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Il riordino delle Province secondo il Ministro Patroni Griffi – QUOTIDIANO LEGALE
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Il riordino delle Province secondo il Ministro Patroni Griffi

di Carlo Rapicavoli – L’intervista rilasciata dal Ministro Patroni Griffi al Corriere della Sera, pubblicata il 5 novembre, sui contenuti del decreto legge sul riordino delle Province, suscita non poche perplessità e dimostra ancora di più la confusione che regna su tale provvedimento.

Alcuni punti del ragionamento del Ministro (riportiamo testualmente le parole del Ministro Patroni Griffi):

1) Le Province non sono state soppresse per tre motivi: “era necessaria una riforma costituzionale che questo Governo non avrebbe fatto in tempo a vedere ultimata; in tutti i grandi Paesi europei l’amministrazione locale è composta da tre livelli; ci sono funzioni che interessano più Comuni, come quelle che riguardano licei e strade”.

2) Sui risparmi: “direi alcune centinaia di milioni. Il ministro Giarda fornirà conti precisi a fine della settimana. Di sicuro si spenderà meno per immobili e si ridurranno le sedi dello Stato. Esempio: la Prefettura di una città piccola come Isernia costa 12 volte quella di Milano e 7 volte quella di Napoli”.

3) “Se fossero state abolite tutte le Province avremmo risparmiato meno. Un solo caso: se avessimo dovuto trasferire parte del personale alle Regioni ed equiparare i contratti, avremmo un costo del 23 per cento in più. Se le Regioni non avessero assorbito il personale, ma solo le funzioni, avrebbero probabilmente costituito un’agenzia o una società pubblica, con i costi che è facile immaginare”.

Le affermazioni del Ministro francamente appaiono molto discutibili e contraddittorie.

1) Se – come correttamente afferma il Ministro – risulta razionale sul piano organizzativo mantenere un livello di governo intermedio tra Regione e Comuni – come dimostrato in tutti i Paesi europei – perché non concentrarsi sulle funzioni prima di perseguire pervicacemente un percorso di depotenziamento delle competenze e accorpamenti territoriali privi di ogni razionalità?

E se lo stesso Ministro afferma l’esigenza di tre livelli, quale logica ha affermare che non si è decisa la soppressione solo perché l’attuale Governo non avrebbe fatto in tempo a vedere ultimata una riforma costituzionale?

E’ un problema di paternità della riforma?

Quasi fosse necessario il taglio del nastro inaugurale da non lasciare in eredità o ai meriti del prossimo Governo…

Se sono necessari tre livelli di governo, allora bisogna smettere di discutere di soppressione e si lavori finalmente sulle competenze; se sono inutili allora si proceda alla soppressione definitiva.

2) La questione dei risparmi è davvero singolare.

Il riferimento incontrovertibile è ricavato dalla relazione tecnica del Governo al decreto legge 6 luglio 2012 n. 95 che in merito all’art. 17 sulle Province così spiega:

“Si tratta di una norma procedurale e, pertanto, non è possibile allo stato attuale quantificarne gli effetti finanziari, posto che questi potranno essere rilevati solo successivamente, al completamento dell’iter.

La disposizione normativa, in ogni caso, avrà effetti virtuosi in considerazione dei risparmi di spesa che deriveranno dalla riduzione del numero delle circoscrizioni provinciali.

Le disposizioni contenute nei commi da 6 a 9, che, in attuazione dell’art. 23 comma 18 del decreto legge n. 201 del 2011, come convertito, con modificazioni, dalla legge n. 214 del 2011, trasferiscono ai Comuni tutte le funzioni riguardanti le materie di legislazione esclusiva statale già conferire alle province, comportano prospettive di maggiore integrazione funzionale con le funzioni già di competenza comunale. La norma non è suscettibile di produrre oneri in quanto contestualmente al trasferimento delle funzioni, saranno trasferiti altresì i beni e le risorse finanziarie, umane, strumentali e organizzative. L’effettiva quantificazione dei risparmi di spesa sarà possibile solo dopo l’individuazione delle singole funzioni, da effettuare con successivo decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri da adottarsi entro sessanta giorni dall’entrata in vigore del presente decreto”.
Adesso il Ministro parla di alcune centinaia di milioni di risparmi.

