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La riforma delle Province e il caso della Sicilia

di Luigi Oliveri –

Com’era facile aspettarsi, dalla Sicilia, regione pioniera dell’abolizione delle province per opera del suo presidente Rosario Crocetta, giungono notizie di caos assoluto. Stipendi non pagati, trasferimenti regionali non concessi, servizi ai cittadini non erogati, totale assenza, ancora, della minima idea degli enti che subentreranno alle province, come, dove, quando, in quale quantità, con quali risorse, con quale organizzazione.

Il presidente Crocetta si è da subito iscritto all’ordine degli architetti dello sfacelo. Un ordine molto nutrito, di nomi altisonanti, con presidenti ad honorem Gianantonio Stella e Sergio Rizzo, antesignani della lotta senza quartiere alle province.

Gli architetti dello sfacelo conoscono, della funzione progettuale, solo la cosa più semplice e facile, la pars destruens. Con inchieste monocordi, che non mettono mai la controparte di contro dedurre e non prendono mai in considerazione dati totalmente oggettivi e completi, si mettono lì, a valutare, spesso sulla base di assiomi, che una certa spesa è troppo elevata, che una certa organizzazione è troppo efficiente, che un certo ente è inutile. L’unica proposta è quella di eliminare, sopprimere, abolire.

Pretendere anche la pars construens da giornalisti che debbono badare a mantenere alte fama e vendite mediante sistemi di comunicazione mediatica capaci di parlare alla pancia delle persone ed ottenere facile consenso è, ovviamente, pretendere troppo.

Stella e Rizzo, come moltissimi altri, non avendo mai avuto funzioni amministrative all’interno delle istituzioni, non hanno la minima idea concreta di come sarebbe possibile sul piano tecnico rimediare alle inefficienze ed agli sprechi denunciati. L’unica riflessione apparentemente sensata cui gli architetti dello sfacelo riescono a giungere è quella di ritenere strano che la siringa abbia un costo diverso a seconda che la comperi la Asl della Lombardia, invece di quella della Calabria. Senza, tuttavia, riuscire a rendersi conto che l’Italia è lunga e stretta e che sistemi di produzione e soprattutto di distribuzione delle merci possono portare a questi paradossi e che, soprattutto, non è certo col costo delle siringhe che si risolvono i problemi di efficienza e contenimento dei costi.

L’Italia ha, invero, conosciuto una breve parentesi nel corso della quale è assurto alla guida del Governo un editorialista del Corriere della sera, per altro dotato di un’esperienza amministrativa infinitamente maggiore di quella dei tanti architetti dello sfacelo, il professor Mario Monti. I risultati ottenuti, tuttavia, non sono certo ascrivibili tra i migliori.

Il caos siciliano è esattamente il frutto dell’architettura dello sfacelo. La legge siciliana sulle province è stata solo capace di prevederne l’abolizione. Non contiene la minima indicazione del sistema organizzativo alternativo alle province, né un credibile crono programma e sistema di diritto transitorio.

Il guaio è che accanto agli architetti dello sfacelo siedono e dialogano i politici mediatici, dei quali in effetti Crocetta è l’archetipo.

Il politico mediatico si distingue fortemente dal politico lungimirante. Il politico mediatico non fa altro che parlare in quell’immenso bar-sport che è l’insieme delle tante trasmissioni televisive, nelle quali per confermare ed accrescere il proprio profilo mediatico, il politico è portato a spararla forte (come il vero gradasso da br-sport) ed a promettere immediati impegni, spesso negli argomenti più facili e di maggior consenso. Se il politico mediatico promette di abolire le province, perché convinto dalle facili argomentazioni degli architetti dello sfacelo, allora andrà come un caterpillar e abolirà le province.

Ma, consigliato dagli architetti dello sfacelo, attuerà i loro progetti. Che si limitano a prevedere solo le demolizioni.

Il politico lungimirante sa che quando occorre compiere una riforma, che possa anche – nessuno lo esclude – determinare la cancellazione di questo o quell’ente, prima ancora di tagliare il ramo secco, deve sapere dove andrà a cadere, adottare le misure di sicurezza ed assicurarsi che le funzioni di respirazione e nutrimento clorofilliano del ramo abbattuto siano svolte con uguale o maggiore efficienza da un altro ramo.

In un processo di riforma vero, sensato, mirato all’efficienza, la pars construens non solo è più importante (e più complicata) della pars destruens, ma viene prima anche logicamente. Per demolire e ristrutturare, occorre avere chiaro da prima come ricostruire.

Il disegno di legge presentato dal Ministro Delrio al Governo è, invece, esattamente il prodotto del politico mediatico che ascolta solo l’architetto dello sfacelo. Svuota le province, ma non si capisce come le funzioni ad essa sottratte saranno gestite: si intuisce che in alcune parti d’Italia saranno svolte dalle città metropolitane, le quali, però, contemporaneamente potranno assegnarle anche a comuni o unioni di comuni, che a loro volta potrebbero attribuire alle città metropolitane proprie funzioni. In altre parti d’Italia le funzioni sottratte alle province potrebbero andare ai comuni; oppure, alle unioni di comuni; oppure alle regioni; ma comuni, unioni di comuni e regioni potrebbero delegare le province e riattribuire loro quelle funzioni che la legge ha sottratto.

E le risorse? Stessa sorte; potrebbero andare ora a quell’ente, ora a quell’altro. In quale quantità, secondo quale logica? Non si sa.

Il progetto dell’architetto dello sfacelo non chiarisce, detta scenari, non sceglie ma rinvia ad altri sub progetti. Sarà un Dpcm ad indicare a marzo 2014 quali funzioni provinciali regolate da leggi dello Stato passeranno a comuni (o unioni di comuni?) e quali risorse li finanzieranno, ma sarà una successiva delibera dei presidenti delle province a disciplinare come trasferire risorse e personale. Notiamo bene le date: l’architetto dello sfacelo non fa cronoprogrammi meditati, ma butta lì alcune date, senza nemmeno porsi il problema della loro sostenibilità. E’ serio che si immagini un trapasso delle funzioni dalle province ai comuni o alle unioni o a quale altro ente in corso d’anno? Non è più opportuno ragionare ad anno finanziario intero e rinviare gli effetti all’inizio del successivo anno finanziario? E’ davvero sufficiente il tempo dato al Governo per adottare lo stesso Dpcm che il Governo precedente non ha mai emanato? E’ davvero credibile che tutti i presidenti delle province entro 60 giorni dal Dpcm riusciranno ad adottare delibere complete ed esaustive per il trasferimento del personale?

Il politico mediatico, che lascia progettare all’architetto dello sfacelo, non si cura di questi dettagli.

Il suo risultato mediatico è passare come “il primo” che ha abolito le province. Il risultato è solo l’abolizione e la passerella da trionfatore nei bar-sport televisivi. Il caos, le macerie, la polvere, la ristrutturazione barcollante, malsicura, inefficiente derivante dal progetto sommario e frettoloso dell’architetto dello sfacelo non contano.

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