, qualora venga accertata l’adozione di misure discriminatorie nei confronti del lavoratore che ha segnalato un illecito, l’A.N.A.C. applica al responsabile che ha adottato tale misura una sanzione amministrativa che può variare da 5.000 a 30.000 euro. Qualora invece dovesse essere accertata l’assenza di procedure per l’inoltro e la gestione delle segnalazioni, la sanzione può arrivare fino a 50.000 euro, lo stesso nel caso in cui venga accertato il mancato svolgimento da parte del responsabile di attività di verifica e analisi delle segnalazioni ricevute (art. 1 comma 6).
207 In particolare, deve indicare:
-
la generalità del soggetto che effettua la segnalazione, con indicazione della posizione o funzione svolta nell’ambito della pubblica Amministrazione;
-
una chiara e completa descrizione dei fatti oggetto di segnalazione;
-
se conosciute, le circostanze di tempo e di luogo in cui sono stati commessi;
-
se conosciute, le generalità o altri elementi (come la qualifica e il servizio in cui svolge l’attività) che consentano di identificare il soggetto/i che ha/hanno posto/i in essere i fatti segnalati;
-
l’indicazione di eventuali altri soggetti che possono riferire sui fatti oggetto di segnalazione;
-
l’indicazione di eventuali documenti che possono confermare la fondatezza di tali fatti;
-
ogni altra informazione che possa fornire un utile riscontro circa la sussistenza dei fatti segnalati.
208 Ad esempio, Ufficio provvedimenti disciplinari.
209 A.N.A.C., Corte dei Conti, Procura della Repubblica.
210 T.A.R. Campania, Sez. VI, Sent., (ud. 23/05/2018) 08-06-2018, n. 3880.
211 Sentenza della Corte di Cassazione penale, sez. 5 n° 35792/2018.
212 Reato di accesso abusivo ai sistemi informativi.
213 Prova ne è il primo caso di licenziamento in applicazione del whistleblowing applicato ad una dipendente del Comune di Roma che era stata segnalata anonimamente da una collega che l’accusava di assentarsi dal lavoro dopo aver timbrato il cartellino. Dopo la denuncia la dipendente è stata pedinata e vista timbrare il cartellino per poi lasciare il posto di lavoro diverse volte. Approfondimento disponibile al seguente link:
http://www.ilsecoloxix.it/p/italia/2017/11/20/ASQ0IHyK-whistleblowing_licenziata_campidoglio.shtml
214 Cfr. Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza n. 9041/18; depositata il 27 febbraio
215 Quello poi emanato con d.lgs. n. 33 del 2013
216 Sulla legittimazione della fonte statale ad occuparsi della materia, F. Giglioni, L’ambito di applicazione, in B. Ponti (a cura di) La trasparenza amministrativa dopo il d.lgs. 14 marzo 2013, n. 33, Maggioli, 2013, 127; l’autore evidenzia che già con il d.lgs. 27 ottobre 2009, n. 150 (cd. decreto Brunetta) la trasparenza era già stata ritenuta un livello essenziale delle prestazioni erogate dalle pubbliche amministrazioni; rappresenta, invece, una novità della “legge Severino” aver ricondotto la materia nell’ambito del coordinamento informativo, statistico e informatico dei dati dell’amministrazione statale, regionale e locale.
217 Poi assorbito dalla figura del R.P.C.T.
218 Ad esempio qualora non siano pubblicati i redditi degli organi di indirizzo politico.
219 Come illustrato nel Rapporto sul primo anno di attuazione della legge 6 novembre 2012, n. 190, 27 dicembre 2013, doc. XXVII, n. 8.
220 Decreto recante disposizioni per la revisione e semplificazione delle disposizioni in materia di prevenzione della corruzione e di 4 pubblicità e trasparenza delle pubbliche Amministrazioni, detto anche “Decreto Madia”.
221 Delibera 28 dicembre 2016, n. 1309.
222 A.N.A.C., Delibera 8 marzo 2017 n. 241.
223 Si tratta, in particolare, della pubblicazione dei compensi percepiti per lo svolgimento dell’incarico e i dati patrimoniali ricavabili dalla dichiarazione dei redditi e da apposite attestazioni sui diritti reali sui beni immobili e mobili iscritti in pubblici registri, sulle azioni di società e sulle quote di partecipazione a società. Questi dati, in base alla disposizione ritenuta incostituzionale, dovevano essere diffusi attraverso i siti istituzionali e potevano essere trattati secondo modalità che ne avessero consentito l’indicizzazione, la rintracciabilità tramite i motori di ricerca web e anche il loro riutilizzo.
