VALUTAZIONE DI IMPATTO AMBIENTALE – QUESTIONE DI LEGITTIMITà COSTITUZIONALE DELL’ART. 48, 3° COMMA, della L.Regione Sardegna 9\2006, – ATTO DI GESTIONE AMMINISTRATIVA – INFONDATEZZA
Non è fondata la questione di legittimità costituzionale, sollevata in riferimento all’articolo 97 Costituzione, dell’art.48, comma 3, della legge della Regione Sardegna 12 giugno 2006, n. 9 (Conferimento di funzioni e compiti agli enti locali) e dell’articolo 8, comma 4, della Legge Regione Sardegna 13 novembre 1998, n. 31 (Disciplina del personale regionale e dell’organizzazione degli uffici della Regione) con le quali è stato attribuito alla Giunta il potere di decidere sulla valutazione di impatto ambientale di interesse provinciale o regionale.
LA RIMESSIONE ALLA CONSULTA
Con ordinanza del 12 ottobre 2011 il T.A.R. Sardegna, sezione II, ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell’art. 48, comma 3, della Legge Regionale 12 giugno 2006 n. 9 (Conferimento di funzioni degli enti locali) e dell’articolo 8, comma 4, della Legge Regione Sardegna 13 novembre 1998, n. 31 (Disciplina del personale regionale e dell’organizzazione degli uffici della Regione), per violazione dell’art. 97 della Costituzione. L’art. 48, comma 3, della Legge Regionale n. 9 del 2006 prevede che le procedure in materia di valutazione dell’impatto ambientale “si concludono, sulla base dell’attività istruttoria, con atto deliberativo assunto dalla Giunta Regionale, su proposta dell’Assessore regionale della difesa dell’ambiente”. L’art. 8 della Legge Regionale n. 31 del 1998 rubricato “Direzione politica e direzione amministrativa” dispone, al comma 1, che “la Giunta Regionale, il Presidente e gli Assessori, secondo le rispettive competenze, esercitano le funzioni di indirizzo politico-amministrativo” e al comma 3 che “ai dirigenti dell’amministrazione e degli enti spetta l’adozione degli atti e provvedimenti amministrativi, compresi tutti gli atti che impegnano le amministrazione verso l’esterno, nonché la gestione finanziaria, tecnica e amministrativa(..)”
Le questioni di costituzionalità sono state sollevate nel corso di un giudizio avente ad oggetto la richiesta di annullamento di una deliberazione con la quale la Giunta Regionale ha espresso giudizio positivo sulla compatibilità ambientale del progetto di rinnovo di una concessione mineraria subordinato, tuttavia, a una serie di prescrizioni ritenute troppo gravose dalla società richiedente.
Il giudice rimettente ha sostenuto che l’attribuzione alla Giunta Regionale, anziché alla dirigenza, della competenza ad esprimere il giudizio di valutazione di impatto ambientale, prevista dall’art. 48, comma 3, della Legge Regionale n. 9 del 2006, in deroga al principio di separazione tra funzioni di indirizzo e politico e funzioni di gestione amministrativa – violerebbe l’art. 97 della Costituzione. L’impugnata norma regionale si sarebbe dovuta ritenere illegittima, infatti, in forza delle norme statali succedutesi nel tempo (tra tutte il decreto legislativo n. 267 del 2000) dalle quali si evince che il principio di separazione della funzione politica da quella amministrativa costituisce “principio fondamentale dell’ordinamento giuridico” e “espressione diretta dei principi di buon andamento e imparzialità dell’amministrazione”. Sempre secondo il giudice rimettente il giudizio di valutazione di impatto ambientale costituisce “atto amministrativo di gestione, di natura tecnico discrezionale, senza che nell’espressione di tale giudizio rilevino profili di programmazione o valutazioni di indirizzo politico”.
LA VALUTAZIONE DI IMPATTO AMBIENTALE NELLA GIURISPRUDENZA DEL T.A.R. SARDEGNA
La rimessione alla Corte Costituzionale della questione di legittimità costituzionale della norma regionale che attribuisce alla Giunta Regionale il potere di esprimersi sulla compatibilità ambientale conferma l’orientamento, invero datato, della seconda sezione del T.A.R. Sardegna che aveva già sostenuto la tesi della natura meramente amministrativa del giudizio di valutazione di compatibilità ambientale. Già con sentenza del 18 dicembre 2008 n. 2183 , infatti, quella sezione del T.A.R. Sardegna aveva ritenuto che la valutazione di impatto ambientale costituisse “atto di natura tecnico-discrezionale nel quale non sono rinvenibili contenuti attinenti a valutazioni di direzione o di indirizzo politico” conformemente all’asserito “pacifico orientamento giurisprudenziale in materia” secondo cui “la competenza ad emettere il provvedimento conclusivo del procedimento di valutazione di impatto ambientale, stante la sua natura tecnico-discrezionale, rientra nell’esclusiva competenza del dirigente dell’ufficio, non essendo coinvolti profili di direzione o indirizzo politico che esulino dalla gestione amministrativa”.
