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LA DISCIPLINA E LA GESTIONE DEGLI ENTI PUBBLICI DI RICERCA. – QUOTIDIANO LEGALE
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LA DISCIPLINA E LA GESTIONE DEGLI ENTI PUBBLICI DI RICERCA.

Convegno AmbienteDiritto

Convegno Roma AmbienteDiritto

 

 

 

LA DISCIPLINA E LA GESTIONE DEGLI ENTI PUBBLICI DI RICERCA

Giovanni Modafferi1

Sintesi:

La ricerca scientifica è il punto di partenza per i nuovi servizi e prodotti che l’Unione Europea vuole offrire ai suoi cittadini e in uno spirito di crescita e rispetto reciproco al mondo. A tal fine è necessario promuovere il lavoro dei ricercatori e degli enti di ricerca creando un contesto normativo basato sull’autonomia, la semplificazione e l’armonizzazione dei sistemi contabili, per favorire l’attività, l’innovazione e i partenariati internazionali.

Abstract:

Scientific research is the starting point for the new services and products that the European Union wants to offer its citizens and in a spirit of growth and mutual respect to the world. To this end it is necessary to promote the work of researchers and research organisations by creating a regulatory environment based on autonomy, simplification and harmonisation of accounting systems, in order to foster activity, innovation and international partnerships.

Sommario: 1. La disciplina degli enti pubblici di ricerca. – 1.1 Autonomia statutaria e regolamentare. – 1.2 Piani triennali di attività e assunzioni. – 1.3 Permanenza del personale di ruolo nella prima sede, congedi, portabilità dei progetti e valorizzazione del merito. – 1.4 Semplificazione delle attività amministrative. – 1.5 La funzione consultiva degli Organismi della ricerca. 2. La gestione degli enti pubblici di ricerca. – 2.1 Il processo di armonizzazione dei sistemi contabili. – 2.2 La contabilità economico-patrimoniale. – 2.3 Il ruolo del direttore generale. – 2.4 Il ruolo degli organi consultivi. – 2.5 La valutazione dei risultati. – 3. Una riforma necessaria: la semplificazione amministrativa. – Brevi conclusioni

1. La disciplina degli enti pubblici di ricerca

Il d.lgs. 218/2016 adottato sulla base della delega recata dalla L. 124/2015 cd. legge Madia ha definito per la prima volta alcune regole comuni a tutti gli enti pubblici di ricerca allo scopo di semplificarne le attività, ferme restando, per quanto non previsto, le disposizioni specifiche relative ai singoli enti.

Lo scopo della normativa è stato quello di innovare la disciplina degli enti pubblici di ricerca, differenziandola ulteriormente da quella prevista per la maggior parte delle pubbliche amministrazioni, al fine di allineare maggiormente la stessa al sistema delle autonomie universitarie2.

In base all’art. 2 del d.lgs. 218/2016 molti tra questi enti hanno conseguentemente adeguato i propri Statuti per renderli espressamente conformi alla riforma.

1.1 Autonomia statutaria e regolamentare

Il d.lgs. 218/2016 ha riconosciuto agli enti pubblici di ricerca piena autonomia statutaria e regolamentare disponendo altresì che gli Statuti e i relativi regolamenti siano sottoposti al controllo di legittimità e di merito dal Ministero vigilante (artt. 3 e 4).

Il rafforzamento che deriva da queste previsioni è tale da far configurare lo Statuto come una vera e propria “carta costituzionale” dell’ente.

In precedenza l’art. 8 della L. 168/1989 – abrogato dal d.lgs. 218/2016 – aveva previsto l’autonomia scientifica, organizzativa, finanziaria e contabile soltanto per il CNR, l’INFN, gli Osservatori astronomici, astrofisici e vesuviano (oggi, INAF), nonché per enti e istituzioni pubbliche nazionali di ricerca a carattere non strumentale. Successivamente il d.lgs. 213/2009 aveva allargato tale riconoscimento agli enti pubblici di ricerca vigilati dal MIUR, ora MUR3.

In particolare gli Statuti e i regolamenti devono recepire la Raccomandazione della Commissione europea 11 marzo 2005 riguardante la Carta europea dei ricercatori e il Codice di condotta per l’assunzione dei ricercatori e tener conto delle indicazioni contenute nel documento European Framework for Research Careers4.

Statuti e regolamenti, ai sensi del d.lgs. 218/2016, devono dunque assicurare ai ricercatori e ai tecnologi: “la libertà di ricerca; la portabilità dei progetti; la diffusione e la valorizzazione delle ricerche; le attività di perfezionamento ed aggiornamento; la valorizzazione professionale; l’idoneità degli ambienti di ricerca; la flessibilità lavorativa funzionale all’adeguato svolgimento delle attività di ricerca; la mobilita geografica, intersettoriale e quella tra un ente e un altro; la tutela della proprietà intellettuale; la possibilità di svolgere specifiche attività di insegnamento in quanto compatibili con le attività di ricerca; adeguati sistemi di valutazionee – last but not leastla rappresentanza elettiva di ricercatori e tecnologi negli organi scientifici e di governo degli enti(art. 2).

Si noti che la rappresentanza elettiva dei ricercatori, oggi esplicitamente prevista dalla riforma in commento, rappresenta un significativo “passo in avanti” in materia di riconoscimento dei diritti dei ricercatori e dei tecnologi5.

Per gli enti non vigilati dal MUR è stato previsto l’adeguamento degli Statuti e dei regolamenti anche all’atto di indirizzo e coordinamento, rivolto al singolo ente, con il quale il Ministero vigilante recepisce le linee guida dell’Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca (ANVUR) in tema di metodologie per la valutazione dei risultati della ricerca6.

Il d.lgs. 218/2016 ha infatti esteso la valutazione della ricerca – in precedenza prevista obbligatoriamente solo per gli enti pubblici di ricerca vigilati dal Ministero dell’Università e della Ricerca – a tutti gli enti pubblici di ricerca (art. 17).

Al comma 2 dell’art. 3 d.lgs. 218/2016 vengono quindi esplicitati i contenuti minimi degli Statuti (lett. a e b) nonché le ulteriori forme di collaborazione che gli enti pubblici di ricerca sono “chiamati” ad instaurare con i settori dell’Università e delle Imprese e di cooperazione con Istituzioni ed enti di altri Paesi e di collaborazione con le Regioni, a ulteriore conferma della reale importanza di queste forme di apertura e collaborazione.

1.2 Piani triennali di attività e assunzioni

In base al d.lgs. 218/2016 ogni ente adotta, in conformità con le linee guida enunciate nel Programma nazionale della ricerca o PNR7, un Piano triennale di attività (PTA) aggiornato annualmente e approvato dal Ministero vigilante con il quale determina autonomamente, oltre all’attività scientifica, la consistenza e le variazioni dell’organico e la programmazione per il reclutamento, nel rispetto dei limiti in materia di spesa per il personale (artt. 7 e 9)8.

Gli enti, in particolare, che al 31 dicembre dell’anno precedente a quello di riferimento riportano un valore dell’indicatore delle spese di personale pari o superiore all’80% – calcolato rapportando le spese complessive di personale nell’anno di riferimento alla media delle entrate complessive dell’ente nell’ultimo triennio non possono procedere all’assunzione di personale (art. 9, co. 6, lett. a).

