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di Carlo Rapicavoli – La “spending review”, per Regioni e Autonomie Locali, si è tradotta ancora una volta in tagli pressoché lineari, malgrado i possibili correttivi annunciati ma di difficile applicazione se non altro nel 2012, che si sommano ai pesantissimi tagli precedenti.

Per il sistema delle autonomie, la quantificazione di tagli è pari a 500 milioni di euro per l’anno 2012 e 2.000 milioni di euro a decorrere dall’anno 2013 per i Comuni e di 500 milioni di euro per l’anno 2012 e 1.000 milioni di euro a decorrere dal 2013 per le Province.

Non si comprende davvero come questo possa realizzarsi “con invarianza dei servizi ai cittadini”.

Dalla relazione del Governo emerge:

“La riduzione degli eccessi di spesa delle pubbliche amministrazioni, per la parte relativa ai beni e servizi, è frutto dell’analisi svolta del Commissario straordinario per la spending review, Enrico Bondi. L’analisi ha permesso di individuare un benchmark di riferimento – o indicatore di valore mediano di spesa – in base al quale stimare l’eccesso di spesa in capo alle amministrazioni (lo Stato centrale, le Regioni, le Province, i Comuni e gli enti pubblici non territoriali). L’indicatore, che tiene conto delle peculiarità di ciascuna amministrazione, costituisce la base analitica per superare una metodologia di riduzione della spesa che colpisce nella stessa proporzione i soggetti virtuosi e quelli meno virtuosi, disincentivando il perseguimento di comportamenti efficienti. Il nuovo metodo allinea i centri di spesa meno performanti a quelli efficienti ed è, quindi, la premessa per operare riduzioni di spesa selettive”.

Dice dunque il Governo: mai più tagli lineari, ovvero mai più riduzioni dei trasferimenti in proporzione a quanto quell’ente già riceveva.

Bene!

Ma è proprio così?

Il decreto legge sulla spending review prevede che le riduzioni di risorse per Regioni ed Enti Locali saranno determinate dalle rispettive Conferenze.

Ma se in quelle sedi non si arrivasse a un accordo deciderà il Governo calibrando i tagli alle spese per consumi intermedi sostenute da ciascun ente nel 2011: chi ha speso di più subirà i tagli più pesanti a tutto vantaggio di chi è stato più parsimonioso.

Ma, di più, o di meno, rispetto a che cosa?

E soprattutto: in che consiste la spesa per consumi intermedi?

Le cifre, come vedremo, sono dunque abbastanza chiare e definiscono, in modo consueto, un taglio di risorse, anziché un efficientamento della spesa, come ci si sarebbe aspettato.

Parametrare il taglio ai consumi intermedi attesta di fatto la volontà di non voler tenere conto né della razionalizzazione già avviata e realizzata da parte di alcuni enti, nonché la incapacità di individuare, effettivamente quella ancora da fare.

E’ facile incorrere in un equivoco di fondo: intendere i consumi intermedi come le spese di funzionamento (penne, carta, attrezzature informatiche, affitti, arredi, auto blu, ecc.).

Un tema questo su cui si dibatte da anni ed affrontata dal Governo ribadendo la norma che sancisce la nullità dei contratti che non siano stati stipulati attraverso gli strumenti di acquisto messi a disposizione da Consip.

Ma poiché il fulcro dell’analisi del Governo appare essere il consumo intermedio di ogni singolo ente, sarebbe stato necessario, preliminarmente, entrare nel merito della natura del concetto di “consumo intermedio”, come desunto dalla banca dati Siope, cui fa riferimento l’art. 16 del D. L. 95/2012.

Sarebbe stato agevole rilevare come nelle spese per “consumi intermedi” rientrano voci ben più consistenti delle spese di funzionamento, molto diverse anche per Enti dello stesso comparto in ambito nazionale, e che certamente non possono essere prese come riferimento per parametrare l’entità dei tagli, soprattutto se questi devono essere realizzati“con invarianza dei servizi ai cittadini”.

Di seguito alcune voci significative ricomprese nel consumo intermedio oggetto di “review” riferito alle Province secondo i dati elaborati dall’UPI.

Per le Province i consumi intermedi ammontano a circa 3,7 miliardi di euro, ovvero la spesa corrente (8,45 miliardi) cui sostanzialmente viene detratta la spesa per il personale (2,223 miliardi) e i trasferimenti correnti ad altri soggetti della PA (1,51 miliardi), oltre agli interessi passivi.

