di Carlo Rapicavoli –
Nell’ansia di rincorrere e ribadire la spinta delle riforme a largo consenso, purtroppo determinato da estrema semplificazione e scarso approfondimento delle questioni fondamentali, è intervenuto anche il Ministro degli affari regionali e delle autonomie, Graziano Delrio, davanti alla Commissione Affari Costituzionali del Senato.
“Il Governo intende abolire le Province”, ha proclamato solennemente.
“Ci siamo impegnati a istituire la Seconda Camera delle Regioni e delle Autonomie con l’obiettivo di un’integrazione tra Stato centrale e Autonomie locali sulla base di una ripartizione più chiara delle competenze, a riordinare i livelli amministrativi e ad abolire le Province”.
Per “risolvere il problema delle funzioni degli enti di area vasta – ha aggiunto – bisognerà trovare una nuova organizzazione del livello provinciale che metta i Comuni e le Regioni al centro, in quanto l’abolizione delle Province non risolve problemi degli enti di area vasta, delle funzioni e degli accorpamenti. Punterò ad un confronto sereno con Regioni, Province e Comuni e confido che in tempi brevi possiamo trovare una nuova organizzazione del livello provinciale che metta Comuni e Regioni come pilastri al centro”.
Delrio si è poi detto convinto che il taglio delle Province porterà “considerevoli riduzioni di costi non tanto sulle abolizioni, quanto sinergie di servizi e funzioni che si verranno a creare; ci sarà un lavoro collaborativo con il ministro per le riforme costituzionali Quagliariello e l’abolizione delle Province sarà inserita nella riforma del Titolo V”.
“Il Governo comunque – ha proseguito Delrio – intende eliminare il livello intermedio, ovvero le Province, eliminando l’incertezza che si è creata in questo ultimo anno e mezzo, e salvaguardare la centralità del sistema federalista, cercando di verificare in quali casi non ha funzionato. L’autonomia ha un valore, la confusione no. Io sono profondamente autonomista, ritengo che lo Stato debba svolgere la funzione di regolatore. E’ sbagliato, secondo me, per esempio, pensare che i comuni non possano scegliere i dirigenti in modo flessibile, secondo la loro necessità”.
Infine, secondo il Ministro. ”E’ necessario completare il percorso di completa attuazione e istituzione delle città metropolitane entro il 2013. Le città metropolitane sono una grandissima risorsa
quando sono ben organizzate. L’Italia ne ha bisogno, in Germania sono più di cento”.
Quindi:
Il dogma: le Province vanno abolite!
Però:
1) Per risolvere il problema delle funzioni bisognerà trovare una nuova organizzazione del livello provinciale con al centro Regioni e Comuni;
2) L’abolizione delle Province non risolve problemi degli enti di area vasta, delle funzioni e degli accorpamenti;
3) Bisogna salvaguardare la centralità del sistema federalista;
4) Vanno istituite le città metropolitane entro il 2013.
Vi è quindi la consapevolezza – finalmente! – che è necessario un livello intermedio di governo per l’esercizio delle funzioni di area vasta oggi svolte dalle Province: edilizia scolastica superiore, viabilità, trasporti, ambiente, formazione professionale, centri per l’impiego.
Perché mai dunque insistere nel sostenere l’urgente necessità di abolire le Province?
Un tema che unisce, che fornisce alla politica un argomento forte per trovare un’intesa, per dimostrare con i fatti che si vuole davvero tagliare la politica.
Si tratta dell’anello debole della catena, reso tale da una campagna di disinformazione collettiva alimentata da molti, spesso priva di reali riscontri e verifiche.
“Bisognerà trovare una nuova organizzazione del livello provinciale che metta i Comuni e le Regioni al centro” afferma il Ministro.
Cosa intende dire? Una nuova organizzazione provinciale con al centro Comuni e Regioni? Un concetto che andrebbe chiarito!
Contestualmente però, secondo il Ministro, vanno istituite le città metropolitane entro il 2013 perché sono una grandissima risorsa. La Germania ne ha più di cento.
Perché i Comuni, l’ANCI, vedono con favore e sollecitano l’istituzione delle città metropolitane e promuovono l’abolizione delle Province?
Ma le città metropolitane – da istituire entro il 2013 e pertanto necessariamente entro l’attuale disegno costituzionale – sono un ente intermedio tra Regione e Comuni alla pari delle Province e che prendono appunto il posto delle Province nelle aree individuate come metropolitane (Roma, Torino, Milano, Venezia, Genova, Bologna, Firenze, Bari, Napoli e Reggio Calabria).
E’ evidente infatti che all’interno delle Città metropolitane dovranno comunque continuare ad esistere i Comuni come si evince chiaramente dagli articoli 114 e 118 della Costituzione.
Allora qual è la volontà del Ministro: riorganizzare tutto il territorio nazionale in città metropolitane?
Non pare possibile, né avrebbe senso, né sarebbe compatibile con la scadenza indicata al 31 dicembre 2013.
Dunque non può il Ministro che fare riferimento alle norme oggi in vigore ed in particolare all’art. 18 del D. L. 95/2012, convertito in legge 135/2012, i cui effetti sono stati sospesi, appunto fino al 31 dicembre 2013, dalla legge di stabilità 2013.
