LA RISOLUZIONE DI UNA PROBLEMATICA AMBIENTALE ATTRAVERSO UN SISTEMA STRATEGICO DI APPALTI PUBBLICI EX ART. 65 DEL D.LGS. N.50/16.
IL CASO TARANTO.
avv.ti Maria Stefania Camerlengo, Nicolò Maellaro, Angelo Carbotti, Marcella Palmini, Paola Tagariello
Taranto, la Città dei Due Mari, diventa un laboratorio in scala reale, un modello nazionale ed internazionale per la risoluzione del problema dell’inquinamento diffuso, su “un’area vasta” dichiarata ad elevato rischio ambientale.
Metodologie innovative, non solo di carattere tecnico scientifico, ma anche giuridico-amministrativo, sono state messe in campo per affrontare il problema del processo di bonifica, ambientalizzazione e riqualificazione: per Taranto la parola chiave è Innovazione.
Con decreto datato 23 maggio 2018, il Commissario Straordinario per gli interventi urgenti di bonifica, ambientalizzazione e riqualificazione (successivamente Commissario Straordinario), ha dato l’avvio alla procedura per l’Affidamento della progettazione definitiva ed esecutiva, della realizzazione degli interventi di risanamento ambientale e messa in sicurezza dei sedimenti nelle aree prioritarie del Mar Piccolo di Taranto seni I mediante dimostrazione tecnologica.
Il bando di gara pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il 04 giugno del 2019, prevede interventi per 32 milioni 276 mila euro, con la compartecipazione finanziaria pubblico-privato prevista dall’art.158, secondo comma, Codice Appalti (D.Lgs.50/2016). La durata massima del contratto è di 635 giorni.
Gli interventi del I Seno del Mar Piccolo hanno l’obiettivo di abbattere il livello di contaminazione dei sedimenti marini, nel rispetto del sistema fisico-ambientale, fragile e complesso, creatosi nel corso degli anni. Citri, pinne nobilis, porpuree murici, convivono con discariche di pneumatici e carcasse di auto, dando luogo ad un ambiente che non poteva non necessitare di uno straordinario intervento.
L’intensa attività di studio, di indagine e di analisi multidisciplinari del sistema fisico-ambientale in parola, posta in essere dal Commissario Straordinario la Geologa Dr.ssa Vera Corbelli, ha consentito di pervenire ad una zonazione dell’area in funzione del grado di contaminazione riscontrato e delle caratteristiche fisico-meccaniche dei sedimenti marini, permettendo, nel contempo, di definire le principali strategie di intervento per il risanamento/messa in sicurezza che possano essere tecnicamente efficienti ed eco-compatibili.
Per il risanamento o messa in sicurezza del I Seno del Mar Piccolo di Taranto sono state messe in campo tecnologie altamente innovative, ma anche una procedura giuridico-amministrativa inedita.
Una procedura negoziata a tappe con accordi pre-commerciali (Preprocurement Agreement di cui alla comunicazione della Commissione europea COM 799 (2007) del 14 dicembre 2007), affidata con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa (non il minor prezzo); un appalto con un oggetto promiscuo: progettazione, ricerca e sviluppo, ma anche verifica in campo della bontà della tecnologia, con successiva realizzazione dell’intervento. Un partenariato per l’innovazione che risponde proprio all’esigenza di acquisire prodotti, servizi e lavori innovativi non ancora presenti sul mercato, mediante la presentazione di una proposta progettuale innovativa e sperimentale, con contestuale indicazione dei criteri e modalità operative di esecuzione, plasmate sulla base di requisiti minimi indicati dalla stazione appaltante.
Una procedura finalizzata all’affidamento della progettazione definitiva ed esecutiva, nonché alla realizzazione di un intervento di risanamento ambientale mediante una preventiva verifica e validazione in loco dell’efficacia delle tecnologie proposte; ma anche una procedura di scelta del contraente pensata da una Amministrazione, che ha proprio l’esigenza di acquisire un servizio/lavoro altamente innovativo non ancora “disponibile” sul mercato.
La procedura di partenariato per l’innovazione studiata per il Mar Piccolo, in particolare, ha ad oggetto:
• la verifica, previa dimostrazione attraverso più interventi su scala pilota, dell’efficacia delle tecnologie impiegate, le cui tipologie di applicazione sono già state individuate: asportazione selettiva dei sedimenti con relativo recupero; capping con relativa ricostruzione dell’habitat naturale, bioremediation in situ;
• le eventuali proposte da parte del/i concorrente/i volte ad ottimizzare dette tecnologie nello specifico contesto ambientale di applicazione;
• la progettazione definitiva ed esecutiva (che includono la progettazione operativa (ex D.Lgs. n. 152/2006) e la successiva realizzazione degli interventi.
