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Per la revocatoria sui conti correnti l’onere della prova grava sul curatore.

Le rimesse sul c/c dell’impresa poi fallita sono revocabili, ma la banca convenuta non è tenuto a provare nulla in caso di inerzia del curatore.

 

Decisione: Sentenza n. 6042/2016 Cassazione Civile – Sezione I

 
Il caso.
La Corte di Appello accoglieva l’impugnazione della sentenza del Tribunale, così dichiarando l’inefficacia dei versamenti effettuati da un consorzio agrario assoggettato a liquidazione coatta amministrativa.

La banca era stata condannata alla restituzione dei versamenti sul c/c, per oltre 270mila euro, assoggettati ad azione revocatoria ex art. 67, comma 2, legge fallimentare.

Il ricorso della banca è stato affidato a 4 motivi, la Cassazione lo ritiene fondato relativamente al criterio di identificazione delle operazioni aventi carattere solutorio nell’ambito di quelle effettuate nella stessa giornata.

 

La decisione.
La Cassazione rileva che la Corte di Appello aveva aderito «all’impostazione condotta secondo la mera cronologia delle operazioni giornaliere di dare e avere, negando la sussistenza di “operazioni bilanciate” e tuttavia attenendosi alle risultanze bancarie “secondo l’ordine di annotazione e registrazione delle singole operazioni sul c/c”.

Si tratta di criterio non corretto, per plurimi profili: per un verso, esso non individua se, nel corso della medesima giornata, vi siano state operazioni attive e quali, da parte del correntista, idonee a determinare una corrispondente provvista cui attingere per dei prelievi, essendo insufficiente a tale scopo la mera ordinazione contabile, in difetto di altri elementi storici; inoltre, l’onere di provare che ciascuna rimessa così versata sul conto costituiva pagamento, per incidere a rimborso dell’esposizione del conto scoperto, era a carico del curatore, attore in revocatoria, apparendo insufficiente e fuorviante la presunzione solutoria applicata ad ogni versamento infragiornaliero pur in presenza di altre operazioni, non altrimenti definite sotto il determinante profilo della produzione o meno di disponibilità in capo al correntista, almeno oltre l’accertata apertura di credito su un conto “affidato per trecento milioni delle vecchie lire”; la esclusione delle operazioni bilanciate, da parte della sentenza e per quanto questione non centrale ai fini del criterio di computo dei pagamenti, è priva di motivazione e non esaurisce, come spiegazione correttiva, la sostanziale assenza di illustrazione delle ragioni di scelta del criterio contabile puro e sequenziale».

La Suprema Corte illustra gli indicatori per stabilire se una rimessa del correntista abbia funzione solutoria, e si schiera quindi per la tesi che ritiene di condividere: «Ritiene invero il Collegio, conformemente ad indirizzo già espresso e dal quale non v’è ragione di scostamento, che le rimesse sul conto corrente innanzitutto sono legittimamente revocabili, ai sensi dell’art. 67 1.f., quando il conto stesso, all’atto della rimessa, risulti scoperto, per cui, al fine di accertare se una rimessa del correntista sia destinata al pagamento di un proprio debito verso la banca ed abbia quindi funzione solutoria ovvero valga solo a ripristinare la provvista sul conto corrente, occorre fare riferimento al criterio del “saldo disponibile” del conto, da determinarsi in ragione delle epoche di effettiva esecuzione di incassi ed erogazioni da parte della banca; non è, invece, idoneo né il criterio del “saldo contabile”, che riflette la registrazione delle operazioni in ordine puramente cronologico, né quello del “saldo per valuta”, che è effetto del posizionamento delle partite unicamente in base alla data di maturazione degli interessi (Cass. 16608/2010, 24588/2005, 12/1996)».