Di orientamento opposto, invece, la prima sezione dello stesso T.A.R. (sentenza n. 209 del 10 marzo 2011) la quale , investita della medesima istanza di rimessione alla Consulta, l’ha ritenuta manifestamente infondata ritenendo che il principio sotteso all’art. 97 Cost. non imponga necessariamente e perentoriamente che potere di direzione politica e potere gestionale operino sempre su piani separati, “dovendo ritenersi la regola della separazione fra le due funzioni, suscettibile di bilanciamenti, temperamenti e deroghe, purché disposti con specifica norma di legge e giustificati da prevalenti esigenze di coordinamento e sintesi dei vari interessi pubblici implicati nell’azione amministrativa” . Il T.A.R. ha concluso in ottemperanza alla giurisprudenza più recente del Consiglio di Stato, affermando che “la rilevanza degli interessi pubblici coinvolti, concernenti la salvaguardia del bene “ambiente” giustificano l’attribuzione della funzione gestionale all’organo politico…tanto più che in base alla normativa di settore la Giunta Regionale si pronuncia alla luce di una complessa attività istruttoria riservata ad organi tecnici”.
OSSERVAZIONI SULLA DECISIONE DELLA CORTE
La Corte Costituzionale ha confermato il proprio indirizzo giurisprudenziale secondo cui una netta separazione tra attività di indirizzo politico-amministrativo e funzioni gestorie costituisce “condizione necessaria per garantire il rispetto dei principi di buon andamento e di imparzialità dell’azione amministrativa” : tuttavia l’esatta linea di demarcazione tra le due attività spetta al legislatore, che deve esercitare il proprio potere in modo da non ledere l’imparzialità della Pubblica Amministrazione. Tanto premesso, la Corte ha ritenuto che la divisione di competenze tra la Giunta e i dirigenti non sia irragionevole, in considerazione della complessità della V.I.A. che prevede una fase istruttoria (di competenza dirigenziale) di natura gestoria e una fase decisoria (di competenza della Giunta) dove complesse valutazioni sul bilanciamento di interessi pubblici assumono un rilevo politico.
Affermando il carattere ‘complesso’ della procedura di V.I.A., la Corte ha così confermato la giurisprudenza amministrativa che a partire dal 2004 in poi ha dato rilievo alla ponderazione degli interessi che detta procedura coinvolge . Sino alla metà degli anni 2000 e, quindi, prima dell’entrata in vigore del D. Lgs. n. 152/06, si riteneva che il parere di V.I.A. implicasse l’esercizio di una scelta discrezionale spettante all’amministrazione nei limiti fissati dalla legge (in particolare, si riteneva che il potere dell’amministrazione fosse caratterizzato da discrezionalità tecnica) e che la sola V.I.A. statale fosse connotata da una valenza ‘anche’ politica. Si riteneva, infatti, che mentre il giudizio di compatibilità ambientale statale, dovendo essere pronunciato di concerto da due ministeri esprimesse la mediazione di interessi pubblici diversi e incidesse reciprocamente sui poteri dell’altro Ministro . Diversamente, invece, la V.I.A. regionale, relativa ad opere di minore importanza, non avrebbe acquisito questa valenza, conservando soltanto “natura marcatamente tecnico-discrezionale” .
L’impostazione secondo la quale gli interventi di V.I.A. di competenza statale sono connotati da rilievo politico si è mantenuta inalterata, nonostante alcuni tentativi di segno contrario volti a relegarli nell’ambito delle procedure gestorie connotate da mera valutazione tecnico-discrezionale. Tra le pronunce più significative che confermano la valenza politica della V.I.A. statale vi è quella che ha deciso sul ricorso contro il giudizio positivo di compatibilità ambientale del progetto di conversione a carbone e biomasse vergini della centrale di Porto Tolle (RO) nell’ambito del quale il Comune ricorrente ha lamentato l’incompetenza del Ministro dell’Ambiente, nell’emanazione, di concerto con il Ministro per i beni e le attività culturali, del decreto di accertamento che avrebbe dovuto essere istruito, invece, dalla dirigenza ministeriale. Il T.A.R. Roma, con pronuncia n. 32176 dell’8 settembre 2010, ha smentito tale tesi a partire dal dato testuale dell’art. 7, comma 5, del D. Lgs. n. 152/06 come modificato dal D. Lgs. n. 4/2008 che stabilisce “in sede statale, l’autorità competente è il Ministro dell’Ambiente e della tutela del Territorio e del Mare….di concerto con il Ministro per i beni e le attività culturali che collabora all’attività istruttoria…”. Invero, il precedente art. 5, comma 1, lett. p) nel fornire le definizioni fondamentali in materia, indica quale autorità competente la P.A. cui spetta “l’adozione…dei provvedimenti conclusivi in materia di V.I.A. nel caso di progetti…”tuttavia l’art. 7 stabilisce testualmente i soggetti competenti, individuando espressamente l’organo ministeriale il soggetto competente “per l’evidente ragione che sussiste in materia uno specifico interesse pubblico, generale e strategico all’incremento della produzione energetica della Repubblica, in disparte l’impossibilità ex art. 123 Cost. di ingerirsi nell’organizzazione interna in via immediata delle Regioni”. In aggiunta, il T.A.R. rammenta che l’art. 26 comma 2, decreto citato, attribuisce al Consiglio dei Ministri il potere sostitutivo (applicabile peraltro anche ai livelli di governo inferiori fino a che non intervengano norme regionali ad hoc), il che evidenzia “la natura generale, strategica ed essenziale per l’ordinamento generale della Repubblica della V.I.A.”