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LA SMART CITY COME MODELLO DI CITTÀ E COMUNITÀ SOSTENIBILE.

 

Avv. Vincenza Gigante

Abstract (Ita) Senza la condivisione e la localizzazione degli obiettivi di sviluppo urbano sostenibile, coloro che di fatto vivono la città rischiano di essere meri spettatori di scelte calate dall’alto. La sostenibilità, d’altro canto, come tracciata dall’Agenda 2030, è sempre più da intendersi in maniera olistica e richiede, per la sua attuazione, scelte e progettazioni condivise. Ciò richiede politiche coerenti tese ad un’idea di città intelligente e sostenibile che pone al centro la comunità.

Abstract (EN) Without the sharing and localization of the objectives of sustainable urban development, those who actually live in the city risk being mere spectators of choices dropped from above. Sustainability, on the other hand, as outlined in the 2030 Agenda, is increasingly to be understood in a holistic way and requires, for its implementation, choices and shared designs. This requires consistent policies aimed at an idea of smart and sustainable cities that puts the community at the center.

Sommario: 1) Smart city: una centralità tutta da definire. 2)La localizzazione degli obiettivi. 3) Alcuni modelli di partecipazione. 4) Divenire comunità sostenibili.

1. Smart city: una centralità tutta da definire.

Le città rappresentano il terreno elettivo delle politiche sostenibili. Anzi, si potrebbe affermare che ne rappresentano il banco di prova in virtù della vicinanza ed interconnessione continua con coloro che le vivono. Lo spazio urbano, attraversato dall’impiego delle nuove tecnologie digitali nella gestione dei servizi dei cittadini, viene definito nel linguaggio comune, prima ancora che nel linguaggio giuridico, “smart” o, forse meglio in italiano, “intelligente”. In generale, «il concetto di «Smart city» è utilizzato per indicare una città caratterizzata dall’integrazione tra strutture e mezzi tecnologicamente avanzati, proiettata verso politiche di crescita sostenibile al fine di ottenere un miglioramento degli standard qualitativi della vita umana»1.
E si rimane su una definizione ampia di smart city, dai confini incerti anche quanto all’inquadramento giuridico, nonostante l’evoluzione sovranazionale e nazionale.2
A livello europeo, sono state poste in essere nel tempo pervasive iniziative di soft law sul tema, basate soprattutto sulla previsione di linee di finanziamento con la finalità di orientare gli enti territoriali e gli operatori economici ad adottare soluzioni smart nel governo e nella gestione degli insediamenti urbani.
Si consideri, infatti, l’Agenda Urbana per l’Unione Europea, nota anche come Patto di Amsterdam, istituita nel 2016, nella quale sono confluiti gli obiettivi e gli strumenti delineati anche a livello internazionale per lo sviluppo sostenibile delle città; principi emersi nella Conferenza internazionale Habitat III e precisati per l’attuazione negli impegni e nelle azioni contenute nella New Urban Agenda delle Nazioni Unite che ha individuato temi prioritari per i quali sono previsti finanziamenti indirizzati direttamente alle amministrazioni comunali. Sono i temi attorno ai quali ruota anche tutta l’attività dell’Agenda Urbana europea3.
Si delinea pian piano l’idea della città come spazio o bene oggetto di diritti; e allo stesso tempo come strumento per l’esercizio di questi diritti. «Condividiamo l’ideale di una città per tutti, riferendoci all’uguaglianza nell’uso e nella fruizione delle città e degli insediamenti umani e cercando di promuovere l’inclusività e garantire che tutti gli abitanti, sia delle generazioni presenti che di quelle future, senza discriminazioni di qualsiasi tipo, possano creare città e insediamenti umani giusti, sicuri, sani, accessibili, economici, resilienti e sostenibili e vivere in essi, al fine di promuovere la prosperità e la qualità della vita per tutti. Prendiamo atto degli sforzi di alcuni governi nazionali e locali per consacrare questo ideale, noto come ‘il diritto alla città’, nelle proprie leggi, dichiarazioni politiche e carte» (§ 11 New Urban Agenda).
Prima ancora, la centralità del ruolo delle amministrazioni locali era emersa nell’ambito delle politiche finalizzate ad aumentare l’efficienza energetica e l’utilizzo di fonti energetiche rinnovabili nei territori di propria competenza. Si pensi al Patto dei sindaci lanciato in Europa nel 2008, che attualmente riunisce oltre 7.000 enti locali e regionali in 57 Paesi impegnati su base volontaria a raggiungere e superare gli obiettivi comunitari su clima ed energia4.
Analoga centralità alle amministrazioni locali è riconosciuta dalla strategia decennale “Europa 2020” per la realizzazione di cinque obiettivi entro l’anno 2020, riguardanti l’occupazione, la ricerca e sviluppo, il clima e l’energia, l’istruzione, l’integrazione sociale e la riduzione della povertà.
Si sviluppa così una politica europea tesa sviluppo urbano sostenibile ed integrato caratterizzato da finalità di efficienza energetica, di sostenibilità ambientale e di riqualificazione delle aree mediante soluzioni di mobilità e strumenti di comunicazione, nella quale si innesta il diritto il diritto alla città, il diritto alla smart city e all’innovazione5.
Una città europea chiaramente delineata nella Carta di Lipsia del 2007, come una preziosa e risorsa economica, sociale e culturale insostituibile che richiede «nuovo senso di responsabilità verso la politica di sviluppo urbano integrato» per «sviluppare le città come comunità sostenibili»6. Emerge, quindi, per la prima volta, il secondo elemento della endiadi: la comunità7.
Ed è alle comunità intelligenti che “preferisce” rivolgersi la normativa italiana, senza giungere ad una definizione specifica.
L’art. 20 del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2012, n. 21, che ha come rubrica: Comunità intelligenti, al co. 1 afferma che «1. L’Agenzia per l’Italia digitale definisce strategie e obiettivi, coordina il processo di attuazione e predispone gli strumenti tecnologici ed economici per il progresso delle comunità intelligenti. A tal fine l’Agenzia, sentito il comitato tecnico di cui al comma 2: a) predispone annualmente il piano nazionale delle comunità intelligenti-PNCI e lo trasmette entro il mese di febbraio al Presidente del Consiglio dei Ministri o al Ministro delegato per l’innovazione tecnologica, che lo approva entro il mese successivo; b) entro il mese di gennaio di ogni anno predispone il rapporto annuale sull’attuazione del citato piano nazionale, avvalendosi del sistema di monitoraggio di cui al comma 12; c) emana le linee guida recanti definizione di standard tecnici, compresa la determinazione delle ontologie dei servizi e dei dati delle comunità intelligenti, e procedurali nonché di strumenti finanziari innovativi per lo sviluppo delle comunità intelligenti; d) istituisce e gestisce la piattaforma nazionale delle comunità intelligenti di cui al comma 9 del presente articolo». Interessante è il co.4 che prevede lo Statuto della cittadinanza intelligente: « Con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro delegato per l’innovazione tecnologica, sentiti l’Agenzia e il comitato tecnico di cui al comma 2, previa intesa con la Conferenza unificata di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, è adottato lo Statuto della cittadinanza intelligente, da redigere sulla base dei seguenti criteri: a) definizione dei principi e delle condizioni, compresi i parametri di accessibilità e inclusione digitale ai sensi delle disposizioni del presente decreto-legge, che indirizzano le politiche delle comunità intelligenti; b) elencazione dei protocolli d’intesa tra l’Agenzia e le singole amministrazioni, nei quali ciascuna di esse declina gli obiettivi del piano nazionale delle comunità intelligenti. I protocolli sono aggiornati annualmente a seguito del rinnovo del piano nazionale». Tale cittadinanza intelligente è ovviamente direttamente “dipendente” dalle competenze di cui si può disporre. In proposito il co. 16 stabilisce che «L’inclusione intelligente consiste nella capacità, nelle forme e nei limiti consentiti dalle conoscenze tecnologiche, di offrire informazioni nonché progettare ed erogare servizi fruibili senza discriminazioni dai soggetti appartenenti a categorie deboli o svantaggiate e funzionali alla partecipazione alle attività delle comunità intelligenti, definite dal piano nazionale di cui al comma 2, lettera a), secondo i criteri stabiliti con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri o del Ministro delegato all’innovazione tecnologica». L’idea di fondo è, quindi, la realizzazione di una programmazione integrata e basata sull’utilizzo delle tecnologie digitali, verso «un modello di ripensamento e crescita urbana inclusiva e sostenibile, che va accompagnato da un quadro normativo rinnovato, da adeguate risorse e modalità per attivarle e da azioni mirate alla crescita della cultura digitale dei cittadini8».
Altra normativa italiana nel senso della centralità dell’area urbana funzionale allo sviluppo degli obiettivi europei sulle smart cities è la legge 7 aprile 2014, n. 56 (la cosiddetta legge Delrio), che individua nella Città metropolitana il centro dello sviluppo strategico della aree vaste, con compiti di pianificazione e gestione accentrata dei servizi. Ciò senza che vi sia nel nostro ordinamento una specifica definizione del concetto di sviluppo intelligente delle aree urbane e una reale delineazione delle competenze nella gestione dei servizi di area vasta. Ne deriva una sovrapposizione tra Comuni, Città metropolitane e Regioni, senza contare poi la dimensione provinciale. In questa cornice si inserisce l’Agenda urbana nazionale, che include i programmi regionali FESR-FSE 2014-2020 con ampie possibilità di finanziamento degli interventi. L’obiettivo generale, tramite accordi partenariato, è quello di realizzare nei territori urbani un’integrazione di politiche di sostenibilità e di competitività, derivanti dalla progettazione comune di autorità urbane (le città) e di più estesi enti territoriali (le Regioni). Ritorna qui il concetto di comunità intelligente9.
In termini equiparativi si pone l’Agenda 2030, adottata in seno all’ONU nel 2015, che tra i 17 obiettivi di sviluppo sostenibile vi dedica in maniera specifica l’SDG 11 Città e comunità sostenibili: “Rendere le città e gli insediamenti umani inclusivi, sicuri, duraturi e sostenibili”. Anche qui, pur sfuggendo a definizioni e distinzioni dogmatiche, è ribadita la centralità delle città e delle comunità in un’ottica multidimensionale del concetto di sostenibilità, nella triplice dimensione ambientale, sociale ed economica.
E la traduzione della parola inglese smart in italiano con “intelligente” appare riduttiva, a meno che non si intenda l’intelligenza una strategia della (e per la) sostenibilità urbana10.
In proposito è stato affermato che «la smart city può essere considerata un “sottoinsieme” della città sostenibile. La differenza tra una città etichettata come smart e una città “realmente” smart sarebbe da attribuire proprio alla capacità di perseguire o meno uno sviluppo sostenibile»11.
Può pertanto condividersi quanto affermato dal «Dipartimento per lo Sviluppo e la Coesione Economica (2014) nell’ambito del PON Città Metropolitane secondo cui è smart una città accessibile, sostenibile, coesa ed inclusiva nella quale, anche grazie all’uso dell’ICT, si adottano soluzioni “intelligenti” per migliorare le performance, la fruibilità e la compatibilità ambientale dei servizi urbani rivolti ai cittadini, alle imprese e ai city users, sia in termini di incremento della qualità della vita, sia come migliore accessibilità alle infrastrutture rilevanti per la competitività»12.
In tale ottica la componente tecnologica è quindi solo uno strumento per il raggiungimento degli obiettivi sostenibili.

