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La formazione del governo Letta e l’evoluzione del nostro ordinamento

Enrico Letta Presidente del Consiglio

 

di Carlo Rapicavoli –

L’avvio della XVII Legislatura si connota per un’evoluzione inedita e imprevista del nostro ordinamento politico e costituzionale.

Il governo di “larghe intese”

Nasce il Governo Letta. Con il giuramento, ai sensi dell’art. 93 della Costituzione, e la presentazione davanti alla Camere per la fiducia, il Governo entra nella pienezza delle sue funzioni.

Per la sua composizione politica e per le modalità della sua formazione, il governo Letta è un inedito nella storia repubblicana.

Le dichiarazioni del Presidente della Repubblica segnano chiaramente il dato politico: “Non c’è bisogno di alcuna formula speciale per definire la natura di questo governo: è un governo politico, formato nella cornice istituzionale e secondo la prassi della nostra democrazia parlamentare; è un governo nato dall’intesa politica fra le forze parlamentari che insieme potevano garantire e garantiranno al governo la fiducia nelle due Camere, come prescrive la nostra Costituzione ; era ed è l’unico governo possibile, un governo la cui costituzione non poteva tardare oltre nell’interesse del nostro paese e nell’interesse dell’Europa”.

Già con l’attribuzione dell’incarico al vice segretario del Partito Democratico si era intuita chiaramente la svolta voluta dal Capo dello Stato.

Innanzitutto si è trattato di un incarico pieno a differenza di quello conferito in precedenza al segretario del PD Bersani.

In quella occasione – era il 20 marzo – il Presidente dichiarava: “Ho conferito – in continuità con eloquenti, appropriati e non lontani precedenti – all’on. Pierluigi Bersani l’incarico di verificare l’esistenza di un sostegno parlamentare certo, tale da consentire la formazione di un governo che ai sensi del 1° comma dell’art. 94 della Costituzione abbia la fiducia delle due Camere. Egli mi riferirà, sull’esito della verifica compiuta, appena possibile”.

Elemento chiaro della crisi dei partiti.

Al leader della coalizione, peraltro individuato anche a seguito della consultazione democratica delle primarie, non è stato conferito l’incarico di formare il Governo, poi invece attribuito al suo vice.

Alla stesso vice segretario la direzione del partito ha consentito di realizzare ciò – un governo politico con il PDL – che non ha permesso di fare al suo segretario.

Quindi dal “mai alle grandi intese”, “mai un Governo PD-PDL”, si passa al primo Governo politico nella storia della Repubblica che riunisce Ministri di destra e di sinistra.

Non era mai accaduto prima. Neanche ai tempi del “compromesso storico”, che non portò mai il Partito Comunista a partecipare direttamente ad un Governo di grande coalizione.

Da allora è cambiata totalmente la scena politica e il Governo Letta segna decisamente una svolta. Anche nella composizione: effettivo ringiovanimento e maggiore presenza di donne.

Il ruolo del Presidente della Repubblica

Artefice di questa soluzione è in primo luogo il Presidente della Repubblica.

La rielezione di Giorgio Napolitano ha rappresentato già un fatto senza precedenti nella storia della Repubblica.

Ma il discorso di insediamento del Presidente rieletto ha segnato una linea di demarcazione netta rispetto all’assetto costituzionale.

Mai nella nostra democrazia parlamentare poteva concepirsi un intervento del Presidente della Repubblica dinnanzi al Parlamento in seduta comune così sferzante nei confronti delle forze politiche come avvenuto.

“Negli ultimi anni, a esigenze fondate e domande pressanti di riforma delle istituzioni e di rinnovamento della politica e dei partiti – che si sono intrecciate con un’acuta crisi finanziaria, con una pesante recessione, con un crescente malessere sociale – non si sono date soluzioni soddisfacenti : hanno finito per prevalere contrapposizioni, lentezze, esitazioni circa le scelte da compiere, calcoli di convenienza, tatticismi e strumentalismi. Ecco che cosa ha condannato alla sterilità o ad esiti minimalistici i confronti tra le forze politiche e i dibattiti in Parlamento. (…) Molto si potrebbe aggiungere, ma mi fermo qui, perché su quei temi specifici ho speso tutti i possibili sforzi di persuasione, vanificati dalla sordità di forze politiche che pure mi hanno ora chiamato ad assumere un ulteriore carico di responsabilità per far uscire le istituzioni da uno stallo fatale. Ma ho il dovere di essere franco : se mi troverò di nuovo dinanzi a sordità come quelle contro cui ho cozzato nel passato, non esiterò a trarne le conseguenze dinanzi al paese”.