Malgrado da un anno, dall’art. 23 del decreto salva Italia, si discuta della riforma delle Province, è evidente che ad oggi è impossibile quantificare i presunti risparmi – o forse l’incremento di oneri – che tale riforma determinerà.

E malgrado la riforma sia avvenuta a colpi di decreti legge giustificati con l’urgenza “del contenimento della spesa pubblica”.

In più: se il risparmio deriva dalla chiusura e accorpamento degli uffici periferici dello Stato, perché non procedere autonomamente, senza intervenire sui livelli istituzionali di Governo della Repubblica.

L’accorpamento delle Prefetture più “piccole” poteva senz’altro avvenire prescindendo dal contemporaneo accorpamento delle Province e senza richiedere alcuna riforma costituzionale.

3) Ciò che stupisce maggiormente è l’affermazione relativa al personale.

Da tempo si è sottolineato come la soppressione o accorpamento delle Province avrebbe comportato maggiori costi.

Adesso lo riconosce anche il Ministro.

Ma alle sue affermazioni non corrisponde un coerente disegno normativo.

L’art. 4 del decreto legge approvato il 31 ottobre prevede: “Nelle materie di cui all’articolo 117, commi terzo e quarto, della Costituzione, le regioni con propria legge trasferiscono ai comuni le funzioni già conferite alle province dalla normativa vigente salvo che, per assicurarne l’esercizio unitario, tali funzioni siano acquisite dalle regioni medesime. In caso di trasferimento delle funzioni ai sensi del primo periodo, sono altresì trasferite le risorse umane, finanziarie e strumentali. Nelle more di quanto previsto dal primo periodo le funzioni restano conferite alle province”.

In dispregio ancora una volta delle Autonomie, in palese contraddizione con la stessa scelta di mantenere un livello intermedio di amministrazione tanto da far affermare al Governo nella relazione illustrativa che: “La riforma delle Province, nel suo complesso, dà attuazione al Titolo V, Parte II, della Costituzione, rendendo la loro dimensione territoriale più adeguata alla particolare connotazione quale ente di area vasta”, con decreto legge si viola palesemente l’art. 118 della Costituzione.

Lo stesso Governo nel comunicato stampa afferma: “La riforma si ispira ai modelli di governo europei. In tutti i principali Paesi Ue, infatti, ci sono tre livelli di governo. Il provvedimento consente inoltre una razionalizzazione delle competenze”.

Nei fatti, il Governo pretende di imporre alle Regioni, anche nelle materie di competenza regionale, di attribuire ai Comuni o di acquisire tutte le funzioni amministrative, senza alcuna possibile valutazione di merito sull’ambito ottimale di gestione delle funzioni sovracomunali.

Così contemporaneamente si violano i principi costituzionali che vedono nella Regione un Ente con potestà legislativa e Comuni, Province e Città metropolitane, come enti titolari di funzioni amministrative proprie e conferite con legge statale o regionale secondo le rispettive competenze (art. 118, comma 2, Costituzione).

Dunque senza alcuna valutazione preventiva, si decide che funzioni essenziali, oggi svolte dalle Province, come le funzioni in materia di mercato del lavoro, centri per l’impiego e formazione professionale, debbano essere trasferite alle Regioni o ai Comuni.

Sono funzioni cui sono destinati oltre un terzo di tutti i dipendenti delle Province con la conseguenza che l’attuazione della riforma, oltre a creare disservizi sul territorio, determinerà proprio l’effetto paventato dal Ministro: l’aumento dei costi.

E sono le stesse funzioni – quelle nel campo dello sviluppo economico-servizi del mercato del lavoro svolte dalle Province – per le quali il Consiglio dei Ministri, il 4 ottobre scorso, ha approvato in via preliminare lo schema di decreto per l’adozione delle note metodologiche per la stima dei fabbisogni standard in attuazione dell’articolo 6 del decreto legislativo n. 216 del 2010 in materia di “determinazione dei costi e dei fabbisogni standard di Comuni, Città metropolitane e Province”.

Non è tollerabile che si pretenda di riformare il nostro ordinamento con proclami, atti di forza e violazione dei principi costituzionali, quando appare necessario un percorso di riforme condivise, non conflittuali, che riportino fiducia nelle Istituzioni.

Né si può pensare di cogliere la triste e deprecabile occasione fornita dai recenti scandali per accelerare riforme che – come prefigurate – non produrranno alcun beneficio.

