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IL NEUROIMAGING FUNZIONALE PER L’ANALISI DELLA PROVA DICHIARATIVA.

 

Francesca Fuscaldo

Abstract

Il presente contributo vuole sostenere il possibile impiego delle tecniche di neuroimaging funzionale nelle dinamiche del procedimento penale e nello specifico, la non incompatibilità tra queste e la libertà morale del dichiarante, al fine del loro impiego nell’analisi e nella valutazione della prova dichiarativa.

Keywords: neuroimaging funzionale; determinismo scientifico; libertà morale del dichiarante; analisi prova dichiarativa; neuroscienze e diritto penale.

Sommario: 1. Brevi cenni sulle tecniche di neuroimaging in relazione alla rivelazione della menzogna; 2. Introduzione; 3. Neuroimaging. Un nuovo determinismo scientifico?; 4. La ricerca della verità; 5. Neuromaging e procedimento penale: lo stato dell’arte; 6. Neuroimaging e procedimento penale: prospettive future; 7. Conclusione.

Dalla fisiologia, il cui oggetto di studio è rappresentato dalla struttura anatomica del cervello1, attraverso le neuroscienze è stato possibile studiare l’elaborazione cerebrale (le reazioni del cervello a fronte di stimoli o impulsi esterni), la parte dinamica del funzionamento cerebrale2. Il neuroimaging consente di osservare il funzionamento del cervello in tempo reale, attraverso l’analisi dei livelli della circolazione sanguigna e del metabolismo cerebrale, entrambi connessi ai processi mentali e di riprodurlo attraverso la rappresentazione per immagine.

Le tecniche di neuroimaging possono essere suddivise in due macro categorie:

  1. Tecniche strutturali, come la Tomografia computerizzata (CT scan-rappresentazione della materia cerebrale) e la Risonanza magnetica nucleare (RMN-ricostruzione area cerebrale attraverso campi magnetici) le quali, studiano la struttura del cervello al fine di rilevare la presenza di eventuali patologie (tumori);

  2. Tecniche funzionali come l’ EEG (dimensione temporale-elettroencefalogramma), l’ERP, la Magneto-encefalografia (MEG), la tomografia ad emissione di positroni (PET-isotopi radioattivi che si combinano con elettroni e determinano emissione di raggi Gamma misurati da specifici sensori), la DTI (diffusion tension imaging che individua le connessioni anatomiche tra aree cerebrali misurando la velocità di diffusione dell’acqua) e la risonanza magnetica funzionale (fMRI-risonanza di atomi di idrogeno per la rappresentazione dei flussi sanguigni) che analizzano le aree cerebrali a livello dinamico (correlazioni tra stimoli esterni ed attivazione di determinate aree del cervello ed effetti innescati in tale aree dalle patologie neurologiche, psichiatriche e disturbi psichici)3.

Attraverso la rappresentazione grafica delle funzioni cerebrali, si ipotizza di poter mappare le correlazioni funzionali cerebrali e dunque, di poter individuare un pattern neuronale associato all’attività del mentire4. In tal senso, sono ritenuti rilevanti il funzionamento dell’area cerebrale denominata ippocampo5, il funzionamento dell’amigdala6 (sede delle emozioni) e l’analisi dei lobi frontali (sede della coscienza) i quali, rilevano le funzioni esecutive del cervello (azioni, impulsi)7. In sostanza, maggiore è l’afflusso di sangue in una data area del cervello, maggiore è l’impiego o il coinvolgimento di quell’area cerebrale8. Ne consegue, ed è stato osservato, che a fronte di stimoli esterni rivolti a rilevare la menzogna, si sia registrato un incremento di tale flusso sanguigno e dunque dell’attività, sia della corteccia prefrontale, che della corteccia cingolata (carico cognitivo nel produrre una menzogna). Si può dedurre che, ogni volta che si verifichino tali attivazioni cerebrali, il soggetto sottoposto all’esame stia mentendo.

Nello studio delle correlazioni tra menzogna ed attivazione neuronale si richiama la c.d. Brain Fingerprinting (B.F.). Introdotta dal neuroscienziato Lawrence Farwell, si basa sullo studio delle impronte cerebrali (la memoria)9. Attraverso tale tecnica, sarebbe possibile monitorare e rappresentare la memoria (tutto ciò che è stato realmente vissuto tramite l’esperienza ed immagazzinato). L’esame consiste nell’applicare sul cuoio capelluto una fascia a base di elettrodi collegati all’ EEG che, traduce graficamente le reazioni cognitive in risposta a stimoli esterni (di natura visiva, sonora, olfattiva). Maggiore è la frequenza elettrica registrata, maggiore è il grado di conoscenza e di familiarità del soggeto con la visione sensoriale specifica a cui è esposto.

Perciò, si può pensare di operare una trascrizione degli impulsi elettrici neurali10 in informazioni e le stesse possono essere valutate per indagarne la veridicità11.

2. Introduzione

Allo stato attuale, in ambito processuale-penalistico, il ricorso al neuroimaging funzionale è limitato esclusivamente all’analisi della capacità di intendere e di volere (imputabilità). Si ritiene che tali tecniche non rappresentino un valido mezzo di prova in ordine alla valutazione della prova dichiarativa perchè in grado di determinare la libera volontà del dichiarante.

Il presente contributo vuole dimostrare che in realtà, non sussiste alcuna incompatibilità tra neuroscienze e libertà morale dichiarante.

Appurata la validità scientifica del metodo, ci si concentrerà sulla reale possibilità che le neuroscienze possano annichilire la libertà morale. Prospettando il discorso in chiave di concordanza tra i principi che regolano il processo penale e le caratteristiche strutturali e funzionali delle neuroscienze, si giungerà a concludere che ha poco senso continuare a rinunciare ai risultati scientifici fornite da queste ultime. Infatti, data la struttura legale e valoriale che è propria del sistema penale e date le caratteristiche delle tecniche neuroscientifiche, si rileverà che tra di essi non sussiste alcun rapporto escludente.

In un mondo relativistico, dove la conoscenza non è assoluta, dove la stessa scienza, così come il diritto, non forniscono verità assolute, ogni fattore può produrre effetti differenti in base ad un certo tempo e ad un certo contesto (relativismo). Ne consegue, per concludere, che le neuroscienze, così come ogni altro mezzo di prova, devono essere valutate nel caso concreto, abbandonando ogni refuso ideologico che propende per una loro inammissibilità aprioristica. Non è tanto analizzare le neuroscienze in se, ma rileva analizzare come quest’ultime vengono impiegate e per quali fini. Tanto basta, per guardare alle neuroscienze con fiducia. Se, infatti, il sistema penale funziona correttamente, ogni fattore esterno che possa entrare in contatto con lo stesso può essere valutato e questa è già una condizione sufficiente per prospettare il maggior impiego delle neuroscienze nel procedimento penale, anche in campi dove fino ad ora questo risulta impensabile, l’analisi della prova dichiarativa. Del resto, ci si è allontanati molto, sia dalla fallacia propria delle tecniche para-scientifiche come il poligrafo, sia da un sistema penale inquisitorio disancorato dalla legalità e dalla giustizia.

Non agli effetti delle neuroscienze sulla libertà morale, ma al corretto impiego dei principi che regolano il procedimento penale da parte del giudice, unico solutore del caso concreto, si deve guardare.

3. Neuroimaging. Un nuovo determinismo scientifico?

L’uomo è dotato di libero arbitrio12, per cui è capace di determinare le proprie scelte e/o le proprie azioni. Allo stesso tempo, in alcuni casi ed in certi momenti (aderenza al caso concreto) la volontà umana può essere determinata da uno o più fattori (interni13 o esterni14 all’uomo) che si pongono in relazione causale alla stessa. A tal proposito, è importante distinguere il concetto di condizionamento, dal concetto di determinazione15. Infatti, si può affermare che ogni fattore determinante sia allo stesso tempo condizionante ma, non il contrario, per cui non ogni fattore che sia capace di condizionare la volontà umana è in grado di determinarla. Quando si fa riferimento ad un fattore determinante, lo si intende tale, perchè agisce sulla volontà umana fino a comprimerla o addirittura annientarla per tutta la durata in cui lo stesso agisce. Invece, quando si parla di un fattore condizionante, si fa riferimento ad un qualcosa che può influenzare la volontà umana ma, non ha quella forza necessaria per annichilirla.

Quando si parla di determinismo, ci si riferisce a tutte quelle correnti di pensiero basate sulla possibilità che il corso degli eventi e dunque anche le azioni umane, siano causati da fattori altri rispetto alla volontà.

Secondo l’ipotesi del determinismo biologico16, conosciuto anche come determinismo genetico, le caratteristiche della personalità dell’uomo, cause delle sue condotte, vengono determinate da fattori biologici, come i geni17. Il determinismo biologico trae le sue radici dal determinismo evolutivo darwiniano18 secondo il quale, il comportamento umano è frutto dell’evoluzione stessa, intesa come evoluzione del patrimonio genetico, che a sua volta si fonda sul processo di selezione naturale.