Ma il Ministro non spiega perché vede con condivisibile favore l’istituzione di enti intermedi – le città metropolitane – per alcune parti del territorio e per le restanti parti sostiene l’abolizione delle Province.
Perché mai nell’area metropolitana di Bologna (998.000 abitanti), Reggio Calabria (566.000 abitanti), Genova (900.000 abitanti), Bari (1.200.000 abitanti) etc. dovrebbe rispondere a finalità di efficacia ed efficienza istituire un ente intermedio tra Regione e Comuni, con le funzioni della Provincia integrate con altre di area vasta, e lo stesso principio non vale per Province come Verona, Treviso, Vicenza, Padova, solo per restare in Veneto, con una media di 900.000 abitanti ciascuna?
Va ricordato infatti che ai sensi dell’art. 18, comma 2, del D. L. 95/2012 “Il territorio della città metropolitana coincide con quello della provincia contestualmente soppressa”.
Ed alcune delle città metropolitane previste, come appunto Bologna, Reggio Calabria o Genova, hanno un numero di abitanti inferiore a quello di molte Province di cui si paventa la soppressione.
Perché mai per i cittadini della Provincia di Venezia è più efficiente che ad occuparsi di “promozione e coordinamento dello sviluppo economico e sociale” sia la città metropolitana e per i cittadini confinanti della provincia di Padova è più efficiente che se ne occupino i Comuni o la Regione?
Anziché insistere soltanto con l’abolizione delle Province, occorre prima delimitare gli spazi d’azione della Pubblica Amministrazione, semplificare e disboscare tutti quegli ambiti di intervento nei quali non ha senso né utilità l’intervento pubblico come oggi esistente, che può rappresentare soltanto un appesantimento di procedure e costi senza benefici.
Quindi va individuato l’ambito territoriale ottimale e il livello di governo migliore per l’esercizio delle funzioni, individuando con chiarezza ed univocità chi fa cosa, per chiarezza, semplificazione ed individuazione certa delle responsabilità.
Solo dopo questo lavoro di analisi si può e si deve discutere di ambiti territoriali, di adeguate dimensione degli Enti, di organi, di modalità di governo (ad elezione diretta, elezione di secondo grado).
Si può ritenere opportuna l’eliminazione delle Province, o la loro trasformazione in consorzi di comuni, come prevede la proposta siciliana, oppure in enti di secondo grado, secondo il modello del Governo Monti o altre formule.
Si può discutere delle dimensioni adeguate delle Regioni. Oggi alcune Regioni hanno dimensione e popolazione inferiore ad una Provincia.
Si possono prevedere accorpamenti dei Comuni.
Ogni modifica di tale portata non può non tenere in considerazione tutti i complessi aspetti legati, solo per fare qualche esempio, alla gestione del personale, dei patrimoni, delle partecipazioni societarie, dei mutui per investimenti, del patto di stabilità, etc. che pongono questioni rilevanti in caso di soppressione di un ente e contestuale subentro, addirittura pro quote, di altri enti nell’esercizio di alcune funzioni.
Se – come afferma il Ministro – bisogna tutelare le autonomie e salvaguardare la centralità del sistema federalista occorre che le Regioni devono finalmente diventare un livello di governo, con potere legislativo – e non gestionale e amministrativo come di fatto sono oggi – secondo il disegno costituzionale. E’ un livello di governo troppo distante dai cittadini per continuare a svolgere funzioni amministrative e gestionali di dettaglio, erogazione di servizi alla persona o di gestione del territorio che non sia la pianificazione regionale. E’ la commistione fra il potere legislativo e la gestione che crea una grave anomalia nel nostro sistema. Il soggetto regolatore, quale è la Regione, non può al tempo stesso gestire direttamente ciò che regola, per di più senza controlli adeguati.
Le funzioni amministrative, secondo l’art. 118, sono invece da attribuire a Comuni, Province e Città Metropolitane, quali enti rappresentativi del territorio e conseguentemente soggette al controllo immediato dei cittadini, salvo casi per cui è necessario, sulla base dei principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza, attribuirle ad un livello superiore.
Ecco che è il Comune, ente più vicino ai cittadini, l’Ente destinatario di tutte le funzioni, soprattutto quelli collegati ai servizi alla persona, che meglio di qualunque altro livello di governo è vicino ai cittadini; alla Provincia quale ente di area vasta vanno attribuite tutte le funzioni, principalmente di gestione del territorio, che non possono essere svolti dai Comuni: viabilità, trasporti, tutela dell’ambiente, formazione professionale, politiche del lavoro, protezione civile, pianificazione territoriale di coordinamento, istruzione scolastica superiore, organizzazione dei servizi pubblici locali (rifiuti, servizio idrico, trasporto pubblico locale), etc.
Occorre dunque – come ha dichiarato il Presidente dell’UPI Saitta – che sulla riforma delle Province e dell’intero assetto delle istituzioni locali si apra un confronto serio, che parta dalla Costituzione, e che affronti fuori dagli slogan e con i conti in mano una questione tanto importante per il Paese. “Altrimenti sarà l’ennesimo tentativo mal riuscito di una classe politica che, non essendo in grado di dare risposte concrete ai cittadini, si nasconde dietro un dito”.