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INQUINAMENTO ATMOSFERICO: Attività di lavorazione pelli emissioni in atmosfera.

INQUINAMENTO ATMOSFERICO – Attività di lavorazione pelli – Impianto con emissioni in atmosfera – Macchinario per lo spruzzo – Autorizzazione distinte per singolo macchinario – Esclusione – Artt. 183, 256, 269, 272, 279, d.lgs. n. 152/2006 – RIFIUTI – Gestione illecita dei rifiuti – Nozione di deposito temporaneo – Presupposti – Giurisprudenza.

Argomento: Giurisprudenza Sentenze per esteso massime

Autorità: Corte di Cassazione

Categoria:                                                                        Vedi il canale  GIURISPRUDENZA

Provvedimento: Sentenza – Numero: 51033 – Sez.: 3^ – Data deposito: 09/11/2018 – Data emissione: 07/07/2018 – Presidente: LAPALORCIA – Estensore: CORBETTA
CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez.3^ 09/11/2018 (Ud. 07/11/2018), Sentenza n.51033
 
INQUINAMENTO ATMOSFERICO – Attività di lavorazione pelli – Impianto con emissioni in atmosfera – Macchinario per lo spruzzo – Autorizzazione distinte per singolo macchinario – Esclusione – Artt. 183, 256, 269, 272, 279, d.lgs. n. 152/2006.
In tema di inquinamento atmosferico, l’autorizzazione è rilasciata con riferimento allo stabilimento. I singoli impianti e le singole attività presenti nello stabilimento non sono oggetto di distinte autorizzazioni.” Dal dettato normativo, ex art. 269 d.lgs. n. 152 del 2006, si evince che l’autorizzazione sia rilasciata “con riferimento allo stabilimento” e non già al singolo macchinario. Come poi emerge dall’incipt, la norma fa salvo quanto stabilito, tra l’altro, dall’art. 272, comma 1, che così recita: “Non sono sottoposti ad autorizzazione di cui al presente titolo gli stabilimenti in cui sono presenti esclusivamente impianti e attività elencati nella parte I dell’Allegato IV alla parte quinta del presente decreto. L’elenco si riferisce a impianti e ad attività le cui emissioni sono scarsamente rilevanti agli effetti dell’inquinamento atmosferico.” Nella parte I dell’Allegato IV – impianti e attività in deroga della Parte Quinta, che individua gli “impianti ed attività di cui all’articolo 272, comma 1”, alla lett. q) sono indicati i “macchinari a ciclo chiuso di concerie e pelliccerie”.
RIFIUTI – Gestione illecita dei rifiuti – Nozione di deposito temporaneo – Presupposti – Giurisprudenza.
In tema di gestione illecita dei rifiuti, per luogo di produzione rilevante ai fini della nozione di deposito temporaneo ai sensi dell’art. 183 d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152 deve intendersi quello in cui i rifiuti sono prodotti ovvero che si trovi nella disponibilità dell’impresa produttrice e nel quale gli stessi sono depositati, purché funzionalmente collegato al luogo di produzione e dotato dei necessari presidi di sicurezza (Sez. 7, n. 17333 del 18/03/2016, dep. 27/04/2016, Passarelli).
 
