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IL MALTRATTAMENTO GENETICO DEL CANE.

Associazioni ambientaliste

Associazioni ambientaliste

 

IL MALTRATTAMENTO GENETICO DEL CANE.

 

Paolo Sceusa

 

 

Ero un bambino di otto anni quando vidi per la prima volta, lì, a pochi metri da me, il cane che più mi avesse colpito, fino ad allora.

Figlio di cacciatore, ero cresciuto in mezzo ai bracchi e ai setter di mio padre e ne avevo da sempre fatto i miei preferiti compagni di gioco. Li amavo ed essi mi ricambiavano incondizionatamente: al punto che, uno di loro (il mitico Dik), un bel giorno si sfilò dalla catena per venirmi ad acciuffare, impedendomi di finire annegato nella roggia che correva lungo il confine del nostro giardino.

Ma quel cane color del piombo che vidi quel giorno, non era da caccia. Grosso, forte e fiero se ne stava lì come una statua a farsi ammirare, tenuto al guinzaglio corto e robusto del suo padrone.

Fattomi coraggio chiesi: -che cane è?-

-’nu mastino…- mi rispose il tipaccio che lo conduceva, senza nemmeno guardarmi in faccia.

Tornato nel mio profondo nord, gli unici mastini di quel tipo che mi capitò poi di rivedere, li incontrai già molto più appesantiti, circa vent’anni dopo, quando cominciai a frequentare alcune esposizioni locali.

Per non far torto a nessuno, non menzionerò la razza specifica del cane che vidi da bambino. Ma rispetto al cane di cento chili che si propone oggi come campione nelle gare di bellezza, ricordava moltissimo l’attuale Cane corso…

Sono ormai una quantità le razze canine dove molti dei campioni più celebrati sono animali sofferenti e disfunzionali, affetti da mille problemi di salute, che campano poco e male e che concentrano in sé una tale quantità di perniciose mutazioni genetiche, che li hanno resi ormai praticamente soltanto delle icone, forse esteticamente gradite, ma completamente inadatte ad una vita lunga e sana.

Ormai per troppe razze canine l’esasperazione di alcune caratteristiche dello standard, perseguite per pure ragioni estetiche, hanno portato alla fissazione di caratteri morfologici che, sotto l’aspetto della funzionalità dell’animale, lo rendono un vero e proprio mostro.

Non farò menzione di alcuna razza in particolare, perché sono certo che la mente di ciascuno di voi sta già correndo a certi eccessi estetici raggiunti e ormai fissati in così tante delle (originariamente) più belle varietà canine che conosciamo.

Certo, è noto che ogni razza è frutto di per se stessa del lavoro di selezione umana, mirata ad uno scopo. Talvolta si è trattato di un obiettivo più estetico che di utilità pratica, tuttavia quando si manipolano caratteristiche che hanno a che fare col benessere dell’animale, si impone il rispetto del principio di buon senso, prima ancora che di diritto, che recita: “est modus in rebus!”.

Insomma “c’è modo e modo” di dedicarsi alla selezione genetica del cane e di rimanere fedeli allo standard, senza perseguire ad ogni costo la selezione del soggetto iper-tipico. E’ nella continua ricerca dell’iper-tipo che si anniderà la principale causa delle disfunzioni gravi o gravissime che andranno a compromettere non solo la salute o la vita del singolo soggetto, ma quella di gran parte dei soggetti di quella razza, se quel carattere iper-tipico, benché disfunzionale, verrà indicato come desiderabile.

Questo genere di riflessioni, indottemi dall’amore che da sempre nutro verso i cani (forse per quell’antico debito di riconoscenza verso il mitico Dik) portano ora l’homo leguleius che alberga in me, ad interrogarsi e a chiedersi se tutto ciò sia proprio perfettamente legale, sol perché risponde a una pratica comune, da sempre indisturbata e indiscussa.

Ebbene, io penso che, al di fuori di quella misura di buon senso che trova il suo limite nel principio di non offensività (intendo verso il cane), la selezione dell’iper-tipo, scientificamente alimentata dal circolo vizioso che tra poco dirò, sia il maggior esempio di maltrattamento di animali che si possa concepire. Un maltrattamento di proporzioni bibliche perché rivolto non verso un singolo individuo o verso un gruppo di individui, ma contro l’intera genìa che compone e comporrà quella certa specie canina, fino a comportarne il rischio di estinzione.

Il circolo vizioso di cui parlo consiste nel meccanismo auto-alimentante per cui chi giudica con favore i soggetti (sempre più) ipertipici, e li premia nelle esposizioni, determina la desiderabilità di quel modello. Quel modello verrà quindi particolarmente richiesto dall’acquirente medio (normalmente lasciato in balia di meri fattori estetici). Dunque gli esemplari portatori di quel difetto da ipertipicità, diverranno proprio i più ricercati (e pagati) per la riproduzione. Saranno i più apprezzati come razzatori e gli allevatori faranno a gara per coltivarne le linee di sangue. I meno scrupolosi tra loro, per accelerare i risultati e massimizzare il lucro, si sentiranno tentati dagli incroci in consanguineità spinta, che li aiuteranno a fissare prima e meglio quelle “tare” di estremismo morfologico che la natura, da sempre, avrebbe teso a eliminare.