Il calcolo delle spese complessive di personale è dato dalla somma delle spese per il personale nell’anno di riferimento, comprensive degli oneri a carico dell’amministrazione, al netto di quelle sostenute per personale con contratto a tempo determinato la cui copertura sia stata assicurata da finanziamenti esterni di soggetti pubblici o privati.

Gli enti che riportano alla stessa data un valore dell’indicatore inferiore all’80% possono procedere ad assunzioni, con oneri a carico del proprio bilancio, per una spesa media annua pari a non più del margine a disposizione rispetto al limite dell’80% (art. 9, co. 6, lett. b).

Nella nuova disciplina, dunque, non vi è più differenza tra i limiti applicabili a ricercatori e tecnologi e quelli riferiti al rimanente personale.

Ai fini delle assunzioni (nonché ai fini del monitoraggio), il Ministro vigilante definisce per ciascuna qualifica un costo medio annuo, prendendo come riferimento il costo medio della qualifica di dirigente di ricerca, c.d. “punto organico” (art. 9, co. 6, lett. c).

Non sono più richiesti la preventiva autorizzazione né, per i ricercatori e tecnologi, il previo esperimento di procedure di mobilità per l’immissione in ruolo di dipendenti provenienti da altre amministrazioni, in posizione di comando o di fuori ruolo, che facciano domanda di trasferimento.

Le determinazioni relative all’avvio delle procedure di reclutamento e alle relative assunzioni sono comunicate al Dipartimento della funzione pubblica della Presidenza del Consiglio dei ministri (artt. 11, co. 1, e 12, co. 1 e 2)9.

In riferimento al Piano triennale di attività (PTA) va dunque chiarito che lo stesso costituisca attualmente il documento di programmazione a breve e medio termine dell’ente, che definisce gli obiettivi strategici (per il periodo di riferimento) sia dal punto di vista scientifico, sia da quello gestionale. Per realizzare ciò il PTA si rapporta quindi, per esplicita previsione normativa, in modo diretto con gli indirizzi contenuti nel PNR.

La programmazione e la strategia in esso contenuti si correlano inoltre con le ulteriori politiche di ricerca nazionali e internazionali e con le strategie dei Programmi europei di finanziamento in materia.

Uno degli elementi portanti del PTA è dunque l’individuazione di aree strategiche, intese come macro ambiti di attività, che guideranno le scelte scientifiche dell’ente e la conseguente allocazione di risorse finanziarie, umane e infrastrutturali, a loro volta individuate con la metodologia introdotta ab origine dalla legge Madia.

In materia è infatti intervenuto il d.lgs. 75/2017 che, in attuazione della legge Madia, ha novellato in più punti le norme generali previste nel d.lgs. 165/2001. In particolare ha modificato e integrato gli art. 6 e 6 bis, e ha introdotto l’art. 6 ter, apportando sostanziali modifiche alla materia dei fabbisogni di personale, con lo scopo di innovare logica e metodologia per la loro determinazione da parte delle singole amministrazioni10.

Specifiche previsioni riguardano infine le assunzioni con contratto a tempo indeterminato per chiamata diretta di ricercatori o tecnologi italiani o stranieri dotati di altissima qualificazione scientifica, che si sono distinti per merito eccezionale o che siano stati insigniti di alti riconoscimenti scientifici in ambito internazionale (art. 16).

Tali assunzioni sono effettuate, previa valutazione del merito eccezionale da parte di apposite commissioni e previo nulla osta del Ministro vigilante11, nell’ambito del 5% dell’organico dei ricercatori e dei tecnologi e nel limite del numero di assunzioni effettuate nel medesimo anno per concorso, a condizione che a ciò siano destinate entrate, ulteriori e apposite, che possono provenire anche annualmente dai Ministeri vigilanti.

Gli enti devono comunque dimostrare di non aver superato il limite per l’indicatore di spese per il personale.

1.3 Permanenza del personale di ruolo nella prima sede, congedi, portabilità dei progetti e valorizzazione del merito

In base al d.lgs. 218/2016 il personale di ruolo deve permanere nella sede di prima destinazione per tre anni invece dei cinque previsti in linea generale dall’art. 35, co. 5-bis, del d.lgs. 165/2001.

Ai ricercatori e tecnologi l’ente di appartenenza può concedere congedi per motivi di studio o di ricerca scientifica e tecnologica presso istituzioni, istituti o laboratori esteri, fino ad un massimo di cinque anni ogni dieci di servizio.

In caso di cambiamento di ente o sede – anche temporaneo – i ricercatori e tecnologi responsabili di progetti finanziati da soggetti diversi dall’ente di appartenenza, conservano la titolarità dei progetti e dei relativi finanziamenti, ove scientificamente possibile, previo accordo dell’ente ricevente e del committente della ricerca (art. 11, co. 2-5).

Per valorizzare il merito gli enti possono istituire, nei limiti dello 0,5% della spesa complessiva di personale, premi biennali per i ricercatori e i tecnologi che abbiano conseguito risultati di eccellenza, nel limite massimo annuale del 20% del trattamento retributivo.

Le procedure per l’assegnazione dei premi sono disciplinate dal Consiglio di amministrazione di ogni ente, in conformità con i principi di trasparenza, imparzialità, oggettività (art. 15).

1.4 Semplificazione delle attività amministrative

Il d.lgs. 218/2016 ha svincolato gli enti pubblici di ricerca dal ricorso obbligatorio al mercato elettronico della Pubblica amministrazione (art. 1, co. 450, L. 296/2006) per gli acquisti di beni e servizi funzionalmente destinati all’attività di ricerca (art. 10, co. 3).

Inoltre, ha fissato i seguenti criteri per il rimborso delle spese di missione: il rimborso può avvenire a piè di lista oppure, per le spese diverse da quelle di viaggio, forfettariamente sulla base di una indennità giornaliera onnicomprensiva.

Nel caso di missioni in luoghi o condizioni particolarmente disagiati, o di motivata impossibilità a presentare i documenti di spesa, questi possono essere comprovati mediante autocertificazione. Le norme sul rimborso delle spese di missione si estendono al personale italiano o straniero che partecipa al progetto di ricerca sui cui finanziamenti grava il costo della missione (art. 13).

Ha previsto, altresì, che gli atti e i contratti relativi al conferimento di incarichi individuali, con contratti di lavoro autonomo, ad esperti esterni all’ente (art. 7, co. 6, d.lgs. 165/2001) non siano soggetti al controllo preventivo di legittimità della Corte dei conti.

Infine, ha previsto che gli enti pubblici di ricerca adottino sistemi di contabilità economico-patrimoniale per il controllo analitico della spesa per centri di costo (art. 10, co. 1). Viene confermato, invece, il controllo della Corte dei conti sulla gestione finanziaria (art. 14).

1.5 La funzione consultiva degli Organismi della ricerca

Il d.lgs. 218/2006 ha previsto l’istituzione di tre nuovi organismi competenti in materia di ricerca (art. 8).

Si tratta della Consulta dei Presidenti degli enti di ricerca, chiamata, in particolare, con chiare funzioni consultive nei confronti del Governo, a formulare proposte per la redazione, l’attuazione e l’aggiornamento del Programma nazionale della ricerca o PNR; del Comitato o Comitato di esperti, istituito presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, formato da esperti di alta qualificazione, rappresentanti della suddetta Consulta dei Presidenti degli enti di ricerca e della Conferenza dei rettori delle università (CRUI), con compiti consultivi e di monitoraggio inerenti il PNR; e del Consiglio nazionale dei ricercatori e dei tecnologi, istituito presso il MUR, chiamato a formulare pareri e proposte ai Ministeri vigilanti e alla Presidenza del Consiglio dei Ministri su tematiche attinenti la ricerca.