Il taglio di 500 milioni, peraltro, viene ad intaccare l’anno 2012 e dunque i bilanci in corso; le Province dovrebbero dunque, negli ultimi 5 mesi dell’anno 2012, contrarre i propri consumi intermedi di oltre il 13% su base annua (e dunque quasi il 26% il doppio se consideriamo che si deve agire sui 6 mesi rimanente del 2012).

Le voci più significative che compongono la spesa per consumi intermedi delle Province sono le seguenti:

– Contratti di servizio per trasporto pubblico locale: € 1.134.092.057,89

– Corsi di formazione professionale: € 367.644.864,69

– Manutenzione ordinaria e riparazioni di edifici scolastici e viabilità: € 243.070.520,38

Queste tre voci prese ad esemplificazione (e che assommano a circa la metà dei consumi intermedi), rappresentano servizi ai cittadini, non sprechi aggredibili:

– stiamo infatti parlando di trasporto pubblico locale e di formazione professionale, ovvero di due rilevanti funzioni assegnate da quasi tutte le Regioni alle Province con propria legge;

– ma stiamo anche parlando di manutenzione degli immobili ovvero degli oltre 5000 edifici scolastici, della intera viabilità provinciale nonché dell’intero patrimonio immobiliare delle Province.

Non tutte le Province inoltre svolgono i medesimi servizi perché il sistema di conferimento di funzioni e servizi alle Province da parte delle Regioni in virtù del Titolo V, parte II, della Costituzione, non è omogeneo nel territorio nazionale.

Analoghe considerazioni andrebbero fatte per i Comuni.

Pertanto, rapportare i tagli all’entità dei consumi intermedi rilevati dai dati SIOPE, comporta paradossalmente di tagliare in proporzione maggiore a quelle Amministrazioni che erogano più servizi, indipendentemente dalla loro efficienza ed economicità.

In più bisogna considerare come l’utilizzo dei soli consumi intermedi per parametrare il taglio delle risorse, comporta matematicamente il riconoscimento di un vantaggio agli enti che hanno una più elevata incidenza delle spese di personale sulla spesa corrente, in perfetta antitesi con le politiche di limitazione delle spese di personale operate da diversi anni a questa parte in tutti i settori della Pubblica Amministrazione.

Tradotto in modo ancora più chiaro significa che i tagli saranno più incisivi a carico di quelle Amministrazioni che erogano più servizi, a prescindere dalla virtuosità dei bilanci o dalla spesa del personale.

Paradossalmente un ente che spende le risorse correnti solo per la spesa del personale e non eroga servizi, con questi criteri, non subirebbe alcun taglio!

Inoltre occorre rilevare che la norma interviene in una fase avanzata dell’anno e la ripartizione delle riduzioni tra i Comuni e le Province saranno note solo il 15 ottobre, cioè a soli 2 mesi dallo scadere dell’esercizio finanziario.

Tale circostanza renderà ancora più difficoltoso per tutti gli Enti il conseguimento degli obiettivi del patto di stabilità interno rideterminati per tener conto degli importi delle riduzioni da operare.

Di tutto questo il Commissario Bondi ha tenuto conto?
Eppure il processo di attuazione della riforma del federalismo fiscale indica, almeno in prospettiva, la soluzione giusta: i fabbisogni standard.

Come è noto la riforma prevede che per le funzioni di spesa più importanti di regioni ed enti locali lo Stato garantisca, compatibilmente con le esigenze di coordinamento della finanza pubblica, il finanziamento integrale dei corrispondenti fabbisogni standard: se i tributi propri non bastano, i trasferimenti perequativi devono portare le risorse di ciascun ente al livello dei fabbisogni standard di spesa.

E i fabbisogni standard sono le spese di ciascun ente “giustificate” sulla base delle proprie caratteristiche strutturali (popolazione, territorio ecc.) che incidono sulla domanda di servizi dei cittadini e sulle condizioni di produzione.

Se il controllo dei conti pubblici a livello nazionale richiede, giusto o sbagliato che sia, di tagliare risorse alle amministrazioni locali, deve essere la revisione dei fabbisogni standard a guidare la ripartizione dei tagli di risorse tra singoli enti e non il riferimento a singole componenti della spesa (i consumi intermedi o il personale) e neppure a specifiche fonti di entrata (i trasferimenti passati o taluni tributi propri).

