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IL PRINCIPIO SUPREMO DELL’AUTODETERMINAZIONE DEI POPOLI ALLA PROVA DEI RAPPORTI DI FORZA GEOPOLITICI NELLA STORIA.

 

Prof. Luca Giuseppe Gigliuto

 

La deflagrazione del conflitto coincisa con lo svolgimento delle ostilità che si dispiegano nel territorio ucraino solleva l’analisi a proposito di un’importante questione che oscilla tra l’autodeterminazione dei popoli – espressione della sovranità interna di uno Stato – e i rapporti di forza che compongono in una logica di insieme la geopolitica e la capacità di rappresentare la venuta ad esistenza di un nuovo ordine mondiale attraverso le numerose interconnessioni, rinvenibili tra gli Stati coinvolti da detti fenomeni, capaci di saper influenzare le scelte e l’agire di essi sul piano eminentemente esterno.

Si tratta, a tal riguardo, di un tema molto delicato dagli aspetti pungenti caratterizzati da notevoli sfumature talora difficilmente inquadrabili, le quali, in molti casi, fondano e affondano le proprie radici nella storia e che ritornano prepotenti nell’attualità dei nostri giorni. Di certo l’autodeterminazione dei popoli esprime un principio cardine del diritto internazionale, sancito dagli artt. 1, par. 2, 55 e 76 della Carta delle Nazioni Unite e, di conseguenza, non rilevano elementi di doppiezza a proposito di una realtà giuridica talmente consolidata persino trasfusa nel cosiddetto diritto internazione cogente che, in quanto tale, risulta insensibile a modificazioni di sorta legate all’evolversi dei tempi, a riprova del carattere di centralità rappresentato da detto principio collocato in posizione di vertice sul piano gerarchico nell’ambito delle fonti internazionali generalmente riconosciute dagli Stati.

Quanto si afferma pone in evidenza l’assoluta importanza dell’autodeterminazione che, in quest’ottica, suole rappresentare un elemento tipico idoneo a contraddistingue i moderni ordinamenti statali, superando in qualche misura una visione anacronistica essenzialmente basata sulla presenza di dominazioni straniere espressione di un bieco colonialismo interprete del soffocamento delle spinte di libertà e sviluppo concernenti le popolazioni autoctone. A conclusione del secondo conflitto mondiale, sulla scia dell’entrata in vigore della Carta delle Nazioni Unite, l’intera comunità internazionale ha attribuito a ciascun popolo il potere di autodeterminazione sia in relazione alla scelta del governo, attraverso il quale, poter esercitare nei propri confini, il principio di effettività espresso dall’insieme dei poteri pubblici ad esso riconosciuti, sia con riferimento a quegli spazi di autonomia più o meno definiti in rapporto alle svariate interlocuzioni che interessano su larga scala ciascuno degli Stati coinvolti durante l’esercizio della propria sovranità esterna.

L’ampiezza del principio in esame si è ulteriormente affrancato trovando più forte legittimazione quando l’Assemblea generale delle Nazioni Unite, con la risoluzione n. 1514 del 1960, intervenne per formalizzare la “Dichiarazione di garanzia dell’indipendenza dei Paesi e dei popoli coloniali”, sulla cui scorta, dunque, qualsiasi forma di colonialismo manifestazione nostalgica di tempi più risalenti è da intendersi quale illecito internazionale da punire severamente.

Il principio di autodeterminazione dei popoli, pertanto, rappresenta una realtà consolidata confermata anche sul versante giurisprudenziale, giacché la Corte Internazionale di Giustizia, si è adoperata allo scopo di garantire ampia operatività a siffatto orientamento in forza di una serie di pareri sottesi a realizzare forme di conciliazione nell’ambito di “spaccature” dalle quali poter evincere la presenza di controversie interne allo Stato.

In questa cornice, i cui confini risultano parecchio delicati, entra in gioco il fenomeno penetrante della geopolitica capace di esercitare un’ascendente decisivo sull’autodeterminazione dei popoli rispetto alle determinazioni assunte dalle superpotenze mondiali, le quali, in taluni frangenti della storia, manifestano la tentazione discutibilmente “il-legittima” di riuscire a condizionare le strategie di intervento degli Stati più piccoli. In tal senso è pacifico sottolineare come la politica estera, talora, risulti ipso facto coinvolta nell’ambito di un processo decisionale di più ampio respiro, la cui fonte è rinvenibile nella volontà espressa dalle grandi potenze. Tale scenario sembrerebbe essersi così determinato sulla base di accadimenti storici ben definiti: da una parte, l’eliminazione delle potenze soccombenti a conclusione del secondo conflitto bellico e, dall’altra, lo smantellamento degli imperi coloniali che ha causato la nascita di numerosi attori sullo scacchiere internazionale. Questo ha maturato una geografia contraddistinta sul piano politico dalla presenza di due blocchi fondamentali rispettivamente rappresentati dagli Stati Uniti d’America e dall’URSS, i cui Stati hanno attribuito a sé stessi l’esecuzione del compito di “organizzare” il nuovo assetto mondiale precostituendo le ragioni della pace, sebbene tali intuizioni risultino sovente deviate nel corso della storia dalla sussistenza di interessi nazionali che, non sempre, e non per forza, coincidono con gli interessi appartenenti agli altri Stati, sui quali, in virtù dell’inverarsi di tali processi, esercitano una forte pressione capace di contaminare il principio astratto inerente la libera autodeterminazione sancita dalla Carta delle Nazioni Unite.

Il punto nodale oggetto di approfondimento è, quindi, relativo all’individuazione della distanza che vi è tra l’autodeterminazione dei popoli quale principio astrattamente configurato dalle norme in via formale e, correlativamente, la lentezza con la quale esso riesce a manifestarsi sotto il profilo empirico alla luce delle spinte egemoniche che le superpotente determinano nella definizione degli assetti complessivi a riprova di disegni imperialistici mai del tutto sopiti, tutt’al più trasfigurati in chiave moderna.

L’Ucraina in qualche modo esprime l’attualità di tali questioni e le criticità sottese allo svolgimento delle argomentazioni formulate sotto il profilo eminentemente pratico e, contestualmente, lo spazio fisico di una battaglia nella quale si consumano efferati delitti a nocumento di quei principi fondamentali posti a salvaguardia dell’intero diritto internazionale generalmente riconosciuto sorto spontaneamente per la regolamentazione dei rapporti tra gli Stati in condizione di formale parità su scala generale e, che, tuttavia, rileva ancora una volta come ci si trovi in presenza di un lungo e travagliato percorso capace di attualizzare le asperità della storia dei popoli non favorendo il consolidamento di una matura ed autentica cooperazione internazionale che propenda positivamente verso obiettivi di sintesi rappresentati dall’esigenza di autodeterminazione dei popoli nel rispetto di relazioni ordinate e coordinate che abbandonino i sentieri tortuosi della guerra per decidere di fare propri quelli del dialogo e della diplomazia.

 

Raccolta Bibliografica

  • Arangio Ruiz, Autodeterminazione (diritto dei popoli alla) in Enciclopedia Giuridica Giuffrè, vol. IV, 1988;

  • Borgato, Lineamenti di diritto pubblico italiano, europeo ed internazionale, CEDAM, 2020;

  • Conforti, Diritto internazionale, Napoli, Editoriale Scientifica, 2014;

  • Del Giudice, Manuale di istituzioni di diritto pubblico, XXII Edizione, Gruppo editoriale Simone, 2017;

  • Di Nolfo, Dagli imperi militari agli imperi tecnologici. La politica internazionale nel XX secolo, Bari, Editori Laterza, 2004.