Le teorie deterministiche bio-sociologiche sono alla base del pensiero positivista (scuola positiva19) sviluppatosi intorno alla seconda metà del 1800, di cui Cesare Lombroso è il maggiore esponente. In particolare, nell’opera L’uomo delinquente20, Lombroso sostiene che i comportamenti criminali sarebbero determinati da predisposizioni di natura fisiologica21 (atavismo lombrosiano-teoria della fossetta occipitale)22. Egli riteneva che la fossetta presente nel cranio fosse espressione di un carattere degenerativo, più frequente negli alienati e nei delinquenti (diritto penale d’autore23). Nella prospettiva lombrosiana domina il determinismo più assoluto, per cui quel che si fa dipende necessariamente da ciò che si è24. Secondo Lombroso, l’uomo agisce in maniera determinata e necessitata proprio a cause delle proprie caratteristiche genetiche ed è perciò privo di libero arbitrio.

Alla base dell’associazione tra neuroscienze e determinismo scientifico, vi è la convinzione che tali tecniche possano determinare la volontà del soggetto che vi si sottopone. Quanto appena affermato, rappresenta la ragione per la quale il neuroimaging funzionale sia considerato incompatibile con la tutela della libertà morale del dichiarante. Ma davvero le neuroscienze sono in grando di determinare la volontà umana?

Sul punto, si devono analizzare due condizioni:

  • le neuroscienze operano come fattore costrittivo;

  • le neuroscienze operano come fattore descrittivo.

Le tecniche neuroscientifiche si pongono su un piano diverso rispetto a quello in cui opera la volontà. Infatti, le stesse, possono operare in una fase che precede la formazione della volontà in ottica predittiva (dati alcuni fattori esterni e date alcune reazioni fisio-psicologiche, si possono prevedere certi risultati)25 o in una fase concomitante/susseguente, in ottica descrittiva (dati certi rilevamenti, si registrano certi risultati). Per tale ragione, le neuroscienze non si pongono sul piano deterministico, ma agiscono sul piano descrittivo. Ne consegue, che non ci possa essere alcuna interferenza tra tecniche neuroscientifiche e libero arbitrio (inteso come volontà).

Diverso è il ragionamento, se si pongono in relazione le tecniche neuroscientifiche con la loro capacità di influenzare la volontà umana. Tale condizione, risulta certamente vera e non per questo se ne può ricavare un giudizio negativo in merito alla validità scientifica delle medesime. Infatti, è la stessa interazione tra l’uomo e l’ambiente che lo circonda a fornire la certezza che l’uomo sia continuamente sottoposto a influenze esterne, così come l’uomo apporta continui cambiamenti nel mondo che lo circonda.

Quanto poc’anzi affermato, lo si deve valutare nel contesto giuridico, dove i fatti sociali, materiali e naturali, assumono una certa rilevanza prestabilita per legge. Si deve ragionare in base ai principi che regolano una certa area giuridica e alla ratio della stessa. Per quello che ci interessa, l’area giuridica è la formazione della prova, i principi tutelano la libertà morale del dichiarante ed il mezzo di prova deve superare il vaglio dell’ammissibilità che attiene alla verifica della validità dello stesso. Non il singolo mezzo di prova è al centro della valutazione del giudice, ma il mezzo di prova in relazione alla funzione che deve assolvere e quest’ultima non è la rivelazione di una certezza assoluta, ma lo svolgimento di un contributo utile per fare chiarezza su un certo fatto accaduto e che assume rilevanza giuridica.

In un sistema processuale-penalistico come il nostro, abbandonata l’inquisizione, dove ogni prova non è in grado di assumere prevalenza se non dopo la valutazione effettuata dal giudice, non c’è alcun reale motivo per rifiutare l’apporto delle neuroscienze nell’analisi della prova dichiarativa. Non è tanto il mezzo impiegato che influisce sulla libertà morale del dichiarante, ma il modo in cui tale mezzo viene impiegato. Si pensi ad una confessione che venga rilasciata dopo un’incalzante ed estenuante interrogatorio (famoso è il caso di Amanda Knox26). Anche una confessione ottenuta in un simile contesto può non essere ritenuta una prova valida, proprio perchè la persona che l’ha rilasciata può essere stata condizionata dalle modalità in cui si è svolto l’interrogatorio. La stessa condizione può verificarsi in relazione a qualsiasi altro mezzo di prova. Proprio per tale ragione, ogni mezzo di prova deve superare il vaglio dell’ammissibilità (in concreto) ed è comunque sottoposto alla valutazione del giudice. E’ questa la chiave di lettura corretta che si deve assumere di fronte alle, così dette, nuove scienze, abbandonando ogni giudizio aprioristico e facendo leva sull’analisi del caso concreto e sulla valutazione del giudice.

In conclusione, le neuroscienze non sono in grado in astratto di poter determinare la volontà umana, possono si condizionarla, ma nel caso concreto, in un certo tempo ed in un certo contesto, così come ogni altro fattore dotato di tale capacità.

4. La ricerca della verità

Nello studio del fenomeno criminale, la ricerca della verità delle dichiarazioni rilasciate dall’autore di un reato, è stata sempre oggetto di grande attenzione. Già in tempi molto lontani sono state studiate e sviluppate tecniche finalizzate all’identificazione della menzogna27. Nel III secolo a.c. Eristrato (un medico greco) attraverso una serie di esperimenti sul funzionamento del corpo umano, aveva individuato nel battito cardiaco la misura, apparentemente, oggettiva per individuare la menzogna28 (sul presupposto che quando un individuo mente, sa di mentire e per tale ragione entra in uno stato di agitazione emotiva misurabile attraverso l’accelerazione del battito cardiaco).

Erano assai diffuse tecniche legate a credenze popolari di origine mistica e/o fatalista, che in alcuni casi assumevano i caratteri della tortura, anch’essa spesso utilizzata per costringere i sospettati a confessare29. Ad esempio, in India era diffuso l’impiego del metodo del calvario della bilancia. Un potenziale criminale veniva sottoposto al calvario e veniva considerato colpevole se dopo lo stesso, fosse dimagrito poiché nel dimagrimento veniva rintracciata la prova della menzogna. In Cina era diffuso il metodo del boccone di riso. Secondo tale metodo se il criminale, nell’atto di ingoiare il boccone, era un bugiardo allora sarebbe intervenuta una divinità che avrebbe bloccato il riso nella gola del colpevole. Un metodo molto simile al boccone di riso, veniva utilizzato anche in Europa nel periodo dell’inquisizione, il metodo del pane e del formaggio30. Tali metodi, lo si evince già dalla spiegazione fornita, non avevano alcun fondamento logico e di conseguenza nessuna valenza scientifica.

Sugli sviluppi degli esperimenti di Eristrato, nel 1581 Galileo Galilei inventò il Pulsilogium31, confermando i risultati raggiunti dal medico greco, maggiore era l’emozione avvertita, maggiore era la frequenza del battito cardiaco.

Nel corso del tempo, con lo sviluppo di tecniche sempre più sofisticate e calibrate sul funzionamento del corpo umano (misurazione delle funzioni psico-fisiologiche) si è giunti all’invenzione del poligrafo32 che è stato applicato, sin dalla sua introduzione, per rilevare la menzogna33. Sul punto, bisogna precisare che il poligrafo non è uno strumento capace di rilevare direttamente la menzogna ma, rileva solo i segni fisici manifestati dal soggetto, sottoposto al test, nell’atto di rispondere a certe domande. E’ l’interpretazione dei segni fisici rilevati che poi può fornire tale esito. La misurazione avviene attraverso l’applicazione di sensori su varie parti del corpo, i quali, monitorano tutte le reazioni neuro-fisiologiche (battito cardiaco, ritmo respiratorio, pressione sanguigna, sudorazione), traducono gli impulsi ricevuti e li trasmettono a correlati strumenti di registrazione grafica. Il risultato ottenuto da tale esame dipende dalla corretta interazione tra la predisposizione di un set di domande, dal funzionamento della macchina e dalla capacità di lettura ed interpretazione dei dati. Nello specifico, il test si struttura nello schema tipico dell’intervista34 (domanda-risposta) calibrata in funzione di uno specifico obiettivo da raggiungere. Le domande, quindi, saranno diverse in base a cosa si vuole sapere del e dal soggetto intervistato. In genere, prima di giungere al focus dell’intervista, si procede ad una prima fase di conoscenza generica del soggetto, a cui seguirà una fase di assestamento in cui l’intervistatore avrà a disposizione sufficienti informazioni sul modo di interloquire, sulla capacità emozioanale e reattiva del soggetto35. Superata tale fase si giunge al focus dell’intervista che, consiste nel rivolgere all’esaminato una serie di domande specifiche sul problema processuale che lo coinvolge. In tale fase, si possono adottare diverse tipologie di test, tra cui il test della domanda di controllo (CQT-Control Question Test36) ed il test della domanda rilevante ed irrilevante (RIT-Relevant and Irrilevant Test37). La macchina registrerà i parametri fisiologici rilevati per ciascuna domanda rivolta all’interessato. Ne consegue che, secondo i dati statistici raccolti, il soggetto innocente avvertirà una carica emotiva maggiore nel rispondere alle domande riguardanti la propria moralità, mentre il soggetto colpevole mostrerà segni di agitazione percepecibili in relazione alle domande pertinenti al fatto oggetto di accertamento processuale38.

Il poligrafo ed in genere tutti i metodi per la ricerca scientifica della menzogna, si basano sull’idea di fondo che quando un soggetto mente avverte una certa carica emotiva (più o meno intensa). Il coinvolgimento emotivo a cui è sottoposto un soggetto che risponde mentendo è dipeso dall’impegno, dalla concentrazione necessaria, dalla resistenza psico-fisica che lo stesso deve mettere in atto per rendere credibile la sua versione e non essere quindi scoperto39.