Poi la Corte precisa: «Se dunque va ripetuto che le rimesse sul conto corrente dell’imprenditore poi fallito sono revocabili, ai sensi dell’art.67 1.f., tutte le volte in cui il conto, all’atto della rimessa, risulti scoperto, tale dovendosi ritenere sia il conto non assistito da apertura di credito che presenti un saldo a debito del cliente, sia quello scoperto a seguito di sconfinamento del fido convenzionalmente accordato al correntista (e nella specie la corte romana ha fatto esplicito richiamo ai citati 300 milioni Lit ricostruiti nella C.T.U.) (Cass. 8323/2008, 24588/2005), ove la valutazione del carattere solutorio o ripristinatorio della singola rimessa non sia possibile, perché manchi l’identificazione dell’esatto saldo disponibile nel momento della sua effettuazione, appare errata la metodologia ordinativa che ponga in mera sequenza cronologica le operazioni in dare e in avere: non solo perché essa supplisce ad un onere della prova cedente a carico di chi agisce in revocatoria, che nulla ha dimostrato circa il predetto saldo disponibile atto per atto, ma anche in quanto confonde le annotazioni dell’estratto conto bancario, per come affluite e registrate, con l’effettività storica di quelle operazioni. Questa la ragione per cui, provate le operazioni nel periodo sospetto e con riguardo a quelle condotte nello stesso giorno, dovrebbe applicarsi il diverso criterio – meno gravoso per il convenuto, che sul punto non è tenuto a provare nulla in caso di inerzia dell’attore – del cd. saldo di giornata, alternativo a quello, nella fattispecie non altrimenti giustificato dal liquidatore né resocontato in sentenza, del saldo infragiornaliero, non potendosi dalla mera cronologia delle operazioni, come detto, desumere in via logica che taluni versamenti erano serviti a ripianare uno scoperto verificatosi nell’arco della medesima giornata (Cass.4737/2012)».

La Cassazione ribadisce quindi «il principio per cui, in tema di revocatoria delle rimesse in conto corrente bancario effettuate da un imprenditore poi dichiarato fallito, nel caso di plurime operazioni di segno opposto nella stessa giornata in cui appaia uno scope di conto; il fallimento che chieda la revoca di rimesse aventi carattere saluto rio in relazione al saldo infragiornaliero e non al saldo della giornata, ha l’onere di dimostrare la cronologia dei singoli movimenti, cronologia che non può essere desunta dall’ordine delle operazioni risultante dall’estratto conto ovvero dalla scheda di registrazione contabile, in quanto tale ordine non corrisponde necessariamente alla realtà e sconta i diversi momenti in cui, secondo le tipologie delle operazioni, vengono effettuate le registrazioni sul conto. Di conseguenza, è onere del curatore provare la cronologia dei singoli movimenti, quale circostanza che incide sulla prova dell’esistenza di uno degli elementi costitutivi della domanda, vale a dire l’esistenza di un atto avente carattere solutorio, sicché in mancanza di prova devono intendersi effettuati prima gli accrediti e poi gli addebiti (Cass. 7158/2012)».

 

Osservazioni.
La Corte di Cassazione, in sostanza, fa applicazione in maniera rigida dell’onere della prova in capo al curatore, nel senso che grava su di lui provare la cronologia dei singoli movimenti nell’ambito della stessa giornata al fine di identificare le operazioni aventi carattere solutorio, e quindi revocabili.

Per la Suprema Corte, in mancanza di detta prova, deve presumersi che siano stati effettuati prima gli accrediti e poi gli addebiti.