Ho parlato di maltrattamento di animali, perché è ora che qualcuno si decida a parametrare il circolo vizioso che vi ho appena descritto, con una norma del codice penale, l’art. 544 ter: Maltrattamento di animali. – Chiunque, per crudeltà o senza necessità cagiona una lesione ad un animale ovvero lo sottopone a sevizie o a comportamenti o a fatiche o a lavori insopportabili per le sue caratteristiche etologiche è punito con la reclusione da tre a diciotto mesi o con la multa da 5.000 a 30.000 euro.

La stessa pena si applica a chiunque somministra agli animali sostanze stupefacenti o vietate ovvero li sottopone a trattamenti che procurano un danno alla salute degli stessi.

Sapete, con le norme penali bisogna andarci piano e rifuggire da interpretazioni di tipo analogico, perché ne va del principio di legalità.

Tuttavia a me pare che, in forza di un semplice criterio estensivo, per cui il meno sta sempre nel più, se per il primo comma costituisce reato (un delitto, per l’esattezza), cagionare senza motivo una lesione a un animale, allora il sottoporre gli animali a trattamenti che procurano loro un danno alla salute, previsto al secondo comma, deve poter ricomprendere le condotte di chi, nella sua qualità di esperto cinofilo (perciò consapevolmente), partecipa al circolo vizioso di cui ho detto sopra e lo alimenta.

Negli esperti cinofili deve presupporsi ed esigersi, la consapevolezza del danno alla salute che discende agli animali dalla esasperazione del tipo morfologico.

L’ignoranza che può giustificare il mero acquirente o proprietario del cane, per lo più legittimamente inconsapevole dell’incompatibilità tra l’estremismo esteriore della sua razza preferita e la buona salute e lunga vita del suo cane, non può invece supporsi in capo all’allevatore e al giudice di razza, che si pronuncia nelle esposizioni (ti pareva se, alla fine, la colpa non era di un giudice…). Tra essi vi sono i maggiori responsabili della selezione disfunzionale di tante varietà canine.

Mi rendo conto che l’interpretazione che propongo della norma di legge di cui sopra, è del tutto nuova e non è ancora mai stata ipotizzata, né in Italia né altrove (del resto ogni Paese ha una sua norma). Tuttavia, della sua fondatezza mi sento certo sotto un profilo tecnico-giuridico. Se tale interpretazione cominciasse a trovare qualche applicazione in giudizio, ne discenderebbe un effetto altamente dissuasivo e probabilmente la nefasta spirale maltrattante che ho detto ne verrebbe rallentata o magari fermata. Sarebbe un ottimo inizio e noi italiani saremmo finalmente i primi a far qualcosa di positivo, il che potrebbe dare avvio ad un circolo (stavolta) virtuoso, perché confido che verremmo imitati da altri Paesi.

E allora, che cosa fare perché questo accada? Beh, non occorre certo che sia io a suggerire ai tanti gruppi e associazioni animaliste che esistono nel nostro Paese, di volersi finalmente mobilitare su questo tema, sia su di un piano formativo e informativo generale, che sul piano della denuncia formale e puntuale da rivolgere alle Procure competenti, evidenziando i casi più eclatanti in cui, durante la loro attività animalista, gli capitasse di imbattersi.

Sicuramente, la via più rapida sarebbe quella di vietare per legge la selezione dell’iper-tipo, immaginando, ad esempio, il divieto di premiazione di un certo esemplare se un’autorità veterinaria di controllo non ne abbia certificato l’ottima compatibilità delle sue caratteristiche morfologiche con quelle funzionali.

Ma sapete bene che per fare una legge occorre che si formi una maggioranza parlamentare e che il Parlamento è anche un luogo di mediazione fra interessi spesso contrapposti, dove quelli degli animali magari cedono a quelli di chi ne sfrutta economicamente la condizione.

Insomma, la mia vuole essere una proposta applicativa nuova di una norma vecchia che avrebbe il pregio di poter funzionare a norme invariate. Si chiama interpretazione adeguatrice o evolutiva del diritto. E’ quella che i giudici fanno continuamente per molte altre norme. E’ ciò che consente di non dover continuamente rifare i codici, ma di adeguare le leggi che già ci sono alla realtà, man mano che essa cambia. Ed essa sta cambiando rapidamente davvero in peggio per tanti poveri animali che, a causa della stupidità umana, non riescono più nemmeno a camminare, a riprodursi o a respirare normalmente… però come sono carini e buffi, a guardarli… no?

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