Il problema non è tanto che tali tipi di test funzionano secondo logiche statistiche e di conseguenza non sono infallibili40 poiché l’intera scienza è fallibile. Il problema è tosto, nella validità dei risultati in relazione ai presupposti di partenza. Infatti, sono molti gli studi psicologici che già a partire dagli anni ’70 hanno dimostrato che è possibile controllare la propria sfera emotiva (falso negativo), a maggior ragione quando ci si allena in tal senso41. Di converso, le reazioni emotive non sarebbero idonee per essere generalizzate perché strettamente connesse alla sfera individuale, tale per cui un soggetto potrebbe rispondere positivamente (falso positivo) a domande pertinenti solo per l’alto livello di ansia o emotività che appartengono alla propria personalità e che nulla hanno a che vedere con l’implicazione o meno nel caso legale trattato42.

In merito all’utilizzo del poligrafo come prova all’interno del processo e di converso al grado di validità ed attendibilità dello stesso, si richiama la nota pronuncia della Corte federale USA del 1923 (sentenza Frye nella causa Frye vs United States43). Per la prima volta, si pose il problema di giudicare l’ammissibilità del poligrafo come prova nel processo. Il giuidizio diede esito negativo, a cui seguì una decisione di inammissibilità basata sul mancato rispetto del criterio della “general acceptance44”.

Il criterio della “general acceptance” costituì l’unico criterio applicabile in ordine al giudizio sulla validità scientifica delle prove45 fino alla nota pronuncia Daubert (caso Daubert vs Merrel Dow Pharmaceuticals) 46. Con la sentenza Daubert si circoscrivono i criteri, da vagliare in concreto, per giudicare la validità scientifica della prova nuova (criteri Daubert):

  1. attendibilità (alle stesse condizioni si sono registrati gli stessi dati?);

  2. validità (coincidenza tra risultati attesi e risultati ottenuti);

  3. generalizzabilità ( oggettività);

  4. credibilità (grado di affidabilità);

  5. falsificabilità;

  6. blind per review” (criterio della revisione critica);

  7. accettabilità (criterio della condivisione scientifica),

  8. controllo dell’errore (conoscenza del potenziale di errore);

  9. validità (grado di misurazione);

  10. capacità di conoscere ed isolare i falsi risultati (positivi e negativi).

I criteri Daubert sono stati recepiti in Italia con la nota sentenza Cozzini (Cassazione Penale, Sez. 4, 13 dicembre 2010, n. 43786)47nella quale la Corte di Cassazione afferma, in quanto giudice di legittimità, di non essere “per nulla detentrice di proprie certezze in ordine all’affidabilità della scienza, sicché non può essere chiamata a decidere, neppure a Sezioni Unite, se una legge scientifica di cui si postula l’utilizzabilità nell’inferenza probatoria sia più o meno forzata. Tale valutazione, giova ripeterlo, attiene al fatto, è al servizio dell’attendibilità dell’argomentazione probatoria ed è dunque rimessa al giudice di merito che dispone, soprattutto attraverso la perizia, degli strumenti per accedere al mondo della scienza. Al contrario, il controllo che la Corte Suprema è chiamato ad esercitare attiene alla razionalità delle valutazioni che a tale riguardo il giudice di merito esprime”. Inoltre, recepisce i criteri stabiliti nella sentenza americana sul caso Daubert che il giudice è chiamato ad applicare nell’analisi e nellla valutazione di una teoria scientifica nuova48.

I criteri stabiliti dalla Cassazione nel caso Cozzini sono tutt’ora ritenuti validi e per questo costantemente applicati dalla giurisprudenza. A tal proposito si richiama la recente sentenza della Cassazione del 13 Giugno 2019 (Cass., Sez. IV, sent. 13 giugno 2019 (dep. 12 novembre 2019), n. 45935)49. Il punto più interessante della pronuncia è il dictum sul tema della validità processuale della scienza nuova in cui la Corte afferma che “non sia consentito l’utilizzo di una teoria esplicativa originale, mai prima discussa dalla comunità degli esperti, a meno che ciascuna delle assunzioni a base della teoria non sia verificabile e verificata secondo gli ordinari indici di controllo dell’attendibilità scientifica di essa e dell’attendibilità dell’esperto”. In sostanza, la Corte sottolinea ancora una volta l’importanza dei criteri di controllo delineati dalla sentenza Cozzini e affida al giudice il ruolo di garante in ordine al rispetto del principio di legalità che sarebbe compromesso se non boicotatto dall’introduzione nel processo della così detta junk science50.

Per concludere il discorso sulla validità scientifica in relazione alle tecniche scientifiche nuove ( a cui si ricollega anche il problema della validità del poligrafo), bisogna tenere presente due punti fondamentali, il tipo specifico della così detta nuova scienza da applicare nel caso concreto ed il ruolo del giudice nel sistema delle regole penali e processuali. Il giudice ha un potere-dovere di valutazione e da questo ne deriva il principio secondo il quale così come non può creare la legge, allo stesso modo non può creare una nuova scienza51. Egli utilizzerà il suo senso logico-, supportato dai criteri giuridici-legali che ha a disposizione e dunque nel valutare l’attendibilità52 di una nuova prova scientifica applicherà i criteri di controllo su menzionati.

In uno Stato come l’Italia che fonda il proprio sistema penale sulla massima garanzia della libertà personale, così come stabilito dalla Costituzione, l’ingresso di strumenti para-scientifici come il poligrafo crea non poche perplessità e resistenze. Si pensi all’importanza dell’autodeterminazione, posta a fondamento della responsabilità penale, che può essere inficiata e compromessa dall’impiego di tecniche come quella del poligrafo. Infatti, oltre al discorso dell’accettazione scientifica generale, che si concentra maggiormente sull’attendibilità delle tecniche impiegate in termini di veridicità dei risultati da queste ottenute, bisogna considerare l’impatto che tali tecniche hanno sulla capacità di autodeterminzione del soggetto53 che a queste è sottoposto. Ci si riferisce ai già menzionati problemi dei falsi. Una persona particolarmente emotiva, avvertirà la pressione psico-fisica dell’essere sottoposto a tali test, avvertendo un effetto coercitivo sulla propria persona (essere sottoposto all’esame in sé, che prevede il monitoraggio delle proprie funzioni neurali ed emotive). Ne consegue che assumono rilievo centrale la tipologia dello strumento impiegato, il suo funzionamento e gli effetti invasivi che apporta al soggetto esaminato.

5. Neuroimaging e procedimento penale: lo stato dell’arte

Le tecniche di neuroimaging sono impiegate nel processo penale per la valutazione dell’imputabilità (capacità di intendere e di volere).

Le medesime, non possono essere impiegate per valutare l’attendibilità della prova dichiarativa perchè ritenute incompatibili con i principi che tutelano la libertà morale del dichiarante (si fa riferimento alla disposizione dell’articolo 220 c.p.p. che fa espresso divieto di perizia criminologica per stabilire l’abitualità o la professionalità nel reato, la tendenza a delinquere, il carattere e la personalità dell’imputato e le caratteristiche psichiche dello stesso indipendenti da cause patologiche54 e agli artt. 64 comma 2, che disciplina il divieto d’impiegare strumenti capaci di comprimere la libertà di autodeterminarsi di qualunque persona e di alterare la sua autonomia nel ricordare e valutare le cose e 188 c.p.p., che afferma: “non possono essere utilizzati, neppure con il consenso della persona interessata, metodi o tecniche idonei a influire sulla libertà di determinazione o ad alterare le capacità di ricordare e di valutare fatti” )55. Tali disposizioni sono poste a tutela della dignità e della libertà di autodeterminazione dell’individuo e al rispetto dell principio di presunzione di non colpevolezza, della tutela della libertà personale (ex art. 27 Cost.) e del generale diritto di difesa che le ingloba (art. 24 Cost.).

Il primo caso giudiziario italiano in cui le neuroscienze fanno ingresso nel processo penale riguarda un uomo condannato in secondo grado per omicidio volontario, con sentenza della Corte di Assise di Appello di Trieste del 1 ottobre 200956. L’uomo, dopo aver litigato con alcune persone per strada, aggrediva con un coltello un passante provocandone la morte, dichiarando che era in preda ad uno stato di frustrazione generato dal litigio precedente. Sia in primo che in secondo grado, lo stesso veniva condannato ma, gli veniva applicata una pena ridotta perché risultato affetto da psicosi (incapacità di intendere e di volere parziale). Il punto interessante della vicenda, è che in primo grado la riduzione della pena per semi incapacità non venne applicata nel massimo, nel secondo grado invece si pervenne a tale risultato sulla base delle risultanze neuroscientifiche. Queste ultime avevano delineato un particolare profilo genetico, dell’imputato, predisposto all’aggressività in presenza di situazioni di pressione e/o stress.