224 Cantone R, Carloni E., Corruzione e anticorruzione: dieci lezioni, Feltrinelli, Milano, 2018, p. 96.
225 E da qui tutta una serie di cosiddette “Sunshine Laws” negli USA.
226 M. Cerione, Anticorruzione, trasparenza e costituzione. Verso un Legal personal scanner? in Annali della Facoltà Giuridica di Camerino, 6/2017.
227 Cantone, Carloni op. cit., p. 97.
228 A. Patroni Griffi, Il fondamento costituzionale della legislazione in tema di trasparenza e di lotta alla corruzione: alcune riflessioni, in Forum di Quaderni Istituzionali¸2016, in http://www.forumcostituzionale.it/
229 Precisa i contenuti e i procedimenti di adozione del P.N.A. e dei PTPC, ridefinisce i ruoli, i poteri e le responsabilità dei soggetti interni che intervengono nei relativi processi.
230 Anche se andrebbe specificato che il vero antecedente formale della materia è il testo Svedese del 1766.
231 Sicurezza pubblica e ordine pubblico; sicurezza nazionale; difesa e questioni militari; relazioni internazionali; politica e stabilità finanziaria ed economica dello Stato; conduzione di indagini sui reati e il loro perseguimento; regolare svolgimento di attività ispettive; segreto di Stato.
232 Protezione dei dati personali; libertà e segretezza della corrispondenza; interessi economici e commerciali di una persona fisica o giuridica, compresi la proprietà intellettuale, il diritto d’autore e i segreti commerciali.
233 L’istanza può essere presentata, alternativamente, ad uno dei seguenti uffici:
a) all’ufficio che detiene i dati, le informazioni o i documenti;
b) all’Ufficio relazioni con il pubblico;
c) ad altro ufficio indicato dall’amministrazione nella sezione “Amministrazione trasparente” del sito istituzionale;
d) al responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza, ove l’istanza abbia a oggetto dati, informazioni o documenti oggetto di pubblicazione obbligatoria ai sensi del decreto n. 33 del 2013.
234 Soggettivamente limitato a chi ha un interesse qualificato che esclude quindi, apertis verbis, l’utilizzo del diritto di accesso per sottoporre la pubblica Amministrazione a un controllo generalizzato
235 Dotato di risorse professionali adeguate, che si specializzano nel tempo, accumulando know how ed esperienza.
236 A conclusioni analoghe, B. Neri, I controlli dell’autorità nazionale anticorruzione, in M. D’Alberti (a cura di), Corruzione e pubblica amministrazione, Jovene, 2017, 809, che evidenzia “rischi di condizionamento” del RPC da parte degli organi di indirizzo politico.
237 D.lgs. n. 97 del 2016
238 Mancato rinnovo o revoca incarico
239cfr. A.N.A.C. Delibera n. 66 del 31 luglio 2013 in tema di “Applicazione del regime sanzionatorio per la violazione di specifici obblighi di trasparenza”. Sanzione amministrativa pecuniaria da 500 a 10000 euro a carico del “responsabile della violazione”
240 Sui “referenti” del R.P.C. si v. F. Bilardo-M. Prosperi, Piano Nazionale e piani decentrati anticorruzione, Maggioli, 2013, 141 secondo cui i referenti svolgono soprattutto attività informative a vantaggio del R.P.C., affinché quest’ultimo possa avere elementi di conoscenza sull’intera organizzazione amministrativa e, sempre per conto del R.P.C., funzioni di monitoraggio dell’adempimento del piano; ad essi il R.P.C. potrebbe delegare anche sue specifiche funzioni; secondo G. Martellino, Il responsabile per la prevenzione della corruzione e la trasparenza (R.P.C.T.), ruolo, competenza e responsabilità , in F. Cerioni-V. Sarcone (a cura di), Legislazione anticorruzione e responsabilità nella pubblica amministrazione, Giuffrè, 2019, 113, “la stretta connessione delle funzioni in chiave collaborativa dei referenti con il R.P.C. non determina, in ogni caso, un’equiparazione ad esso di tali soggetti sul piano delle responsabilità“.