2. La localizzazione degli obiettivi.

I risultati di un recente lavoro di ricerca sulla modalità di applicazione del paradigma Smart city in 12 grandi città italiane ha evidenziato le potenzialità di questo approccio dipendono, più che dall’utilizzo dell’ICT (tecnologie dell’informazione e della comunicazione), dalla chiara visione della evoluzione in chiave smart della città e pertanto da una strategia di programmazione che partendo dalle specificità dei diversi contesti definisca un ventaglio di azioni integrate da applicare ai diversi ambiti di intervento. Si tratta quindi di un processo di miglioramento di qualità della vita (nel senso di migliore fruizione della città dei suoi servizi), non dell’applicazione decontestualizzata e acritica di tecnologie informatiche e/o comunicative, che tenga conto delle differenze sociali, economiche e culturali che contraddistinguono la città e che sono basilari per l’individuazione di strategie specifiche di intervento.13 In definitiva uno strumento per supportare i decisori e non ulteriore elemento di differenziazione sociale14. Una visione tecno-centrica della città si risolverebbe, da un lato, in un approccio allo sviluppo urbano di tipo imprenditoriale e, dall’altro, alla negazione delle specifiche condizioni di contesto e delle caratteristiche proprie di ogni sistema urbano quasi nella ricerca di un “modello ideale” di Smart city lontano dalla lettura del reale15.
Ogni città è smart in modo diverso e richiede specifiche strategie di intervento.
Il punto di partenza, sul quale innestare specifiche strategie, è “come” comprendere se una città è intelligente e di misurare “quanto” lo è. La selezione degli indicatori, cosa misurare e come, non è una scelta neutrale16 perché è ciò che determina la strategia e consente di valutare l’attuazione degli interventi.
Gli indicatori per definire la smartness dei sistemi urbani, o, in via più complessiva, la sostenibilità, devono essere specifici per poter essere attendibili17.
Ed è sempre nell’ambito del rapporto tra sostenibilità ed intelligenza della città, considerando che il principale obiettivo della smart city è il perseguimento della sostenibilità attraverso l’uso dell’ITC, che si potrebbe accogliere la proposta del nuovo termine “Smart Sustainable Cities” per assegnare il giusto rilievo agli indicatori di sostenibilità per valutare la smartness urbana18.
Nell’ambito di questo orientamento, è smart una città che utilizza l’innovazione digitale come il tessuto che sostiene la transizione ecologica, gli obiettivi dell’Agenda, e che consente di monitorare le politiche e verificarne gli avanzamenti nella direzione della sostenibilità. Poiché l’Agenda 2030 e il BES (Benessere Equo e Sostenibile)19 in Italia indicano obiettivi misurabili tramite indicatori20 parzialmente sovrapponibili e sicuramente complementari21, l’impiego delle tecnologie digitali e di piattaforme inter operative di trattamento dei dati consente di fare misurazioni. La rilevazione e il trattamento dei «big data» consente misurazioni e analisi predittive. In definitiva l’intelligenza artificiale renderà possibile una lettura profonda delle possibilità di programmazione e la misurazione di risultati, campo per campo e nell’insieme. La politica e le politiche hanno quindi una nuova strategia predittiva, attuativa, di verifica.
Ma, a quale livello di governo?
In assenza di una definizione legislativa di “città intelligente” e stante il dettato costituzionale e la normativa di settore quale il TUEL (d.lgs. n. 267/2000), i possibili livelli di governo afferiscono a differenti enti pubblici territoriali e, in particolare, allo Stato, alle regioni, alle Città metropolitane, alle Provincie e ai Comuni. In considerazione però «dell’art. 118 Costituzione e la significativa propensione delle città intelligenti a soddisfare necessità della popolazione di riferimento; sembra che la dimensione della smart city non possa essere altro che quella dell’ente locale e, con precisione del Comune»22.
Con riferimento alle sperimentazioni sulla sostenibilità, è stato infatti osservato che il loro «radicamento nella cornice urbana dovrebbe funzionare, piuttosto che l’approccio internazionale e governativo al problema, come una garanzia di efficacia degli interventi messi in campo. Ciò è confermato anche dalla declinazione su scala locale degli obiettivi che definiscono un documento “globale” come l’Agenda 2030 per lo Sviluppo sostenibile»23.
D’altro canto la Nuova Agenda Urbana delle Nazioni Unite del 2016 evidenzia che il goal 11 dell’Agenda 2030 è talmente legato a tutti gli altri che non solo si può analizzare di per sé ma può anche diventare la lente (quella della comunità locale, della città, della regione) attraverso cui misurare tutti gli altri a favore della popolazione che ci vive. E anche in Europa è stata accolta questa idea di guardare tutti gli obiettivi sostenibili attraverso la lente “locale” con l’Agenda Urbana per l’UE pubblicata anch’essa nel 2016. E’ stata da subito, quindi, data grande importanza all’aspetto della localizzazione poiché proprio il raggiungimento degli altri goal non sarebbe stato possibile senza il coinvolgimento delle città e delle comunità urbana.
Ma cosa si intende per localizzazione degli SDGs? Si tratta di definire, attuare e monitorare strategie a livello locale per il raggiungimento degli obiettivi di sviluppo a livello globale, nazionale e locale. Ciò si può fare individuando i problemi locali, i problemi delle realtà vicine per coordinare eventuali interventi e i temi su cui la municipalità abbia competenza. Questo comprende pertanto meccanismi concreti, strumenti, piattaforme e processi che siano in grado di tradurre efficacemente l’agenda per lo sviluppo sostenibile a livello locale.
Gli SDGs si possono implementare a livello territoriale attraverso un allineamento alle attività e Piani strategici locali che prevede diverse fasi: in primo luogo un’attività di sensibilizzazione sia nei diversi Dipartimenti dell’Amministrazione sia rivolta alla cittadinanza; in secondo luogo una mappatura, cioè un processo endogeno di identificazione delle aree di competenza e delle risorse disponibili tramite la partecipazione coinvolgimento di tutti i dipartimenti dell’amministrazione; ciò culmina nel “Rapporto locale volontario”24 che consente la sistematizzazione e coordinamento delle politiche, migliora la consapevolezza e trasparenza della città, colloca le attività in un impegno globale. In base alle risorse disponibili si possono implementare deversi livelli, ad esempio prevedendo forme di collaborazione con le Università oppure coinvolgendo direttamente i cittadini nella co-progettazione.25
In tema di monitoraggio locale degli obiettivi, sicuramente l’esperienza italiana della Rete dei Comuni sostenibili26 rappresenta un importante “esperienza” di monitoraggio della localizzazione degli obiettivi27. Da tale monitoraggio dagli obiettivi (goals) o dai sotto obiettivi (target) si possono aprire nuove strade di azioni politiche locali, concrete, che incidono direttamente sulla vita delle persone ed indirettamente segnano o meno il raggiungimento di politiche globali.28
Il Comune, quindi, aderendo, si impegna a farsi monitorare annualmente e darsi degli obiettivi di miglioramento delle performance degli stessi indicatori. Per ogni indicatore verrà fornita la tendenza pregressa e, laddove è possibile, lo stato di raggiungibilità degli obiettivi fissati da ogni singolo ente.
Cambia il paradigma di riferimento. Più che pensare globale e agire locale, obiettivi globali e sfide locali. Programmare globalmente ma agire localmente. L’intreccio tra goals globali e azioni locali è inscindibile. Prende avvio, quindi, il percorso di Agende territoriali, strumenti concreti di dinamismo urbano come motore dello sviluppo sostenibile.