 
Disposizioni rilevanti.
REGIO DECRETO 16 marzo 1942, n. 267

Disciplina del fallimento, del concordato preventivo, dell’amministrazione controllata e della liquidazione coatta amministrativa

 

Art. 67 – Atti a titolo oneroso, pagamenti, garanzie

Sono revocati, salvo che l’altra parte provi che non conosceva lo stato d’insolvenza del debitore:

1) gli atti a titolo oneroso compiuti nell’anno anteriore alla dichiarazione di fallimento, in cui le prestazioni eseguite o le obbligazioni assunte dal fallito sorpassano di oltre un quarto ciò che a lui è stato dato o promesso;

2) gli atti estintivi di debiti pecuniari scaduti ed esigibili non effettuati con danaro o con altri mezzi normali di pagamento, se compiuti nell’anno anteriore alla dichiarazione di fallimento;

3) i pegni, le anticresi e le ipoteche volontarie costituiti nell’anno anteriore alla dichiarazione di fallimento per debiti preesistenti non scaduti;

4) i pegni, le anticresi e le ipoteche giudiziali o volontarie costituiti entro sei mesi anteriori alla dichiarazione di fallimento per debiti scaduti.

Sono altresì revocati, se il curatore prova che l’altra parte conosceva lo stato d’insolvenza del debitore, i pagamenti di debiti liquidi ed esigibili, gli atti a titolo oneroso e quelli costitutivi di un diritto di prelazione per debiti, anche di terzi, contestualmente creati, se compiuti entro sei mesi anteriori alla dichiarazione di fallimento.

Non sono soggetti all’azione revocatoria:

a) i pagamenti di beni e servizi effettuati nell’esercizio dell’attività d’impresa nei termini d’uso;

b) le rimesse effettuate su un conto corrente bancario, purchè non abbiano ridotto in maniera consistente e durevole l’esposizione debitoria del fallito nei confronti della banca;

c) le vendite ed i preliminari di vendita trascritti ai sensi dell’articolo 2645-bis del codice civile, i cui effetti non siano cessati ai sensi del comma terzo della suddetta disposizione, conclusi a giusto prezzo ed aventi ad oggetto immobili ad uso abitativo, destinati a costituire l’abitazione principale dell’acquirente o di suoi parenti e affini entro il terzo grado, ovvero immobili ad uso non abitativo destinati a costituire la sede principale dell’attività d’impresa dell’acquirente, purchè alla data di dichiarazione di fallimento tale attività sia effettivamente esercitata ovvero siano stati compiuti investimenti per darvi inizio;

d) gli atti, i pagamenti e le garanzie concesse su beni del debitore purchè posti in essere in esecuzione di un piano che appaia idoneo a consentire il risanamento della esposizione debitoria dell’impresa e ad assicurare il riequilibrio della sua situazione finanziaria; un professionista indipendente designato dal debitore, iscritto nel registro dei revisori legali ed in possesso dei requisiti previsti dall’articolo 28, lettere a) e b) deve attestare la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano; il professionista è indipendente quando non è legato all’impresa e a coloro che hanno interesse all’operazione di risanamento da rapporti di natura personale o professionale tali da comprometterne l’indipendenza di giudizio; in ogni caso, il professionista deve essere in possesso dei requisiti previsti dall’articolo 2399 del codice civile e non deve, neanche per il tramite di soggetti con i quali è unito in associazione professionale, avere prestato negli ultimi cinque anni attività di lavoro subordinato o autonomo in favore del debitore ovvero partecipato agli organi di amministrazione o di controllo; il piano può essere pubblicato nel registro delle imprese su richiesta del debitore;

e) gli atti, i pagamenti e le garanzie posti in essere in esecuzione del concordato preventivo, dell’amministrazione controllata, nonché dell’accordo omologato ai sensi dell’articolo 182-bis, nonché gli atti, i pagamenti e le garanzie legalmente posti in essere dopo il deposito del ricorso di cui all’articolo 161;

f) i pagamenti dei corrispettivi per prestazioni di lavoro effettuate da dipendenti ed altri collaboratori, anche non subordinati, del fallito;

g) i pagamenti di debiti liquidi ed esigibili eseguiti alla scadenza per ottenere la prestazione di servizi strumentali all’accesso alle procedure concorsuali di amministrazione controllata e di concordato preventivo.

Le disposizioni di questo articolo non si applicano all’istituto di emissione, alle operazioni di credito su pegno e di credito fondiario; sono salve le disposizioni delle leggi speciali.

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