Restando alle funzioni delle Province, per il mercato del lavoro, in particolare, è stato recentemente predisposto ed ultimato e quindi esaminato dalla CoPAFF, Commissione tecnica paritetica per l’attuazione del federalismo fiscale, nella seduta del 28 giugno scorso, il documento tecnico metodologico relativo ai fabbisogni standard per la funzione Sviluppo economico – centri per l’impiego – delle Province, che rappresenta il punto di riferimento, previsto dalla legge, per valutare l’efficienza dei servi resi.

Dai dati emersi si può constatare quali siano gli esiti di questo lavoro; da una mole di informazioni finanziarie e strutturali, si determina per ogni ente una percentuale di assegnazione di risorse da applicare a un fondo complessivo, dedicato alla funzione mercato del lavoro.

Entro il prossimo anno dovrebbe concludersi il percorso complesso di determinazione dei fabbisogni standard per tutte le funzioni.

Perché dunque non rapportare finalmente i tagli necessari alla logica dei fabbisogni standard?

“La riduzione della spesa – dichiara solennemente il Governo nel comunicato che illustra i contenuti del D. L. 95/2012 – non incide in alcun modo sulla quantità di servizi erogati dalle pubbliche amministrazioni a favore dei cittadini ma mira a migliorarne la qualità e l’efficienza. Stimola, così, la crescita e la competitività del Paese, in linea con le best practices europee e con le sollecitazioni degli investitori internazionali”.

Ci sia consentito mantenere molti dubbi su tale solenne affermazione!

E sull’effettivo risparmio per il bilancio dello stato, il Servizio Bilancio del Senato della Repubblica, in merito ai tagli agli Enti Locali scrive: “Al riguardo, andrebbe acquisita una conferma che i vincoli di saldo previsti a legislazione vigente dalle regole del patto di stabilità per gli anni 2012 e successivi risultano sufficienti a garantire la
possibilità di considerare, ai fini dei saldi di finanza pubblica, l’effetto di risparmio derivante dal taglio dei trasferimenti operato in norma. Infatti, al miglioramento del saldo netto finanziario per il bilancio dello Stato, dovuto al predetto taglio dei trasferimenti, viene fatto corrispondere un analogo miglioramento anche per il fabbisogno e l’indebitamento netto per effetto della vigenza delle regole del patto di stabilità interno. Sul punto occorre evidenziare, però, che la riduzione delle entrate per i comuni e le province, se non accompagnate da effettive misure di contenimento della spesa da parte dei predetti enti o da un incremento corrispondente di entrate, potrebbe rendere più difficile il conseguimento degli obiettivi di risparmio connessi al rispetto del patto di stabilità interno, con effetti negativi sui saldi del fabbisogno e dell’indebitamento netto. Si pone quindi un problema di praticabilità e di sostenibilità degli obiettivi di risparmio recati dalla norma. Peraltro tale affermazione risulta avvalorata considerando che la misura in esame si aggiunge agli ulteriori obiettivi di risparmio fissati dalle normative previste sul patto di stabilità interno a legislazione vigente (D. L. 78/2010, D. L. 98/2011, D. L. 138/2011 e D. L. 201/2011).

Con riferimento all’eventuale riduzione del fondo sperimentale di riequilibrio e del fondo perequativo, occorre osservare che i predetti fondi sono destinati al finanziamento delle funzioni fondamentali degli enti locali e che, ai sensi dell’articolo 11 della legge n. 42 del 2009, devono essere finanziate integralmente in base ai fabbisogni standard. Se tali risorse, quindi, dovessero risultare insufficienti, potrebbero emergere potenziali oneri aggiuntivi a carico della finanza pubblica finalizzati a consentire il finanziamento di tali funzioni”.

Ci sia consentito in conclusione chiedere al Governo chiarezza.

Nella situazione storica – anomala per una democrazia – di gestione del Governo tecnico, bisognerebbe almeno trarne un vantaggio: i tecnici – a differenza dei politici – non hanno il bisogno, almeno teoricamente, di rincorrere il consenso con mirabolanti promesse elettoralistiche.

Non dichiarino, dunque, che tagli così congegnati avvengono “con invarianza dei servizi ai cittadini”.

Tanto più se questa affermazione non è contenuta in un programma elettorale, ma è addirittura il titolo di una legge dello Stato.

Un commento su “La spending review e i tagli ai servizi pubblici

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