3. Alcuni modelli di “partecipazione”.
L’idea di smart city sembra rispondere a una serie di incalzanti esigenze e domande. «L’accrescimento esponenziale dei centri abitati e la maggiore concentrazione in essi della popolazione hanno ingenerato problematiche di natura ambientale, economica e sociale, connesse. A titolo esemplificativo, all’esaurimento del suolo e delle risorse, all’inquinamento, alla disponibilità dei servizi pubblici, alla carenza e vetustà delle opere infrastrutturali e, non da ultimo, alla scarsa resilienza dimostrata dagli attori pubblici nel comprendere i bisogni di una collettività in rapido mutamento e nel darle risposte adeguate. […] La città è, pertanto, intelligente nella misura in cui dispone di strumenti informatici che, in tempo reale, affianchino il “gestore pubblico-persona fisica” razionalizzando ogni aspetto della vita cittadina»29.
Ma come già rilevato la smart city è difficilmente riconducibile a una categoria giuridica “statica” definita dalla normativa e dalla giurisprudenza. La stessa “idea di smart city” si caratterizza per un continuo divenire e per un carattere interdisciplinare. L’approccio multilivello si fonda sul simultaneo esame di fattori tra i quali la mobilità, l’impiego di tecniche dematerializzate di comunicazione, l’offerta di servizi on line, la gestione dei rifiuti e delle risorse. In tale cornice complessa, si è detto, l’ente che meglio si addice alla smartness è quello del Comune ed a tale livello che occorre interrogarsi sulle forme di sussidiarietà orizzontale da applicare.
E’ in gioco “la dimensione democratica” che esclude una visione dei cittadini quali meri consumatori di servizi offerti e per i quali ne occorre verificare il gradimento. Fattori quali la smart people e la smart governance sono intimamente connessi e trovano un campo peculiare di applicazione nei processi decisionali delle amministrazioni sempre più improntati all’uso della telematica e delle nuove tecnologie. Ne consegue una progressiva traslazione della dimensione partecipativa «verso forme di democrazia a livello locale sussidiarie di quella rappresentativa. […] Una città non può, allora, essere intelligente se non è partecipativa- e a sua volta partecipativa nell’applicazione dell’ICT – nelle sue più svariate dimensioni, dai procedimenti amministrativi riguardanti i singoli, a quelli posti in essere nell’interesse generale, alle decisioni pubbliche locali. […] Emerge allora un “diritto alla città” che affianca alla smart city la “città condivisa” e la “città collaborativa”; espressioni, queste, che meglio paiono dare risalto ai fenomeni di gestione congiunta pubblico-privato delle politiche e degli spazi urbani nella dimensione della sussidiarietà orizzontale, nonché consentono di rimarcare il processo di governance, spiccatamente bottom-up, costituito dalle pratiche partecipative»30.
Posto che la sostenibilità è di natura trasversale e comprende come imprescindibile la dimensione sociale, viene da chiedersi se sia “smartness” una scelta o una decisione pubblica impopolare. Si pensi, al fine di perseguire un migliore tutela dell’ambiente, all’imposizione di costi o comportamenti ai consociati, quale la raccolta porta a porta dei rifiuti, oppure all’utilizzo di strumenti di comunicazione informatica rispetto all’accesso fisico ai pubblici uffici. La manifestazione sociale della comunità è una componente essenziale per misurare il grado di smartness di una città, ciò in quanto una città senza comunità non può esistere.
Si è nella traiettoria di un superamento di una visione individualistica e della valorizzazione della dimensione “sociale” del diritto alla città e dei diritti in cui esso si articola. In questo senso si pone come «essenziale la partecipazione collettiva ai processi decisionali che informano gli spazi urbani e i servizi che essi ospitano, prefigurando su questo particolare crinale obiettivi di democrazia partecipativa in grado di riflettere istanze diffuse anziché parziali e/o settoriali. Ché anzi, in questo risolversi in una politica funzionalistica in cui l’individuo ed i corpi sociali si riappropriano della città tramite pratiche partecipative e di amministrazione condivisa, il diritto alla città si contrapporrebbe al diritto della città. […] In definitiva nelle pieghe del dibattito relativo al diritto alla città si situa per così dire fisiologicamente quello intorno al diritto a città intelligenti e digitali, del resto in concomitanza con l’affermazione di un nuovo modello economico per lo sviluppo urbano informato da target di sostenibilità ambientale, di efficienza energetica, di innovazione tecnologica dell’informazione e della comunicazione. Le stesse forme di partecipazione diffusa alla costruzione del diritto alla città, nel solco dei percorsi di democrazia partecipativa di cui si è detto, sono predicabili nella forma di una cittadinanza smart, che confluisca appunto nella predisposizione, gestione e offerta di infrastrutture e servizi innovativi»31.
Poiché, come visto sopra, l’idea di smart city coinvolge preminentemente i Comuni, il fenomeno partecipativo si colloca a livello locale e si impone alle amministrazioni che a tale livello operano. Si pensi alle decisioni pubbliche su tematiche impattanti sul territorio, quali la gestione di spazi pubblici urbani e la realizzazione di opere infrastrutturali.32E’ evidente che in tematiche simili, che indubbiamente concernono le smart cities, il governo del territorio e la comunità si pongono su uno stello livello dinamico di adeguamento al processo tecnologico e di condivisione al fine di prevenire contestazioni e rallentamenti e, anzi, focalizzare meglio obiettivi e metodologie.
Per altro verso, non meno significativo, proprio le forme di cooperazione e/o partecipazione, anche grazie all’impiego delle risorse telematiche, possono assurgere ad indicatori di città intelligente e sostenibile.
Si consideri, ad esempio, l’amministrazione condivisa che mette al centro la comunità, più precisamente gli enti del Terzo settore che vengono coinvolti nella co-programmazione (procedimento amministrativo finalizzato all’individuazione, da parte della pubblica amministrazione procedente, dei bisogni da soddisfare, degli interventi a tal fine necessari, delle modalità di organizzazione degli stessi e delle risorse disponibili) e nella co-progettazione (procedimento finalizzato alla definizione ed eventualmente alla realizzazione di specifici progetti di servizio o di intervento finalizzati a soddisfare bisogni definiti, alla luce degli strumenti di programmazione) (cfr. art. 55 Codice del Terzo Settore – D.lgs. 3 luglio 2017, n. 117 nelle attività di cui all’art. 5 : settore sociale, ambientale, culturale, turismo sociale, etc..).
Un partenariato tra P.A. ed Enti del Terzo Settore, rappresentazione della solidarietà sociale (in grado di mettere a disposizione dell’Ente pubblico dati informativi e capacità organizzativa e di intervento), quindi, facendo leva sulla collaborazione, caratterizzato non dalla presentazione di un progetto pubblico da eseguire, ma dalla co-programmazione di tale progetto (si pensi al tema abbattimento delle barriere architettoniche, dal trasporto sociale delle persone non autosufficienti)33. Importante, in questa direzione, è la sentenza della Corte costituzionale n. 131 del 2020 che ha dato piena cittadinanza giuridico costituzionale a tale forma di collaborazione, fondato non sul principio di concorrenza ma di solidarietà sociale: essa «non si basa sulla corresponsione di prezzi e corrispettivi dalla parte pubblica a quella privata, ma sulla convergenza di obiettivi e sull’aggregazione di risorse pubbliche e private per la programmazione e la progettazione, in comune, di servizi e interventi diretti a elevare i livelli di cittadinanza attiva, di coesione e protezione sociale, secondo una sfera relazionale che si colloca al di là del mero scambio utilitaristico»34. Siamo fuori dal campo di applicazione del Codice dei Contratti pubblici ma dinanzi a un modello alternativo per rispondere a determinati bisogni tramite «una “messa in comune” di risorse provenienti da diverse parti, di diversa natura, che determinano un effetto moltiplicatore innescato dalla collaborazione, dalla fiducia reciproca che i diversi attori costruiscono fra loro, dalla capacità di una lettura più attenta e comune della realtà. […] L’applicazione dell’art. 55, dopo molte incertezze, è stata resa di fatto operativa dalla richiamata sentenza n. 131 del 2020, dalle modifiche al Codice dei contratti pubblici e dalle Linee guida applicative, adottate con il D.M. n. 72 del 2021»35. Ciò che viene chiesto agli Enti del Terzo settore non è di contribuire con la capacità tecnica – esecutiva, ma la capacità creativa, generativa, le risorse, la visione su un determinato settore. Ciò che emerge, in definitiva, è la promozione e valorizzazione del civismo nelle sue varie espressioni esistenti sul territorio, quale bene comune immateriale. Alcune Regioni ed enti locali hanno definito i “modelli” di co-programmazione e di co-progettazione36.
Nell’ambito di tale percorso progettuale di Amministrazione condivisa, molto importanti sono i Patti di collaborazione che coinvolgono i Comuni e ruotano intorno alla cura dei beni comuni, materiali ed immateriali. Un esempio di gestione collettiva e condivisa di beni urbani e aree cittadine37. In tale cornice, «la tecnologia va intesa come mezzo di semplificazione e condivisione tra le parti sociali, soprattutto in un’ottica di partecipazione del cittadino alla gestione della cosa pubblica, non certo come fine — men che meno economico — a cui deve tendere ed aspirare l’intera collettività»38.

