di Carlo Rapicavoli – Sono spesi, giustamente, fiumi d’inchiostro negli ultimi giorni per commentare e raccontare l’ultima, solo purtroppo ad oggi in ordine cronologico, vicenda di distorto, se non illecito, come sarà chiamata ad accertare la Magistratura, utilizzo dei fondi pubblici a disposizione dei partiti, registrato nella Regione Lazio.
Da questi fatti emerge con chiarezza la consolidata tendenza dell’attuale classe politica, del sistema dei partiti, all’autolesionismo se non all’autodistruzione.
Richiamando l’editoriale di Curzio Maltese su Repubblica: “Questa è antipolitica. Autentica, volgare e pericolosa. Quando si disprezza in questo modo la richiesta da parte dei cittadini di maggior pulizia e controllo sul danaro pubblico dato ai partiti, quando si maschera con la bandiera ideale dell’autonomia una sostanziale impunità, quando si predicano i sacrifici ogni giorno agli altri per barricarsi alla prima occasione intorno ai propri privilegi, non si rende soltanto un pessimo servizio alla democrazia e al Paese. Si pongono le basi per far saltare l’intero sistema politico, le fondamenta stesse del patto di rappresentanza fra cittadini e partiti”.
Si sta correndo però un gravissimo rischio: assimilare il malcostume politico all’essenza stessa della democrazia; l’assenza di controlli sulla gestione di fondi pubblici ad una malcelata insofferenza verso le autonomie, quasi che la gestione centralistica possa assicurare da sola la virtuosità.
Al contrario, l’autonomia deve rappresentare un binomio inscindibile con la responsabilità.
Preoccupa la chiave di lettura che viene offerta di quanto accade.
Da autorevoli esponenti del Governo, quali il Sottosegretario all’Economia e alle Finanze Polillo, con il quale abbiamo avuto nelle scorse settimane un scambio di opinioni, abbiamo registrato un crescendo di affermazioni:
– “Per l’opacità dei loro bilanci molti Enti Locali sono la Grecia dell’Italia”
– “Lo Stato centrale non può continuare ad essere un bancomat per comuni e regioni?”
– “I comuni sono più vicini al popolo ma i soldi li ricevono dal Ministero dell’Interno”
– “Il debito dello Stato è anche figlio dei trasferimenti agli enti locali”
– “I controlli che ingessano non scongiurano pranzi con ostriche a carico del contribuente”
– “Avevo detto che la finanza locale era come la Grecia per l’Europa. Gli ultimi fatti di cronaca sono una triste conferma”.
Non è il solo.
Molti commentatori, anche con argomentazioni convincenti, assimilano e quasi tentano di dimostrare che gli scandali sono direttamente proporzionali ai livelli di autonomia nell’organizzazione dello Stato.
Scrive Luigi La Spina su La Stampa: “Lo spettacolo che, dalla Sicilia alla Lombardia, passando per la capitale, sta squadernandosi sotto gli occhi degli italiani, però, dovrebbe limitare anche gli entusiasmi, come si è detto, per certi dogmatismi federalistici troppo sbandierati, in buona o cattiva fede. La moltiplicazione dei poteri e la loro diffusione sul territorio, di per sé, non è una garanzia democratica. Può diventare anche la moltiplicazione e la diffusione di ruberie, sprechi, alimento di corruzioni spicciole e grandi”.
Ecco il rischio.
Siamo fermamente convinti che non è il sistema delle autonomie a determinare le ruberie; è il sistema dei partiti, il sistema di finanziamento e di rimborsi elettorali ai gruppi politici rappresentati in Parlamento e nei Consigli Regionali – non certo negli Enti Locali, Comuni e Province, dove non sono previsti rimborsi per le spese politico-elettorali di alcun genere – a determinare lo squallido spettacolo cui stiamo assistendo.