Ancora più interessante è il caso deciso dal Gip di Como, con pronuncia del 20 agosto del 2011. La vicenda riguarda una donna che ha ucciso la sorella ed aveva tentato di uccidere la madre per motivi inerenti al patrimonio familiare. Furono acquisite diverse consulenze tecniche, sia d’ufficio che di parte, le quali avevano dato risultati contrapposti. In particolare, una di queste consulenze (Sartori-Petrini) si era avvalsa anche della neuroimaging cerebrale e tale risultanza venne considerata decisiva per la soluzione del caso57. Per la prima volta un giudice italiano afferma che devono considerarsi più attendibili e dunque affidabili, tali tipi di esami poiché in grado di rappresentare in maniera oggettiva la struttura e la morfologia cerebrale e perciò preferibili rispetto all’indagine clinica classica. A fronte delle risultanze su dette, il giudice applicò la pena in misura ridotta, poiché la donna venne considerata un soggetto con patrimonio genetico debole ed incline alla devianza (per quest’ultima conclusione venne applicata anche una misura di sicurezza).

Non si rinvengono altri casi giudiziari risolti attraverso l’impiego delle neuroscienze, anzi, sono in numero di gran lunnga superiore quelli in cui l’ingresso delle neuroscienze è stato sbarrato da un giudizio di inidoneità. Si pensi al noto caso del processo Franzoni bis58 (relativo al reato di calunnia per avere la stessa accusato il suo vicino di casa di aver ucciso il piccolo Samuele) in cui non venne dato alcun valore probatorio allo A-IAT (presentato come prova dalla difesa per convincere il giudice della veridicità del pensiero formulato dalla Franzoni) sul presupposto che è impossibile rappresentare con oggettività la condizione mentale di una persona, soprattutto se gli avvenimenti appartengono ad un tempo relativamente passato, essendo il cervello in continuo movimento. Ancora, si può fare riferimento al Caso Mattiello59 dove si duscusse della correlazione tra un problema organico del reo, affetto da tumore al cervello, e la parafilia del tipo pedofilia (la pedofilia non rientra tra i disturbi della personalità di gravità tale da scemare la capacità di intendere e di volere ex sentenza Cass. Sez. Un., 25/01/2005) e commissione della violenza sessuale verso minore, che si concluse per la non riscontranza di una simile dipendenza (asportato il tumore, la parafilia non scomparve).

6. Neuroimaging e procedimento penale: prospettive future

Come si è già detto, il contributo che le neuroscienze possono apportare alla dinamica procedimentale penale60 è maggiormente incentrato sull’analisi dell’attendibilità delle dichiarazioni rese, sia in sede di indagine (sommarie informazioni ed interrogatorio dell’indagato) che in sede processuale (testimonianza ed esame dell’imputato) e, in primissima batutta, sulla valutazione della capacità di intendere e di volere dell’indagato/imputato (imputabilità61) e della pericolosità sociale62. Tali attività sono di estrema importanza per gli sviluppi di un procedimento/processo penale poiché, dalle loro risultanze derivano effetti penali diversi. Una diagnosi di infermità mentale conduce, come conseguenza penale, ad una pronuncia di non doversi procedere per incapacità di intendere e di volere per difetto di imputabilità. Tale condizione però, non è sufficiente né per non procedere nei confronti dell’infermo con l’applicazione di una misura di sicurezza nel caso di prognosi di pericolosità sociale e né con l’esclusione dell’imputabilità sul mero dato scientifico poiché, il giudice è chiamato a svolgere un giudizio sul nesso causale tra l’infermità rilevata e la commissione della fattispecie di reato specifica (quella specifica malattia è causa di quel reato). Tale dato è già sufficiente per dimostrare la diversità di struttura e funzione tra neuroscienza e diritto penale e ne consegue che la prima può solo essere impiegata in ausilio al secondo e mai risultare come preponderante. In relazione a quanto poc’anzi affermato, risulta evidente e necessaria la connessione delle risultanze neuroscientifiche per lo sviluppo del procedimento penale ed in tal senso, pur tenendo in considerazione la particolarità del sistema penale, non può non rilevare che una tecnica scientifica che dimostri di produrre risultati oggettivi e tendianzialmente “certi”, possa svolgere un ruolo fondamentale nelle dinamiche penalistiche. Ne consegue che diventa importante il grado di affidabilità che le tecniche di neuroimaging offrono63 in relazione agli standard penalistici. Ed è anche per tale ragione che con questo contributo si vuole sostenere la compatibilità tra neuroscienze e diritto processuale penale. Infatti, non sorgono dubbi sulla validità scientifica delle neuroscienze e, tra queste, sulla validità del neuroimaging, e non si discute perciò sulla loro validità processuale. Cosa diversa è il margine di valutazione che tali tecniche assumono in relazione al tipo di esame svolto e al tipo di attività legale a cui sono funzionali. Infatti, lo stesso dato scientifico può essere ritenuto valido o meno a seconda del dato processuale che si vuole verificare. Un conto è diagnosticare una lesione cerebrale, un altro è diagnosticare la presenza di un gene particolare che può assumere rilevanza in termini di cattiva formulazione del pensiero (volontà) e dell’azione che da questo scaturisce. Si ragiona in termini di peso in relazione al grado di oggettività di un certo risultato.

Ciò che risulta, forse, sottovalutato è il funzionamento del sistema processuale stesso e con esso la funzione svolta dal giudice. Infatti, a volte, ci sfugge che il processo non è mai incentrato sulla verità assoluta, ma appunto segue la logica della verità processuale64 che a sua volta si basa sul metodo dell’inferenza65e sul metodo dell’induzione66. Quando si sente parlare, soprattutto in ambito penale, della c.d. prova regina67(si pensi alla confessione e alla testimonianza), si commette l’errore di pensare che quella prova sia la sola a dimostrare un certo risultato processuale. La realtà ci dimostra che non è mai così, anzi la maggior parte delle volte i processi si scardinano intorno ad una serie di prove indiziarie68 (indizi gravi, precisi e concordanti). Questo dato non ci deve sconvolgere e certamente non vi è alcuna violazione delle regole processuali che, anzi lo ammettono. La base è abbastanza intuibile. Tornare indietro non si può e raramente si dispone di un dato che possa ricostruire perfettamente la dinamica di un caso (video-riprese) e quando lo si dispone, non vi è alcun automatismo perché, il processo si fonda sul contraddittorio tra le parti (possibilità di contrastare una risultanza probatoria) ed inoltre ogni prova deve comunque essere valutata dal giudice69 (analisi del caso concreto attraverso il confronto probatorio calato nel contesto di riferimento) che è libero, secondo un metodo logico-razionale-legale, nel suo convincimento (di cui darà dimostrazione attraverso la motivazione della sentenza). Per capire tale dinamica, si può fare riferimento all’annoso dibattito sul nesso di causalità (dibattito mai sopito del tutto) che sembra aver trovato un risultato solido con la pronuncia Franzese. Ecco, in tale dibattito scientifico-penalistico, si è lavorato molto sull’analisi del grado probabilistico in relazione alla rilevanza di un certo dato nella dinamica causale di un certo evento. Sul punto, vi era chi propendeva per una certezza probabilistica tendente al 100%70 (Federico Stella su tutti) e chi invece, avvedutosi della mancata possibilità di un simile risultato (in particolare Marcello Gallo71), calava il giudizio sull’analisi del caso concreto applicando i criteri razionali e logici propri della valutazione processuale che è chiamato a svolgere il giudice (credibilità logica). Per ciò che ci riguarda rilevano due dati:

  1. la struttura stessa del processo segue un metodo probabilistico;
  2. non esiste una prova che possa avere un’evidenza assoluta in generale, ma solo un’evidenza calata nel caso concreto.

Ne consegue che un certo dato o una certa tecnica o un certo sapere non può essere escluso a priori dal circuito processuale solo perchè non vi è una certezza oggettiva generale e quasi assoluta, perché il processo questo non lo richiede. Gli stessi criteri Daubert, ripresi dalla sentenza Cozzini, non si riferiscono al raggiungimento di un risultato assoluto, si parla di accettazione scientifica generale ma, tale dato non è rilevante se preso singolarmente, risulta valido se posto in relazione agli altri criteri che puntano più sul dato concreto. Ad esempio, l’analisi dei casi giudiziari legati al processo causale in relazione a sostanze tossiche come l’amianto e l’insorgenza di malattie polmonari mortali esprimono quanto fino ad ora esposto. Nel panorama scientifico non vi è ancora una scoperta certa sulla causa dei tumori72, vi sono però dati statistici i quali devono essere correlati all’analisi del caso specifico nella sua interezza. Ragionando in termini di evidenza scientifica, tutti i processi legati a tale nesso non dovrebbero nemmeno cominciare. Ma non è così.

Quando ci si riferisce al metodo inferenziale proprio della logica processuale, ci si sta riferendo all’impossibilità della certezza e alla possibilità della certezza processuale. Del resto la formula “oltre ogni ragionevole dubbio73” è l’emblema di quanto poc’anzi affermato. Nel caso contrario il legislatore si sarebbe espresso con una formula improntata sulla certezza. Dunque, è più in linea con la ratio del processo non effettuare esclusioni in senso aprioristico e generale ma, affidarle alla valutazione del giudice. Infatti, a meno che non vi sia un divieto espresso per legge, ogni fonte di prova passerà dal suo mezzo per divenire prova solo una volta ammessa al processo dal giudice, il quale è il soggetto maggiormente competente per analizzare il grado di validità di un certo dato in relazione al caso concreto ed è lo stesso che sarà in grado di distinguere in tale sede, ciò che in quel momento è scienza spazzatura, da ciò che non lo è. Il tanto agognato metodo scientifico, sarebbe un nulla senza l’apporto valutativo del giudice il quale, è il solo a dover selezionare i dati probatori nella ricerca della verità processuale, che a sua volta rappresenta il grado ottimale di certezza a cui si è potuto giungere in quel particolare momento storico.