La medesima procedura amministrativa consta di tre fasi:
• la FASE 1 di prequalifica comporta la pubblicazione del bando ed il successivo invito ai soggetti, che dimostrino di avere i requisiti di ordine generale e di capacità tecnico professionale ed economico finanziaria. Il Seggio di gara, valutati i predetti requisiti, trasmette la prima lettera di invito volta a presentare la successiva documentazione per la partecipazione alla Fase 2 (Affidamento dimostrazione tecnologica).
• la FASE 2 di dimostrazione tecnologica, prevede la sperimentazione delle tre diverse tecnologie individuate dalla stazione appaltante, su tre campi prova, affidate ad ognuno dei soggetti selezionati ed ammessi a tale fase. L’importo (€ 1.448.000,00) è identico perché ogni operatore avrà tre campi prova ove realizzare tutte e tre le tecnologie, in condizioni ambientali omogenee.
• la FASE 3 prevede l’aggiudicazione dell’appalto ad un solo concorrente per tutte e tre le tecnologie oppure tre operatori per tre tecnologie.
In questa sede è necessario precisare che, la stazione appaltante solo all’esito della dimostrazione in sito e qualora le tecnologie applicate siano ritenute idonee allo scopo (risanare quella parte del Mar Piccolo), darà corso alla sottoscrizione dei contratti con l’aggiudicatario o gli aggiudicatari che avranno ad oggetto la realizzazione degli interventi.
L’esito dell’appalto, per i caratteri di originalità, potrà consentire all’aggiudicatario di acquisire un know-how, che determinerà un vantaggio competitivo nel mercato.
La stazione appaltante, che ha ritenuto utilizzabile l’art. 65 del Codice dei Contratti riguardante la figura del partenariato per l’innovazione, ha certamente utilizzato una procedura nuova rispetto al ventaglio di procedure di cui alla disciplina previgente, che si iscrive nel filone dei sistemi (come il dialogo competitivo e le procedure negoziate) tesi a favorire una definizione partecipata dell’offerta ed una collaborazione nella individuazione e realizzazione dei mezzi più idonei per soddisfare al meglio le esigenze dell’amministrazione.
Il PPI, come è noto introdotto dalle direttive sugli appalti pubblici del 2014 e recepito nella maggior parte degli Stati membri nel 2016, è un appalto che comporta tanto lo sviluppo quanto la consegna di soluzioni innovative: difatti la stazione appaltante può risolvere il contratto prima di procedere alla consegna delle soluzioni, qualora gli obiettivi fissati all’inizio della procedura non vengano conseguiti durante la fase di ricerca e sviluppo.
Come chiarito nella Comunicazione della Commissione UE C(2018) 3051 final del 15 maggio 2018 «Orientamenti in materia di appalti per l’innovazione», nella maggior parte delle altre procedure, l’acquirente pubblico conosce già il tipo di soluzione che acquisterà: il processo di innovazione ha luogo nella fase pre-contrattuale e termina generalmente con la conclusione del contratto, quando vengono concordate le caratteristiche esatte della soluzione.
L’elemento principale che contraddistingue, invece, i partenariati riguarda il fatto che il processo innovativo si verifica durante l’esecuzione del contratto stesso.
È facilmente intuibile che, allorché si faccia riferimento a un ponte o ad un’autostrada, il livello di progettazione possa essere agevolmente definito a livello esecutivo o addirittura cantierabile; è, altresì, evidente, invece, che quando si va a bonificare un’area vasta dove sono state sversate ingenti quantità di sostanze tossiche, spesso non facilmente identificabili a priori, il quadro d’insieme non può che emergere con successive approssimazioni. Difatti, ai sensi dell’art. 23, D.Lgs 50/2016, la progettazione nei lavori pubblici si articola secondo tre livelli di successivi approfondimenti tecnici (progetto di fattibilità tecnica ed economica (ex progetto preliminare), definitivo ed esecutivo, nel rispetto di rigidi vincoli. Invece, la progettazione degli interventi ambientali, attivati in una situazione di “emergenza”, tipica dell’ambito delle bonifiche, è inevitabilmente “sommaria”, redatta in tempi rapidi e priva di dati che sono conoscibili solo in fase di realizzazione dell’operazione e dovrebbe rappresentare, sostanzialmente, le linee guida dell’intervento e non imbrigliarlo in rigidi schemi esecutivi.
Nel caso sottoposto al nostro esame, il PPI è apparso anche una opzione che ben si è adattata ad un intervento di bonifica ambientale, dove la stazione appaltante si è trovata a dover contemperare più interessi: da un lato, garantire la par condicio tra i partecipanti alla gara fornendo, in modo adeguatamente preciso, gli elementi della soluzione richiesta (e quindi consentire all’operatore di valutare se partecipare o meno); dall’altro, evitare che la “sommarietà” della fase progettuale sia foriera di situazioni critiche o inadeguate in fase di esecuzione dell’intervento di bonifica.