Ai sensi dell’art. 8 del d.lgs. 218/2016 il ruolo di coordinamento fra tutti gli enti pubblici di ricerca presenti sul territorio nazionale è assicurato – in via esclusiva – dalla Consulta dei Presidenti degli enti di ricerca.

Il ruolo di coordinamento si rinviene nella previsione di cui al comma 3 dello stesso articolo, laddove è previsto che la Consulta venga convocata dal suo Presidente, ogni qual volta lo stesso lo ritenga necessario, e almeno una volta all’inizio e alla fine di ogni anno per la “condivisione” e la “verifica” delle scelte programmatiche annuali generali di ciascun ente e della loro coerenza con il PNR.

La funzione propositiva non è di scarsa importanza: aver individuato un “luogo” istituzionale dove si riuniscono tutti gli enti pubblici di ricerca permette agli stessi di poter elaborare formalmente delle proposte unitarie su tutti gli argomenti ritenuti “vitali” per gli enti stessi: dalla programmazione nazionale, all’eventuale razionalizzazione del settore ed ancora in tema di finanziamenti o di sviluppo di ulteriore forme di partenariati.

Fra i compiti assegnati alla Consulta dei Presidenti vi è anche quello di affiancare l’ANVUR nella redazione delle Linee guida per la definizione delle metodologie di valutazione dei risultati della ricerca, organizzativi ed individuali (art. 17, co. 1).

Infine la Consulta dei Presidenti ha anche il compito di relazionare periodicamente alla Presidenza del Consiglio dei Ministri ed ai Ministeri vigilanti, sullo “stato di attuazione” della Carta europea dei ricercatori e del codice di condotta per l’assunzione degli stessi, favorendo così l’applicazione concreta dei principi comunitari in materia (art. 8, co. 5).

2. La gestione degli Enti pubblici di ricerca

L’attività di gestione negli enti di ricerca è regolata dal d.lgs. 218/2016 agli articoli 10 e 14 e dai principi generali validi per tutto il pubblico impiego previsti dal d.lgs. 165/2001 agli articoli 4, 14 e 18.

Il rinvio a ulteriori norme, schemi e principi completano ulteriormente il quadro all’interno della “cornice” sopra delineata.

In questo contesto vi sono un paio di cambiamenti che incidono profondamente in materia: la riforma della contabilità e il conseguente processo di “armonizzazione” della stessa.

A fare luce sull’intero sistema di gestione e controllo della spesa, le disposizioni di cui gli artt. 97 e 100 Cost.12 e il principio di trasparenza della normativa comunitaria.

Nello specifico la riforma di cui al d.lgs. 218/2016 prevede che gli enti adottino sistemi di contabilità economico-patrimoniale (art. 10). Il d.lgs. 218/2016 prevede inoltre, come già accennato, che gli atti e i contratti relativi al conferimento di incarichi individuali con contratti di lavoro autonomo ad esperti esterni all’ente non siano soggetti al controllo preventivo di legittimità della Corte dei conti, a cui viene per il resto confermato il controllo sulla gestione finanziaria (art. 14).

Nel processo di programmazione e controllo generale della Amministrazioni pubbliche valgono inoltre i principi previsti dal d.lgs. 165/2001 ossia la separazione dei compiti di direzione politica da quelli di direzione amministrativa (art. 4, d.lgs. 165/2001), il potere propositivo di obiettivi e programmi operativi da parte dei dirigenti (art. 14, d.lgs. 165/2001) e la titolarità di autonomi poteri di gestione dei dirigenti (art. 18, d.lgs. 165/2001).

2.1 Il processo di armonizzazione dei sistemi contabili

L’art.10 d. lgs. 218/2016 prevede espressamente che gli enti pubblici di ricerca debbano adottare sistemi di contabilità economico-patrimoniale anche per il controllo analitico della spesa per centri di costo allo scopo di migliorare pianificazione strategica, e misurazione e valutazione dei risultati gestionali13.

Questa misura si inserisce nel più ampio quadro di armonizzazione dei sistemi contabili della Pubblica amministrazione.

Il nuovo sistema di regole – che presiedono la redazione dei bilanci pubblici con l’introduzione di criteri omogenei volti a migliorare la trasparenza, l’attendibilità e, soprattutto, la “confrontabilità” delle scritture contabili di tutte le amministrazioni pubbliche – costituisce uno strumento essenziale per la definizione di un quadro normativo che concorra alla sostenibilità delle finanze pubbliche.

Infatti, oltre a dispiegare la sua azione sul piano dell’autonomia normativa contabile degli enti pubblici, l’armonizzazione contabile è una “funzione” che estende, in concreto, i sui effetti anche sul piano finanziario in base al presupposto che una maggiore uniformità nella predisposizione degli strumenti di bilancio assicuri, in prospettiva, un miglior uso delle risorse pubbliche stesse.

In materia è intervenuta precisamente la direttiva 2011/85/UE che, da una parte, ha richiesto l’adozione in sede di programmazione di bilancio, di meccanismi di coordinamento tra tutti i sotto settori dell’Amministrazione statale e, dall’altro, ha evidenziato la necessità di uniformità delle regole e delle procedure contabili.

La disciplina dell’armonizzazione contabile nel nostro ordinamento si è quindi sviluppata in coerenza con le nuove regole e finalità nel frattempo intervenute in sede europea.

Il legislatore nazionale, che già aveva previsto un’ampia riforma in materia, ha quindi dato attuazione anche alle suddette indicazioni comunitarie.

Due decreti legislativi delegati in particolare, il d.lgs. 91/2011 e il d.lgs. 118/2011 hanno introdotto norme volte all’armonizzazione dei sistemi contabili e degli schemi di bilancio, rispettivamente, delle amministrazioni pubbliche di cui all’art. 1, co. 2, della legge n. 196/2009 tra le quali vengono ricompresi gli enti pubblici di ricerca14, nonché delle amministrazioni pubbliche territoriali tra le quali Regioni, enti locali ed enti del Servizio sanitario nazionale15.

Tale sistema non risulta però ancora definitivamente a regime mancando, ad esempio, l’emanazione di importanti provvedimenti, quali quelli contenenti le istruzioni tecniche ed i modelli da utilizzare per la predisposizione del “Piano degli indicatori e dei risultati attesi di bilancio” previsto al Titolo V del suddetto d.lgs. 91/201116.

Risulta invece a regime l’armonizzazione dei sistemi contabili e degli schemi di bilancio delle Università di cui alla delega prevista dall’art. 5 della legge n. 240/201017 poi attuata con il d.lgs. 18/2012, volto all’introduzione del sistema di contabilità economico-patrimoniale e analitica, del bilancio unico e del bilancio consolidato nelle Università18.

2.2 La contabilità economico-patrimoniale

Il sistema di contabilità economico patrimoniale ha due finalità generali: valutare i ricavi derivanti dallo svolgimento di determinate attività, che comportano il sostenimento di relativi costi; e valutare le variazioni nella consistenza patrimoniale dell’organizzazione.

In quest’ottica, quindi, i ricavi costituiscono il valore creato dalla realizzazione (vendita) di determinati beni/servizi mentre i costi costituiscono l’utilizzo di risorse per la realizzazione di determinati beni/servizi.