E’ caduta un’illusione scrive La Spina, “quella delle virtù del potere diffuso sul territorio, meno esposto alle tentazioni perché più prossimo e, quindi, più controllabile da parte del cittadino. Una illusione e pure una speranza, alla base di quei consensi popolari che, negli ultimi tempi, hanno fatto crescere l’idea federalista in Italia. Ma anche l’alibi dietro il quale un famelico assalto alla diligenza è dilagato tra pletorici Consigli regionali, provinciali, comunali, di quartiere, tra migliaia di poltrone dove all’ideale democratico della partecipazione si è sostituito il costume criminogeno della spartizione. Come in tutte le società, anche in quella politica, il peggioramento della classe dirigente diviene, a un certo punto, talmente insopportabile e manifesto che il sistema non regge più e l’attuale situazione sembra potersi configurare sul crinale di questa drammatica svolta. Come fu all’epoca di «Mani pulite», quando il meccanismo della diffusa pratica di «dazione ambientale» si spezzò clamorosamente e tutto in una volta, così, adesso, la corruzione e il malcostume della classe politica locale pare annunciare una vera e propria crisi della democrazia italiana”.
Il problema è che oggi i partiti italiani vengono percepiti da tanti come un problema anziché una soluzione. Ai loro dirigenti converrebbe uscire dall’angolo mediante qualche risposta adeguata. Altrimenti, la democrazia potrebbe in breve tempo vacillare sotto l’urto di ondate di protesta sempre più impetuose e pericolose.
Si sta creando un solco profondissimo fra il “palazzo” e i cittadini.
Guai però a considerare una male inevitabile tagliare le rappresentanze democratiche per togliere occasioni di corruzione e malcostume.
Il rischio è altissimo.
Attenzione a non assimilare la gestione delle Regioni alla finanza locale e alla gestione dei comuni e delle Province.
La differenza è abissale.
Controlli severi, trasparenza sull’uso delle risorse, sanzioni effettive ed immediate, decadenza dalla carica in caso di accertamento di responsabilità e successiva interdizione da ogni carica pubblica, revisione reale del sistema del finanziamento della politica a livello nazionale e regionale.
Le Regioni devono finalmente diventare un livello di governo, con potere legislativo – e non gestionale e amministrativo come di fatto sono oggi – secondo il disegno costituzionale: “La potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione (…)” – art. 117, primo comma, della Costituzione.
E’ un livello di governo troppo distante dai cittadini per continuare a svolgere funzioni amministrative e gestionali di dettaglio, erogazione di servizi alla persona o di gestione del territorio che non sia la pianificazione regionale.
E’ la commistione fra il potere legislativo e la gestione che crea una grave anomalia nel nostro sistema. Il soggetto regolatore, quale è la Regione, non può al tempo stesso gestire direttamente ciò che regola, per di più senza controlli adeguati.
Le funzioni amministrative, secondo l’art. 118, sono invece da attribuire a Comuni e Province salvo casi per cui è necessario, sulla base dei principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza, attribuirle ad un livello superiore.
Ecco che è il Comune, ente più vicino ai cittadini, l’Ente destinatario di tutte le funzioni, soprattutto quelli collegati ai servizi alla persona, che meglio di qualunque altro livello di governo è vicino ai cittadini; alla Provincia quale ente di area vasta vanno attribuite tutte le funzioni, principalmente di gestione del territorio, che non possono essere svolti dai Comuni: viabilità, trasporti, tutela dell’ambiente, formazione professionale, politiche del lavoro, protezione civile, pianificazione territoriale di coordinamento, istruzione scolastica superiore, organizzazione dei servizi pubblici locali (rifiuti, servizio idrico, trasporto pubblico locale), etc.
Un adeguato ed efficace sistema di controlli garantisce la correttezza della gestione.
Per questo, insistiamo, bisogna ripartire dal basso, per questo continuiamo a chiedere la tutela delle autonomie locali, per questo occorre che i cittadini abbiano la sensazione di una politica vicina ai bisogni ed alle aspettative, che sappia dare risposte immediate e che sia soggetta al controllo diretto e immediato del cittadino elettore.
Per questo continuiamo a ritenere del tutto insensato tagliare le rappresentanze politiche locali e mantenere inalterato quel ceto politico nazionale che appare troppo preoccupato della propria sopravvivenza politica a breve termine per rendersi conto di quanto sta realmente accadendo.