di Carlo Rapicavoli
Quanto mi piacerebbe poter affermare che la decisione dell’Assemblea Regionale Siciliana sulle Province possa essere un modello per l’Italia, che sia una bella testimonianza di buona politica o l’attuazione concreta dell’autonomia speciale.
In realtà così non è.
Così non è malgrado le quasi unanimi attestazioni di “riforma storica” apparse sugli organi di stampa nazionali e locali, malgrado le solenni ed entusiastiche dichiarazioni del Presidente della Regione e dei rappresentanti delle forze politiche che hanno votato la riforma.
Singolare la polemica tra Crocetta e il Movimento Cinque Stelle per rivendicare la paternità della grande riforma.
Ma in che consiste questa riforma storica tanto declamata e rivendicata?
La riforma si articola in quattro punti:
1. Entro il 31 dicembre 2013 la Regione, con una nuova legge, dovrà disciplinare l’istituzione dei liberi Consorzi comunali per l’esercizio delle funzioni di governo di area vasta, in sostituzione delle Province regionali, dando così attuazione all’articolo 15 dello Statuto speciale della Regione siciliana,
2. Gli organi di governo dei nascenti liberi consorzi comunali dovranno essere eletti con sistema indiretto di secondo grado.
3. La legge nuova legge dovrà disciplinare l’istituzione nel territorio della Regione delle città metropolitane.
4. Al fine di consentire la riforma è sospeso il rinnovo degli organi provinciali e le Province vengono commissariate.
Due considerazioni preliminari.
– L’art. 15 dello statuto, espressamente richiamato, prevede “ L‘ordinamento degli enti locali si basa nella Regione stessa sui Comuni e sui liberi Consorzi comunali, dotati della più ampia autonomia amministrativa e finanziaria”.
Lo Statuto dunque – che ha valenza di norma costituzionale – prevede tre livelli di governo, con autonomia amministrativa e finanziaria, Regione, “liberi consorzi comunali” che corrispondono alle Province per il resto d’Italia e Comuni. A differenza di quanto previsto dall’art. 114 della Costituzione, non sono previste le città metropolitane.
– L’art. 3 della Legge Regionale 6 marzo 1986 n. 9 prevede: “L’amministrazione locale territoriale nella Regione siciliana è articolata, ai sensi dell’art. 15 dello Statuto regionale, in Comuni ed in liberi consorzi di Comuni denominati “Province regionali”.
Dunque le attuali Province sono già i “liberi consorzi comunali” previsti dall’art. 15 dello Statuto.
Allora qual è la riforma storica?
La nuova legge, da emanare entro il 31 dicembre 2013, non dovrà istituire i “liberi consorzi comunali” perché esistono già sotto il nome di “Province Regionali”, semmai dovrà riformarle rispetto all’attuale ordinamento contenuto nella citata L. R. 9/1986.
La riforma storica è semplicemente al momento quella di impedire il rinnovo degli organi delle Province e il conseguente commissariamento delle nove “Province regionali” della Sicilia e la previsione che i “nuovi” liberi consorzi dovranno prevedere l’elezione di secondo grado.
Esattamente come avvenuto per il resto d’Italia con le riforme incompiute del Governo Monti e le disposizioni del decreto salva Italia e del decreto spending review.
E ciò malgrado con grande enfasi lo stesso Presidente Crocetta aveva annunciato la sua ferma volontà di rinnovare gli organi delle Province, in quanto “luoghi di democrazia e di rappresentanza dei cittadini”. E non solo annunciato, ma tradotto in atti con la deliberazione della Giunta Regionale n. 31 del 31 gennaio 2013 che aveva fissato le date per la convocazione dei comizi elettorali per le elezioni amministrative i presidenti ed i consigli provinciali delle nove Province dell’isola, in aperta e dichiarata controtendenza rispetto alla scelta nazionale di commissariare le Province in attesa del riordino.