. Oltre al dato normativo, il Collegio fa una considerazione di carattere generale, concludendo che la V.I.A. assume tratti di esercizio di “politica ambientale” quando con essa, oltre all’aspetto tecnico, “si valuti a fini ambientali la localizzazione di progetti di importanti opere pubbliche e si cooperi ad un’attività di pianificazione e di programmazione propria dell’organo politico” . Sono gli stessi articoli 23-16 del D. Lgs. n. 152/06 che, nel delineare il procedimento di V.I.A., “ne dimostrano la peculiare complessità appunto per la necessità di mediazione fra interessi articolati e variegati, degli enti locali e dell’Amministrazione Centrale, che coinvolge interessi costituzionalmente protetti (all’ambiente e allo sviluppo sostenibile)” .
Questo ragionamento negli ultimi anni è stato (giustamente) esteso anche agli interventi di V.I.A. di competenza regionale . Se è vero, come è vero, che il concetto di impatto ambientale implica necessariamente che le opere da valutare abbiano un’incidenza sugli elementi naturalistici del territorio, modificandolo in misura più o meno invasiva e penetrante, allora la natura ‘bifronte’ del procedimento di valutazione di impatto ambientale è insita nell’istituto e prescinde dalla rilevanza dell’opera che si intende realizzare (e, conseguentemente, sottoporre a valutazione ambientale).Da un lato le Regioni, dopo la riforma del titolo V della Costituzione hanno ottenuto ampia autonomia nella realizzazione ed espletamento della propria politica territoriale. Dall’altro la tutela dell’ambiente è finalità da ritenersi, in ogni caso, extra-regionale e di primario interesse statale: non a caso la competenza a legiferare in materia di tutela dell’ambiente è demandata in esclusiva allo Stato fatta salva, per le Regioni, la facoltà di stabilire più elevati livello di tutela.
Se, infatti, gli strumenti di valutazione integrata ambientale debbono essere utilizzati nella prospettiva di garantire lo sviluppo sostenibile (vd. art. 3 quater del D. Lgs. n. 152/06) “in modo da salvaguardare il corretto funzionamento e l’evoluzione degli ecosistemi naturali delle modificazioni negative che possono essere prodotte dalle attività umane” allora, la valutazione di opportunità politica che rappresenta il nocciolo del giudizio di compatibilità ambientale è in re ipsa e non ha alcun senso attaccarsi a inutili formalismi come quelli sulla decisione ‘concertata’ tra i due Ministeri statali. In sede regionale vi è il medesimo contemperamento tra più interessi, che fondamentalmente sono sempre quelli riconosciuti degli articoli 9, 32 e 41 della Costituzione e l’autorità competente a pronunciarsi, ferma restando la natura tecnico-discrezionale e gestionale dell’istruttoria, dovrà sempre tenere conto delle (talvolta opposte) istanze che promanano da questi principi costituzionali. In questo senso, secondo alcuni, lo sviluppo sostenibile rappresenta il limite oltre il quale il politico non può spingersi pena l’illegittimità della decisione assunta .
Sullo sfondo di questo quadro concettuale si inserisce la necessità che la valutazione di impatto ambientale costituisca strumento di controllo del rischio ambientale che trova il suo principale bacino di contenimento nel principio di precauzione.
In questo orizzonte, la ponderazione degli interessi e la comparazione dei rischi assume un ruolo persino centrale nella definizione dell’istituto, il cui momento ‘politico’ diventa, pertanto, imprescindibile nella costituzione della sua struttura. E’ evidente che laddove si ragioni in termini di ‘ratio’ dell’istituto, si coglie con tutta evidenza che il giudizio di compatibilità ha a oggetto ponderazione di interessi pubblici e privati che non possono essere relegati nell’ambito di meri atti “gestori”. E’ ovvio il timore che la connotazione politica possa sottrarre alcuni elementi di giudizio al sindacato del giudice amministrativo ma non si può non considerare che l’intero Testo Unico Ambientale è disseminato di procedimenti la cui natura politica è in re ipsa, vista l’importanza e la complessità degli interessi che tutela.