Viene affermato un ruolo forte e prevalente del Presidente: “Sulla base dei risultati elettorali – di cui non si può non prendere atto, piacciano oppur no – non c’è partito o coalizione (omogenea o presunta tale) che abbia chiesto voti per governare e ne abbia avuti a sufficienza per poterlo fare con le sole sue forze. Qualunque prospettiva si sia presentata agli elettori, o qualunque patto – se si preferisce questa espressione – si sia stretto con i propri elettori, non si possono non fare i conti con i risultati complessivi delle elezioni. Essi indicano tassativamente la necessità di intese tra forze diverse per far nascere e per far vivere un governo oggi in Italia (…). Il fatto che in Italia si sia diffusa una sorta di orrore per ogni ipotesi di intese, alleanze, mediazioni, convergenze tra forze politiche diverse, è segno di una regressione, di un diffondersi dell’idea che si possa fare politica senza conoscere o riconoscere le complesse problematiche del governare la cosa pubblica e le implicazioni che ne discendono in termini, appunto, di mediazioni, intese, alleanze politiche. O forse tutto questo è più concretamente il riflesso di un paio di decenni di contrapposizione – fino allo smarrimento dell’idea stessa di convivenza civile – come non mai faziosa e aggressiva, di totale incomunicabilità tra schieramenti politici concorrenti”.

Da rappresentante dell’unità nazionale, il Presidente della Repubblica diventa attore e motore dell’azione politica di governo, tracciando con chiarezza scenari, alleanze, linee generali di azione di governo.

Già con la nomina dei “saggi” il Presidente, prima della rielezione, aveva dato vita ad una piattaforma programmatica che avrebbe dovuto ispirare l’azione del futuro Governo.

Oggi, forte della rielezione e della pienezza di poteri e funzioni costituzionali, il Presidente è andato oltre ed ha tracciato la strada delle “grandi intese”, come unica percorribile per salvare la legislatura, che ha portato alla nascita del Governo Letta.

Le autonomie locali

La presenza di due Sindaci fra i Ministri e, in particolar modo, del presidente dell’ANCI al Ministero degli Affari Regionali e delle Autonomie fa ben sperare finalmente ad una maggiore attenzione alle autonomie locali, al tema del patto di stabilità, alla esigenza di una riforma organica e rispettosa delle stesse autonomie.

Vedremo nelle prossime settimane se si riuscirà ad affrontare il tema della riforma delle istituzioni, in modo organico ed approfondito, senza slogan, evitando di insistere, ancora una volta, alla ricerca del facile consenso, nel proporre sempre e soltanto la soppressione delle Province.

C’è stato addirittura chi si è indignato – come ha fatto Sergio Rizzo sul Corriere della Sera del 24 aprile – perché i cittadini della Provincia di Udine sono stati chiamati ad eleggere democraticamente il Presidente della Provincia e il Consiglio Provinciale.

Adesso anche la rappresentanza democratica è un male ed un costo da eliminare!

Una riforma organica deve puntare alla semplificazione reale e alla modernizzazione del nostro sistema attraverso una coerente individuazione delle funzioni fondamentali dei Comuni, delle Province e delle Regioni e un profondo ripensamento dell’adeguatezza dimensionale di ogni livello di governo affinché le istituzioni territoriali possano esercitare effettivamente le loro funzioni in autonomia e responsabilità ed eliminando davvero strutture, organismi ed enti non rappresentativi che appesantiscono il sistema, determinano i veri costi occulti della politica e allontanano i cittadini dalle Istituzioni.

Una vera riforma, di cui ha bisogno il nostro Paese, deve partire dalle competenze e dall’intera struttura organizzativa del nostro ordinamento, dal superamento del bicameralismo perfetto, al sistema elettorale, alle autonomie.

Bisogna delimitare gli spazi d’azione della Pubblica Amministrazione, semplificare e disboscare tutti quegli ambiti di intervento nei quali non ha senso né utilità l’intervento pubblico come oggi esistente, che può rappresentare soltanto un appesantimento di procedure e costi senza benefici. Quindi va individuato l’ambito territoriale ottimale e il livello di governo migliore per l’esercizio delle funzioni, individuando con chiarezza ed univocità chi fa cosa, per chiarezza, semplificazione ed individuazione certa delle responsabilità.

Sono da eliminare gli enti di 2° grado (consorzi, società, agenzie, ato…) in eccesso, che sono fuori dal controllo dei cittadini ed aumentano i costi anziché ridurli. Enti, che in caso di soppressione delle Province, si moltiplicherebbero, con buona pace degli inviti al risparmio.

In questo periodo storico drammatico, nel quale si susseguono notizie allarmanti che derivano dalla crisi economica ed occupazionale, che portano alla disperazione e a gesti estremi, i cittadini devono poter sentire al loro fianco le Istituzioni, che devono avere la capacità di dare risposte autorevoli e concrete.

Al contrario, anni di inutile, sterile e dannosa propaganda contro le Istituzioni e contro i dipendenti pubblici, sollevata ad arte per perseguire un immediato consenso politico o mediatico, ha contribuito ad esacerbare gli animi, ad allontanare i cittadini ed alimentare la rabbia. Se tale propaganda è condita con ipotesi di cancellazione o soppressione di enti definiti inutili, non suffragate da alcuna seria analisi, l’esito nefasto è inevitabile.

Dunque non si tratta di difendere l’attuale assetto costituzionale che, al contrario, va riformato e riorganizzato in termini di efficienza ed economicità, senza scelte demagogiche e di facile consenso ma che mostreranno a breve tutte le enormi criticità che, se non preventivamente analizzate e gestite, tradurranno una riforma attesa in un grave danno per i servizi per i cittadini e per le risorse pubbliche.

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