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La concessione o il diniego delle attenuanti generiche.

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Determinazione della pena – Poteri e limiti del giudice – Art. 133 c.p..

In tema di determinazione della pena, quanto più il giudice intenda discostarsi dal minimo edittale, tanto più ha il dovere di dare ragione del corretto esercizio del proprio potere discrezionale, indicando specificamente quali, tra i criteri, oggettivi o soggettivi, enunciati dall’art. 133 c.p., siano stati ritenuti rilevanti ai fini di tale giudizio, dovendosi perciò escludere che sia sufficiente il ricorso a mere clausole di stile, quali il generico richiamo alla “entità del fatto” e alla “personalità dell’imputato”  (così, in motivazione, Cass. Sez. 6, n. 35346 del 12/06/2008, Bonarrigo; cfr. anche Sez. 1, n. 2413 del 13/03/2013, Pachiarotti; Sez. 6, n. 2925 del 18/11/1999, Baragiani). Si può far ricorso esclusivo a tali clausole, così come a espressioni del tipo: “pena congrua”, “pena equa”, “congruo aumento”, solo quando il Giudice non si discosti molto dai minimi edittali (Sez. 1, n. 1059 del 14/02/1997, Gagliano;Sez. 3, n. 33773 del 29/05/2007, Ruggieri) oppure quando, in caso di pene alternative, applichi la sanzione pecuniaria, ancorché nel suo massimo edittale (Sez. 1, n. 40176 del 01/10/2009, Russo; Sez. 1, n. 3632 del 17/01/1995, Capelluto).

La concessione o il diniego delle attenuanti generiche rientrano nel potere discrezionale del giudice di merito, il cui esercizio, positivo o negativo che sia, deve essere bensì motivato ma nei soli limiti atti a far emergere in misura sufficiente il pensiero dello stesso giudice circa l’adeguamento della pena concreta alla gravità effettiva del reato ed alla personalità del reo. Il giudice non è tenuto ad una analitica valutazione di tutti gli elementi, favorevoli o sfavorevoli, dedotti dalle parti ma, in una visione globale di ogni particolarità del caso, è sufficiente che dia l’indicazione di quelli ritenuti rilevanti e decisivi ai fini della concessione o del diniego, rimanendo implicitamente disattesi e superati tutti gli altri, pur in carenza di stretta contestazione (così, in motivazione, Sez. 3, n. 19639 del 27/01/2012, Gallo; si veda anche Sez. 5, n. 7562 del 17/01/2013, La Selva).

A norma dell’art. 165, comma 2, cod. pen., «la sospensione condizionale della pena, quando è concessa a persona che ne ha già sufruito, deve essere subordinata all’adempimento di uno degli obblighi previsti nel comma precedente» e cioè, alternativamente: 1) all’adempimento dell’obbligo delle restituzioni, al pagamento della somma liquidata a titolo di risarcimento del danno o provvisoriamente assegnata sull’ammontare di esso e alla pubblicazione della sentenza a titolo di riparazione del danno; 2) all’eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose del reato; 3) alla prestazione di attività non retribuita a favore della collettività per un tempo determinato, comunque non superiore alla durata della pena sospesa, secondo le modalità indicate dal giudice nella sentenza di condanna.

Tale disposizione, tuttavia, non si applica qualora la sospensione condizionale della pena sia stata concessa ai sensi del quarto comma dell’articolo 163 cod. pen. che così recita: «Qualora la pena inflitta non sia superiore ad un anno e sia stato riparato interamente il danno, prima che sia stata pronunciata la sentenza di primo grado, mediante il risarcimento di esso e, quando sia possibile, mediante le restituzioni, nonché qualora il colpevole, entro lo stesso termine e fuori del caso previsto nel quarto comma dell’articolo 56, si sia adoperato spontaneamente ed efficacemente per elidere o attenuare le conseguenze dannose o pericolose del reato da lui eliminabili, il giudice può ordinare che l’esecuzione della pena, determinata nel caso di pena pecuniaria ragguagliandola a norma dell’articolo 135, rimanga sospesa per il termine di un anno».

In ogni caso, la sospensione condizionale della pena, anche quando concessa per la seconda volta, «è ammessa soltanto se, avuto riguardo alle circostanze indicate nell’articolo 133, il giudice presume che il colpevole si asterrà dal commettere ulteriori reati» (art. 164, comma 1. cod. pen.).

Prima ancora, dunque, di stabilire se, e a quali obblighi la concessione del beneficio possa o debba essere subordinata, è necessario che il giudice preliminarmente effettui un giudizio prognostico, all’esito del quale soltanto potrà affermare che, nonostante le precedenti condanne, il colpevole si asterrà dal commettere ulteriori reati; solo all’esito di tale giudizio potrà ulteriormente procedere ai sensi dell’art. 165, comma 2°, salvo che non ricorra l’ipotesi di cui all’art. 163, comma 4°, cod. pen..

Tale giudizio prognostico, poiché deve essere effettuato avendo riguardo alle circostanze di cui all’art. 133 cod. pen., può certamente considerare anche il comportamento tenuto dal colpevole successivamente alla commissione del reato, ma non può fondarsi sul fatto che questi non ha adempiuto ad obblighi che ancora gli sono stati imposti e che, anzi, presuppongono una prognosi positiva.

 

(CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. 3^ 16 Aprile 2014 Sentenza n. riforma sentenza del 21/05/2013 del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Milano) Pres. Fiale, Est. Aceto, Ric. Bergamo ed altro

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