Trattandosi di reato di pericolo e non di danno, non è necessario che la riscossione dei tributi sia già in atto, ma devono ricorrere i presupposti previsti dalla norma.
Decisione: Sentenza n. 13233/2016 Cassazione Penale – Sezione III
Il caso.
Una contribuente veniva assoggettata a sequestro preventivo per oltre 2 milioni di euro per aver posto in essere una serie di operazioni immobiliari, in particolare la vendita di una particella edificiale a una società svizzera con soci non identificabili al fine di sottrarre il bene alla procedura esecutiva promossa dall’Agenzia delle Entrate per imposte sui redditi.
Il Tribunale del riesame rigettava la richiesta di riesame del decreto di sequestro preventivo, e la ricorrente ricorreva in Cassazione, ritenuto parzialmente fondato.
La decisione.
Nell’esaminare il ricorso, dapprima la Cassazione chiarisce che «il momento consumativo del reato di cui all’art. 11 Decreto Legislativo n. 74/2000. coincide non già con la data della pretesa evasione delle imposte al cui conseguimento mirano le condotte di alienazione simulata o di compimento di altri atti fraudolenti bensì con il momento in cui queste ultime siano state poste in essere».
Quindi precisa che il reato di sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte di cui all’art.11 del d.lgs. n. 74 del 2000 « è, come in più occasioni precisato, reato di pericolo», cioè «non richiede che l’amministrazione tributaria abbia già compiuto un’attività di verifica, accertamento o iscrizione a ruolo né richiede, quanto all’evento (che, nella previgente previsione, era essenziale ai fini della configurabilità del reato) la sussistenza di una procedura di riscossione in atto e la effettiva vanificazione della riscossione tributaria coattiva».
A conferma di ciò, il Collegio ricorda che «il bene giuridico protetto dalla norma va individuato nella garanzia generica patrimoniale offerta al fisco dai beni dell’obbligato, tenuto conto che il debitore, ex art. 2740 c.c., risponde dell’adempimento delle proprie obbligazioni con tutti i suoi beni presenti e futuri».
E ne precisa i contorni, cioè la «necessità che la condotta volta alla sottrazione del bene si caratterizzi per la natura simulata dell’alienazione del bene o per la natura fraudolenta degli atti compiuti sui propri o sugli altrui beni : in altre parole, solo un atto di disposizione del patrimonio che si caratterizzi per tali modalità, strettamente tipizzate dalla norma, può essere idoneo a vulnerare le legittime aspettative dell’Erario posto che, diversamente, verrebbe sanzionata, in contrasto con il diritto di proprietà, costituzionalmente garantito, ogni possibile condotta di disponibilità dei beni, allo stesso diritto di proprietà strettamente connaturata (ed è dunque per tale ragione che questa Corte ha già espressamente affermato che non integra il delitto di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte colui che, pur nella pendenza della procedura esattoriale, si limiti a disporre appunto dei propri beni : cfr. Sez.3, n. 25677 del 16/05/2012, Caneva e altro, Rv. 252996)».
Deve concretizzarsi una significativa riduzione della garanzia: afferma la Suprema Corte che «Il rischio che la pretesa tributaria non trovi capienza nel patrimonio del debitore presuppone infatti che la diminuzione causata dall’atto realizzato comporti una riduzione significativa delle garanzia, da valutare sia in relazione al credito sia in relazione al patrimonio del contribuente».
La Cassazione chiarisce anche che, considerato che la rilevanza penale della condotta è per così dire “anticipatoria” (trattandosi di reato di pericolo e non di danno), il reato è configurabile solo nei casi strettamente previsti dalla norma: «deve affermarsi che all’anticipazione della soglia di rilevanza penale della condotta, collocata in un momento nel quale l’obbligazione tributaria può non essere ancora sorta, deve necessariamente corrispondere, pena il possibile vulnus di principi di carattere costituzionale, una stretta interpretazione dei requisiti della condotta, configurante reato unicamente laddove si sia in presenza di vendita simulata o di altri atti fraudolenti idonei, nel senso appena rammentato, a porre in pericolo la pretesa tributaria».
Nell’annullare con rinvio l’ordinanza impugnata, la Cassazione sottolinea che «oltre a doversi rilevare che, nella specie, il profitto dovrebbe essere circoscritto al valore del bene in tesi accusatoria sottratto alla garanzia in favore dell’Erario, mentre pare essere stato erroneamente individuato, anche dal Tribunale, proprio nel risparmio derivato dal mancato pagamento delle imposte contestate in sede tributaria, l’ordinanza avrebbe dovuto spiegare, proprio alla luce della corretta identificazione del profitto relativo al reato in oggetto perché, anche a volere considerare simulata l’operazione in oggetto, il patrimonio complessivo della indagata, una volta sottratto il valore del bene de quo pari ad euro 650.000, non fosse comunque sufficiente a garantire le pretese dell’Amministrazione finanziaria».
Osservazioni.
La diminuzione causata dall’atto realizzato deve comportare una riduzione significativa delle garanzia, da in relazione sia al credito che al patrimonio del contribuente, e concretizzare il rischio che la pretesa tributaria non trovi capienza nel patrimonio del debitore.
Disposizioni rilevanti.
DECRETO LEGISLATIVO 10 marzo 2000, n. 74
Nuova disciplina dei reati in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto
Art. 11 – Sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte
1. E’ punito con la reclusione da sei mesi a quattro anni chiunque, al fine di sottrarsi al pagamento di imposte sui redditi o sul valore aggiunto ovvero di interessi o sanzioni amministrative relativi a dette imposte di ammontare complessivo superiore ad euro cinquantamila, aliena simulatamente o compie altri atti fraudolenti sui propri o su altrui beni idonei a rendere in tutto o in parte inefficace la procedura di riscossione coattiva. Se l’ammontare delle imposte, sanzioni ed interessi è superiore ad euro duecentomila si applica la reclusione da un anno a sei anni.
2. E’ punito con la reclusione da sei mesi a quattro anni chiunque, al fine di ottenere per sè o per altri un pagamento parziale dei tributi e relativi accessori, indica nella documentazione presentata ai fini della procedura di transazione fiscale elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo od elementi passivi fittizi per un ammontare complessivo superiore ad euro cinquantamila. Se l’ammontare di cui al periodo precedente è superiore ad euro duecentomila si applica la reclusione da un anno a sei anni.