241 La legge 190 del 2012 aveva delegato il Governo ad adottare entro sei mesi un decreto per il riordino della disciplina riguardante gli obblighi di pubblicità e trasparenza (art. 1, commi 35 e 36, legge n. 190 del 2012, i cui principi e criteri direttivi sono elencati al comma 35, lett. da a) ad h). In attuazione di tale delega è stato successivamente emanato il d.lgs. 14.03.2013, n. 33, Riordino della disciplina riguardante gli obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni. Tale decreto, tra l’altro, prevede l’obbligo di pubblicazione di tutte le direttive, i programmi, le istruzioni, le circolari e ogni atto che dispone in generale sull’organizzazione, sulle funzioni, sugli obiettivi, sui procedimenti, sull’interpretazione di norme giuridiche (articolo 26). Stabilisce che le pubbliche amministrazioni devono predeterminare e pubblicare i criteri e le modalità di concessione di sovvenzioni, contributi, sussidi e ausili finanziari di ogni genere e tipo (articolo 12). La trasparenza e la pubblicazione di dati (consulenze, compensi ecc.) costituisce la prima misura per prevenire la corruzione. Il decreto punta anche su altri strumenti: il programma triennale per la trasparenza e l’integrità (articolo 10); i piani di prevenzione alla corruzione emanati da ciascuna amministrazione sulla base di un Piano nazionale predisposto dal Dipartimento della funzione pubblica. Inoltre, in ciascuna amministrazione deve essere nominato un responsabile per la trasparenza, oltreché un responsabile per la prevenzione della corruzione. L’osservanza degli obblighi di trasparenza è garantita da una serie di norme sanzionatorie
242 L’oggetto delle misure volte alla trasparenza riguarda in particolare i procedimenti di autorizzazione o concessione (art. 1, comma 16, lett. a, l. n. 190 del 2012); di scelta del contraente per l’affidamento di lavori, forniture e servizi, anche con riferimento alla modalità di selezione prescelta ai sensi del codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture (art. 1, comma 16, lett. b, l. n. 190 del 2012); di concessione ed erogazione di sovvenzioni, contributi, sussidi, ausili finanziari, nonché attribuzione di vantaggi economici di qualunque genere a persone ed enti pubblici e privati (Art. 1, comma 16, lett. c, l. n. 190 del 2012); di concorsi e prove selettive per l’assunzione del personale e progressioni di carriera di cui all’art. 24 d.lgs. n. 150 del 2009 (art. 1, comma 16, lett. d), legge n. 190 del 2012). 99 Art. 1, commi 29 e 30, l. n. 190 del 2012. Sotto altro profilo, ai sensi dell’art.1 comma 33 l. 190/2012, la mancata o incompleta pubblicazione, da parte delle pubbliche amministrazioni, delle informazioni necessarie costituisce violazione degli standard qualitativi ed economici ai sensi dell’art. 1, comma 1, d.lgs. n. 198 del 2009, in materia di ricorso per l’efficienza delle amministrazioni e dei concessionari di servizi pubblici (cd. class action pubblica)
243 Per il particolare strumento dell’azione per l’efficienza, sia consentito rinviare a G. Fidone, L’azione per l’efficienza nel processo amministrativo: dal giudizio sull’atto a quello sull’attività, Torino, 2012.
244 La legge 190 del 2012 ha rafforzato l’applicazione ai soggetti privati preposti all’esercizio di attività amministrative dei principi di cui all’art. 1 della l. n. 241 del 1990, prevedendo la relativa applicazione “con un livello di garanzia non inferiore a quello cui sono tenute le pubbliche amministrazioni in forza delle disposizioni di cui alla presente legge (art. 1, comma 1-ter, della l. n. 241 del 1990, come modificato dall’art. 1, comma 37, della legge n. 190 del 2012). È stata, inoltre, introdotta una conclusione del procedimento in forma semplificata (art. 1, comma 38, l. n. 190 del 2012 così modifica l’art. 2, comma 1, della legge n. 241 del 1990), mediante la previsione di un provvedimento la cui motivazione può consistere in un sintetico riferimento al punto di fatto o di diritto ritenuto risolutivo, quando l’Amministrazione procedente ravvisi la manifesta irricevibilità, inammissibilità, improcedibilità o infondatezza della domanda. Anche gli accordi tra Amministrazione e privati di cui all’art. 11 della legge n. 241 del 1990 devono ora essere motivati ai sensi dell’art. 3 della L. n. 241 del 1990, confermandone in tal modo la piena riconduzione all’esercizio dell’attività amministrativa ed evitando che il richiamo alla disciplina dei contratti dettata dal codice civile possa favorire un utilizzo inappropriato ed insindacabile della discrezionalità amministrativa (art. 1, comma 47, L. n. 190 del 2012).