Assodato tale aspetto, bisogna riflettere sul possibile connubbio neuroscienze e diritto penale. In tal senso, si è già detto che il grado di validità scientifica delle tecniche di neuroimaging non può più essere messo in discussione74. Infatti, sia la struttura che il funzionamento di tali tecniche rispondono ai parametri propriamente scientifici, sia in termini di oggettività del metodo e sia in termini di attendibilità dei risultati. La questione, allora, si sposta sul tipo di dato che si sottopone all’analisi neuroscientifica, in relazione alle regole propriamente penali-processuali. Non vi sono dubbi sull’importanza che il neuroimaging assume nella valutazione delle lesioni strutturali e morfologiche del cervello e dell’importanza di tale dato al fine della valutazione della possibile diagnosi di infermità o di semi-infermità mentale e di conseguenza della valutazione dell’incapacità di intendere e di volere. Si giunge a risultati parzialmente diversi quando tali tecniche sono impiegate per valutare altri aspetti della personalità psicofisica dell’individuo, perché diffusa é la sensazione di un’indebita intrusione delle prime nella libertà morale di quest’ultimo75.

Quest’ultimo dato rappresenta la chiave di lettura per valutare la capacità o meno delle tecniche di neuroimaging di comprimere, fino ad annullare, la capacità di autodeterminazione dell’individuo che vi è sottoposto. Si è avuto modo di osservare che tali tecniche, permettono di studiare in modo diretto l’attività cerebrale76. In particolare, dallo studio dell’attività cerebrale è emerso che nel corso dell’esposizione ad una stimolazione emotiva o durante la risposta comportamentale, sia in condizioni fisiologiche normali, che patologiche, sembrerebbe possibile individuare le componenti neurobiologiche del comportamento decisionale e comportamentale di tipo automatico e involontario, nonché sembrerebbe possibile riscontrare una base neuronale persino nella conformazione del pensiero morale. In sostanza, nel cervello del soggetto sano e in quello del soggetto disturbato, le funzioni cerebrali poc’anzi richiamate opererebbero in modo diverso, per cui il secondo non riuscirebbe a bloccare le risposte automatiche77. Ne consegue che, lungi dal riproporre le tesi assolutistiche lombrosiane, basate sul determinismo biologico, i soggetti non sani con un lobo frontale mal funzionante, risultano essere maggiormente predisposti alla commissione di comportamenti illeciti, in relazione a tale condizione fisiologica e dunque anche in assenza di contatti con ambienti particolarmente sfavorevoli (preminenza delle cause interne rispetto ai fattori esterni). Nello stesso senso, anche le recenti scoperte sui fattori genetici confluirebbero alla medesima conclusione: in presenza di una certa componente genetica, l’esposizione ad eventi traumatici comporterebbe il verificarsi di reazioni aggressive che in assenza della prima non si sarebbero verificate (rilevanza della componente genetica rispetto all’esposizione ad un fattore traumatico che diventa solo l’elemento scatenante e non la causa del comportamento aggressivo). Sul punto, rilevano i recenti studi di biologia molecolare e di genetica comportamentale, finalizzati a studiare, analizzare ed individuare rispettivamente il genoma umano e l’influenza del patrimonio genetico sul comportamento e sulla personalità dell’uomo. Nello specifico, si ritiene che un’influenza sul comportamento criminale potrebbe essere esercitato da un tipo di geni, c.d. di suscettibilità, come il MAOA78 , nel senso che se pure non in termini assoluti, i soggetti che li possiedono, specie se sottoposti ad esperienze stressanti, hanno una probabilità maggiore di svilupparlo.

Tali risultati scientifici79, hanno già in atto l’elemento di giuntura tra neuroscienze e diritto penale: il metodo sperimentale. Infatti, le neuroscienze proprio perchè si fondano sul metodo sperimentale (oggetivistico), come rilevato da alcune corti italiane, offrono l’adesione ai criteri scientifici elaborati nella sentenza Cozzini:

  • si prestano ad un controllo di affidabilità dall’esterno;
  • garantiscono la ripetizione della prova e l’analisi statistiche dei dati ottenuti;
  • si strutturano e funzionano secondo criteri e metodi scientifici;
  • sono per natura oggettive.

Tale dato letto in relazione a quanto affrontato in tema di libertà morale del dichiarante ci consente di affermare che tra neuroscienze e analisi della prova dichiarativa non sussiste alcuna incompatibilità astratta. A maggior ragione, se si considerano tali risultati per quelli che essi rappresentano concretamente nella dinamica del procediemento penale: un elemento indiziario o probatorio (in base alla fase del procedimento penale) che è posto in relazione agli altri elementi o prove a disposizione e che sono comunque sottoposti al giudizio di ammissione e valutazione critica del giudice.

 

7. Conclusione

 

Assodato che non ha alcun senso logico e aderente al vero prospettare l’uomo privo del libero arbitrio ma, che anzi è razionalmente corretto propendere per il suo opposto, l’uomo è dotato di libero arbitrio in quanto tale, si conviene che l’analisi sul punto vada effettuata in relazione al caso concreto. Ciò che rileva, infatti, è cercare di sapere cosa è successo in un certo momento durante un certo corso di eventi in cui l’uomo si è trovato ad agire o a non agire e ricavarne risposte in termini di responsabilità. In questo senso, assume particolare valore la dicotomia uomo libero o uomo determinato. Non un giudizio aprioristico svolto in chiave assoluta e generalizzante, ma un giudizio che tenga in considerazione ogni fattore che ha interagito nel corso di un certo evento, compreso l’uomo. Solo in questo modo si può addivenire a distinguere se, quando e come l’uomo sia stato causa delle proprie azioni o se lo stesso non abbia potuto esercitare alcuna forza determinante sulle stesse. Ci si riferisce a tutti quei fattori imprevedibili e inarrestabili dall’esercizio della volontà umana.

Sulla base di queste considerazioni, si è cercato di trovare il punto di contatto tra le neuroscienze e il libero arbitrio in chiave processuale-penalistica e dunque, si è posto l’accento sulla capacità delle prime di determinare il secondo. In tal senso, giova ricordare che l’uomo è posto in continua relazione con il mondo esterno e che da questo acquisisce e, a volte, subisce influenze ma, un conto è parlare di possibile condizionamento ed un conto è parlare di determinazione. La differenza tra condizionamento e determinismo, ci permette di vagliare positivamente l’ingresso delle neuroscienze nel campo penale, considerando i delicati momenti in cui queste possano entrare in contatto con la libertà morale dell’individuo.

Non vi è dubbio che le tecniche neuroscientifiche possano esercitare una certa pressione nel soggetto che vi è sottoposto, ma ragionando in termini di tale effetto, ogni fattore può essere in grado di produrlo. Per tale ragione, non ha molto senso logico continuare a sviluppare giudizi aprioristici sulle neuroscienze, anzi è del tutto incoerente con la ratio stessa della funzione penalistica, la quale, sebbene ancorata a principi cardini come quello della legalità, trova fondamento nel caso concreto. Le norme, infatti, non avrebbero senso alcuno se non fossero ancorate al caso concreto e le prime costituiscono gli strumenti per l’analisi di quest’ultimo. In altre parole, proprio la struttura ed il funzionamento del processo penale, ci porta a concludere che non ha senso logico escludere l’impiego delle neuroscienze dallo stesso. A maggior ragione, quando un dato elemento possa apportare un reale ed attendibile contributo. In tal senso, si può concludere che essendo l’architrave del procedimento penale ben solida, il ricorso alle neuroscienze non è in grado di minarne la struttura ed il funzionamento, anzi fornirebbe solo ciò che esse esprimono, un dato da valutare.

Ragionando, invece, in merito alla possibilità che le neuroscienze possano determinare la volontà si devono prendere in considerazione le due condizioni sopra richiamate: determinismo come costrizione e determinismo come previsione o descrizione. Nell’accezione con cui lo si è inteso nel corso del presente lavoro, come costrizione, le attuali tecniche di neuroscienze, a meno che non si sfoci nell’illegalità, si è osservato che non sono in grado di provocare tale effetto sulla volontà umana. Si ragiona, infatti, tenendo in considerazione un contesto lecito, dove tali tecniche sono impiegate per scopi benevoli. Quest’ultime, invece, possono essere impiegate per prevedere il compimento di un certo comportamento o una certa azione e/o possono rivelare la causa di un certo comportamento o una certa azione già commessa. Sul punto è bene ricordare, che si procede sempre in termini di probabilità e che non si è in grado ancora di pervenire ad una certezza assoluta e non si sa se mai la si otterrà e tale dato non è un difetto delle neuroscienze, ma è una condizione insita nella conoscenza umana, sia essa puramente scientifica, che giuridica. Tanto basta a non differenziare i risultati raggiunti da tali tecniche, rispetto a quelli ottenibili dall’impiego di mezzi scientifici classici. Per concludere sul punto, dati i criteri della logica e della probabilità su cui si erge il procedimento penale, costituisce un refuso ideologico postulare l’esclusione delle tecniche neuroscientifiche, anzi un contro senso. Per fino in relazione all’analisi della prova dichiarativa. In tal senso, si pensi al cannubbio consenso-innocenza. Si vuole dire che, in un sistema giuridico basato sull’uomo e sulla capacità di autodeterminazione dello stesso, ha ancora senso negare l’impiego di tali tecniche anche nel caso in cui sia lo stesso soggetto interessato a chiederne l’applicazione in ottica di esercitare il proprio diritto difesa?