  1. Divenire comunità sostenibili.

La visione di città intelligente e sostenibile, pone in piena luce il principio di fondo per eccellenza della sostenibilità, il “Leave No One Behind”.
Emerge cioè l’idea di una città tesa a «fortificare gli spazi e i legami sociali entro (e pel mezzo de) i quali si svolge il proprium della persona umana; a frenare l’idea per cui l’essere cittadino possa identificarsi in via esclusiva con (e calibrarsi su) l’accesso a determinate risorse; a ricostruire un significato di spazio pubblico che muova anche dal «bisogno (…) importante [che] è la partecipazione ai beni collettivi». In questo percorso, un contributo ancora prezioso proviene dalla matrice genetica dello Stato sociale costituzionale, ovvero dal fascio di luci con cui questa irradia ciò che è essenziale al pieno sviluppo della persona umana. Un contributo che dovrebbe attestare la parzialità di una visione che identifica la città come luogo topograficamente delimitato, abitato, regolato, amministrato o (persino) consumato, puntando piuttosto sull’idea di luogo vissuto, che prende forma nell’intreccio tra spazio geografico, spazio sociale e spazio politico e che, attraverso un’opera di apertura e di relazionalità con i plurimi spazi fisici e istituzionali circostanti, possa affiorare e affermarsi quale vera e propria «città territoriale», dimensione ottimale […] per la democrazia»39. In tale ottica, la digitalizzazione e l’impiego di modelli di elevata tecnologia sono utili se non indispensabili strumenti di inclusione sociale.
I modelli di partecipazione, co-progettazione, co-programmazione di cui si è detto sono sì predicabili nella forma di una cittadinanza smart, che confluisca appunto nella predisposizione, gestione e offerta di infrastrutture e servizi innovativi,40 nella misura in cui questa realizzi reti di relazione (tra i cittadini, tra cittadini ed istituzioni, all’interno delle istituzioni della città e reti tra le città) perché la città intelligente – grande o piccola che sia – deve essere molto più di una eccellente città digitale.
Sotto questo profilo, la citta intelligente e sostenibile diventa un nuova forma di democrazia che parte dal riconoscimento della comunità come soggetto attivo, corresponsabile di nuovi modi di governare, e non come passivo fruitore-consumatore41.
Possiamo quindi affermare di aver assistito ad una evoluzione della visione della smart city, più orientata alla comunità e la suo riconoscimento. «Una smart city non esiste se non c’è una smart comunity ed è questo forse il concetto più importante e innovativo degli ultimi anni»42. Occorre quindi porsi una “nuova” domanda: come far diventare comunità i cittadini? Tramite un «un futuro urbano programmato e partecipato»43.
Occorre agire su un doppio registro, su «una musica che è ritmo quotidiano inserito in una sinfonia di più ampio e lungo respiro, tramite una «legittimità dell’azione pubblica» che si snoda «nella costruzione di un consenso non superficiale, che non ha i tempi delle news digitali o della politica politicata (due facce della stessa medaglia) ma piuttosto di regole ben precise. Si tratta, quando è possibile, ma soprattutto per le grandi scelte da attuare, di non far calare dall’alto decisioni che riguardano il bene a lungo termine della comunità, ma di coinvolgerla secondo un tempo stabilito e in luoghi definiti, per discutere di quel dato tema, arrivare a suggerire più opzioni e decidere con un voto di maggioranza, che può riflettere le diverse opinioni ed esigenze, ma che non lascia in stallo la vita cittadina. […] se la maggior parte dei cittadini resta totalmente esclusa dai percorsi decisionali, progressivamente – e inevitabilmente- si disamora della vita democratica urbana»44.
Nella costruzione della comunità il collante è dato quindi dalla progettazione partecipata urbana.45
Una sfida, un percorso “intelligente”, creativo e democratico, che coinvolge tutti, e a tutti livelli.

Note

1 Così, E. Ferrero, Le smart cities nell’ordinamento giuridico, in Foro Amministrativo (Il), fasc.4, 2015, pag. 1267.

2 Sul punto, in modo significativo, S. Antoniazzi, Smart City; diritto, competenze e obiettivi (realizzabili?) di innovazione, in: federalismi.it, 22 maggio 2019, online: https://www.federalismi.it/nv14/articolo-documento.cfm?Artid=38648

3 L’Agenda urbana per l’UE riunisce la Commissione, i ministri nazionali, le amministrazioni locali e le altre parti interessate per promuovere una migliore legislazione, un accesso più agevole ai finanziamenti e una più ampia condivisione delle conoscenze sulle questioni pertinenti per le città. I temi prioritari dell’agenda urbana sono: qualità dell’aria; economia circolare; adattamento ai cambiamenti climatici; transizione digitale; transizione energetica; edilizia; inclusione dei migranti e dei rifugiati; appalti pubblici innovativi e responsabili; posti di lavoro e competenze nell’economia locale; uso sostenibile del territorio e soluzioni fondate sulla natura; mobilità urbana; povertà urbana.

4 E. Ferrero, in ult. op. cit., evidenzia infatti che nel Premesso n. 11 del Patto, viene affermato «che molte delle azioni sulla domanda energetica e le fonti di energia rinnovabile necessarie per contrastare il cambiamento climatico ricadono nelle competenze dei governi locali ovvero non sarebbero perseguibili senza il supporto politico dei governi locali», pag. 19.

5 Per queste riflessioni, S. Antoniazzi, Smart City; diritto, competenze e obiettivi (realizzabili?) di innovazione, op ult. cit., pag. 5.