245 Tale difficoltà sono descritte nel Rapporto sul primo anno di attuazione della legge n. 190 del 2012, stilato dalla CIVIT (oggi A.N.A.C.) nel dicembre 2013
246 European Commission, Brussels 3.2.2014, COM (2014), Final Report from the Commission to the Council and the European Parliament EU Anti-Corruption Report.
247 OECD, Public Governance Reviews, OECD Integrity Review of Italy, Reinforcing public sector integrity, restoring trust for sustainable growth, 2013.
248 Dello stesso parere di una valutazione positiva della riforma è Mattarella B.G., La prevenzione della Corruzione in Italia, in Il Giornale di diritto amministrativo, 2/2013 pp.123 e ss. L’Autore, tuttavia, evidenzia due limiti della stessa riforma. Il primo è che il coraggio mostrato nella lotta alla corruzione amministrativa non ha trovato corrispondenza nella lotta contro la corruzione politica. In un passaggio afferma che “l’impressione è quella di una classe politica che riesce ad affrontare i difetti dell’amministrazione, ma rimane indifferente rispetto ai propri” (pag.124). Altra critica mossa alla riforma è quella di non avere provveduto adeguatamente sulla corruzione privata. In un altro passaggio afferma che le due forme di corruzione (pubblica e privata) “sono spesso collegate, in quanto certi reati commessi da privati sono spesso il presupposto o il postulato della corruzione contro la pubblica amministrazione. Il falso in bilancio, per esempio, è spesso finalizzato alla costituzione di fondi occulti, da utilizzare per il pagamento di tangenti“(pag. 124).
249 Ancora, B.G. Mattarella, La prevenzione della Corruzione in Italia, in Il Giornale di diritto amministrativo, 2/2013.
250 La tesi è stata sostenuta anche in G. Fidone, The conflict against corruption and the pursuit of efficiency in public negotiation in Italy in US – China Law Review – David Publishing Company, vo. 14 n. 1/2017; Fidone G., Lotta alla corruzione e perseguimento dell’efficienza, in Rivista giuridica del Mezzogiorno (SVIMEZ), 3/2016.
251 Ad esempio, Cantone R. – Di Feo G., Il male italiano – liberarsi dalla corruzione per cambiare il Paese, Rizzoli, 2016.
252 Ovvero la diminuzione dei costi, l’accorciamento dei tempi, il miglioramento della qualità e, in definitiva il conseguimento della performance.
253 Che, peraltro, non sarebbero di ostacolo al raggiungimento dell’interesse pubblico legato alla realizzazione di risultati con una spesa contenuta.
254 Se la corruzione trova il suo fondamento nell’esercizio del potere amministrativo, il grado di discrezionalità nell’esercizio di tale potere da parte di pubblici funzionari è comunemente ritenuto direttamente proporzionale al rischio di corruzione (ad esempio, Vannucci A., Atlante della corruzione, Torino, Edizioni Gruppo Abele, 2012; Vannucci A., Il lato oscuro della discrezionalità. Appalti, rendite e corruzione, in Comporti G.D., (a cura di), Le gare pubbliche: il futuro di un modello, Editoriale Scientifica, 2011). Deve però essere osservato che quando la discrezionalità sia necessaria al conseguimento dell’efficienza (e al contrario decisioni fondate su automatismi causerebbero perdite di efficienza), allora l’irrigidimento delle procedure diventerebbe esso stesso elemento che favorisce la corruzione (poiché l’inefficienza costituisce le condizioni nelle quali possono verificarsi fatti corruttivi). Ciò, ad esempio, si verifica per il caso dell’irrigidimento delle procedure di affidamento dei contratti pubblici che genera inefficienza. Sul punto si rinvia a Fidone G., La corruzione e la discrezionalità amministrativa: il caso dei contratti pubblici, in Il Giornale di Diritto Amministrativo n. 3/2015, pp. 325- 344.