Emerge pertanto una relazione tra i costi sostenuti ed i ricavi realizzati per un certo bene/servizio, tale che è possibile dedurre che la differenza fra ricavi e costi costituisca sostanzialmente il “risultato”.

Inoltre, il nuovo sistema, sostituendo al concetto di spesa il concetto di costo, ha il pregio di poter quantificare le risorse assorbite dalle varie attività e di far dunque conoscere la reale destinazione delle “energie” impiegate.

In tale prospettiva, quindi, l’obiettivo, non è l’equilibrio finanziario bensì quello economico.

Le principali differenze tra contabilità finanziaria e contabilità economico-patrimoniale sono, sinteticamente: 1) la contabilità economica guarda anche all’aspetto patrimoniale (assente nella contabilità finanziaria); 2) la contabilità economica mira a determinare il risultato d’esercizio, il capitale di funzionamento – patrimonio, gli effetti sulla cassa delle operazioni di gestione, mentre la contabilità finanziaria si limita alla determinazione dell’utilizzo delle risorse; 3) la contabilità economica rileva i costi “non monetari” legati all’utilizzo di risorse che apportano valore in un’ottica pluriennale (ammortamenti)19.

La contabilità economica-patrimoniale dovrebbe dunque consentire di dare maggiore trasparenza di comunicazione sulle risorse acquisite, e sul loro impiego rispetto al soddisfacimento dei bisogni pubblici20.

2.3 Il ruolo del direttore generale

L’attività di gestione, secondo il legislatore, implica un ruolo apicale a sé, non solo per quanto previsto nel d.lgs. 165/2001 ma anche per la competenza necessaria a ricoprire il ruolo di direttore generale.

Ciò, per inciso, si avvalora in considerazione del fatto che nel caso degli enti pubblici di ricerca, tali amministrazioni godono di un’autonomia particolare chiaramente riconosciuta dall’ordinamento, e possono pertanto vedersi applicare tutta una serie di deroghe fra istituti contrattuali e non.

Il ruolo del direttore generale è un ruolo esecutivo che non ha nulla di “politico” e che per essere compiutamente svolto, presuppone una qualificata esperienza sia della Pubblica amministrazione (con particolare riferimento agli aspetti pubblicistici, poiché potrebbe non bastare una formazione benché “professionale” di tipo privatistico-economica) sia della Ricerca.

In materia valgono i principi espressi dall’art. 4 del d.lgs. 165/2016 che prevede che ai dirigenti spettino “la gestione finanziaria, tecnica e amministrativa mediante autonomi poteri di spesa di organizzazione delle risorse umane, strumentali e di controllo”. Essi sono responsabili in via esclusiva dell’attività amministrativa, della gestione e dei relativi risultati. Le attribuzioni suindicate possono essere derogate soltanto espressamente e ad opera di specifiche disposizioni legislative (co. 2 e 3).

L’art. 4 prevede che le amministrazioni pubbliche, i cui organi di vertice non siano direttamente o indirettamente espressione di rappresentanza politica, adeguino, comunque, i propri ordinamenti “al principio della distinzione tra indirizzo e controllo, da un lato, e attuazione e gestione dall’altro” (co. 4).

L’attività di gestione viene solitamente suddivisa in autonome funzioni dirigenziali e affidata alle articolazioni dell’Amministrazione, a cui sono quindi preposti dirigenti con profilo amministrativo di secondo livello ovvero per gli enti di ricerca – anche in considerazione delle esigenze di contenimento della spesa, nel rispetto delle disposizioni contenute nell’art. 19, d.lgs. 165/2001 e nell’art. 22 del D.P.R. 171/1991 – personale con profilo di tecnologo o ricercatore.

Coordina tutte le suddette funzioni il direttore generale. In particolare, nel rispetto delle direttive stabilite dagli organi di indirizzo e delle prerogative di questi ultimi, il direttore generale, assicura: a) il coordinamento delle attività amministrative e la loro unitarietà operativa e d’indirizzo; elabora b) i regolamenti di amministrazione, finanza e contabilità e di organizzazione. Agli stessi organi formula proposte in materia di bilancio e ripartizione delle risorse umane, indentificando risorse e profili professionali necessari al fine dell’elaborazione del documento di programmazione che include il fabbisogno di personale (PTA)21.

Il direttore generale cura pertanto l’esecuzione delle delibere pianificando opportunamente l’attività amministrativa. Adotta inoltre gli atti e i provvedimenti amministrativi ed esercita i poteri di spesa e quelli di acquisizione delle entrate rientranti nella competenza dei propri uffici, salvo quelli delegati ai dirigenti. Resiste alle liti ed ha il potere di conciliare e di transigere. Richiede direttamente pareri agli organi consultivi dell’Amministrazione e risponde ai rilievi degli organi di controllo sugli atti di competenza.

Cura i rapporti con gli uffici dell’Unione europea e degli organismi internazionali nelle materie di competenza secondo le specifiche direttive dell’organo di direzione politica, sempreché tali rapporti non siano espressamente affidati ad apposito ufficio o organo.

Esercita infine ogni altra funzione conferita dai regolamenti, dal Consiglio di amministrazione e dal Presidente ossia dagli organi di indirizzo dell’ente.

Il d.lgs. 165/2001 delinea dunque con estrema chiarezza distinte funzioni spettanti rispettivamente agli organi di governo e ai dirigenti22. Alla base c’è il principio di distinzione funzionale tra politica e amministrazione che stabilisce una netta separazione tra indirizzo politico-amministrativo e gestione finanziaria, tecnica e amministrativa23.

Gli organi di indirizzo, secondo tale principio, esercitano funzioni di indirizzo politico-amministrativo, definendo gli obiettivi e i programmi da attuare. Adottano altri atti rientranti nello svolgimento delle stesse funzioni e verificano che i risultati dell’attività amministrativa e della gestione, siano rispondenti agli indirizzi impartiti.

Agli organi di gestione ossia ai dirigenti spetta invece l’adozione degli atti e dei provvedimenti amministrativi che rendono effettivamente possibile il raggiungimento degli obiettivi24.

Per gli organi di indirizzo degli enti di ricerca, c’è un elemento in più da considerare: la qualificata esperienza, precedentemente richiamata anche per l’individuazione dei direttori generali, è ben più di un semplice presupposto dei relativi atti di nomina, poiché qualifica specificamente la motivazione che sta alla base degli stessi. In generale non è possibile assimilare gli organi di governo agli organi di gestione, ma ciò vale soprattutto in riferimento agli enti di ricerca. Gli organi di indirizzo degli enti di ricerca formano le attività in maniera circolare. Come mirabilmente chiarito da autorevolissimi Autori, nella ricerca l’attività di indirizzo politico è tutt’una con quella scientifica: è “circolare” perché dalla base della ricerca vengono gli input per progettare e programmare.

Di conseguenza la revoca o la decadenza di tali nomine non si ricollega esclusivamente, o almeno non si dovrebbe collegare, alla fiducia politica ma anche a quella scientifica25. Per essere legittimamente dichiarati revocati o deceduti, tali organi devono aver demeritato sul piano scientifico e non solo sul piano politico. Nei fatti, invece, ad una selezione che fonda la propria valutazione anche sul carattere “scientifico” in entrata (all’atto della valutazione dei curricula) non corrisponde parimenti una valutazione scientifica in uscita, all’atto dell’eventuale revoca.

Forse sarebbe opportuno un intervento del legislatore che dirimesse la suesposta questione, equilibrando il peso del “carattere scientifico” delle nomine, sia in entrata sia in uscita.

