LA NATURA GIURIDICA DELLA COMUNIONE NEL DIRITTO DI FAMIGLIA.
-TEORIE-
Sergio Benedetto Sabetta
Il codice del ’42 rinviava alle “disposizioni relative alla comunione in generale”, dal che se ne poteva dedurre con sicurezza che la comunione convenzionale rientrava nell’ampia categoria della comunione in generale.
La riforma ha abolito qualsiasi riferimento in materia d’amministrazione alla comunione in generale, sostituendo al richiamo degli artt. 100 e ss. una serie di disposizioni che, da una parte hanno reso problematica la disciplina della comunione legale, dall’altra hanno determinato il sorgere del problema della natura giuridica della medesima, non essendo più sostenibile la pura e semplice rientranza della comunione legale nell’alveo della comunione in generale.
Senz’altro una delle maggiori teorie per autorevolezza dei suoi sostenitori e per linearità di costruzione è quella sostenuta da Busnelli (1), Alpa, Bessone ed altri autori (2).
Innanzitutto si rileva, attraverso una comparazione tra le norme che disciplinano l’istituto della comunione legale e quello della comunione in generale, una sostanziale inconciliabilità di principi: mancanza di uno scopo ulteriore rispetto al mero godimento dei beni, piena libertà di ciascuno di disporre della propria quota e di domandare lo scioglimento della comunione, amministrazione congiunta dei beni della comunione.
Scartata quindi questa ipotesi, si avanza la possibilità di effettuare un ulteriore confronto con le disposizioni regolanti i fenomeni associativi, più precisamente con le norme riguardanti le società di persone e in particolare, secondo Busnelli, con le società semplici.
L’autore evidenzia le similitudini esistenti fra comunione legale e società semplice: patrimonio costituito per entrambe da attivo e passivo, esistenza di uno scopo vincolante il patrimonio, amministrazione disgiuntiva, tassatività delle cause di scioglimento.
Tuttavia, avverte l’autore, da questo non si devono trarre conclusioni errate, quali una analogia strutturale tra società e comunione legale od una automatica applicabilità alla stessa di tutte le norme sulle società di persone che non risultino specificatamente derogate dalla normativa sulla comunione legale.
Nonostante questi limiti l’importanza di tale rapporto è indubitabile se lo si tiene presente nel lavoro interpretativo delle norme o di riempimento di eventuali lacune.
Critico con tale costruzione è Falzea (3), egli nega decisamente la premessa secondo cui la comunione legale sia un patrimonio destinato ai bisogni della famiglia.
Secondo l’autore al contrario la comunione legale è “in funzione dell’interesse legale dei coniugi”, la sua importanza nella disciplina della riforma risiede nel convincimento del legislatore “che essa attua meglio del regime di separazione dei beni e di ogni altra convenzione matrimoniale l’eguaglianza dei coniugi” e non nel convincimento” che giovi meglio ad assicurare il soddisfacimento dei bisogni familiari”.
A sostegno delle proprie affermazioni Falzea rileva “come la legge non ponga alcun vincolo ai coniugi né per il godimento né per la disponibilità dei beni comuni” e cita, come esempio, la responsabilità dei coniugi per obbligazioni che non sono state assunte nell’interesse della famiglia, senza tenere conto dei limiti seppure non notevoli che l’art. 189, c. 2°, pone a carico della responsabilità stessa.
In nota Falzea richiama, a conferma della propria tesi, le autorevoli dichiarazioni di Oppo (4). In effetti questi contesta la identificazione del regime di comunione legale con un patrimonio di destinazione, in quanto i beni facenti parte della comunione dovrebbero essere sensibili “solo alle obbligazioni contratte in conformità alla destinazione medesima” e non alle obbligazioni sorte per causa diversa.
La legge dispone che i beni della comunione rispondano, oltre ai pesi ed oneri gravanti sulla famiglia come comunità, anche “di ogni obbligazione contratta congiuntamente dai coniugi” (art. 186 lett. d). Quindi, “con ciò sia chiaramente riconosciuta la libera disponibilità da parte del coniuge (se non del singolo coniuge) all’infuori di ogni vincolo di destinazione.
Da quanto detto si può chiaramente desumere che, sebbene Oppo neghi la qualità del patrimonio di destinazione alla comunione legale, non per questo afferma la funzione di interesse individuale posseduta dalla comunione legale stessa. Anzi, al contrario, sembra negare decisamente tale possibilità quando inserisce quell’inciso in parentesi con funzione dubitativa, la quale, per l’assurdo della possibilità, sembra lo stesso Autore negare implicitamente acquistando il tutto un sapore puramente retorico di qualità pleonastica.
Si allinea alla contestazione della teoria iniziale, ossia della comunione legale come istituto raffrontabile alla società di persone, anche Schlesinger (5), il quale non vede in essa un patrimonio destinato ad uno scopo, bensì un “patrimonio separato”, a condizione che risulti ben chiaro che con tale espressione si intende soltanto ribadire che i beni facenti parte della comunicazione sono soggetti ad uno statuto “speciale, che li contrappone, quindi, sia ai cespiti ‘personali’, sia ai cespiti oggetto di una normale contitolarità”.
