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LA PANDEMIA NEI VASI COMUNICANTI. Aspetti estremi della globalizzazione

LA PANDEMIA NEI VASI COMUNICANTI

Aspetti estremi della globalizzazione


Sergio Benedetto Sabetta


E’ dagli anni ’80 del secolo scorso che in economia si sostiene, quale reazione al Keynismo del dopo guerra, la necessità di una liberalizzazione estrema, una teoria che mosse i primi passi in ambito internazionale con la visita di Nixon in Cina nei primi anni ’70.

Le figure di Reagen e della Thatcher, contrapposte a quella di Carter e dei suoi predecessori, diedero forma e impulso alla liberalizzazione, risollevando un’economia stagnante e portando al crollo del blocco sovietico nel decennio successivo.

Gli anni ’90 furono il momento del trionfo del modello, aiutato in questo dal diffondersi delle nuove tecnologie informatiche, le quali sembravano avvolgere il pianeta in una rete di possibilità infinite, promessa di una felicità data da un benessere in continua eterna crescita.

Le varie crisi che si succedettero da quelle economiche, scoppio della bolla della new – economy, a quelle geopolitiche e sociali, attacco alle torri gemelle, seconda guerra del golfo, terrorismo, crescita esponenziale della popolazione, erano viste come semplici incidenti di percorso, facilmente superabili attraverso aggiustamenti settoriali.

Anche la crisi economica del 2009 che si allargò su tutto il pianeta con una serie di onde successive, fu curata come un incidente con interventi finanziari ma l’economia rimase ammalata e si palesarono nuove strategie e nuove aree di crisi, quali quelle migratorie.

Nuovi potentati uscirono dal profilo basso manifestando interesse nel creare nuove aree geo-strategiche, scrollandosi supremazie ormai in crisi, mentre altre aree e Nazioni si arrotolavano su se stesse, rimanendo come sospese in attesa di definire proprie nuove strategie.

Ora l’attuale pandemia non è che l’ultimo e più forte segnale di un sistema economico e sociale in affanno, che ha, tra l’altro, posto le basi per ulteriori disastri ambientali sempre più estesi e profondi, dando inizio ad una guerra biologica sottotraccia mondiale come la globalizzazione, di cui è figlia, una nuova forma di guerra nelle modalità come lo è il nuovo secolo.

Emerge un principio più volte dimenticato quello dei vasi comunicanti, se non vi sono filtri o valvole di registrazione il passaggio da un vaso all’altro è automatico e tende a porsi allo stresso livello, questo impone sia un’azione di coordinamento tra aree ma anche un filtro tra le stesse, ossia valvole di pressione che ne regolamentino il flusso, con la prevalenza delle aree più forti che controllano la fascia esterna di sicurezza e quindi i canali di arrivo.

La tecnologia che sembra superare qualsiasi regola finisce per dover essere piegata a questi semplici principi economici e sociali, altrimenti sarà destabilizzante e non puramente in termini di distruzione creativa (Schumpeter), tale da favorire conflitti e malessere diffuso, sostituendo alla progressiva evoluzione salti evolutivi imprevisti con estinzioni di massa sia fisiche che sociali.

Il problema dei vasi comunicanti si realizza anche all’interno del sistema nazionale unitario stesso, quando nei fatti vi è una semplificazione della visione in termini settoriali.

Travasare risorse prelevando da un settore all’altro in tempi di insicurezza, non solo economica ma anche psicologica, può non favorire il suo superamento, ma creare un ulteriore blocco nella ripresa economica dato dal timore e dalla sfiducia che allargandosi inducono a contrarre precauzionalmente i consumi privati, un limite e un impatto che deve essere ben chiaro nella pianificazione, dove nei fatti entrano in conflitto finanza ed economia.

Vi è in questo una difficoltà nel coordinare enti diversi in una struttura parcellizzata, qual è il nostro sistema Nazionale, che soffre di una frammentazione culturale e ideologica così che vi sono differenti azioni sullo stesso tema, un problema che affonda nella nostra storia civica che tecnologia e crisi pandemica evidenziano ulteriormente, per non parlare delle problematiche tra i vari settori economici in cui l’interesse di uno all’apertura è in contrasto con l’interesse di un’altro alla prudenza.

La pandemia ha disvelato la fragilità di un Paese che si rassicura anche tramite riti quali l’apericena, non volendo ammettere le proprie debolezze, che, come osserva Marco Revelli, è fragile socialmente, segnato dall’impoverimento, ma anche moralmente, venato di rancore, e infine politicamente, dall’assetto “liquido” delle sue istituzioni. “Un paese abissalmente distante dall’immagine che offre di sé”. [L’Italia impoverita (e i suoi vizi), in “Poveri, noi”, Einaudi 2010].

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