Con specifico riferimento alle istituzioni e agli enti di ricerca e sperimentazione il d.lgs. 165/2001 ha previsto che le attribuzioni della dirigenza amministrativa non debbano estendersi alla “gestione della ricerca” (art. 15 co.2). Il disposto è fondamentale per quegli enti all’interno dei quali il primo livello professionale acquisisce la “qualifica” di dirigente di ricerca o di dirigente tecnologo.

L’equilibrio fra le citate disposizioni si basa sulla previsione del ruolo apicale del direttore generale previsto nel d.lgs. 165/2011 a cui deve seguire chiarezza nei regolamenti di organizzazione degli enti.

Occorre infine rilevare, come in generale, la suddivisione fra organi di indirizzo e organi di gestione, comporti inevitabilmente una sostanziale impossibilità ad accorpare in un unico soggetto le due funzioni.

D’altronde la suddivisione indicata dal legislatore risponde anche, con i limiti su esposti, a criteri di competenza, che permettono a diverse professionalità di implementarsi a vicenda nella governance dell’ente.

Organo di indirizzo politico e organo di vertice della gestione amministrativa, d’altronde, hanno il dovere di collaborare nell’interesse comune e della Pubblica amministrazione.

2.4 Il ruolo degli organi consultivi

L’esigenza di tenere distinti gli indirizzi politici dall’attività di gestione dell’ente si ravvisa maggiormente nelle ipotesi distorsive, soprattutto nel caso in cui la “componente politica” dovesse in qualche modo prevalere, in sostanziale violazione dei suesposti principi, anche di carattere costituzionale.

Per questo motivo sarebbe auspicabile un maggior “peso scientifico” degli organi consultivi a carattere tipicamente scientifico (tra i quali si individua solitamente il Consiglio scientifico degli enti), volendo perseguire in tal modo una maggiore collaborazione fra gli organi di indirizzo politico e quelli a carattere scientifico. Questi ultimi dovrebbero sostenere, in particolare, l’attività di programmazione, in stretta sinergia con il consiglio di amministrazione.

Mai questa auspicata maggiore collaborazione dovrebbe tradursi in un aggravio delle decisioni, perché la stessa ha il compito di sostenere sia, come detto, la programmazione, sia la scelta di nuovi investimenti (ad esempio, aperture delle attività a nuove linee di ricerca, partecipazione a progetti internazionali o nuove infrastrutture di ricerca).

Il tutto nella cornice delle direttive impartite dalla politica nella programmazione nazionale e comunitaria in materia di ricerca. Aumentare il peso scientifico negli enti pubblici di ricerca senza con ciò “ingessare” la governance è di fatto una sfida per il “sistema ricerca26.

A tal fine è auspicabile, innanzitutto, un intervento del legislatore che attribuisca agli organi consultivi maggior peso, nel senso sopra delineato, coinvolgendo esplicitamente, pertanto, gli organi consultivi scientifici nella fase di approvazione della programmazione triennale (se non a tutti i livelli di programmazione), andando ad esempio oltre i compiti attribuiti attualmente al Consiglio scientifico27.

In questo senso si potrebbe azzardare addirittura un’ipotesi, da riferire solo agli enti pubblici cd. “a struttura complessa”, che realizzi una più stretta correlazione fra organi consultivi scientifici e organi di indirizzo, adottando come “paradigma” la struttura (statutaria) prevista dall’INFN, che prevede, in buona sostanza, sia nella composizione degli organi di indirizzo, sia in riferimento ai compiti a loro assegnati, una forte “componente scientifica” costituita dalla rappresentanza di ricercatori e tecnologi dell’Istituto, e dall’intervento degli organismi consultivi negli atti di programmazione ed indirizzo dell’ente28.

Un esempio altamente virtuoso della collaborazione fra organi di indirizzo politico-amministrativo e organi consultivi a carattere scientifico, che ha anticipato le norme della riforma del d.lgs. 218/2016 e che ancora oggi costituisce un modello per l’intera comunità scientifica.

Per gli enti pubblici di ricerca più piccoli o meglio non a struttura complessa, invece potrebbe rimanere l’attuale assetto con la suddivisione degli organi di indirizzo fra Presidente e Consiglio di amministrazione.

Sarebbe comunque auspicabile una maggiore definizione della governance di tali enti, chiaramente suddivisa fra i propri organi, secondo quanto previsto dal d.lgs. 165/2001 e dai principi di “buon andamento” e di “imparzialità” della nostra Costituzione.

2.5 La valutazione dei risultati

La valutazione dei risultati è divenuta, negli ultimi decenni, uno strumento più o meno utile per analizzare l’efficacia delle attività svolte da un ente o da un organismo di diritto pubblico o privato, nel corso di un determinato periodo di tempo.

Una valutazione accurata dei risultati conseguiti può costituire un’analisi addirittura imprescindibile per valutare concretamente il corretto sviluppo – nel tempo – delle attività poste in essere ed il raggiungimento dei risultati programmati, e perciò costituire uno strumento di sviluppo delle attività dell’ente. In senso opposto una valutazione non-oggettiva potrebbe sicuramente falsare la valutazione finale dei risultati.

E’ quindi un’attività potenzialmente fondamentale che va seriamente posta in essere all’unico fine di migliorare le attività istituzionali o la cd. mission e, perciò, i conseguenti risultati perseguiti.

La valutazione negli enti pubblici di ricerca in particolare, come già detto precedentemente, è stata oggetto di rivisitazione da parte del d.lgs. 218/2016.

L’ANVUR ha il mandato per predisporre e redigere, all’interno di apposite Linee guida, i parametri e gli indicatori di riferimento, che andranno ad incidere sulla valutazione della ricerca effettuata (VQR) e, quindi, su parte dell’assegnazione del finanziamento statale e di eventuali specifici fondi premiali29. Le Linee guida, in particolare, vanno dalla valutazione della qualità dei processi, dei risultati e dei prodotti delle attività di ricerca, alla valutazione della qualità di “disseminazione” della ricerca ed, infine, alla valutazione delle cd. attività di “Terza missione”.

A modesto avviso, la proporzione andrebbe invertita ossia l’ANVUR dovrebbe valutare, con esclusiva finalità incentivante, (soprattutto in chiave “premiale” dei finanziamenti) le attività di cd. “Terza missione” al fine di dare ulteriore importanza a queste particolari attività che fondono, in un’unica prospettiva, alcune delle aspettative riposte dal legislatore costituzionale negli artt. 9 e 33 della Costituzione, e solo successivamente determinare, sebbene in via indiretta con parametri “oggettivi” e indicatori “qualitativi”, una quota parte del finanziamento statale degli enti pubblici di ricerca.

Altro tipo di valutazione è invece quello svolto dagli Organismi di Valutazione delle Performance (OIV), presenti in tutte le amministrazioni, cardine centrale del “Piano della performance30 nonché responsabili, tra le altre cose, della corretta applicazione delle Linee guida, delle metodologie e degli strumenti, predisposte in materia di organizzazione dal Dipartimento della Funzione pubblica, oltre a proporre, sulla base del sistema di misurazione e valutazione, all’organo di indirizzo, la valutazione annuale dei dirigenti di vertice e l’attribuzione ad essi dei premi.

L’OIV e il sistema della performance organizzativa è stato recentemente oggetto di un’importante riforma (art. 60-bis, d.lgs.165/2001).