Come per Oppo, l’autore regge la propria affermazione sul contesto dell’art. 186, lett. d, in cui si parla genericamente di obbligazioni contratte congiuntamente dai coniugi, indipendentemente dagli interessi della famiglia, ma vincolanti ugualmente la comunione.
Schlesinger ritiene, inoltre, la comunione una nozione oggettiva e non soggettiva, anche se nella legge sono adoperate espressioni che farebbero ritenere il contrario, quali la “comunione acquista” o la “comunione aliena”, ma tali espressioni sono adoperate, secondo l’Autore, esclusivamente per la loro comoda brevità, appartenendo i beni della comunione ai coniugi e non ad una entità distinta.
Afferma la soggettività della comunione Attardi (6), secondo cui le obbligazioni della comunione legale non sono mai riferibili direttamente ai singoli coniugi, in quanto i beni della stessa non fanno parte, pro quota, del patrimonio di ciascun coniuge.
Vi è autonomia della massa dei beni comuni rispetto al patrimonio di ciascun coniuge ma questo, secondo Attardi, non deve indurre a ritenere l’esistenza di un patrimonio di destinazione, essendo inesatto riconoscere nella causa “familiare” un vincolo di destinazione dei beni della comunione, anche se l’interesse della famiglia ha rilievo in varie occasioni nella normativa della comunione (es. art. 181).
Piuttosto l’interesse della famiglia resta “assorbito nel più ampio interesse della comunione”, intervenendo solo quando vi sia disaccordo tra i coniugi per acquisire “un ruolo autonomo e antagonista”, come si può dedurre dall’analisi dell’art. 181. Ne consegue che il regime della comunione è “volto a soddisfare un interesse per sé stante”, che “si rispecchia nella stessa ratio della comunione legale dei beni, se – come mi pare esatto – la si individui nel carattere comunitario della vita familiare” (Attardi).
La soggettività della comunione legale è sostenuta con diversa argomentazione anche da Cian (8), il quale sostiene la più facile soluzione dei problemi che si presentano all’interprete qualora tale soggettività “in certa misura” venisse riconosciuta, nonostante la contraria tradizione dottrinale.
Se esistono diritti di rimborso della comunione in atto, non in sede di divisione, nei confronti di un coniuge, è obbligatorio riconoscervi “un rapporto intersoggettivo” e quindi “una certa soggettività per la comunione medesima”
Cian concepisce la comunione “come contitolarità sui beni o diritti via via acquistati”, ma lo stesso Autore si pone il problema del limite dell’impostazione. Analizzando i vari casi che nella pratica possono presentarsi rileva l’impossibilità di farli rientrare tutti nella figura della contitolarità, risolvendo il problema col riconoscere “un diritto di credito per un determinato valore” a favore del coniuge privo della titolarità sul bene.
I casi a cui applicare questa soluzione sono indicati da Cian negli utili e incrementi di azienda già appartenente a uno dei coniugi anteriormente al matrimonio ma gestita da entrambi, non essendo sempre identificabile l’incremento aziendale con un bene determinato; nelle fattispecie della “comunione de residuo”; più problematicamente, considerando gli acquisti automatici alla comunione (ex lege) dal coniuge diretto acquirente, per i diritti relativi e i rapporti giuridici complessi implicanti reciproci obblighi e diritti per cui non vi può essere un ritrasferimento automatico.
In una posizione similare ma non identica vengono a trovarsi Mazzola e Re (9) per i quali anche se “la comunione determina […] la formazione di un patrimonio distinto dai rispettivi patrimoni personali dei coniugi stessi sul quale essi vantano uguali diritti”, tali uguali diritti “fino all’attimo precedente allo scioglimento” della comunione si concretizzerebbero “in una semplice aspettativa”.
Anche il coniuge che ha proceduto all’acquisto “come partecipante alla comunione legale ha una semplice aspettativa rispetto al complesso dei beni ricadenti in comunione” anche “se egli come acquirente è proprietario del bene stesso”.
I Finocchiaro (10) criticano vivacemente la tesi rilevando l’arbitrarietà dell’aspettativa sui beni della comunione legale e del diritto di credito sui beni intestati all’altro coniuge, le argomentazioni sono delle più varie, ne faremo qui un rapido escurso.
Considerando la posizione “dell’intestatario formale”, può rilevarsi che questi “non può compiere atti di disposizione se non con la partecipazione dell’altro coniuge”, mentre il creditore, che al contrario non risulta neppure formalmente proprietario, può disporre teoricamente del bene e porre in essere un atto che dovrà essere impugnato o convalidato entro termini brevissimi dall’altro coniuge.