6 Così nella Carta di Lipsia del 2007: «Le nostre città posseggono qualità culturali e architettoniche uniche, forti strumenti di inclusione sociale e possibilità eccezionali per lo sviluppo economico. Sono centri di conoscenza e fonti di crescita e innovazione. Allo stesso tempo, comunque, sussistono problemi demografici, inequità sociale, esclusione sociale di specifici gruppi di popolazione, mancanza di alloggi accessibili e adeguati e problemi ambientali. A lungo termine le città non riescono ad adempiere alla loro funzione di motore del progresso sociale e della crescita economica come descritta nella Strategia di Lisbona, a meno che non riusciamo a mantenere l’equilibrio sociale al loro interno e tra di esse, garantendo la loro diversità culturale e introducendo un’alta qualità in settori quali il design urbano, l’architettura e l’ambiente. Noi abbiamo sempre più bisogno di strategie olistiche e di un’azione coordinata che coinvolga le persone e istituzioni nel processo di sviluppo urbano che va oltre i confini delle singole città. Ogni livello di governo – locale, regionale, nazionale ed europeo – ha una responsabilità per il futuro delle nostre città. Per rendere davvero efficace questo governo a più livelli, noi dobbiamo migliorare il coordinamento delle aree di politica settoriale e sviluppare un nuovo senso di responsabilità verso la politica di sviluppo urbano integrato. Dobbiamo anche assicurare che quelli che lavorano alla diffusione di queste politiche a tutti i livelli acquisiscano la conoscenza e le capacità di base e professionali necessarie per sviluppare le città come comunità sostenibili». Da qui le azioni programmatiche: I) di fare un maggiore ricorso alle strategie della politica di sviluppo urbano integrato (Creare ed assicurare spazi pubblici di alta qualità; Modernizzare le reti infrastrutturali e migliorare l’efficienza energetica; Innovazione proattiva e politiche didattiche; II). Un’attenzione speciale ai quartieri degradati all’interno del contesto cittadino (Perseguire strategie per migliorare l’ambiente fisico; Potenziare l’economia locale e il mercato del lavoro locale; Istruzione proattiva e politiche di formazione per bambini e giovani; Promozione di un trasporto urbano efficiente ed accessibile).

7 L’endiadi città-comunità intelligente è chiaramente enunciato dall’ European Innovation Partnership on Smart Cities and Communities, un’iniziativa sostenuta dalla Commissione europea che combina le tecnologie dell’informazione e della comunicazione (TIC), la gestione dell’energia e la gestione dei trasporti per trovare soluzioni innovative alle principali sfide ambientali, sociali e sanitarie che le città europee devono affrontare. Per una definizione al livello europeo di smart city si veda http://ec.europa.eu/eip/smartcities/index_en.htm

8 Cfr. Premessa di P. Fassino, in Vademecum per la città intelligente, on line http://osservatoriosmartcity.it/wp-content/uploads/Vademecum_def_2_light.pdf

9 La piattaforma on line (http://www.agendaurbana.it/) è appunto titolata “La via italiana alle comunità intelligenti”.

10 Così Antonio Decaro, Sindaco di Bari e Presidente dell’Anci, nella Introduzione all’Agenda urbana per lo sviluppo sostenibile, 2017, «[…] Quella degli Obiettivi di sviluppo sostenibile è quindi una sfida di innovazione e integrazione delle politiche urbane. Molti degli obiettivi tematici riportati nel documento di ASviS e Urban@it non rientrano negli ambiti di competenza comunale. Ciò nonostante, gli amministratori e per primi i sindaci, non si tirano indietro rispetto a un’assunzione di responsabilità complessiva riguardo allo sviluppo sostenibile del territorio che i cittadini chiedono loro in quanto istituzione di maggiore prossimità. Per questo Anci ha promosso il rapporto Urbes che, insieme a Istat, ha consentito di fare il punto sulla realtà urbana in Italia rispetto a salute, lavoro, relazioni, cultura, partecipazione attraverso il monitoraggio di 64 indicatori. Tramite il suo osservatorio Smart City e, più recentemente, tramite l’attivazione della piattaforma Agenda urbana, Anci ha offerto strumenti di scambio e apprendimento finalizzati all’attivazione di pratiche innovative per lo sviluppo sostenibile».

11 Così è stato riportato da R. Battarra, C. Gargiulo, R.A. la Rocca e Laura Russo, in L’applicazione del paradigma smart city in Italia. Luci ed ombre delle sperimentazioni nelle città metropolitane, in Archivio di studi urbani e regionali, 123, 3, 2018, Franco Angeli, pag. 28.

12 Cfr. R. Battarra, C. Gargiulo, R.A. la Rocca e Laura Russo in op. ult. cit. pag. 31. Nella vasta letteratura sul tema, riportata nella pubblicazione del lavoro di ricerca cui si rinvia, c’è chi enfatizza la preminenza del ruolo delle reti e delle componenti hardware per garantire il miglioramento della vita e rendere le città più sostenibili, chi la critica radicalmente e chi invece integra la visione “tecnologica” con altri aspetti legati al capitale sociale, alla sostenibilità ambientale e ai servizi pubblici.

13 Per tutte queste riflessioni, si veda la ricerca op ult. cit., pagg. 30 ss. che ha ad oggetto le strategie di implementazione della smart city confrontando «l’attuale connotazione smart di 12 delle città metropolitane italiane istituite dalla L. 56/2014, definita da un set di indicatori, con la loro propensione verso l’applicazione di questo tipo di approccio, desunta dalla sperimentazione in atto». Il lavoro di ricerca si è quindi articolato in tre parti: la prima è relativa allo stato attuale di smartness di ciascuna città, la seconda ha riguardato il grado di propensione alla smartness (rilevato attraverso l’individuazione di interventi e progetti ad elevato contenuto tecnologico), la terza il confronto tra i risultati delle prime due fasi. L’obiettivo è osservare su come le città metropolitane italiane stanno decòiando il tema della smart city, su quali possono essere i prevedibili sviluppi e quali i principali aspetti critici per i quali intervenire con apposite iniziative

14 Per tale rischio, si veda l’ampia letteratura riportata nella ricerca ult. cit., tra cui vi è chi arriva ad ipotizzare la comparsa di una nuova classe sociale composta da coloro che saranno “digitalmente emarginati” pag. 28. Un solo accenno al dibattito, emerso soprattutto in fase di pandemia con riferimento al diritto di istruzione, in tema di digital divide e di diritto di accesso ad internet come diritto fondamentale della persona (cfr. art. 3 co. 2 Cost..). Si veda, sul punto, per tutti, C. Lotta, Un nuovo diritto al tempo del Covid-19? Accesso a internet e digital divide, in https://www.gruppodipisa.it/images/rivista/pdf/Cosimo_Lotta_-_Un_nuovo_diritto_al_tempo_del_Covid-19.pdf.

15 E’ stato evidenziato che per le città del Sud, le criticità possono superarsi proprio leggendo il contesto e progettando a partire da esso e coinvolgendo tutte le componenti sociali. Si riportano i risultati interessanti della ricerca, ult. po. Cit. pagg. 43-44: «Sebbene il dibattito sulla smart city abbia messo in evidenza la necessità di tener conto delle specificità e delle identità dei diversi contesti urbani sia nell’applicazione che nel riconoscimento del modello smart (che come tutti i modelli non è generalizzabile e replicabile senza differenze in tutte le realtà territoriali), tuttavia è possibile riconoscere, al di là facili enunciazioni di propaganda politico-amministrativa, che settori considerati strategici nella definizione di un modello smart sono più sviluppati in alcune realtà urbane piuttosto che in altre. È il caso, ad esempio, delle città del Nord che hanno raggiunto un più avanzato stadio di applicazione dell’ICT orientata al miglioramento

dell’efficienza dei servizi e della qualità della vita dei cittadini. Se in alcuni casi le iniziative in corso sembrano spinte dagli interessi di grandi gruppi imprenditoriali (Milano) e in altri sono guidate da una regia pubblica e le sperimentazioni sono maturate nell’ambito di progetti europei (Genova), o in altri casi è il settore della ricerca e della produzione l’elemento propulsivo dell’innovazione (Firenze), le città settentrionali testimoniano di una grande vivacità di interventi “concreti” che stanno modificando il modo di fruire di alcuni servizi. Inoltre è in alcune di queste città che si sta investendo su iniziative che, almeno nelle intenzioni, sembrerebbero prevedere la sperimentazione di set di azioni che trasversalmente ed in modo integrato operano su diversi aspetti della vita urbana. Emblematici in tal senso sono due progetti avviati a Milano (Sharing Cities) e a Firenze (Replicate) entrambi finanziati dal Programma Horizon 2020 e che si pongono come best practices dell’intervento alla scala urbana, operando con un’azione complessa e integrata volta a migliorare l’efficienza energetica degli edifici, ad incentivare l’utilizzo di modalità di trasporto sostenibile, ma anche ad applicare l’ICT per incrementare la sicurezza urbana attraverso il coinvolgimento della collettività nella progettazione degli interventi. Di contro, nelle città meridionali non tanto il minor numero di iniziative avviate, quanto la sporadicità di interventi non integrati all’interno di una chiara strategia di innovazione del sistema urbano, fa sì che anche le iniziative che potrebbero imprimere una spinta verso una trasformazione della città in un’ottica smart, perdono la loro incisività questi progetti si sono conclusi di recente. Come emerso anche dal confronto diretto con alcuni dei soggetti impegnati nelle sperimentazioni, all’interno di questo panorama è possibile individuare esperienze che testimoniano di come anche nelle città meridionali si stanno avviando politiche che, facendo leva anche sull’uso delle ICTs, sono orientate all’applicazione del paradigma della smart city (Battarra et al., 2016). A Bari, ad esempio, innestati su una pregressa esperienza di programmazione strategica a scala metropolitana, più di recente sono stati promossi una serie di processi di innovazione dei servizi urbani all’interno di un quadro complessivo di governance. La città sembra orientata a puntare su alcuni temi chiave (mobilità, energia ed efficienza dei servizi per la collettività), anche attivando risorse derivanti da programmi europei, per potenziare la modalità di verifica dell’efficacia delle strategie implementate. Nelle città del Sud inoltre sono emerse una consistente serie di iniziative, promosse da associazioni e gruppi di cittadini, che testimonia la volontà di supplire alle carenze delle istituzioni, attraverso processi di innovazione dal basso. In altri casi (Napoli, Catania e Palermo) è soprattutto nel campo della ricerca che sono maturati una serie di progetti che, se superata la fase di sperimentazione, potrebbero avere rilevanti impatti sulla città, soprattutto, per quanto attiene alla gestione delle utilities urbane, alla mobilità e all’accesso ai servizi pubblici».