Bisogna innanzitutto delimitare gli spazi d’azione della Pubblica Amministrazione, semplificare e disboscare tutti quegli ambiti di intervento nei quali non ha senso né utilità l’intervento pubblico come oggi esistente, che può rappresentare soltanto un appesantimento di procedure e costi senza benefici.

Quindi va individuato l’ambito territoriale ottimale e il livello di governo migliore per l’esercizio delle funzioni, individuando con chiarezza ed univocità chi fa cosa, per chiarezza, semplificazione ed individuazione certa delle responsabilità.

Un adeguato ed efficace sistema di controlli garantisce la correttezza della gestione.

Se davvero si vuole attuare una riforma “utile”, si parta finalmente dalle funzioni e si abbandoni la pretesa di ridisegnare i confini tramite decreto, prescindendo del tutto dagli obiettivi reali di razionalizzazione e semplificazione.

Senza voler contraddire il Governo: si parta dalle considerazioni dello stesso Ministro Patroni Griffi e si proceda coerentemente, abbandonando finalmente inutile demagogia e populismo che finora hanno ispirato ogni intervento normativo sulle autonomie locali.

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Un’ultima considerazione riguarda le Giunte Provinciali.

Nella foga di tagliare ogni rappresentanza e ogni organo di governo locale, il decreto legge dispone la soppressione delle Giunte Provinciali già dal 1° gennaio 2013.

Come ha dichiarato il Presidente della Provincia di Torino: “La decisione del Governo di cancellare le giunte delle Province nel decreto sul riordino è frutto di una visione autoritaria che lede gli organismi di democrazia locale. Una volta che si comprende l’importanza di queste istituzioni nel sistema di governo del Paese, e si assegnano funzioni determinanti per l’amministrazione dei territori, non ha senso cancellare le giunte che sono chiamate a sostenere proprio queste funzioni. Sarebbe come dire che il Paese non ha bisogno di un Consiglio dei Ministri, che non servono le Giunte regionali o quelle comunali. Chiediamo al garante della Costituzione, il Capo dello Stato Giorgio Napolitano, che venga garantito anche alle Province il rispetto dovuto a tutti gli organi dello Stato”.

Si tratta ancora una volta di una norma ordinamentale, di grandissimo impatto organizzativo su un Ente costituzionalmente garantito, introdotta con decretazione d’urgenza del tutto privo dei presupposti di legittimità, di ragionevolezza, di necessità ed urgenza.

La norma prevede che “le competenze della Giunta sono svolte dal presidente della provincia, che può delegarle ad un numero di consiglieri provinciali non superiore a tre”.

Una norma davvero incomprensibile.

Secondo l’art. 48 del Testo Unico degli Enti Locali (D. Lgs. 267/2000) “La Giunta collabora con il con il presidente della provincia nel governo della provincia ed opera attraverso deliberazioni collegiali. La Giunta compie tutti gli atti rientranti ai sensi dell’articolo 107, commi 1 e 2, nelle funzioni degli organi di governo, che non siano riservati dalla legge al consiglio e che non ricadano nelle competenze, previste dalle leggi o dallo statuto, del presidente della provincia; collabora con il presidente della provincia nell’attuazione degli indirizzi generali del consiglio; riferisce annualmente al consiglio sulla propria attività e svolge attività propositive e di impulso nei confronti dello stesso. È, altresì, di competenza della Giunta l’adozione dei regolamenti sull’ordinamento degli uffici e dei servizi, nel rispetto dei criteri generali stabiliti dal consiglio”.

L’attribuzione al Presidente delle competenze della Giunta fa sì che gli attuali atti deliberativi collegiali si trasformeranno in atti monocratici (come nel caso delle gestioni commissariali).

Ciò che non si comprende è la previsione secondo cui il Presidente può delegare le competenze ad un numero di consiglieri non superiori a tre.

In che consiste l’istituto della delega? Il consigliere delegato che funzioni avrebbe?

I tre consiglieri parteciperebbero con il presidente ad un organo collegiale che delibera?

Il Consiglio è l’organo che svolge funzioni di indirizzo e controllo nei riguardi dell’attività propriamente esecutiva della Giunta.

In che posizione si troverebbero i tre consiglieri delegati?

Il vero rischio è che se non si procede a correttivi effettivi al testo, si determinerà soltanto caos e incertezza istituzionale, aggravio di costi e disservizi per i cittadini.

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