di Carlo Rapicavoli – La decisione di Benedetto XVI di “rinunciare” al suo ufficio avvia una fase nuova e inesplorata nella storia della Chiesa i cui effetti e la cui evoluzione potranno essere colti soltanto nei prossimi anni.
La decisione lascia attoniti sebbene annunciata da tempo dallo stesso Pontefice.
Dal punto di vista strettamente giuridico, la rinuncia è un atto regolato dal Codice di diritto canonico che al paragrafo 2 del canone 332 dispone “Nel caso il Romano Pontefice rinunci al suo ufficio, si richiede per la validità che la rinuncia sia fatta liberamente e che venga debitamente manifestata, non si richiede invece che qualcuno la accetti”.
Nessun’altra disposizione si ritrova nel diritto canonico; né può farsi ricorso alla prassi visto che si tratta del primo caso da sei secoli a questa parte.
Quindi si tratta:
1) Di un atto unilaterale e sovrano del Pontefice;
2) Si richiede esclusivamente la piena coscienza nell’assunzione della decisione e la comunicazione della decisione;
3) Non è richiesta l’accettazione della rinuncia.
In assenza di diverse disposizioni pertanto deve farsi riferimento a tutte le disposizioni vigenti in caso di sede vacante fino alla nomina in conclave del nuovo Pontefice, fatta eccezione ovviamente per tutti gli adempimenti connessi alla morte del Papa.
Un primo aspetto giuridico mai esplorato riguarda il caso mai verificatosi prima di un Conclave annunciato – naturalmente non ancora formalmente convocato – prima della vacanza della sede papale.
La rinuncia “differita” del Papa, se da un lato evita il vuoto immediato nella guida della Chiesa, dall’altro pone rilevanti interrogativi sul ruolo di Benedetto XVI fino alle ore 20 del 28 febbraio, mantenendo fino a quella data pienamente tutte le prerogative spettanti al Romano Pontefice.
I suoi atti hanno piena rilevanza anche nella fase in cui inevitabilmente è già aperta la discussione sulla scelta del successore.
Potrebbe – solo in teoria perché certamente non accadrà – intervenire in piena legittimità sulle modalità di elezione del nuovo Pontefice, sulla nomina di nuovi cardinali, etc.
Ma al di là degli aspetti strettamente giuridici, una prima riflessione va fatta sugli effetti di questa decisione sul futuro della Chiesa, che per certi aspetti appaiono più innovativi e rilevanti dello stesso Concilio ecumenico Vaticano II.
La rinuncia di Benedetto XVI realizza una “umanizzazione” del Papa, distinguendo nettamente fra l’ufficio di Romano Pontefice e l’uomo chiamato a coprire tale ufficio.
Una distinzione rivoluzionaria.
E’ sufficiente pensare agli ultimi anni della vita di Giovanni Paolo II fortemente ispirata al servizio e alla sofferenza come servizio e come missione che lo indusse neanche negli ultimi mesi di vita a lasciare la guida della Chiesa.
Il Papa teologo fa una scelta radicalmente diversa.
E proprio per la figura di Benedetto XVI non può pensarsi di limitare il fondamento di tale decisione al decadimento fisico, alla stanchezza; dietro tale decisione vi è la volontà di riformare la Chiesa, con maggiore efficacia di quanto, pur volendo, non è riuscito a fare negli otto anni di pontificato.
Una prima considerazione va riferita all’essenza stessa della figura del Papa, quale si affermata ormai in particolare negli ultimi due secoli.
E’ opportuno fare un cenno al riguardo alle conclusioni, dopo lungo dibattito, del Concilio Vaticano I del 1870 che proclamò il primato papale attraverso i seguenti principi:
1. il potere giurisdizionale del vescovo di Roma: pieno (autosufficiente), supremo (non sottoposto a nessun altro potere nella Chiesa, come ad esempio, il Concilio), universale, ordinario e diretto. quindi senza alcuna mediazione di altri organi ecclesiali e quindi su ogni singolo cristiano.
2. l’infallibilità papale, secondo la quale il vescovo di Roma, quando parla ex cathedra, cioè esercitando il suo ministero di «supremo Pastore e Dottore di tutti i cristiani», è assistito dallo Spirito Santo per definire l’infallibilità di una dottrina di fede o di morale.
Non v’è dubbio che tali principi, non modificati dal Concilio Vaticano II, si riferiscono all’ufficio di Romano Pontefice e non alla persona, se non ed in quanto titolare dell’ufficio.
Ma è altrettanto indubbio che in tale dottrina non si è considerata l’ipotesi di rinuncia all’ufficio, finora più ipotesi di scuola che reale.
La rinuncia all’ufficio, annunciata dinnanzi al collegio dei Cardinali riuniti nel Concistoro, che di diritto riporta temporaneamente il governo della Chiesa al collegio stesso ed ai ruoli definiti – il Cardinale Camerlengo che ha il principale compito di presiedere la sede vacante dopo la morte, o le dimissioni, del Pontefice fino alla fine del conclave, il Decano del Collegio che ha il compito di convocare il conclave – apre una fase che probabilmente porterà ad un governo maggiormente collegiale della Chiesa.
E’ prematura ogni valutazione in merito. Sarà ovviamente decisiva la scelta del Conclave e la figura del nuovo Pontefice.
La decisione di Benedetto XVI appare ispirata da una profonda fede, da spirito totale di servizio nei confronti della Chiesa, dalla consapevolezza che appare necessaria una guida nuova e riformatrice della struttura organizzativa della Chiesa stessa.
A lungo si dovrà indagare e approfondire le motivazioni profonde di tale scelta. Probabilmente sarà lo stesso Benedetto XVI ad indicarle nei prossimi mesi.
E’ certo però che si apre una fase nuova, imprevista ed imprevedibile, nella storia della Chiesa.