16 Cfr. op. ult. cit. pag. 29. «Ad esempio, il lavoro ampiamente diffuso in ambito scientifico condotto da Giffinger et al. (2007) per classificare le smart cities europee, impiega dati che, nel 50% dei casi, si riferiscono al territorio regionale o nazionale Inoltre lo studio, il cui principale punto di forza è rappresentato dall’aver messo a sistema gli elementi costitutivi di una smart city articolandoli in 6 caratteristiche (Economy, People, Governance, Mobility, Environment, Living), risulta poco efficace nella definizione di alcuni indicatori, soprattutto, relativi alle dimensioni che attengono il capitale umano e gli aspetti sociali (De Luca, 2013)».

17 Si considerino, in proposito, le differenze dei risultati del lavoro di ricerca citato. Le città che hanno le migliori performance sono Milano, Bologna, Torino e Venezia, con differenziazioni. Si legge, pag. 37: «In particolare, Milano presenta scostamenti positivi rilevanti per le dimensioni People, Economy e Governance, mentre registra valori più bassi per Smart Environment e per Smart Mobility, a differenza di Torino che, dopo Genova e Venezia, è la città con le migliori performance in quest’ultima dimensione. Bologna e Firenze, che hanno valori superiori alla media per tutti gli indicatori della dimensione Smart Living, sono le città che, più delle altre, garantiscono una buona offerta di servizi ai cittadini. Per Firenze, inoltre, si registrano valori superiori alla media nella dimensione Governance, a differenza delle dimensioni Environment e Mobility. Per quest’ultimo aspetto, infatti, si registrano bassi livelli di offerta del trasporto pubblico ed un elevato tasso di incidentalità. Tra le città settentrionali Genova è quella che presenta valori più prossimi a quelli medi e, per 3 dimensioni – People, Economy e Governance – scostamenti negativi, differenziandosi così dalle altre città della stessa area geografica che comparativamente mostrano un miglior andamento degli indici. Roma, rispetto alle 6 dimensioni, si colloca a cavallo dei valori medi, facendo registrare modesti scostamenti positivi solo per People ed Economy, da attribuire principalmente all’elevato numero di laureati e di imprese di informazione e comunicazione. Tra le città meridionali quella che fa registrare valori in linea con quelli medi è Bari che, inoltre, mostra valori superiori alla media nelle dimensioni Living e Governance. Catania, Palermo e Reggio Calabria sono le città che registrano le peggiori performance, con valori inferiori alla media per tutte le dimensioni. Napoli, si connota per indici negativi molto elevati nella dimensione Governance e People determinati da valori inferiori alla media per tutti gli indicatori, a meno del tasso di ricambio della popolazione».

18 Nel concetto di smart city sostenibile l’uso dell’ITC è un indicatore si sostenibilità urbana. In tal senso Bibri e Krogstie (2017), riportati nel pregevole lavoro di ricerca citato, in cui si legge, tra l’altro, sui campi di applicazione delle ICTs nell’ambito della città: «Le tecnologie consentono di affrontare efficacemente alcune sfide ambientali: l’abbattimento dell’inquinamento, la riduzione del consumo di risorse non rinnovabili, il miglioramento dell’efficienza energetica (Bibri and Krogstie, 2017a; Morelli et al. 2013). Da questa angolazione, il campo di azione della smart city si sovrappone a quello della città sostenibile tanto da poter affermare che il minimo comun denominatore delle città intelligenti è la sostenibilità ambientale declinata nelle sue diverse componenti (The European House-Ambrosetti, 2012)».

19 In https://www.istat.it/it/benessere-e-sostenibilit%C3%A0 «Il progetto Bes nasce nel 2010 per misurare il Benessere equo e sostenibile, con l’obiettivo di valutare il progresso della società non soltanto dal punto di vista economico, ma anche sociale e ambientale. A tal fine, i tradizionali indicatori economici, primo fra tutti il Pil, sono stati integrati con misure sulla qualità della vita delle persone e sull’ambiente. A partire dal 2016, agli indicatori e alle analisi sul benessere si affiancano gli indicatori per il monitoraggio degli obiettivi dell’Agenda 2030 sullo sviluppo sostenibile, i Sustainable Development Goals (SDGs) delle Nazioni Unite, scelti dalla comunità globale grazie a un accordo politico tra i diversi attori, per rappresentare i propri valori, priorità e obiettivi. La Commissione Statistica delle Nazioni Unite (UNSC) ha definito un quadro di informazione statistica condiviso per monitorare il progresso dei singoli Paesi verso gli SDGs: oltre 230 indicatori sono stati individuati». Si consideri il progetto sul «BES DELLE PROVINCE» che coinvolge 26 Province e 8 Città metropolitane in tutto il paese e che, dal 2021, permette di offrire una lettura del territorio coerente con gli indicatori di sviluppo sostenibile definiti dall’ONU (cfr. www.besdelleprovince.it).

20

21 Cfr. https://www.istat.it/it/files//2018/04/Raccordo_BES_SDGs-_Feb_22.pdf,

22 Così M. Timo, Dialogo e collaborazione nelle smart cities: la dimensione orizzontale della sussidiarietà e la partecipazione, in G.F. Ferrari (a cura di) Le smart cities al tempo della resilienza, Mimesis 2022, pag. 68. L’Autore osserva, infatti, che, pur essendo alcune finalità perseguite dalle città intelligenti riconducibili alle Città Metropolitane e alle Province, tra cui importanti attività di pianificazione e di gestione ed organizzazione dei servizi, «Di converso, bisogna osservare come la Città metropolitana e la Provincia, nel sistema delineato dalla legge Delrio, non siano direttamente rappresentative comunità, atteso il modello di designazione di diritto o di secondo grado dei loro organi politici: dunque, se anche per esse è imprescindibile perseguire un’ottica di sussidiarietà orizzontale, è da ritenersi che il miglior livello debba restare quello comunale, in ragione della più stretta vicinanza semantica con l’idea di città, della più intima rappresentatività dei propri organi e, in senso lato, della maggiore connessione con la comunità di riferimento». In proposito è opportuno riportare (almeno) il Comunicato del 7.12.2021 dell’Ufficio Stampa della Corte Costituzionale: «L’attuale disciplina sui sindaci delle Città metropolitane è in contrasto con il principio di uguaglianza del voto e pregiudica la responsabilità politica del vertice dell’ente nei confronti degli elettori. Spetta però al Legislatore, e non alla Corte costituzionale, introdurre norme che assicurino ai cittadini la possibilità di eleggere, in via diretta o indiretta, i sindaci delle Città metropolitane. È quanto si legge nella sentenza n. 240 depositata oggi (redattore Stefano Petiti) con cui la Corte costituzionale si è pronunciata sulla riforma degli enti di area vasta varata nel 2014 con la legge Delrio, e sulle corrispondenti norme della Regione Siciliana, secondo cui il sindaco delle Città metropolitane non è una carica elettiva poiché si identifica automaticamente con il sindaco del Comune capoluogo, a differenza del presidente della Provincia, eletto dai sindaci e dai consiglieri comunali del territorio. Le questioni sollevate dalla Corte d’appello di Catania sono state dichiarate inammissibili perché richiedevano un intervento di sistema, di competenza del Legislatore. La Corte costituzionale ha tuttavia evidenziato come la normativa attualmente vigente «non sia in sintonia con le coordinate ricavabili dal testo costituzionale» circa l’uguaglianza del voto dei cittadini e la responsabilità politica del vertice della Città metropolitana. La necessità di un riassetto normativo del settore, si legge nella sentenza, è dovuta anche al fatto che la mancata abolizione delle Province, a seguito del fallimento del referendum costituzionale del 2016, ha reso «del tutto ingiustificato» il trattamento attualmente riservato agli elettori residenti nella Città metropolitana». (https://www.cortecostituzionale.it/documenti/comunicatistampa/CC_CS_20211207150636.pdf)

23 Così Carla Acocella-Giuseppe Laneve in Città intelligenti e diritti: nuove prospettive di consumo nel prisma della socialità, PA PERSONA E AMMINISTRAZIONE, Riviste Giuridiche dell’Amministrazione e l’economia, 2021, in https://journals.uniurb.it.