255 Così, Cons. St., sez. IV, 5 maggio 2016, n. 1808, che tuttavia annulla TAR Lombardia/Milano n. 974 del 20 aprile 2015 e dichiara il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo in ordine alla domanda di risarcimento del danno, poiché la condotta (attività) censurata potrebbe assumere rilievo nei confronti dei destinatari dell’attività soltanto come responsabilità aquiliana, rispetto alla quale avrebbe giurisdizione il giudice ordinario. Il TAR in primo grado, previo annullamento dell’avvenuta aggiudicazione, aveva riconosciuto la spettanza di un risarcimento in capo al secondo classificato in una gara d’appalto, giudicando la stazione appaltante responsabile nei confronti di quest’ultimo per il fallimento del sistema dei controlli e per l’erronea scelta dei funzionari predisposti a garanzia della trasparenza della procedura. Secondo il Consiglio di Stato, “tale affermazione di responsabilità consegue alla individuazione di un danno che, lungi dal discendere come conseguenza diretta da un provvedimento amministrativo lesivo di interessi legittimi (o dalla mancata o ritardata adozione di tale atto), con ciò radicando la giurisdizione del giudice amministrativo (Cass., sez. un., 22 gennaio 2015 n. 1162), discende invece dall’accertamento di un generale comportamento negligente e/o omissivo della pubblica amministrazione in sede di controllo sugli organi, lesivo del principio del neminem ledere, e del tutto prescindente dall’esercizio di un potere amministrativo ovvero dal mancato esercizio di un potere amministrativo obbligatorio (ex art. 30, co. 2) concretizzantesi (o meno) in una adozione di provvedimento amministrativo illegittimo”.
256 Il Presidente dell’A.N.A.C. Cantone nell’ intervento del 25 maggio 2017 presso la Scuola di Polizia tributaria della Guardia di finanza La prevenzione anticorruzione come strumento di spending review ha sostenuto la tesi che l’individuazione di costi standard può essere determinante per individuare indicatori oggettivi della corruzione. Egli ha affermato: “faccio un esempio concreto: se qualcuno compra a 100 un bene che altri acquistano a 10, è evidente che si accende una sorta di alert sul quale si può avviare un’indagine specifica. Non è detto che questa differenza nell’acquisto implichi l’esistenza di illeciti, forse è solo inefficienza o scarsa concorrenza ma è di sicuro uno degli elementi caratteristici dietro il quale si possono verificare fatti corruttivi“. L’individuazione dei costi standard, dunque, “riduce infatti il rischio di un’eccessiva remunerazione, dietro la quale si può nascondere una logica corruttiva, favorendo al tempo stesso l’emersione di elementi che permettono un controllo più diffuso come la trasparenza e l’accountability”. Infine, egli conclude: “Mi spiego: se si crea un alert quando un certo bene è pagato oltre una certa cifra, vengono disincentivati comportamenti potenzialmente devianti. In questo senso vi è dunque un collegamento molto forte tra interventi di spending review e prevenzione della corruzione”. L’intervento è pubblicato sul sito dell’A.N.A.C. (www.anticorruzione.it/). Si confronti anche il recente documento A.N.A.C. del gennaio 2018 Efficienza dei contratti pubblici e sviluppo di indicatori di rischio corruttivo, nel quale è espressamente sostenuta la tesi che l’analisi dell’efficienza dei contratti pubblici e lo sviluppo di indicatori di rischio corruttivo sono temi strettamente correlati. Secondo tale documento, “la potenzialità di utilizzo dei prezzi di riferimento elaborati dall’A.N.A.C., non solo ai fini della “spending review” e dell’individuazione dell’inefficienza delle politiche di acquisto, ma anche della trasparenza e del contrasto alla corruzione, appare evidente dalla semplice e intuitiva considerazione che elevati eccessi dei prezzi rispetto a quelli di riferimento, per acquisti di beni/servizi simili, può presumibilmente essere imputabile a fattori di inefficienza, che possono a loro volta celare dei potenziali fenomeni corruttivi“. Anche questo documento è disponibile sul sito dell’A.N.A.C. (https://www.anticorruzione.it).
257 Dunque, della spesa, della qualità, della tempestività
258 Azioni organizzative.
259 F. Anechiarico e J. B. Jacobs (1996), The pursuit of how corruption control Absolute make Government Integrity Ineffective.