Dalla breve digressione che precede, appare evidente che, per il risanamento o messa in sicurezza del I Seno del Mar Piccolo, si è cercato di coordinare e conformare la vigente normativa sugli appalti pubblici alla normativa di settore dedicata alla tutela dell’ambiente e della salute umana e nello specifico la normativa di settore relativa alle bonifiche.
Ma partendo dal caso Taranto, registrando una generale fisiologica resistenza da parte della Pubbliche Amministrazioni ad utilizzare un nuovo strumento non standard, si potrebbe auspicare un puntuale intervento legislativo di raccordo tra le diverse normative codicistiche.
Quali le possibili soluzioni?
Si potrebbe, quale misura minima di sostegno alla tempestività delle procedure di gara nel settore delle bonifiche dei siti inquinati, ipotizzare di attribuire normativamente a queste attività il carattere di “urgenza”, superando le limitazioni delle procedure aperte e ristrette, a favore di quella negoziata e beneficiando, quindi, delle riduzioni sui termini di gara che il Codice degli Appalti già riserva per le procedure così definite, oltre che di una notevole semplificazione dell’iter.
Si potrebbe ampliare il potere del Rup di disporre, senza che ciò configuri una variante, la risoluzione di aspetti di dettaglio del progetto, che siano contenuti entro un limite percentuale definito dell’importo contrattuale delle attività di bonifica del sito.
Un intervento minimale di questa portata consentirebbe, in effetti, di eseguire le attività con notevole tranquillità e senza alcun pregiudizio per le posizioni dell’appaltatore e delle imprese partecipanti alla gara.
Si potrebbe, anche, estendere la possibilità per le amministrazioni aggiudicatrici di procedere all’affidamento della progettazione esecutiva e dell’esecuzione dei lavori in un’unica soluzione e sulla base di un progetto definitivo. La disciplina attuale consente il ricorso al cd. appalto integrato solo nel caso di “interventi in cui l’elemento tecnologico o innovativo delle opere oggetto dell’appalto sia nettamente prevalente rispetto all’importo complessivo dei lavori”.
D’altro canto, per quanto concerne la specificità della materia ambientale, non possono non evidenziarsi i vantaggi rappresentati dal PPI:
a) la preliminare valutazione, in merito al livello progettuale da porre a base di gara, da parte dell’amministrazione aggiudicatrice in base alla tipologia di intervento, delle peculiarità degli interventi da realizzare, delle soluzioni tecniche e dei materiali impiegabili;
b) l’affidamento in unica soluzione della progettazione esecutiva e della realizzazione dei lavori consentirebbe di individuare un unico interlocutore e, quindi, un unico responsabile di entrambe le fasi, così riducendo significativamente le criticità in fase di cantierizzazione ed esecuzione delle opere ed il rischio contenzioso;
c) sollecitare il mercato per l’introduzione di soluzioni progettuali e realizzative più innovative anche al fine di ottenere la riduzione dei tempi e dei costi di esecuzione, nonché dei costi di manutenzione che sono componente essenziale della progettazione esecutiva. Per questo verso si potrebbe sostenere in diversi settori di intervento una maggiore qualificazione delle imprese, la ricerca e lo sviluppo di soluzioni tecnologiche, ambientali ed esecutive innovative ed economicamente più efficaci;
d) riduzione dei tempi fra la fase di progettazione esecutiva e l’effettiva cantierizzazione delle opere, con conseguente riduzione dei rischi per il mutato stato dei luoghi e delle condizioni di esecuzione.
Il legislatore, nel momento in cui ha previsto la tempistica delle procedure ad evidenza pubblica e le relative deroghe, non ha tenuto in alcuna considerazione la questione ambientale, pertanto sarebbe auspicabile intervenisse, considerato che il settore delle bonifiche dei siti contaminati ha ormai acquisito rilevanza strategica non solo per gli evidenti profili di tutela e risanamento ambientale, ma anche sotto il profilo economico-produttivo. Nonostante una parte significativa delle risorse finanziarie utilizzate per le bonifiche vengano utilizzate attraverso gare di appalto, sino ad oggi la normativa relativa agli appalti pubblici non si è adeguata e non ha tenuto quasi mai conto di questa specificità.
La gara d’appalto pensata per la bonifica del Mar Piccolo di Taranto, rappresenta certamente un unicum dove diversi istituti sono stati applicati e armonizzati nel primario interesse di affrontare e portare a soluzione una condizione di grave criticità ambientale, con l’utilizzo delle migliori tecnologie pensate e calate in quel particolarissimo contesto ambientale.
Partendo dal caso “Taranto” con lo sforzo congiunto di tecnici e giuristi, certamente è auspicabile un intervento del legislatore al quale si chiede sempre più di lavorare in difesa dell’ambiente, alla valorizzazione del territorio nello spirito di tutela di cui all’art. 9 della Carta fondamentale, quale bene comune di salvaguardia della personalità umana. Ai posteri, e si spera non ai Tribunali, l’ardua sentenza!