Nell’annunciare la grande riforma, è stato enfatizzato il principio autonomistico; dalle dichiarazioni espresse in assemblea regionale dallo stesso Presidente si legge: “Il nostro Statuto ha ipotizzato una Regione completamente diversa rispetto a quella delle Province, cioè ha rifiutato l’idea dello Stato che era venuto dall’Unità d’Italia, e mi meraviglia che gli autonomisti non colgano neppure una vicenda storica e culturale che ha diviso per anni questa Regione, rispetto anche all’impostazione nazionale basata sui prefetti, sulle province, un meccanismo che, sostanzialmente, è autoritario, perché non è che le province sono espressione della democrazia, sono elementi di sovrapposizione intermedia rispetto all’esercizio della democrazia che il nostro Legislatore costituente – in questo caso, diciamo l’Assemblea regionale siciliana – ha inteso affidare ai comuni e lo prevede”
Ma abbiamo visto che l’art. 15 dello Statuto prevede ben altro: tre articolazioni – Regione, liberi consorzi di Comuni e Comuni – tutti ugualmente e paritariamente “dotati della più ampia autonomia amministrativa e finanziaria”, esattamente come prevede l’art. 114 della Costituzione: “La Repubblica è costituita dai Comuni, dalle Province, dalle Città metropolitane, dalle Regioni e dallo Stato. I Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni sono enti autonomi con propri statuti, poteri e funzioni secondo i princìpi fissati dalla Costituzione”.
Il disegno riformatore non dice invece alcunché su (solo per fare qualche esempio):
1) Quali sono le “funzioni di governo di area vasta” che dovranno essere attribuite ai liberi consorzi di Comuni?
2) Come sarà gestito il patrimonio delle attuali “province regionali” spesso indivisibile: si pensi agli edifici scolastici delle scuole di secondo grado di competenza provinciale?
3) Quali effetti avranno sulle funzioni – si pensi sempre all’edilizia scolastica – nella nuova configurazione territoriale dei liberi consorzi che, secondo quanto annunciato, potranno avere anche un limitata estensione e 150.000 abitanti?
4) Come saranno gestiti i bilanci delle attuali province, i mutui contratti, le partecipazioni societarie etc.?
5) Quali saranno gli effetti sul patto di stabilità, posto che la Regione – malgrado il regime di autonomia speciale – non ha alcuna competenza in materia?
6) In che rapporto si porranno i nuovi liberi consorzi con l’organizzazione periferica dello stato _ Prefetture, Questure, Comandi Provinciali delle Forze dell’Ordine – oggi organizzati su base provinciale?
7) Come si concilia l’istituzione delle città metropolitane con l’art. 15 dello Statuto, quali funzioni avranno, come si porranno rispetto ai Comuni?
Aiutati da una campagna mediatica ahimè senza precedenti, le Province sono diventate un simbolo, una bandiera da utilizzare per dichiararsi riformatori.
Con la soppressione delle Province si cerca di trovare accordi di Governo, consenso mediatico ed elettorale…
Con la soppressione delle Province si salverà l’Italia!
Abbiamo già avuto modo di sottolineare come bisognerebbe innanzitutto delimitare gli spazi d’azione della Pubblica Amministrazione, semplificare e disboscare tutti quegli ambiti di intervento nei quali non ha senso né utilità l’intervento pubblico come oggi esistente, che può rappresentare soltanto un appesantimento di procedure e costi senza benefici.
Soltanto dopo potrà essere individuato l’ambito territoriale ottimale e il livello di governo migliore per l’esercizio delle funzioni, individuando con chiarezza ed univocità chi fa cosa, per chiarezza, semplificazione ed individuazione certa delle responsabilità.
Chi immagina di rispondere alla pressante e ineludibile richiesta di pulizia e di riduzione dei costi che proviene dall’opinione pubblica ipotizzando semplicemente soppressioni di livelli essenziali di governo non fa il bene delle Istituzioni e non si raggiunge l’obiettivo sperato.
Accade invece che il tema dell’abolizione è diventato l’emblema – come afferma il prof. Guido Clemente di san Luca – “di un diffuso ‘qualunquismo’, spiegabile (ma non giustificabile) con l’interesse a conservare soprattutto la credibilità degli esponenti politici agli occhi della opinione pubblica (alla cui informazione corretta, del resto, certo non contribuisce la stampa d’inchiesta, sebbene la funzione di questa sia indispensabile, e quindi meriti rispetto), e, per un altro, di una scarsissima conoscenza dei problemi sottesi alla richiesta di abolizione, sia sotto il profilo giuridico, sia sul piano sostanziale”.
Occorre prendere piena consapevolezza che l’onda demagogica, che sembra travolgere tutto, spinge irrazionalmente nel senso – sbagliato! – di buttar via il bambino con l’acqua sporca. Se si vuole evitare questa deriva, assai rischiosa per la libertà, e fermare quell’onda, c’è soltanto una strada: riscoprire i comportamenti virtuosi (individuali e collettivi), da parte della società civile, dei partiti politici che ne sono la principale forma organizzativa, e quindi, per conseguenza, dei suoi rappresentanti eletti per servire la comunità nelle istituzioni.