Di Stefano Nespor. Il 1 luglio scorso è entrata in vigore in Australia la carbon tax, in mezzo a accese polemiche. Introdotta dal Governo laburista a seguito di un accordo con i Verdi e osteggiata dall’opposizione per i quali la tassa rappresenta un attentato all’economia nazionale , l’obiettivo della carbon tax è di ridurre le emissioni di anidride carbonica del 5% entro il 2020 e del 80% entro il 2050, assumendo come riferimento il livello di emissioni dell’anno 2000. Va tenuto presente a questo proposito che l’Australia è il primo paese su scala mondiale per emissioni di anidride carbonica in rapporto alla popolazione: con una popolazione di 22 milioni di abitanti, è da sola responsabile su scala globale del 1,5% delle emissioni che producono effetto serra (quasi come la Gran Bretagna, che ha una popolazione tre volte superiore).
La tassa riguarda circa 300 attività industriali e commerciali (per alcune delle quali sono però previsti meccanismi compensativi, mentre è totalmente esente il settore agricolo) ed è stata fissata, fino al 2015, in 23 dollari australiani per tonnellata di anidride carbonica emessa; a partire dal 2015 l’ammontare della tassa varierà in relazione alla domanda e quindi al mercato. Una rilevazione effettuata poche settimane prima dell’entrata in vigore della tassa ha indicato come favorevoli solo il 37% degli elettori, mentre il 59% è contrario. Le previsioni sono che alla prossima tornata elettorale, fissata nel 2013, il Partito laburista subirà un vero e proprio tracollo, anche perché durante la campagna elettorale aveva escluso che una carbon tax di qualsiasi tipo sarebbe stata introdotta.
Ma non è detto che ciò accada.
Passiamo ad esaminare l’esperienza di un altro paese che ha introdotto la carbon-tax nel suo ordinamento: il British Columbia, una provincia del Canada spesso chiamato la “California del Canada” per I suoi orientamenti progressisti e ambientalisti. Qui, curiosamente a parti invertite, la carbon-tax è stata introdotta nei primi mesi del 2008 dal governo di centro destra di Gordon Campbell con la recisa opposizione dei partiti progressisti (per i quali essa avrebbe colpito in modo iniquo i lavoratori). Ebbene, nonostante tutte le previsioni, l’anno seguente il governo di Campbell è stato rieletto dopo una campagna elettorale che aveva visto proprio la carbon tax al centro del dibattito. Oggi, a tre anni di distanza, essa è sostenuta anche da gran parte dei partiti di opposizione (alcuni dei quali hanno pubblicamente riconosciuto l’errore inizialmente commesso). Non solo: la tassa, che colpisce l’anidride carbonica prodotta da chiunque, soggetto privato o imprenditore, utilizzando combustibili fossili di qualsiasi tipo, è stata recentemente aumentata ed è stata portata da 25 a 30 dollari per tonnellata di anidride carbonica prodotta. C’è da chiedersi perché, nel British Columbia, tutti sono così contenti di una nuova tassa e del fatto che essa sia stata aumentata.
La risposta è agevole. I proventi della carbon tax sono utilizzati per ridurre la pressione fiscale. Grazie ad essa, l’imposizione sulle società di capitali è stata ridotta dal 12% al 10%, una delle aliquote più basse tra i paesi industrializzati. Sono stati anche ridotte le imposte sugli investimenti produttivi e l’imposta sul reddito per tutti i soggetti che dichiarano un reddito inferiore a circa 120.000 dollari all’anno.
Da un punto di vista ambientale, i vantaggi della carbon tax sono evidenti: essa ha l’effetto di ridurre le emissioni che producono cambiamento climatico. Facendo pagare chi inquina si ottengono effetti più rapidi e più consistenti, come ormai è noto da esperienze precedenti, che non utilizzando altri mezzi. Infatti, nei tre anni in cui la tassa è stata in vigore, nel British Columbia le emissioni di anidride carbonica sono calare del 4.5%, nonostante che siano cresciuti la popolazione e il prodotto nazionale lordo.
Ma anche da un punto di vista strettamente economico, il meccanismo ideato nel British Columbia sembra l’uovo di Colombo: si tassa qualcosa che produce effetti negativi sul benessere e sull’ambiente e si riducono le tasse su attività rivolte allo sviluppo. Ed è proprio perché una carbon tax può produrre effetti nel lungo periodo sullo sviluppo, e sullo sviluppo sostenibile, che convergono nel sostenerne l’utilità esperti di vari orientamenti, dal conservatore Arthur Laffer a Joseph Stiglitz sul versante progressista.
Inoltre, la carbon tax ha aspetti positivi anche dal punto di vista sociale. Essa consente a ciascuno di tenere sotto controllo il proprio modo di vivere e quella che viene comunemente chiamata la propria “impronta climatica”: contenendo volontariamente le attività che producono emissioni climaticamente dannose e contribuendo quindi al benessere comune, si ottiene anche il vantaggio individuale di ridurre l’imposizione a proprio carico.
Anche in Italia qualcosa si muove. Anche nel nostro paese dovrebbe essere introdotta una carbon tax, i cui proventi dovrebbero essere utilizzati per finanziare le energie pulite. È quanto è previsto dal DDL fiscale approvato in Consiglio dei ministri nel maggio scorso. L’art.15 del DDL stabilisce che nei decreti legislativi di attuazione della delega fiscale il Governo inserisca “nuove forme di imposizione finalizzate a preservare e garantire l’equilibrio ambientale e revisione della disciplina delle accise sui prodotti energetici in funzione del contenuto di carbonio, prevedendo che il gettito riveniente dall’introduzione della carbon tax sia destinato prioritariamente alla revisione del sistema di finanziamento delle fonti rinnovabili e degli interventi volti alla tutela dell’ambiente, in particolare alla diffusione delle tecnologie a basso contenuto di carbonio”.
Certamente, quell’avverbio “prioritariamente” induce più di un sospetto. Sappiamo tutti come queste cose vanno a finire e c’è da aspettarsi che, con le più svariate motivazioni , i proventi della carbon tax saranno, in tutto o in parte, destinati, sia pure in modo “non prioritario”, ad altre finalità che nulla hanno a che vedere con il finanziamento delle fonti rinnovabili e con la tutela dell’ambiente.
Ma volendo essere ottimisti, è un passo avanti: Se le destinazioni prioritarie saranno rispettate a fronte della tassa dovrà verificarsi una riduzione dei costi energetici oggi a carico del contribuente (anche se il destino della carbon tax italiana è ancorato a quanto sarà previsto a livello di Unione europea e più precisamente dalla proposta di direttiva del Consiglio europeo in materia di tassazione dei prodotti energetici e dell’elettricità).