Una prima parte della riforma ha avuto obiettivo quello di rendere maggiormente efficiente l’azione della Pubblica amministrazione, intervenendo direttamente sullo “stato dell’arte” degli obiettivi indicati in sede di programmazione, attraverso l’istituzione di un Nucleo esterno (il cd. “Nucleo della concretezza”) che ha il compito di rispettare un ulteriore Piano triennale (“Piano triennale delle azioni concrete per l’efficienza delle pubbliche amministrazioni”) predisposto dal Dipartimento della Funzione pubblica. Per realizzare la sua funzione, il suddetto Nucleo si avvarrà di personale addetto e lavorerà in collaborazione con l’Ispettorato di cui all’art. 60, d.lgs. 165/2001.

Di certo abbiamo sufficienti strumenti di misurazione, ora forse è il caso di intervenire direttamente sulla “macchina”.

3. Una riforma necessaria: la semplificazione amministrativa

E’ chiaro che gli enti pubblici di ricerca da una parte hanno la loro peculiarità dettata dalla funzione istituzionale cui sono preposti, dall’altra, però, soffrono, in quanto Pubblica amministrazione delle debolezze recondite della stessa, che si possono innanzitutto rappresentare in un eccesso di burocrazia e in soventi appesantimenti del procedimento amministrativo31.

A questo occorre aggiungere l’eccesso di norme che crea impedimenti e non riesce ad accompagnare lo sviluppo dell’economia, o le note difficoltà nel programmare e spendere adeguatamente i fondi UE.

Gli enti pubblici di ricerca nonostante la riforma del d.lgs. 218/2016 dunque, attendono un miglioramento di “contesto” così come, d’altronde, era stato immaginato dalla legge Madia.

Altro tema fondamentale è quello della dirigenza ovvero del reclutamento e della preparazione professionale dei nostri dirigenti pubblici32.

Nei tentativi di riforma passati ci si è spesso concentrati sul primo di questi due aspetti, poiché il tema della preparazione professionale sembra assorbito dalla volontà di creare un “management pubblico” all’altezza delle sfide dei tempi. Il rischio però è quello di formare dirigenti “molto privati e poco pubblici” che sanno molto di management e poco di funzioni e principi costituzionali.

D’altronde chi scrive si trova profondamente d’accordo con un’affermazione, frequentemente citata, di John Maynard Keynes che affermò che gli economisti “così come i dentisti” dovrebbero guardare con modestia al proprio mestiere poiché nessun dentista si sogna di spiegare ogni mistero della vita attraverso le proprie competenze specialistiche33.

Certo il tema della preparazione dei nostri dirigenti è fondamentale ma non può essere colmata esclusivamente con una preparazione di tipo economico poiché il buon andamento della Pubblica amministrazione è in primis dettato dall’esatta comprensione della funzione pubblica e delle disposizioni di legge specifiche del “settore” che qualsiasi ruolo dirigenziale sottintende34.

Il riferimento alla normativa di settore non è casuale. Non si vuole minimamente mettere in dubbio l’unitarietà della Pubblica amministrazione, l’indivisibilità dei beni pubblici né benché mai sottintendere una particolare teoria economica.

Ci si intende però schierare dalla parte del dibattito e quindi della necessità di confrontarsi per migliorare la “nostra” Pubblica amministrazione, rendendola innanzitutto trasparente, autonoma ed efficiente, in esecuzione dei principi costituzionali e dei dettami che derivano dall’appartenenza all’Unione europea35.

Per fare ciò bisognerà rivedere profondamente le regole che solo apparentemente sono finalizzate al funzionamento degli apparati, ma che al contrario, sottoposte a prova di efficienza ed efficacia, si rivelano prive di ogni relazione con realtà oggettiva e finalità stesse dell’attività amministrativa.

Brevi conclusioni

L’attesa esigente di nuove idee per sfide inattese è una domanda che interpella in modo particolare proprio gli enti di ricerca che devono raccogliere questo monito e lavorare in modo coordinato36.

Solo unendo gli sforzi e coordinando il lavoro dei ricercatori, si potrà davvero dare senso al dovere di ciascuno, di porsi “al servizio esclusivo della Nazione” (art. 98 Cost.).

La Pubblica amministrazione non trova però collocazione solo ed esclusivamente nella sezione II del Titolo III della nostra Costituzione.

Altre norme sono troppo spesso poco citate, quantomeno tra i non addetti ai lavori, e tra queste, il principio dell’accesso ai pubblici uffici in condizioni di eguaglianza (art. 51); il dovere per i pubblici impiegati di adempiere con onore alle proprie funzioni (artt. 54); la riserva di legge inerente l’organizzazione dei pubblici uffici (art. 97, co. 2); la responsabilità diretta dei dipendenti pubblici (art. 28).

Tutti hanno un ruolo chiave nella realizzazione delle riforme e dei molteplici investimenti previsti (nei settori dell’energia, dell’agricoltura, della rigenerazione urbana, della cultura, ecc.)37.

La credibilità delle nostre istituzioni e il futuro della nostra economia dipendono dalla capacità di spendere bene e con onestà le risorse pubbliche e le risorse comunitarie, con specifico riferimento al PNRR. Una sfida fondamentale da vincere seguendo le regole.

Note

1 Giovanni Modafferi lavora all’ENEA – Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile. Ha collaborato a lungo con la cattedra di diritto amministrativo titolare Prof. Eugenio Picozza, ora Professore Emerito della Facoltà di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Roma Tor Vergata. Ha svolto attività congressuale e di docenza in materia di appalti, diritto comunitario e contratti della Pubblica amministrazione. E´ autore di diverse pubblicazioni e monografie, tra le quali ”Soluzioni comunitarie alle patologie degli appalti pubblici” ed ”Enti pubblici di ricerca: storia, regime giuridico e prospettive”, G. Giappichelli Editore Torino.

2 Cfr. F. MERLONI, L’autonomia delle università e degli enti di ricerca, in Foro it., vol. CXII, par. V, 1989. Dello stesso autore, Ricerca scientifica (organizzazione e attività), in Enc. dir., vol. XXXIX, Giuffrè, Milano, 1988 e La ricerca scientifica tra autonomia e indirizzo politico, tra uniformità e differenziazione, in “Istituzioni del Federalismo”, Maggioli, Bologna, 2002.

Più di recente, Gli Enti pubblici di ricerca nell’era digitale, Atti del Convegno, CNR Edizioni, maggio 2021.

3 Decreto legislativo 31 dicembre 2009, n. 213  recante “Riordino degli enti di ricerca in attuazione dell’articolo 1 della legge 27 settembre 2007, n. 165”.

4 V. Raccomandazione della Commissione dell’11 marzo 2005 riguardante la Carta europea dei ricercatori e un codice di condotta per l’assunzione dei ricercatori (2005/251/CE). V. inoltre “Framework for Research Careers” del 21 luglio 2011, della Commissione europea

5 Per quasi tutti gli enti, infatti, il d. lgs. 213/2009 si limitava a prevedere forme generiche di rappresentanza rimandando allo statuto dell’ente la definizione delle stesse (cfr. art. 11, co. 3 e 4). Facevano eccezione le norme previste per CNR, ASI e INFN che già prevedevano forme di rappresentanza elettiva dei ricercatori.