24 A livello ricostruttivo, è opportuno evidenziare che, in tema di monitoraggio, l’Italia ha presentato per la prima volta nel 2017 la Volontary National Review; c’è poi il Rapporto annuale SDG pubblicato dall’Istat. Per quanto riguarda invece le iniziative nazionali, occorre evidenziare la cabina di regia “Benessere Italia”, che è una struttura di coordinamento in capo alla Presidenza del Consiglio per il coordinamento delle politiche economiche, sociali e ambientali nell’ambito degli impegni sottoscritti dall’Italia per l’Agenda 2030; La Strategia Nazionale per lo Sviluppo sostenibile (SNSvS), di cui vi è una Relazione annuale in cui è stato inserito anche il PNRR, e il Forum per lo Sviluppo sostenibile con gruppi di lavoro tematico che accompagnano la cabina di regia, nonché tutte le azioni di collegamento degli indicatori di benessere equo e sostenibile (BES) alla programmazione economica e di bilancio. Importante pertanto, a livello nazionale, è il Rapporto annuale BES. Tutti i documenti citati sono reperibili in internet.

25 Per tali importanti rilievi P. Proietti, ricercatrice nel Joint Research Center (JRC) della Commissione Europea, esposti durante l’incontro del 6.05.2022 dedicato a La rete dei comuni sostenibili: il monitoraggio volontario degli obiettivi nel VI Corso di Alta formazione “Politica e amministrazione degli Enti locali”, Scuola Universitaria Sant’Anna di Pisa. Attualmente il JRC è impegnato nel monitoraggio degli SDG in 10 Regioni pilota in Europa nell’integrazione dei vari contributi a livello locale.

26 In proposito è interessante evidenziare che proprio tale esperienza italiana è al centro di una ricerca del Joint Research Center (JRC) della Commissione Europea, un’esperienza che, quindi, può porsi l’obiettivo di essere replicata e adattata in altri contesti europei. «Focus della ricerca è il sistema di monitoraggio, attraverso il set di 101 indicatori che analizzano e sintetizzano le tendenze in atto a livello di singolo comune sui temi della sostenibilità e sui 17 obiettivi dell’Agenda 2030. L’obiettivo è quello di capire quanto e come i Comuni che hanno aderito alla Rete dei Comuni Sostenibili e che si sono fatti monitorare, abbiano risposto alle domande del questionario, come si siano relazionati con la Rete, come gli amministratori locali e i tecnici abbiano accresciuto la propria consapevolezza sull’importanza di tale sistema di misurazione. Inoltre, verrà approfondita la forza e la tenuta del set di indicatori e, soprattutto, l’eventuale esportabilità in altri Paesi europei e la scalabilità a un numero più ampio di enti locali. […] Il set dei 101 indicatori è stato costruito attraverso un percorso che ha visto il coinvolgimento del Comitato Scientifico di RCS, di ASviS – Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile e con il supporto del JRC, anche attraverso le indicazioni contenute nell’edizione 2020 dell’European Handbook  for SDG Voluntary Local Reviews. Sono già alcune decine i comuni grandi, medi e piccoli che hanno compilato il questionario della Rete dei Comuni Sostenibili e sono oggetto di misurazione. In queste settimane sono stati consegnati i primi Rapporti di sostenibilità che includono le tendenze, comune per comune, sugli indicatori del set, una sintesi per singolo goal e per tipologia di indicatore. Da sottolineare che la maggior parte degli indicatori riguardano fenomeni di competenza dei Comuni, poiché è su questi che è più necessario misurare l’efficacia delle politiche locali. Inoltre, i Rapporti includono una serie di suggerimenti per migliorare gli indicatori e, di conseguenza, la qualità della vita dei cittadini e delle cittadine». Così M. Gazzarri, Responsabile area formazione e sostenibilità di ALI e collaboratore della Rete dei Comuni Sostenibili, in https://www.governareilterritorio.net/2022/05/20/leuropa-guarda-con-interesse-allesperienza-della-rete-dei-comuni-sostenibili/. Il Joint Research Center (JRC) della Commissione Europea, suggerisce l’utilizzo di 71 indicatori: cfr. seconda parte European Handbook, molto importante perché descrive il significato e l’applicazione locale dei grandi obiettivi, con suggerimento degli indicatori da utilizzare. Pubblicazione tuttora interamente in inglese, reperibile in https: //publications.jrc.ec.europa.eu/repository/handle/JRC118682. A livello di programmazione “urbana” delle Nazioni Unite, il Report annuale è reperibile in https://publications.jrc.ec.europa.eu/repository/handle/JRC118682 che completa ed integra il lavoro della commissione europea. Unico documento italiano pubblicato sulla piattaforma di UN-HABITAT è Il Rapporto locale volontario della Città Metropolitana di Firenze. Altro esempio virtuoso di progettazione inclusiva è da attribuire a Firenze con il Piano Strategico Metropolitano in http://pianostrategico.cittametropolitana.fi.it/.

27 Per tale monitoraggio, che riguarda principalmente le Regioni ma in cui vi sono importanti rilevazioni anche dei Comuni, si veda la pubblicazione Rapporto ASviS 2021, I territori e gli obiettivi di sviluppo sostenibile. Il Rapporto è frutto di un intenso confronto tra il Gruppo di lavoro sul Goal 11 “Rendere le città e gli insediamenti umani inclusivi, sicuri, duraturi e sostenibili”, l’Area ricerca, Referenti, Coordinatrici e Coordinatori degli altri gruppi di lavoro di Asvis. Più in generale, il Rapporto annuale ASviS L’Italia e gli obiettivi di sviluppo sostenibile.

28 Cfr. in https://www.comunisostenibili.eu/associazione/: «La Rete dei Comuni Sostenibili è un’associazione nazionale, senza scopo di lucro, aperta a tutti i Comuni italiani. Persegue finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale mediante lo svolgimento di attività per la promozione tra Comuni e le Unioni dei Comuni, delle politiche per la sostenibilità ambientale, sociale, culturale ed economica, sulla base dei 17 Obiettivi di sostenibilità delle Nazioni Unite e dei 12 obiettivi del Benessere Equo e Sostenibile.  È nata a Gennaio 2021 su iniziativa dell’Associazione delle Autonomie Locali Italiane – ALICittà del Bio e Leganet. L’obiettivo è accompagnare i Comuni nel raggiungimento degli obiettivi di Agenda 2030 e del Bes con strumenti e pratiche innovativeconcrete e virtuose. L’impegno della Rete dei Comuni Sostenibili si concretizza nel: Misurare con un “set” di indicatori oggettivo, scientifico e autorevole le politiche di sostenibilità e gli effetti delle scelte dei governi locali; Accompagnare i Comuni nella pianificazione strategica, nella redazione dei “Piani di azione per il comune sostenibile”, Agende Locali 2030 e DUP finalizzati a migliorare gli indicatori e quindi la qualità della vita e dell’ambiente delle comunità locali; Mettere in rete i Comuni e le Unioni dei Comuni al fine di favorire il confronto e l’interscambio di esperienze, buone pratiche, idee e progetti; Aiutare i Comuni a cogliere le opportunità di finanziamento di progetti attraverso la partecipazione a bandi europei, nazionali e regionali; Contribuire attraverso campagne di comunicazione e di partecipazione a far crescere la consapevolezza nei cittadini, nella società civile e nelle imprese dei temi della sostenibilità al fine di favorire una “mobilitazione di comunità”; Diffondere il marchio “Rete dei Comuni Sostenibili” esaltando le esperienze locali che con scelte di governo lungimiranti migliorano la qualità di vita dei propri cittadini; Promuovere momenti di alta formazione per gli amministratori locali e i dipendenti comunali sui temi della sostenibilità. La Rete dei Comuni Sostenibili è aperta a “partnership” del mondo dell’associazionismo, fondazioni, Università e centri di ricerca, società civile interessate a promuovere progetti dedicati allo sviluppo sostenibile. L’Associazione e il progetto dei Comuni Sostenibili nasce dalla volontà di “mettere a terra” gli obiettivi di Agenda 2030 e dalla consapevolezza che solo grazie al protagonismo delle Citta e dei Comuni può crescere un nuovo modello di Sviluppo sostenibile. Per le persone e per il Pianeta: è tempo di Comuni Sostenibili!»