Quando i creditori del singolo coniuge agiscono esecutivamente sui beni della comunione l’esecuzione non è causa di scioglimento della comunione, cosicché per i terzi sono “assolutamente indifferenti i rapporti di dare e avere esistenti tra i coniugi (sia tra di loro che nei confronti della comunione) ed a loro non potrà, certamente, opporsi che in quel momento la quota dell’esecutato è pari a zero, all’estremo, negativa” e, si dovrà aggiungere, l’esecuzione avverrà su beni concreti e non su una mera aspettativa o un semplice diritto di credito.
Altre difficoltà a cui va incontro tale teoria è l’inconciliabilità con i presupposti delle successive leggi 8 agosto 1977, n. 574, e 13 aprile 1977, n. 114.
Nella prima è ordinata l’iscrizione sui libri fondiari a favore di entrambi i coniugi in caso di acquisto di beni cadenti in comunione, fatto che presuppone una immediata contitolarità dei coniugi sui beni.
Nella seconda si dispone che “i redditi dei beni che formano oggetto della comunione legale […] sono imputati per metà del loro ammontare netto a ciascuno dei coniugi” (art. 4, lett. a), disposizione che risulterebbe piuttosto ostica se si intendesse il coniuge non intestatario come titolare di un diritto sul bene, non esigibile fino allo scioglimento della comunione.
Una particolare posizione sulla questione della natura giuridica della comunione legale è assunta dai Finocchiaro (11). Questi, preliminarmente, criticano tutte quelle tesi aventi la caratteristica comune di vincolare i beni della comunione ad uno scopo particolare, ritenendo prova contrario l’art. 186, lett. d) su cui abbiamo già precedentemente disquisito, riportando le opinioni di Oppo e di Schlesinger.
Non solo, ma i Finacchiaro negano anche l’ esistenza, riguardo alla comunione legale, di un distinto “soggetto di diritto”, motivando la posizione con la mancanza della necessità che gli organi o amministratori del presunto soggetto di diritto dichiarino di agire “non in proprio ma nel nome e nell’interesse” della comunione, mentre in realtà l’acquisto del bene alla comunione è automatico.
Anche la mancanza di una netta autonomia patrimoniale tra il patrimonio della comunione legale e i patrimoni personali dei singoli coniugi sono prova per gli Autori della fondatezza della loro contestazione alla tesi innanzi detta.
Dopo avere effettuato queste confutazioni i Finocchiaro concludono testualmente “Riteniamo, in sintesi, pur se alcune espressioni sono ambigue e indulgono verso un, anche se implicito, riconoscimento di un’attenuata soggettività che le nuove norme disciplinano una forma ‘irregolare’ o ‘speciale’, di comunione, che non si distacca dall’alveo fondamentale della comunione tradizionale del nostro ordinamento e che, pertanto, la comunione legale non è che ‘contitolarità di diritti reali a scopo di godimento’ ”. (12)
In realtà tutto il tentativo risulta essere piuttosto forzato e la costruzione instabile, fondata, più che su un convincimento interno, conseguenza di un ragionamento positivo, sul residuo di una serie di negazioni che, sommandosi fra loro, portano il lettore alla rassegnata accettazione della tesi di cui, lo stesso autore, non sembra del tutto convinto e in grado di determinarne esattamente i termini.
In tal modo il cerchio si chiude, partiti da una teoria in cui, negata l’assimilabilità della comunione legale alla comunione in generale, la si rapportava alla disciplina delle società di persone, si è giunti ad altra teoria in cui si tenta di fare rientrare la comunione legale nell’alveo della comunione in generale, anche se in forma del tutto particolare.
NOTE
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– Busnelli, La comunicazione legale del nuovo diritto di famiglia riformato (Riv. del Not., 1976), pag. 40-41
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– M. Bessone – G.Alpa – A. D’Angelo e Ferrando, La famiglia nel nuovo diritto, pag. 98-99, Bologna
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– Falzea, Il dovere di contribuzione nel regime patrimoniale della famiglia, pag. 626, Riv. di Dir. Civ., 1977
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– Oppo, Diritto di famiglia e diritto dell’impresa, pag. 113 e seg., Riv. Dir. Civ., 1977
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– Schlesinger, Comunione Legale in Commentario alla riforma del nuovo diritto di famiglia, Padova, pag. 367 e seg., Vol. I
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– Attardi, Profili processuali della comunione legale dei beni (Ri. Dir. Civ., 1978) pag. 41-42
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– Attardi, Citato pag. 40-41
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– Cian, Caratteri generali della riforma (Comm. alla Riforma del Dir. di Fam., 1977), pag. 54, Vol. I
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– Mazzola e Re, Proposta di un diverso modo di intendere la comunione dei beni tra coniugi (Riv. del Not., 1978), pag. 757 e seg.
(10)- A. Finocchiaro e M. Finocchiaro, Riforma del diritto di famiglia, Milano, pag. 420, nota 15, Vol. III
(11)- A. Finocchiaro e M. Finocchiaro, citato, pag. 422, Vol. III
(12)- A. Finocchiaro e M. Finocchiaro, citato, pag. 423-424, Vol. III