(annulla con rinvio sentenza del 17/05/2017 – TRIBUNALE DI AVELLINO) Pres. LAPALORCIA, Rel. CORBETTA, Ric. De Piano
CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez.3^ 09/11/2018 (Ud. 07/11/2018), Sentenza n.51033
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE,
composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
omissis
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da De Piano Michele, nato a Avellino;
avverso la sentenza del 17/05/2017 del Tribunale di Avellino;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Stefano Corbetta;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Giulio Romano, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con l’impugnata sentenza, il Tribunale di Avellino condannava Michele De Piano alla pena di 3.300 euro di ammenda, condizionalmente sospesa, perché ritenuto responsabile dei seguenti reati: artt. 269, 279, comma 1, d.lgs. n. 152 del 2006, perché, nella qualità di legale rappresentante della DEP srl unipersonale avente ad oggetto attività di lavorazione pelli, esercitava, in assenza di autorizzazione, un impianto con emissioni in atmosfera costituito da macchinario per lo spruzzo (capo 1); art. 256 d.lgs. n. 152 del 2006, per aver effettuato, nell’esercizio dell’impresa sopra indicata, attività di stoccaggio di rifiuti speciali in assenza di autorizzazione (capo 2).
2. Avverso l’indicata sentenza, l’imputato, per il tramite del difensore di fiducia, propone ricorso per cassazione affidato a tre motivi.
2.1. Con il primo motivo si deduce violazione ed erronea applicazione degli artt. 269, 279, comma 1, d.lgs. n. 152 del 2006 e relativo vizio motivazionale. Oltre a censurare la carenza di motivazione in ordine agli elementi costitutivi del reato e la riconducibilità del fatto all’imputato, il ricorrente assume che il Tribunale avrebbe erroneamente ritenuto la sussistenza del reato contestato al capo A), in quanto l’attività di lavorazione delle pelli non necessiterebbe del rilascio di una previa autorizzazione, che, a fortiori, non sarebbe richiesta per l’utilizzo di un singolo macchinario, come si desumerebbe dall’allegato 5/4 alla parte V del d.lgs. n. 152 del 2006, che, nella parte I, lett. q), nel disciplinare le attività in deroga alle autorizzazioni previste dal citato d.lgs., indica proprio i macchinari di concerie e pelliccerie.
2.2. Con il secondo motivo si eccepisceviolazione ed erronea applicazione dell’art. 256 d.lgs. n. 152 del 2006 e relativo vizio motivazionale. Dopo aver censurato la carenza di motivazione, il ricorrente evidenzia come l’attività di stoccaggio non sia ricompresa tra quelle considerate dall’art. 256 d.lgs. n. 152 del 2006; il fatto, secondo il ricorrente, potrebbe, al più, essere ricondotto nell’ipotesi prevista dall’art. 183, lett. m) d.lgs. n. 152 del 2006, che, però, non sarebbe ravvisabile nel caso in esame, non essendovi prova dell’eventuale mancato rispetto delle condizioni ivi indicate.
2.3. Con il terzo motivo si lamenta violazione degli artt. 62 bis, 133 e 131 bis cod. pen. Il ricorrente censura la sentenza impugnata, nella parte relativa al trattamento sanzionatorio, stante l’eccessività della pena inflitta e l’assenza di motivazione in ordine alla mancata applicazione dell’art. 131 bis cod. pen. e delle circostanze attenuanti generiche.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è fondato in relazione ai primi due motivi, con conseguente assorbimento del terzo.
2. Il primo motivo è fondato.
L’art. 269 d.lgs. n. 152 del 2006 dispone che: “fatto salvo quanto stabilito dall’articolo 267, commi 2 e 3, dal comma 10 del presente articolo e dall’articolo 272, commi 1 e 5, per tutti gli stabilimenti che producono emissioni deve essere richiesta una autorizzazione ai sensi della parte quinta del presente decreto. L’autorizzazioneè rilasciata con riferimento allo stabilimento. I singoli impianti e le singole attività presenti nello stabilimento non sono oggetto di distinte autorizzazioni.” Dal chiaro tenore della norma si evince che l’autorizzazione in esame è rilasciata “con riferimento allo stabilimento”, e non già al singolo macchinario. Come poi emerge dall’incipt, la norma fa salvo quanto stabilito, tra l’altro, dall’art. 272, comma 1, che così recita: “Non sono sottoposti ad autorizzazione di cui al presente titolo gli stabilimenti in cui sono presenti esclusivamente impianti e attività elencati nella parte I dell’Allegato IV alla parte quinta del presente decreto. L’elenco si riferisce a impianti e ad attività le cui emissioni sono scarsamente rilevanti agli effetti dell’inquinamento atmosferico.” Nella parte I dell’Allegato IV – impianti e attività in deroga della Parte Quinta, che individua gli “impianti ed attività di cui all’articolo 272, comma 1”, alla lett. q) sono indicati i “macchinari a ciclo chiuso di concerie e pelliccerie”.
Orbene, dalla scarna motivazione del provvedimento impugnato non risulta se lo stabilimento fosse o meno soggetto ad autorizzazione e, in ogni caso, se così non fosse, il Tribunale non ha valutato se il macchinario per lo spruzzo sia o meno da considerarsi macchinario a ciclo chiuso di concerie e pelliccerie, in relazione al quale non è richiesta l’autorizzazione.
La sentenza deve perciò essere annullata con rinvio per nuovo esame sul punto.
3. Il secondo motivo è, parimenti, fondato.
Invero, secondo quanto risulta dal capo di imputazione, presso l’azienda erano stoccati rifiuti definiti speciali; in assenza di una precisazione in ordine alla loro tipologia, tali rifiuti parrebbero rappresentarelo scarto della lavorazione, ciò che potrebbe comportare la realizzazione di un “deposito temporaneo”, definito dall’art. 183 d.lgs. n. 52 del 2006 come “il raggruppamento dei rifiuti effettuato, prima della raccolta, nel luogo in cui gli stessi sono prodotti”, nel rispetto delle condizioni ivi indicate. Al tal proposito, in giurisprudenza si è chiarito che, in tema di gestione illecita dei rifiuti, per luogo di produzione rilevante ai fini della nozione di deposito temporaneo ai sensi dell’art. 183 d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152 deve intendersi quello in cui i rifiuti sono prodotti ovvero che si trovi nella disponibilità dell’impresa produttrice e nel quale gli stessi sono depositati, purchè funzionalmente collegato al luogo di produzione e dotato dei necessari presidi di sicurezza (Sez. 7, n. 17333 del 18/03/2016, dep. 27/04/2016, Passarelli, Rv.266911).
Dalla sentenza impugnata, non è dato comprendere la penale rilevanza del fatto, non essendo indicato il tipo di rifiuto, né essendo stata considerata l’ipotesi del “deposito temporaneo” e l’osservanza o meno delle prescrizioni di cui all’indicato art. 183. Anche in relazione a tale punto, pertanto, la sentenza deve essere annullata con rinvio per nuovo esame.
Va, infine, rilevato che il termine di prescrizione del reato, consumato il 25 giugno 2014, non risulta ancora decorso, in quanto, tenendo conto di 133 giorni di sospensione (dal 26 giugno 2018 alla data odierna, quale conseguenza dell’adesione del difensore all’astensione dall’attività di udienza proclamata dall’associazione di categoria), che si sommano al termine ordinario di cinque anni, maturerà in data 6 novembre 2019.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata con rinvio al Tribunale di Avellino per nuovo giudizio.
Così deciso il 07/11/2018.
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