6 Cfr. Linee guida ANVUR approvate con Delibera del Presidente n.11 del 9 giugno 2017. Le Linee guida sono dirette alla valutazione della qualità dei processi, dei risultati e dei prodotti delle attività di ricerca, alla valutazione della qualità di “disseminazione” della ricerca e alla valutazione delle cd. attività di “Terza missione”. Il sistema di valutazione previsto dal comma 5 dell’art. 17 del d.lgs. 218/2016 pone in capo all’ANVUR un potere, ampiamente criticato, che arriva fino a determinare la “allocazione dei finanziamenti statali agli Enti”.

7 V. art. 1 del decreto legislativo 5 giugno 1998, n. 204 recante Disposizioni per il coordinamento, la programmazione e la valutazione della politica nazionale relativa alla ricerca scientifica e tecnologica, a norma dell’articolo 11, comma 1, lettera d), della legge 15 marzo 1997, n. 59”.

8 In particolare, il Piano triennale di attività viene approvato dal Ministero vigilante entro sessanta giorni dalla sua ricezione decorsi i quali, senza che siano state formulate osservazioni, lo stesso si intende approvato (art. 7 co. 2, d. lgs. 218/2016).

9 In merito, si segnala la recente previsione, di cui all’art. 1 co. 149 della cd. Legge di bilancio 2020, che modifica l’efficacia generale delle graduatorie dei concorsi delle Pubbliche amministrazioni, stabilendo la validità in due anni dalla loro approvazione (art. 35 comma 5-ter d.lgs. 165/2001).

10 Il sistema introdotto dal d. lgs. 75/2017 prevede una forte innovazione rispetto al precedente sistema di reclutamento del personale: la dotazione organica permane, ma viene fortemente depotenziata, mentre viene consolidato il ruolo assegnato ai piani di fabbisogno del personale.

Secondo il nuovo dettato normativo, la determinazione delle dotazioni organiche è una conseguenza della formulazione dei piani dei fabbisogni, che si distinguono dalle prime in quanto il piano dei fabbisogni può essere definito come lo strumento che individua, in termini qualitativi (per profilo) e quantitativi (per ore nel triennio), le risorse umane necessarie a porre in essere le prestazioni che le pubbliche amministrazioni sono tenute ad erogare indipendentemente dalla tipologia di rapporto di lavoro e dagli altri istituti utilizzati.

La dotazione organica può invece essere definita come lo strumento che, facendo riferimento al piano triennale dei fabbisogni, individua, in termini qualitativi (per profilo) e quantitativi (per numero di teste), il personale con rapporto di lavoro dipendente che le singole amministrazioni ritengono necessario per garantire le prestazioni che sono tenute ad erogare.

11 In materia è intervenuta la legge di bilancio 2019, L. 145/2018 che ha sostituito il comma 3 dell’art. 16, d. lgs. 218/2016, ridefinendo modalità di nomina e disciplina per il funzionamento di tali commissioni (art. 1, co. 402).

12 La contabilità pubblica implica naturalmente un sistema pubblico di controlli per garantire “il buon andamento e l’imparzialità dell’amministrazione” secondo quanto previsto all’art. 97 co. 2 Cost.

13 V. art. 10 co. 1, d. lgs. 218/2016, che testualmente dispone: “Gli Enti adottano con proprio regolamento, anche ai sensi della normativa generale vigente in materia di contabilità pubblica di cui al decreto legislativo 31 maggio 2011 n. 91, sistemi di contabilità economico-patrimoniale anche per il controllo analitico della spesa per centri di costo”.

14 V. art. 1, co. 2, d.lgs. 91/2011 ai sensi del quale per amministrazioni pubbliche si intendono enti e soggetti indicati a fini statistici negli elenchi pubblicati dall’Istituto nazionale di statistica (ISTAT), Autorità indipendenti e amministrazioni di cui all’art. 1, co. 2, d.lgs. 165/2001 e s.m.i.

15 Emanati entrambi ai sensi di due diverse deleghe, costituite rispettivamente dall’art. 2 della legge di contabilità pubblica, legge n. 196/2009 e dell’art. 2 della cd. legge sul federalismo fiscale, legge n. 42/2009.

16 V. in particolare l’art. 19 (“Principi generali”), nel Titolo V (“Sistema di indicatori di risultato semplici, misurabili e riferiti ai programmi di bilancio”) del d. lgs. 91/2011.

Nel “periodo transitorio” vengono solitamente utilizzati, per quanto concerne gli schemi di bilancio, quelli di cui al D.P.R. n. 97/2003 “Regolamento concernente l’amministrazione e la contabilità degli enti pubblici di cui alla L. 20 marzo 1975, n. 70”.

17 V. Legge 30 dicembre 2010, n. 240 “Norme in materia di organizzazione delle Università, di personale accademico e reclutamento, nonché di delega al Governo per incentivare la qualità e l’efficienza del sistema universitario”, che ha delineato il passaggio del sistema contabile verso una contabilità di tipo economico-patrimoniale.

18 Sulla base di tale provvedimento sono intervenuti i decreti del MIUR finalizzati a rendere omogenea e univoca l’applicazione dei criteri di valutazione da parte degli atenei e, in tal modo, rendere più conformi e comparabili i relativi bilanci.

V. D.I. n. 394 del 08 giugno 2017 “Revisione principi contabili e schemi di bilancio di cui al D.I. 19 del 2014; D.I. n. 248 del 11 aprile 2016 “Schemi di bilancio consolidato delle Università; D.I. n. 925 del 10 dicembre 2015 “Schemi di budget economico e budget degli investimenti; D.I. n. 21 del 19 gennaio 2014 “Classificazione della spesa delle università per missioni e programmi; D.I. n. 19 del 14 gennaio 2014 “Principi contabili e schemi di bilancio in contabilità economico-patrimoniale per le università”.

Si veda inoltre il “Manuale tecnico-operativo”, 30 Maggio 2019, terza ed., MIUR.

19 Sul punto, ex multis, F.G. GRANDIS, G. MATTEI, L’armonizzazione delle amministrazioni pubbliche in contabilità civilistica, Giuffrè, Milano, 2014.

20 Cfr. D. PREITE, La contabilità pubblica come sistema di governo, Cedam, Milano, 2015.

21 Il PTA a sua volta è ricompreso nel Piano Integrato di Attività e Organizzazione (PIAO), documento unico di programmazione e governance, che assorbe molti dei Piani che le amministrazioni pubbliche erano finora tenute a predisporre annualmente: performance, fabbisogno del personale, parità di genere, anticorruzione e infine lavoro agile. Cfr. art. 6 del decreto legge 80/2021 convertito con legge 6 agosto 2021, n. 113.

22 In particolare, l’art. 4, d. lgs. 165/2001 dispone che “gli organi di governo esercitano le funzioni di indirizzo politico-amministrativo, definendo gli obiettivi ed i programmi da attuare ed adottando gli altri atti rientranti nello svolgimento di tali funzioni, e verificano la rispondenza dei risultati dell’attività amministrativa e della gestione agli indirizzi impartiti”.

In tal modo la disposizione esclude dall’ambito di tali competenze le attività di gestione amministrativa, non potendo l’organo di governo revocare, riformare, riservare o avocare a sé o altrimenti adottare provvedimenti o atti di competenza dei dirigenti.

Parallelamente il testo demanda ai dirigenti “l’adozione degli atti e provvedimenti amministrativi, compresi tutti gli atti che impegnano l’amministrazione verso l’esterno, nonché la gestione finanziaria, tecnica e amministrativa mediante autonomi poteri di spesa di organizzazione delle risorse umane, strumentali e di controllo”, ulteriormente specificando che gli stessi “sono responsabili in via esclusiva dell’attività amministrativa, della gestione e dei relativi risultati” (art. 4 co. 2).

