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LA GESTIONE DELLE RISOLUZIONI BANCARIE: IL BAIL IN.

di Enrico Schenato*

 

1. Premessa
Dall’inizio della crisi, l’Unione Europea ha introdotto una serie di modifiche normative e istituzionali per rafforzare la resilienza del settore finanziario e migliorare la prevenzione, gestione e risoluzione delle crisi finanziarie e bancarie.
Nella recente crisi finanziaria , è venuta meno la stabilità delle economie nazionali e sopratutto delle finanze pubbliche.
Questi aspetti hanno determinato una crescente mancanza di fiducia ed un innalzamento dello spread in molti Stati accompagnato da seri dissesti nel settore bancario.
Tale situazione ha evidenziato allo stesso tempo la necessità di intervenire per salvaguardare l’esistenza e la stabilità dell’area euro e far fronte alla carenza di strumenti di intervento.
La gravità e l’estensione della crisi hanno determinato la necessità di adottare numerosi interventi.
Da un lato l’European Financial Stabilisation Mechanism (EFSM), poi diventato l’European Stability Mechanism (ESM), e la nuova interpretazione definita alla luce della crisi della regola del divieto di aiuti di stato.
L’EFSM costituiva originariamente un esempio di strumento di tipo emergenziale come tale dotato di efficacia temporanea per rispondere alle immediate necessità della crisi e finalizzato alla stabilizzazione di sistema.
Tuttavia, l’aggravarsi della crisi ha fatto emergere la necessità di ripensare gli strumenti adottati ed in particolare la loro configurazione come meccanismi temporanei.
A luglio del 2011 veniva infatti istituita una struttura permanente qualificata chiamata “Meccanismo Europeo di Stabilizzazione Finanziaria” o “European Stability Mechanism (ESM).
L’obiettivo era quello di transitare da un sistema di risposta rapida alle emergenze ad una vera e propria “istituzione finanziaria internazionale” dotata di una struttura interna (articolata in un Consiglio dei governatori composto dai Ministri delle finanze dei paesi membri ed in un consiglio di amministrazione) ma anche di poteri di intervento precauzionale (ad evitare rischi di instabilità) e successivo (cioè con un intervento ex post per sostenere gli Stati in difficoltà attraverso prestiti o forme di sostegno al mercato primario e secondario).
Per fronteggiare la crisi finanziaria, la Commissione Europea ha fatto tuttavia ricorso a misure regolatorie temporanee che possono essere qualificate come interventi di tipo generale (come ad es. l’EFSM) o di tipo specifico.
Un esempio della seconda categoria è offerto dal maggiore ricorso ad aiuti di stato attraverso l’introduzione di una disciplina speciale derogatoria rispetto alla regola generale del divieto di aiuti pubblici.
Si è infatti riscontrato, da più parti, una maggiore apertura al ricorso a risorse statali per sostenere il sistema bancario.
Le misure adottate per per fronteggiare la crisi possono distinguersi in misure che agiscono in modo preventivo (regolazione ex-ante) o successivo (regolazione ex-post) rispetto ai rischi di insolvenza degli Stati.
Si introduce così una distinzione fra strumenti con una valenza propulsiva e di indirizzo e destinati ad esplicare i loro effetti in un tempo medio-lungo e strumenti sostanzialmente pensati per verificare, controllare e in un qualche modo correggere eventuali effetti non del tutto rispondenti alle previsioni.

 