Anche se allo stato attuale e per i principi penali già analizzati, sia ancora lontano il tempo in cui l’impiego di tali tecniche possa essere adoperato per valutare la colpevolezza di un individuo, si deve pervenire alla stessa soluzione nel caso in cui sia dia peso ai risultati prodotti dalle medesime, per valutare invece l’innocenza? L’oltre ogni ragionevole dubbio, infatti, è posto a tutela dell’innocenza di un individuo e questo è il parametro guida dell’intero procedimento penale. Allora, ragionando nell’ottica della tutela di un individuo sottoposto a procedimento penale e tenendo in considerazione l’oggettività del metodo e la coerenza con la struttura e la funzione dello stesso, ha ancora senso negare l’ingresso delle neuroscienze nel sistema penale?

Per quanto affrontato nel presente lavoro, la conclusione è negativa e si auspica che si possa giungere ad un bilanciamento positivo tra regole del procedimento penale e neuroscienze perché, l’uomo è destinato ad evolversi e con esso l’intera società di cui le norme sono il riflesso.

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1 def. Scienza che studia le funzioni degli organismi viventi – animali e vegetali – per conoscere le cause, le condizioni e le leggi che determinano e regolano i fenomeni vitali. https://www.treccani.it/enciclopedia/fisiologia

3Lugli V., Brancucci A., Tecniche di neuroimaging per la ricerca in neuroscienze, Universitalia, 2011;

Pagani M., Carletto S., Il cervello che cambia. Neuroimaging: il contributo alle neuroscienze, Mimesis Edizioni, 26.09.2019;

Vedi capitolo 2.

4Bianchi A., Gullotta G., Sartori G., Manuale di neuroscienze forensi, Giuffrè, 2009, pag.243;

De Cataldo Neuburger L., La prova scientifica nel processo penale, CEDAM, 2007, pp. 328 ss.;

De Cataldo Neuburger L., Gullotta G., Sapersi esprimere. La competenza comunicativa, Giuffrè, 2009, pp.178 ss.

5Popper K.R., Eccles J.C., L’io e il suo cervello. Strutture e funzioni cerebrali, Armando Editore, 1994, pag.472, sul funzionamento dell’ippocampo nell’attività di memoria,

6Marcon G., Oltre l’indizio.Verso una lettura psico-criminologica del reato, libreriauniversitaria.it, 2017, pp.412 ss., sul funzionamento dell’amigdala ed il suo ruolo nella percezione e nell’espressione delle emozioni.

7Grossi D., Neuropsicologia dei lobi frontali. Sindromi disesecutive e disturbi del comportamento, Il Mulino, 2013;

Scrimali T., Neuroscienze e psicologia clinica. Dal laboratorio di ricerca al setting con i pazienti, Franco Angeli Edizioni, 30.11.2009, pp 26 ss.

8«i neuroni, per potersi scambiare informazioni, trasmettendo scariche elettriche attraverso le connessioni sinaptiche, necessitano di un’energia che, nel cervello, è prodotta bruciando glucosio con ossigeno; poiché il glucosio ed ossigeno sono trasportati dal sangue là dove c’è necessita, cioè c’è scambio sinaptico dei neuroni, ecco che in quella regione del cervello vi sarà maggiore afflusso di sangue» cit.Palma A.U., Le “prove di verità” e la libertà morale del dichiarante, archiviopenale.it, https://archiviopenale.it/File/DownloadArticolo?codice=47aa987e-d0b2-4be0-8725-67423f802b31&idarticolo=21795, consultato in data 29.04.2023

9Musumeci E., Cesare Lombroso e le neuroscienze, un parricidio mancato : devianza, libero arbitrio, imputabilità tra antiche chimere ed inediti scenari, FrancoAngeli, 2012, pp. 100 ss.;

Zudini V., La misura della menzogna. Vittorio Benussi e le origini della psicologia della testimonianza, EUT, 2011, pag. 12

10Oliverio A., Storia naturale della mente: l’evoluzione del comportamento, Boringhieri, dig.8.10.2018, pubb.1984, pp.79 ss.

11Cena L., Imbasciati A., Neuroscienze e teoria psicoanalitica. Verso una teoria integrata del funzionamento mentale, Springer Milano, 26.03.2014, sullo sviluppo delle neuroscienze ed il contributo delle stesse alla psicoanalisi e quindi all’indagine sul funzionamento mentale.

12De Caro ha affrontato una cernita delle varie teorie filosofiche sul punto offrendo, al termine della sua opera, una chiave di lettura personale basata sul metodo dell’abduzione. L’autore sostiene che «a partire dalle spiegazioni delle scienze umane si può costruire un’abduzione […] in favore della libertà» concludendo che è razionale accettare l’idea della libertà umana nella misura in cui essa è implicata dalle spiegazioni delle scienze umane. In poche parole, allo stesso non interessa indigare il fondamento del libero arbitrio o del determinismo, ma sul presupposto dell’esistenza di entrambi e sull’impossibilità di giungere ad una conclusione generalmente valida, ci si deve concentrare su una spiegazione che sia coerente con il senso del vi ragione dispongono della libertà.

13Si pensi ad una malattia neurodegenerativa.

14Un qualsiasi fattore esterno che sia indomabile dalle capacità di controllo umane.

15Guildi M., Il soggetto tra realtà e determinismo, in Filosofia dell’avvenire di Ugo Perrone, Rosenberg & Sellier, 2010, pp.77-83…Accettare la contraddizione di una sovradeterminazione causale affermando due determinismi contrapposti significa dare l’ultima parola alla libertà in quanto la volontà di sostenere l’esistenza di una contraddizione contraria al senso comune è una dimostrazione della possibilità per il soggetto di sottrarsi al completo condizionamento.

Prestipino G., Per una antropologia filosofica:proposte di metodo e di lessico, Guida, 1983, pp.ss. 8, sulla, differenza tra condizionamento e determinazione.

16Baldacci M., Personalizzazione o individualizzazione?, pag.42, Erickson, 2005;

Salardi S., Test genetici, tra determinismo e libertà, pag.7, Giappichelli, 2010

17Sull’influenza del fattore ambientale nella conformazione genetica si prenda visione di Gagliasso E., Lontani dal determinismo:reti di relazioni vincolate, Etica & Politica / Ethics & Politics, XVIII, 2016, 3, pp. 75-90 e di Peter J. Richerson P. J., e Boyd R., Non di soli geni. Come la cultura ha trasformato l’evoluzione umana. Torino: Codice edizioni, 2006, 392 pp, riv. Sociologica 1/2008

18L’impatto rivoluzionario del pensiero di Charles Darwin (1809-1882), autore della teoria dell’evoluzione per selezione naturale, argomentata organicamente in Origine delle specie per mezzo della selezione naturale (1859), non interessò unicamente l’ambito scientifico-biologico: esso si estese ad una pluralità di aree differenti del pensiero, conducendo ad una radicale messa in discussione dei principali dogmi relativi alla natura dell’uomo e del mondo.

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19 Benevolo F., La scuola classica e la nuova scuola positiva, Unione tipografico-editrice, dig. 1.03.2008, pubb.1886;

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La scuola positiva applica il positivismo nello studio della criminogenesi e dunque il metodo sperimentale proprio delle scienze naturali, quali la medicina, la fisica.

20Baima Bollone P., Cesare Lombroso ovvero, il principio di irresponsabilità, Società editrice internazionale, 1992;

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21Poiché il crimine non è il frutto di una libera scelta, assenza del libero arbitrio, ma è piuttosto la manifestazione di una patologia organica, cioè di una malattia, allora la pena deve essere intesa non come una punizione ( non ha senso punire chi non ha agito liberamente-teoria retributiva propria alla scuola classica), ma semplicemente come strumento di tutela della società (teoria della prevenzione sociale).

22Lombroso, studiando il cranio del brigante Vilella, rileva che nell’occipite, anziché una piccola cresta, c’è una fossa, alla quale dà il nome di “occipitale mediana”. La cresta occipitale interna del cranio, prima di raggiungere il grande foro occipitale, si divide talvolta in due rami laterali che circoscrivono una “fossetta cerebellare media o vormiense”, che dà ricetto al verme del cervelletto. Questa caratteristica anatomica del cranio è oggi chiamata fossetta di Lombroso

23Brizi L., Dalla tipicita’ del fatto alla tipicita’ dell’autore nella piu’ recente legislazione penale, Università degli studi Roma Tre, 22.03.2019, http://hdl.handle.net/2307/40786, consultato in data 22.03.2023;

Donini M., Diritto penale del nemico, un dibattito internazionale, Giuffrè, 2007

24Merzagora I., Colpevoli si nasce? criminologia, determinismo, neuroscienze, Cortina, Milano, 2012, pp. 234, in riv.diritto penale contemporaneo,19.06.2013, https://archiviodpc.dirittopenaleuomo.org, consultato in data 23.03.2023

25Libet B., et al., «Time of conscious intention to act in relation to onset of cerebral activity (Readiness-Potential). The

unconscious initiation of a freely voluntary act», in Brain, 106, 1983, pp. 623-642. Sono celebri le ricerche condotte da Benjamin Libet, lo scienziato che per primo applicò metodi di indagine neurofisiologica per studiare la relazione tra l’attività cerebrale e l’intenzione cosciente di eseguire un determinato movimento volontario. Nei suoi esperimenti, Libet invitava i partecipanti a muovere, quando avessero voluto, il polso della mano destra e, contemporaneamente, a riferire il momento preciso in cui avevano avuto l’impressione di aver deciso di avviare il movimento: l’obiettivo era infatti quello di indagare il rapporto tra la consapevolezza dell’inizio di un atto e la dinamica neurofisiologica sottostante.