23 In questo senso va l’art. 95 Cost. nella parte in cui enuncia l’esigenza di mantenere un’unità di indirizzo politico e amministrativo, e il principio di responsabilità dei singoli Ministri. Sempre in questo senso, nella sezione successiva della Carta costituzionale, il comma 2 dell’art. 97 che esplicita i principi di “buon andamento” e di “imparzialità” della Pubblica amministrazione.

La Corte Costituzionale ha chiaramente affermato che la separazione tra politica e amministrazione è un “principio di carattere generale” che ha il suo fondamento nell’art. 97 della Costituzione e in particolare nel principio costituzionale di “imparzialità”. Cfr. ad esempio, la sentenza n. 81/2013 che interviene sul riparto fra funzioni di indirizzo politico affidate agli organi politici e funzioni di gestione amministrativa spettanti ai dirigenti, in particolare sull’art. 48 comma 3 della Legge regionale Sardegna n. 9/2006.

24 Per gli enti pubblici di ricerca vigilati dal MUR è tuttora vigente l’art. 12 del d. lgs. 213/2009 che dettagliando compiti e funzioni (comma 1), separa programmazione e indirizzo strategico dalle responsabilità gestionali (comma 2), richiamando esplicitamente il “legame” esistente con l’art. 4 d.lgs. 165/2001 e con i principi ivi contenuti. Lo stesso articolo prevede inoltre che gli enti di ricerca nell’esercizio della propria potestà statutaria e regolamentare “adeguano i propri ordinamenti ai principi dell’articolo 4 e del capo II del titolo II del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, nonché della legge 7 agosto 1990, n. 241”.

25 Cfr. A. CAROSI, La ricerca al servizio della civiltà, ed E. PICOZZA, Autonomia degli Enti pubblici di ricerca e norme costituzionali a rischio?, in Gli Enti pubblici di ricerca nell’era digitale, Atti del Convegno, CNR Edizioni, maggio 2021.

26 In questo senso, assume importanza la previsione sulla composizione del “consiglio di amministrazione” in relazione alla rappresentanza elettiva di ricercatori e tecnologi, prevista dall’art. 2, comma 1 lett. n) del d. lgs. 218/2016, che ha di fatto ha aumentato il “peso scientifico” all’interno stesso dei consigli di amministrazione.

27 Si tratta sostanzialmente delle funzioni già previste dal vigente art. 10 co. 1 d.lgs. 213/2009.

28 Si veda in particolare l’art. 4 (“La Programmazione”) commi 2 e 3 dello Statuto INFN, che prevede: “L’Istituto basa la propria attività di ricerca sulle proposte elaborate da componenti della comunità scientifica di riferimento e la organizza, di norma, in linee scientifiche. Per ciascuna linea scientifica è costituita una Commissione Scientifica Nazionale consultiva, la cui composizione e il cui funzionamento sono definiti all’articolo 17. Nella pianificazione delle iniziative con maggiore impatto economico, di personale e di infrastrutture, l’Istituto si avvale del parere di congruità del Consiglio Tecnico-Scientifico, la cui composizione e il cui funzionamento sono definiti all’articolo 18. I pareri sullo sviluppo delle linee scientifiche forniti dalle Commissioni Scientifiche Nazionali e quelli di congruità sulle iniziative con maggiore impatto forniti dal Consiglio Tecnico-Scientifico, sono acquisiti dal Consiglio Direttivo ai fini della elaborazione del Piano Triennale di Attività e del Documento di Visione Strategica Decennale”.

29 Si vedano in particolare i commi 3 e 4 dell’art. 17 del d.lgs. 218/2016.

30 Si veda in particolare l’art. 10 (“Piano della performance e Relazione sulla performance”), comma 1, lett. a) del d.lgs. 150/2009. Il “Piano della performance” a sua volta, per espressa previsione di legge, considera sia la “performance organizzativa” che la “performance individuale”, recependo al suo interno gli indicatori e, soprattutto, i singoli “target”, per la misurazione della “performance” dell’amministrazione nel suo complesso, delle singole strutture e dei relativi responsabili.

31 Tutto questo a fronte del principio di non aggravamento del procedimento amministrativo, enunciato dal comma 2 dell’art. 1 (“Principi generali dell’attività amministrativa”) della L. n. 241/90 recante “Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi”, ripreso in varie parti della stessa legge. Rientrano in questo principio: l’obbligo di accertamento d’ufficio (art. 6, lett. b); l’obbligo di acquisire d’ufficio i documenti (art. 18, comma 2 e 3); il richiamo all’applicazione delle disposizioni in materia di autocertificazione (art. 18, comma 1).

Altro principio innovativo concatenato è contenuto nell’art. 2 della L. n. 241/90, in base al quale la Pubblica amministrazione ha l’obbligo di concludere il procedimento con l’adozione di un provvedimento finale, ma stabilisce anche un termine entro cui il procedimento deve concludersi. Tale termine, se non diversamente regolamentato è di 30 giorni (con l’ultima riforma della legge, contenuta nel D.L. Competitività cd. “decreto legge Bersani”, tale termine è stato portato a 90 giorni). La presenza di un termine e il principio di non aggravamento del procedimento a. risponde ad un duplice interesse; da una parte, soddisfa l’interesse particolare del cittadino utente (o cittadino-cliente) che propone una domanda alla P.A. di ottenere entro un determinato tempi predeterminati il provvedimento dell’amministrazione; dall’altra parte, consente all’amministrazione di svolgere un’azione amministrativa improntata ai criteri di efficacia, efficienza ed economicità a tutto vantaggio dell’interesse pubblico.

32 Il sistema di assunzione e di promozione della dirigenza, a dispetto dell’art. 97 della Costituzione (“I pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge”), è stato negli anni costituito da deroghe. Da questo punto di vista, negli ultimi anni si sono susseguite tre leggi delega, ad oggi, ciascuna per motivi diversi, ancora inattuate.

Le ultime disposizioni normative, volte a modificare, in primo luogo, la disciplina dell’accesso alla dirigenza nelle amministrazioni statali, sono previste dal decreto-legge 9 giugno 2021, n. 80, convertito con modificazioni dalla legge 6 agosto 2021, n. 113.

33 L’economista, dunque, dovrebbe fare lo stesso con i propri “ferri del mestiere” ossia utilizzarli appropriatamente per spiegare parti della vita sociale. V. J. M. Keynes, “Prospettive economiche per i nostri nipoti”, in Esortazioni e profezie, Il Saggiatore, 1968.

34 Cfr. G. DE CESARE, La ricerca scientifica pubblica: aspetti problematici ed organizzativi, in Riv. it. scienze giur., Loescher, Roma, 1969 e G. ENDRICI, Poteri pubblici e ricerca scientifica, il Mulino, Bologna, 1991.

35 Cfr. M. ANDRÈ – A. RUBERTI, Uno Spazio Europeo della Scienza, Giunti, Firenze, 1995.

36 Cfr. L. SAPORITO, La ricerca scientifica, in Trattato di diritto amministrativo, diretto da G. Santaniello, Cedam, Padova, 2007.

37 Cfr. E. PICOZZA – V. RICCIUTO, Diritto dell’economia, Giappichelli Editore Torino, 2013 e N. STEHR, Knowledge Societies, Sage Publications Ltd., London, 1994.

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