29 Così M. Timo, Dialogo e collaborazione nelle smart cities: la dimensione orizzontale della sussidiarietà e la partecipazione, ult. cit., p. 61 ss.

30 Ibidem

31 In tal senso, Carla Acocella-Giuseppe Laneve, op. ult. cit;

32 E’ stato osservato che in Italia parte consistente delle esperienze a livello locale si attua su iniziative delle amministrazioni interessate (si pensi alla realizzazione del nuovo tracciato stradale noto come “Gronda di ponente” a Genova) sia avvenuta su iniziativa delle stesse amministrazioni interessate. Il “dibattito pubblico” è stato invece codificato quale forma di democrazia codificata nell’art. 22 del D. Lgs. 18 aprile 2016 n. 50 come forma di partecipazione collettiva al sub procedimento di progettazione di grandi opere infrastrutturali pubbliche. Per tali rilievi e per una disamina esaustiva delle molteplici conformazioni della partecipazione, sia come partecipazione al procedimento amministrativo, sia come nuove pratiche di consultazione, cfr. M. Timo, op. cit., che, riportando l’ampio contributo della dottrina sul tema, evidenzia come sia proprio «la gestione di un fenomeno complesso, quale i grandi centri abitati, con ricadute su plurimi aspetti della vita in comune – dall’ambiente, all’educazione, dal patrimonio culturale, alla salute – imponga che gli abitanti siano partecipi ai processi decisionali che li riguardano. […] Si delinea un concetto di “cittadinanza amministrativa”, il cui il livello è quello locale e si concretizza negli istituti della “democratica amministrativa”, comprensivi non solo dei tradizionali istituti regolati in generale dalla legge sul procedimento amministrativo, ma anche dalle forme inclusive della cosiddetta “democrazia rappresentativa”» pag. 72 ss..

33 Per un approfondimento, si veda “Riforma Terzo settore. Guida all’uso”, a cura di L. Gori e G. Marocchi, in https://www.cantiereterzosettore.it/gli-approfondimenti/il-rapporto-tra-pubblica-amministrazione-e-terzo-settore/.

34 Cfr. https://www.giurcost.org/decisioni/2020/0130s-20.html?titolo=Sentenza%20n.%20130

35 Cfr. L. Gori, Il mosaico dell’Amministrazione condivisa, on line https://aliautonomie.it/wp-content/uploads/2021/07/Il-mosaico-dellAmministrazione-condivisa-di-Luca-Gori.

36 Si pensi alla Regione Toscana, che con una serie di interventi normativi attua questo modello: con la legge n. 65 del 2020 sul Terzo settore, la legge n. 71 del 2020 (Governo collaborativo dei beni comuni e del territorio, per la promozione della sussidiarietà sociale in attuazione degli articoli 4, 58 e 59 dello Statuto), che prevede la definizione dei cittadini attivi come di «tutti coloro che vivono sul territorio regionale sono soggetti attivi, sia come singoli, sia attraverso formazioni sociali, per iniziative di cura, gestione collaborativa e rigenerazione dei beni comuni» (art. 5); la legge regionale Toscana n. 17 del 2020 (Disposizioni per favorire la coesione e la solidarietà sociale mediante azioni a corrispettivo sociale) che ha disciplinato le c.d. azioni a corrispettivo sociale, quali attività che richiedono il coinvolgimento volontario, attivo e responsabilizzante, del soggetto destinatario di interventi di sostegno da parte della pubblica amministrazione in campo sociale e socio-sanitario, finalizzate alla realizzazione di risultati di impatto sociale a livello locale e regionale, ed al pieno sviluppo della persona e dell’espressione delle sue capacità nell’esercizio dei diritti fondamentali nelle materie di competenza regionale. Prima ancora la legge regionale Toscana n. 67 del 2019 che ha introdotto misure di supporto alle c.d. cooperative di comunità, prevedendo la concessione, con la finalità di valorizzazione, di determinate zone del territorio urbano o extraurbano e sulla base di una specifica proposta presentata dalle cooperative stesse, dell’utilizzo di aree e di beni immobili inutilizzati, per il loro recupero e riuso con finalità di interesse generale. Anche in questo caso si tratta di un “patto”, concluso fra la pubblica amministrazione ed un soggetto privato a forte vocazione solidaristica, al di fuori degli schemi tipici della concessione. Per questa ricostruzione L. Gori, ult. op. cit. che riprende i contenuti dell’interessante convegno “La Toscana dei beni comuni” organizzato da Labsus disponibile in internet https://www.youtube.com/watch?v=PHgmuhd1Edc

37 Si vedano le significative esperienze riportate dal Laboratorio Labsus (www.labsus.org) all’interno del quale è possibile anche rinvenire il Regolamento per l’amministrazione condivisa dei beni comuni elaborato da Labsus, adottato da circa 300 Comuni di varia grandezza, che viene adeguato continuamente che rappresenta la cornice legale entro i quali i Patti di collaborazione ne costituiscono l’aspetto giuridico specifico. Sulla scia delle Best Practices, https://partecipazione.regione.emilia-romagna.it/beni-comuni.

38 E. Ferrero, Le smart cities nell’ordinamento giuridico, op. ult. cit.

39 Così Carla Acocella-Giuseppe Laneve, in op. cit.;

40 Per queste ulteriori considerazioni, ibidem, che riporta, tra gli altri, anche il contributo di S. Antoniazzi, in City: diritto, competenze e obiettivi (realizzabili) di innovazione, in federalismi.it, 2019, 10 sulla volontà del legislatore italiano di valorizzare la componente umana delle smart cities, proprio partendo dalla constatazione, già rilevata, della assenza nell’ordinamento interno di una nozione giuridica di smart city con preferenza per la locuzione «comunità intelligenti» (ex art. 20, D.L. n. 179/2012, conv. in L. n. 221/2012).

41 Su questo profilo della corresponsabilità, si veda https://www.vaticannews.va/it/mondo/news/2019-01/co-governance-arte-governare-citta-convegno-mariapoli-movimento.html.

42 Così Paolo Verri, in Il paradosso urbano, Nove città in cerca di futuro, Egea, 2022. Una lettura “illuminante” e propositiva sul tema. Afferma l’Autore, «Una smart city è una città non solo capace di affrontare le sfide del futuro ma soprattutto di farlo con il sorriso sulle labbra, tenendo insieme tecnologia e cultura, abilità del singolo e politiche pubbliche ben focalizzate sui principali problemi di vita quotidiana. […] e si è cominciato a riflettere sul miglioramento della vita dei cittadini tramite l’innovazione tecnologia. […] Riflettere quindi sulle città, sulla loro importanza nello sviluppo significa (visto il peso che hanno nella distribuzione della popolazione mondiale, della ricchezza, della ricerca, del divertimento, della cultura) riflettere sul futuro del mondo. Cambiare stili di vita nella città significa immaginare nuove forme di società, con un ruolo diverso nella gestione dei beni (con il conseguente allargamento dei cosiddetti “beni comuni” e la nascita del concetto, quasi alternativo a quello di proprietà, di “condivisione”.[…]Una smart community, ovvero una comunità di persone che coscientemente fanno proprie scelte di vita tese ad un consumo e a una gestione intelligente del proprio tempo, del proprio spazio e del proprio denaro, considerando tutti questi beni di pertinenza non solo individuale ma collettiva, è in grado di prevedere il proprio sviluppo e di renderlo sostenibile. Come? Operando scelte collettive orientate a un concetto ampio di sostenibilità, ma anche aprendosi a forti innovazioni», pag. 12 ss. Del resto, per questi profili, considerando i goals dell’Agenda 2030, l’obiettivo 11 è strettamente collegato al 12, che investe direttamente gli stili di vita dei cittadini (Consumo e produzione responsabili). E non potrebbe essere altrimenti; occorre un ripensamento complessivo dei modelli di consumo nel lungo periodo, come per i modelli di produzione. Da questo punto di vista una città è intelligente se promuove questo ripensamento.

43 Così, P. Verri, op. ult. cit., pag. 193.

44 Ibidem, pag. 194.

45 Si veda il sito https://www.avventuraurbana.it/ e il testo lungimirante di Iolanda Romano, Cosa fare come fare. Decidere insieme per praticare davvero la democrazia, Milano, Chiarelettere, 2012.