Durante l’esecuzione del compito, veniva registrata l’attività elettrica cerebrale tramite elettrodi posti sullo scalpo al fine di determinare il profilo temporale dei potenziali cerebrali associati al movimento. L’attenzione era focalizzata su uno specifico potenziale elettrico cerebrale, il cosiddetto potenziale di prontezza motoria. Questo potenziale elettrico è visibile nel segnale dell’elettroencefalogramma come un’onda lenta che comincia un secondo (o poco più) prima di ogni movimento volontario, rilevato bilateralmente in corrispondenza delle regioni pre e postcentrali dello scalpo.Il risultato degli esperimenti di Libet emerge dalla comparazione del tempo soggettivo della decisione con quello neurale: si rileva infatti che il potenziale di prontezza motoria, che culmina nell’esecuzione del movimento, comincia nelle aree motorie prefrontali del cervello molto prima del momento in cui al soggetto sembra di aver preso la decisione. I volontari, infatti, diventavano consapevoli dell’intenzione di agire circa 350 millisecondi (ms) dopo l’instaurarsi del potenziale di prontezza motoria di tipo II (tipico delle azioni non pianificate e più spontanee) e 500-800 ma dopo l’instaurarsi del potenziale di prontezza motoria di tipo I (tipico delle azioni pianificate).

Sulla scia delle scoperte di Libet, recentemente sono stati svolti degli esperimenti simili applicando tecniche neuroscientifiche.

Ad alcuni individui, sottoposti all’esperimento, veniva chiesto di scegliere liberamente, quando avvertivano un impulso in tal senso, se premere il pulsante destro o quello sinistro, verificando quale lettera appariva in quel momento sullo schermo. Nel frattempo gli sperimentatori, per mezzo di una risonanza magnetica funzionale (fMRI), misuravano la risposta emodinamica del cervello dei soggetti. Il sorprendente risultato è stato che gli sperimentatori erano in grado di prevedere, con un anticipo di 7-10 secondo, se la decisione dei soggetti sperimentali sarebbe stata quella di premere il bottone destro o il sinistro. Questo esperimento è certamente assai interessante e da vari punti di vista rappresenta un’evoluzione rispetto agli esperimenti di Libet. E ciò sia perché dal punto di vista tecnologico è più avanzato (utilizza la risonanza magnetica funzionale invece dell’elettroencefalogramma) e sia perchè l’oggetività del metodo permette di offrire un grado di attendibilità maggiore. Cit. De Caro M., in https://www.incircolorivistafilosofica.it/wp-content/uploads/2017/12/Sulla-presunta-illusorietà-del-libero-arbitrio-De-Caro.pdf

26Bruzzone R., Magrin V., Delitti allo specchio. I casi di Perugia e Garlasco a confronto oltre ogni ragionevole dubbio, StreetLib, 31.08.2017

27Palma A.,U., Le “prove di verità” e la libertà morale del dichiarante, in Archivio Penale, 2020, n.1, pp.9 ss., sulle tecniche impiegate per rilevare la menzogna, https://archiviopenale.it/File/D, consultato in data 17.04.2023

28Bottaccioli F., Filosofia per la medicina, medicina per la filosofia, Grecia e Cina a confronto, Tecniche nuove, 2010, pp 17 ss. Eristrato teorizza la connessione tra il sistema nervoso, quello pneumatico e quello sanguigno (triplokia). La menzogna agisce sul sistema nervoso il quale ne trasmette, tramite impulsi, i risultati sia al sistema pneumatico che a quello sanguigno (accelerazione del battito cardiaco, aumento della pressione sanguigna).

29 Bianchi A., Gulotta G., Sartori G., Manuale di neuroscienze forensi, Giuffrè, 2009, pp. 235 ss., sull’utilizzo della tortura come

strumento investigativo e come pena;

Cassese A., I diritti umani oggi, Editori Laterza, 1.09.2015;

Luparia L., Marchetti P., Selvaggi N., Confessione, liturgie della verità e macchine sanzionatorie. Scritti raccolti in occasione del Seminario di studio sulle ‘Lezioni di Lovanio’ di Michel Foucault, Giappichelli, 21.05.2015;

Scott G.R., Storia della tortura, Mondadori, 25.07.2017

30Cardini F., Montesano M., La lunga storia dell’inquisizione, luci e ombre della “leggenda nera”, Città nuova, 2005

31Righini Bonelli M.L., Vita di Galileo, Nardini: centro internazionale del libro, 1974, pag. 42

32Andreoli A., Identità alla prova la controversa storia del test del DNA tra crimini, misteri e battaglie legali, Sironi, 2009, pag. 39;

De Ceglia F.P., Dibattista L., Il bello della scienza, intersezioni tra storia, scienza e arte, FrancoAngeli, 2013, pag. 48.

33Altavilla E, Psicologia giudiziaria, U.T.E.T., 1955, sul poligrafo

34Rivolta M., Quadrio A., Aggiornamenti di psicologia giuridica, EDUCatt Università Cattolica, 13.07.2015

35Monzani M., Temi di psicologia giuridica e investigativa, Con 23 schede di approfondimento, libreriauniversitaria.it, 2015, pp

222 ss., sull’importanza delle domande aperte e sull’atteggiamento colloquiale nella prima fase dell’intervista.

36De Cataldo Neuburger L., Gullotta G., Trattato della menzogna e dell’inganno, Giuffrè, 2008, pag.243;

Gullotta G., Compendio di psicologia giuridico-forense, criminale e investigativa, Giuffrè, 2011, pp 193 ss.

37Bianchi A., Gullotta G., Sartori G., Manuale di neuroscienze forensi, Giuffrè, 2009, pp 173 ss.

Restak R.M., Le grandi domande. Mente, edizioni Dedalo, 2013, pp.115 ss.

38Pais S., Perrotta G., L’indagine investigativa. Manuale Teorico-Pratico, Primiceri Editore, 2015, pp. 449 ss., sui requisiti di validità degli strumenti di indagine in relazione alla tutela delle sfera personale dell’individuo.

39Profeti M.G., La menzogna, Alinea, 2008, pp. 512 ss. Sulle attività cognitive poste in essere nell’azione del mentire.

40Garofano L., Pensieri M.G., La falsa giustizia, La genesi degli errori giudiziari e come prevenirli, Infinito Edizioni, 18.06.2019, sugli errori nelle tecniche di indagine e durante le interviste.

41Caso L., Vrij A., L’interrogatorio giudiziario e l’intervista investigativa. Metodi e tecniche di conduzione, Il Mulino, 2009, sull’intervista giudiziaria in genere;

De Cataldo Neuburger L., Gullotta G., Trattato della menzogna e dell’inganno, Giuffrè, 1996, pp.244 ss.;

Pais S., Perrotta G., L’Indagine Investigativa. Manuale Teorico-Pratico, Primiceri Editore, 2015, pag. 348, sull’intervista in sede di interrogatorio.

42Rivista di diritto processuale penale, Vol.n.3, A. Giuffrè, 1956, pp. 205 ss. Sulle problematiche in ordine all’attendibilità di tali tipi di test in relazione alla sfera emotiva del soggetto esaminato.

43Frye v. United States (293 F. 1013, D.C. Circ);

Carlizzi G., Tuzet G., La prova scientifica nel processo penale, Giappichelli, 11.12.2018, pp. 87 ss.;

Ubertone M., Il giudice e l’esperto: deferenza epistemica e deferenza semantica nel processo – e-Book, Giappichelli, 14.04.2022, pag. 19;

44Ferrua P., Marzaduri E., Spangher G., La prova penale, G.Giappichelli editore, 2013, pp.97 ss., sul controllo di qualità della nuova prova scientifica;

Masera L., Accertamento alternativo ed evidenza epidemiologica nel diritto penale, gestione del dubbio e profili causali, Giuffrè, 2007, pag. 71;

Tonini P., Conti C., Il diritto delle prove penali, Giuffrè, 2012, pp. 335 ss., sulla nuova scienza ed il criterio del generale accettazione della prova scientifica.

45Canzio G., Prova Scientifica, ricerca della “verità” e decisione giudiziaria nel processo penale, in Quaderni della Rivista Trimestrale di Diritto e Procedura Civile, Giuffrè, 2005;

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46De Caraldo Neuburger L., La prova scientifica nel processo penale, CEDAM, 2007, pag. 39;

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Cfr. Daubert v. Merrel-Dow Pharmaceuticals, Inc. 509 U.S. 579 (1993). La sentenza è tradotta

in Riv. trim. dir. proc. civ., 1996, p. 277 ss., con nota di DONDI, Paradigmi processuali ed “expert witness

testimony” nel diritto statunitense, vi,p. 261 ss.