2. Il “bail in” (o salvataggio dall’interno) 

Il meccanismo del “bail in” è disciplinato dalla direttiva 2014/59/UE sull’armonizzazione delle procedure per la risoluzione delle crisi bancarie. La ratio della sua istituzione risiede nella volontà di mettere a disposizione degli Stati un’opzione alternativa per il sostegno alle banche rispetto al solo utilizzo del denaro pubblico.
In questo senso il bail-in (che entrerà in vigore ufficialmente dal 1° gennaio 2016) è diretto a contribuire alla soluzione di eventuali crisi bancarie facendo partecipare alla copertura delle perdite anche azionisti, obbligazionisti e creditori delle banche stesse senza dover ricorrere ad operazioni di salvataggio attraverso un massiccio utilizzo di risorse pubbliche. Tali aspetti sono ben evidenziati nella direttiva istitutiva laddove si afferma che “un regime efficace dovrebbe ridurre al minimo i costi della risoluzione di un ente in dissesto sostenuti dai contribuenti e assicurare che la risoluzione di enti di rilevanza sistemica sia possibile senza mettere a repentaglio la stabilità finanziaria. Con lo strumento del bail-in si consegue tale obiettivo garantendo che gli azionisti e creditori dell’ente in dissesto sostengano perdite adeguate e si facciano carico di una quota adeguata dei costi”.
Questo strumento viene utilizzato, una volta accertata una situazione di crisi, per cercare di ridurne gli effetti.
Proprio facendo riferimento al momento nel quale deve esercitare la sua azione, cioè a seguito dell’accertamento di una crisi, si è deciso di collocarlo fra le misure di regolazione ex-post.
La fase dell’intervento si verifica allorquando la banca si trova in fase di risoluzione inteso come uno stato di profonda crisi dell’ente (che, tuttavia, non coincide ancora con lo stato di insolvenza).
È proprio in questa fase che può essere impiegato lo strumento del bail in il cui utilizzo si giustifica in ragione della gravità del dissesto, così profondo da escludere l’esistenza di soluzioni alternative per il risanamento delle finanze della banca entro limiti di tempo accettabili.
L’istituto è delineato in modo che vi sia un coinvolgimento dei soggetti privati (attraverso una partecipazione alle perdite) nella risoluzione di crisi bancarie.
Con l’applicazione di tale strumento i costi della “ristrutturazione” vanno a gravare sugli azionisti e sui creditori.
I creditori dell’ente, infatti, possono veder ridotte o cancellate le cedole, ridotto il valore nominale del credito, oppure possono subire la conversione forzata dei loro titoli in azioni.
Le autorità di risoluzione (in Italia, la Banca d’Italia) hanno la facoltà infatti di convertire in capitale o svalutare fino a zero il valore nominale dei crediti o dei titoli di debito della banca.
In tal senso, l’autorità di risoluzione ha l’onere di operare una valutazione equa ed oggettiva dell’importo sulla base del quale devono essere svalutate o convertite le passività ammissibili.
Proprio per ciò che concerne gli azionisti, l’esito della svalutazione o della conversione può concludersi alternativamente a) nella cancellazione delle azioni esistenti oppure b) nella conversione in strumenti di capitale di nuova emissione a valore nominale fortemente ridotto (c.d. diluizione).
Il regime normativo prevede ad ogni modo delle deroghe all’applicazione indiscriminata del bail in, escludendo da qualsiasi tipo di prelievo i conti correnti e i depositi al di sotto dei 100.000 Euro, coperti da garanzia statale, nonché le passività coperte da garanzia personale o reale e le passività da reddito di lavoro da riconoscersi in favore dei dipendenti.
Il legislatore ha altresì previsto una “clausola di salvezza” stabilendo che le autorità competenti possano non applicare il bail in in tre ipotesi: a) quando ciò si renda necessario al fine di assicurare la continuità delle funzioni essenziali dell’ente; b) quando non sia possibile applicare lo strumento in tempi ragionevoli e c) quando il suo utilizzo possa compromettere la stabilità finanziaria del sistema.
In definitiva, tale meccanismo è stato adottato per limitare gli effetti della recente crisi finanziaria e per realizzare azioni il più possibile coordinate fra gli Stati.
In particolare, con tale strumento si viene a ricostituire il capitale della banca in crisi attraverso l’assorbimento delle perdite da parte di azioni e altri strumenti finanziari possedute dagli investitori, con la garanzia che l’eventuale perdita per i creditori della banca non potrà essere mai superiore a quella che si avrebbe nel caso di liquidazione della stessa.
* Magistrato Onorario

 

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