47Carlizzi G., Tuzet G., La prova scientifica nel processo penale, Giappichelli, 11.12.2018, pp 52 ss.;

De Francesco G., Morgante G., Milone S., Il diritto penale di fronte alle sfide della -società del rischioUn difficile rapporto tra nuove esigenze di tutela e classici equilibri di sistema, Giappichelli, 2018, pp.277 ss.;

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Il caso Cozzini è incentrato sul tema scientifico relativo all’esistenza o meno di un effetto acceleratore del processo morboso connesso alla protrazione dell’esposizione alla sostanza dannosa dopo l’iniziazione del processo patogenetico. E’ il problema della dose monodipendente e delle malattie multifattoriali. Sul punto è rilevante anche la pronuncia della Cassazione del 2014 sul caso Thyssenkrupp, Cass., Sez. IV, sent. 13 maggio 2016 (dep. 12 dicembre 2016), n. 52511, in Diritto Penale Contemporaneo Archivio 2010-2019, annotata da Aimi A., 9.1.2017, https://archiviodpc.dirittopenaleuomo.org/d/5102-si-conclude-definitivamente-il-processo-thyssenkrupp, consultato in data 23.04.2023.

48Cass. Pen. sez. IV, 17.9.2010, Cozzini, in Cass. pen., 2011, 5, 1679 ss. con note di BARNI, Il medico legale e il giudizio sulla causalità: il caso del mesotelioma da asbesto, in Riv. it. med. leg., 2011, 2, 489 ss.

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Tonini, P., La Cassazione accoglie i criteri Daubert sulla prova scientifica. Riflessi sulla verifica delle massime di esperienza, in rivista Dir. Pen. Proc.,vol. 11, p. 1341, 2011

49Calò L., Il contraddittorio scientifico, Giappichelli, 6.11.2020;

Zirulla S., Morti da amianto ed effetto acceleratore: la Cassazione interviene (tra l’altro) sui criteri di selezione della “scienza nuova”, 13.02.2020, riv. Sistema Penale, in https://www.sistemapenale.it/it/scheda/cass-45935-del-2019-amianto-effetto-acceleratore-criteri- selezione-scienza-nuova, consultato in data 24.04.2023.rviene (tra l’alt

50Fabricant M.C., Junk Science and the American Criminal Justice System, Akashic Books, 5.04.2022;

Kitaeff J., Malingering, Lies, and Junk Science in the Courtroom, Cambria Press, 2007, pag. 206 ss.

51Riziero A., Il processo indiziario, Giappichelli, 4.03.2021, pp. 83 ss., sulla prova scientifica ed i criteri di valutazione a cui deve attenersi il giudice.

52“…Il giudice deve verificare la stessa validità scientifica dei criteri e dei metodi utilizzati dal perito, allorché essi si presentino come nuovi e sperimentali e perciò non sottoposti al vaglio di una pluralità di casi e non dal confronto critico tra gli esperti del settore, potersi considerare come acquisiti al patrimonio della comunità scientifica. Quando invece la perizia si fonda su cognizioni di comune dominio degli esperti e su tecniche di indagine ormai consolidate, il giudice deve verificare unicamente la corretta applicazione delle suddette cognizioni e tecniche.” cit.

Cass. Pen. sez. V, 9.7.1993 su www.cortedicassazione.it

53Si pensi alle disposizioni degli artt. 613 (“Stato di incapacità procurato mediante violenza”) e 728 (“Trattamento idoneo a sopprimere la coscienza o la volontà altrui”) c.p. Inoltre, senza fare riferimento ai casi estremi meznionati poc’anzi, si devono tenere in considerazione i divieti espressi dagli artt 64 e 188 c.p.p. (metodi o tecniche che comportano una vera e propria coartazione psichica, oppure che registrano i riflessi psico-biologici indipendenti dalla volontà del soggetto). In senso contrario vi sono diversi autori che invece non escludono la compatibilità tra strumenti come il poligrafo e le regole del processo penale in quanto non ne rinvengono l’elemento cotrittivo che va a sopprimere l’autodeterminazione del soggetto esaminato. In tal senso si vedano Ricci G.F., Le prove atipiche, Giuffrè, 1999, pp. 223 ss., e Rivello P.P., La prova scientifica, Giuffrè, 2014, pp.1 ss.; e

Zappalà E., Il principio di tassatività dei mezzi di prova nel processo penale, Giuffrè, 1982, pp. 137 ss.

54 Codice di procedura penale, art. 220, II comma, su www.brocardi.it.;

Loffredo G., Contraddizioni dell’art.220 c.p.p., Perizia criminologica e grafologica, Lulu.com, 5.01.2015

56Capraro L., Primi “casi clinici” in tema di prova neuroscientifica. In Processo Penale e Giustizia, Anno II, n.3, 2012;

Ovadia D., Il caso di Como e le neuroscienze in tribunale, 6.9.2011, su http://ovadia-lescienze.blogautore.espresso.repubblica.it/2011/09/06/il-caso-di-como-e-le-neuroscienze-in-tribunale/, consultato in data 28.04.2023

57In tale caso, la prova neuroscientifica ha un ruolo decisivo rispetto alle indagini psichiatriche e neuropsicologiche tradizionali. Dalla quale è emerso che «…sia le emergenze psichiatriche, completate dalle risultanze dell’imaging cerebrale e di genetica molecolare, che quelle processuali consentono di rilevare gravi segni di disfunzionalità psichica, eterogenei ma convergenti nell’indicare un nesso di causalità tra i disturbi dell’imputata e i suoi comportamenti illeciti». Sentenza Gip Como, 20.08.2011

58Aprile E., Le erosioni silenziose del contraddittorio, G.Giappichelli Editore, 2017, pag. 152;

Garofano L., Il processo imperfetto, la verità sul caso Cogne, Rizzoli, 6.10.2010;

Martucci P., Neuroscienze e processo penale. Profili applicativi e giurisprudenziali, Key Editore, 2015, pag.47

59Sentenze del Tribunale di Venezia, 08.04.2013 e della Corte d’Appello di Venezia, 03.03.2014 in

Algeri L., Accertamenti neuroscientifici, infermità mentale e credibilità delle dichiarazioni, in Rivista italiana di medicina legale e del diritto in campo sanitario, pp.1905-1924, 2013, su https://flore.unifi.it/handle/2158/1102984, consultato in data 2.03.2023

60De Caro M., Lavazza A., Sartori G., «La frontiera mobile della libertà», in M. De Caro, A. Lavazza, G. Sartori (a cura di), Siamo davvero liberi? Le neuroscienze e il mistero del libero arbitrio, Codice Edizioni, Torino, 2010;

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61Di Florio M., Imputabilità e neuroscienze: brevi considerazioni con particolare riferimento alla ludopatia, in Diritto Penale Contemporaneo, Fascicolo 9/2019, 26.09.2019, https://archiviodpc.dirittopenaleuomo.org/d/6807-imputabilita-e-neuroscienze-brevi-considerazioni-con-particolare-riferimento-alla-ludopatia, consultato in data 28.04.2023;

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62Bevilacqua M., Malattia psichiatrica e pericolosità sociale, tra sistema penale e servizi sanitari : atti del convegno, Pisa, 16-17 ottobre 2020, G. Giappichelli Editore, 2021;

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68Belloni E., La prova indiziaria nel processo penale italiano, C. dell’Avo, pubb.1902, dig. 22.02.2008;

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69Carcaterra G., Presupposti e strumenti della scienza giuridica, Giappichelli, 2012, pp. 245ss.;

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Deganello M., I criteri di valutazione della prova penale. Scenari di diritto giurisprudenziale, Giappichelli, 2005

70Canzio G., Donati L.L., Prova scientifica e processo penale, Cedam, 17.05.2022;

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Guerrieri T., Studi monografici di diritto penale. Percorsi ragionati sulle problematiche di maggiore attualità, Halley, 2007, pp.85 ss.

71Bartoli R., Il problema della causalità penale, dai modelli unitari al modello differenziato, Giappichelli, 2010, sul confronto delle teorie probalistiche;

Gallo I.M., Diritto penale italiano. Appunti di parte generale. Volume primo, Giappichelli, 2014

72Sui casi giudiziari che hanno comportato il confronto tra l’incertezza scientifica e la necessità di addivenire ad una decisione razionale e giusta in ambito processuale, in particolare, l’esposizione a sotanze tossiche, morte e nesso di causalità in relazione alla responsabilità penale,

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Casson F., La fabbrica dei veleni, Sperling & Kupfer, 2007

73Zaza C., Il ragionevole dubbio nella logica della prova penale, Giuffrè, 2008, pp. 46 ss.

74Cangiotti A., Il valore delle neuroscienze, Ali Ribelli Edizioni, 28.12.2020

75Turco M., Lodeserto G., Bruscella M.R., Crime Analyst. Aspetti psicocriminologici e investigativi, Primiceri Editore, 2016, pag.268

76Pagani M., Carletto S., Il cervello che cambia. Neuroimaging: il contributo alle neuroscienze, Mimesis Edizioni, 26.09.2019, pag. 2295

77Fuselli S., Diritto neuroscienze filosofia., un itinerario, FrancoAngeli, 2014, pag. 93

78Petrilli M., Genetica del comportamento criminale. Il lato oscuro dei geni, Youcanprint, Aprile 2022

79Conti C., Scienza e processo penale. Nuove frontiere e vecchi pregiudizi, Giuffrè, 2011