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 IL CORONAVIRUS NELLE CARCERI ITALIANE

Martina Liaci

Abilitata all’esercizio della professione forense – Cultrice della materia in diritto privato – Università del Salento – Direttore dei servizi generali ed amministrativi

Abstract (It.) Il presente contributo analizza un contesto emergenziale del tutto inedito, in cui vari organismi sovranazionali hanno iniziato a segnalare la necessità di proteggere le strutture penitenziarie dal sovraffollamento, e dalla conseguente impossibilità di garantire adeguati spazi per il distanziamento sociale che serve a ridurre il rischio di contagio.

Abstract (En.) This contribution analyzes a completely new emergency context, in which various supranational bodies have begun to signal the need to protect penitentiary structures from overcrowding, and the consequent impossibility of guaranteeing adequate spaces for social distancing which serves to reduce the risk of contagion.

Sommario

1. Le modifiche apportate agli artt. 123 e 124 del D.L. n. 18/2020 dalla L. 24 aprile 2020, n. 27
2. La campagna mediatica sulle presunte “scarcerazioni facili”, per motivi di salute connessi all’emergenza Covid-19, di detenuti pericolosi
3. La incorporazione del D.L. n. 29/2020 nel D.L. n. 28/2020
4. Le modifiche alla disciplina dei permessi di necessità
5. Le modifiche alla disciplina della procedura di concessione o di proroga della detenzione domiciliare “surrogatoria”
6. La rivalutazione periodica dei provvedimenti di ammissione alla detenzione domiciliare o di differimento dell’esecuzione della pena
7. La rivalutazione periodica dei provvedimenti di sostituzione della custodia cautelare in carcere con la misura degli arresti domiciliari
8. L’autorizzazione alla surroga, entro il 30 giugno 2020, dei colloqui “visivi” con colloqui “a distanza”
9. Le novità in materia di corrispondenza telefonica delle persone detenute
10. La speficicazione delle prerogative dei garanti dei diritti dei detenuti in relazione alla detenzione in regime di 41 bis
11. Ulteriori previsioni del D.L. n. 28/2020 in materia penitenziaria: cenni

  1. Le modifiche apportate agli artt. 123 e 124 del D.L. n. 18/2020 dalla L. 24 aprile 2020, n. 27

Il Parlamento italiano, pur a fronte di una contenuta incidenza, in termini di riduzione del sovraffollamento carcerario, delle misure introdotte con gli artt123 e 124 del D.L. n. 18/2020, ne lascia sostanzialmente invariata la disciplina, in sede di conversione del Decreto “Cura Italia“.

Il provvedimento, infatti, arriva innanzi alla Camera “blindato” nella versione precedentemente approvata dal Senato (con votazione fiduciaria su un maxiemendamento presentato dal Governo) e viene definitivamente approvato senza ulteriori modifiche, divenendo L. 24 aprile 2020, n. 271.

I lavori preparatori dimostrano scarsa attenzione, da parte del legislatore, per le criticità evidenziate e per i tanti suggerimenti migliorativi formulati da autorevoli studiosi ed addetti ai lavori, nonché da qualificati consessi associativi.

In particolare, viene disatteso l’invito, da più parti formulato, a riconsiderare la scelta, espressa nel comma 3 dell’art123, di subordinare la fruizione – da parte dei condannati maggiorenni – della esecuzione domiciliare della pena – compresa tra sei e diciotto mesi – all’applicazione di dispositivi di controllo a distanza, rendendo “facoltativa” la sorveglianza elettronica, analogamente a quanto previsto in via generale per la detenzione domiciliare (art. 58 quinquies ord. penit.) ed a quanto accade, sulla scorta di canoni ermeneutici giurisprudenziali ormai consolidati, per gli arresti domiciliari (art. 275 bis c.p.p.)2.

In sede di conversione, infatti, il comma 3 dell’art123 viene confermato integralmente, salva la correzione di un refuso (una “a” di troppo) presente nel testo originario. Sicché, a questo punto, si osserva in dottrina, non resta che cercare di rimediare sul piano interpretativo alle difficoltà pratiche discendenti dalla persistente carenza di braccialetti elettronici in molte realtà penitenziarie del Paese. È infatti lecito sostenere, in assenza di contrarie indicazioni testuali, la perdurante applicabilità – durante il vigore della disciplina introdotta con l’art123D.L. n. 18/2020 – dell’art1, L. n. 199/2010, con la conseguenza che, non imponendo quest’ultima disposizione normativa, ai fini dell’esecuzione domiciliare di una pena superiore sei mesi, la sorveglianza da remoto del beneficiario della misura, sarebbe possibile prescindere dalla disponibilità di braccialetti elettronici. In altre parole, ove rimanesse inevasa, per indisponibilità di mezzi di sorveglianza elettronica, una richiesta di esecuzione domiciliare della pena avanzata ai sensi dell’art123D.L. n. 18/2020 (conv. il L. n. 27/2020), sarebbe comunque possibile darvi corso ai sensi della L. n. 199/2010, ricorrendo, naturalmente, gli specifici presupposti da questa previsti, ed in particolare l’assenza del pericolo di fuga o di reiterazione del reato, che il magistrato di sorveglianza dovrà accertare utilizzando quei canali informativi che la recente novella elimina per “accelerare” l’iter istruttorio sull’istanza di ammissione3.

A ben riflettere, però, l’art123D.L. n. 18/2020, a parte la evidenziata correzione formale e qualche ulteriore ritocco puramente stilistico4, subisce due modifiche contenutistiche che paiono foriere di non trascurabili portati pratici.

Una prima modifica concerne la riscrittura del secondo periodo del comma 5, con l’aggiunta della seguente precisazione: “Nel caso in cui la pena residua non superi di trenta giorni la pena per la quale è imposta l’applicazione delle procedure di controllo mediante mezzi elettronici o altri strumenti tecnici, questi non sono attivati”.

Il novum introdotto si presta a due differenti letture interpretative. Potrebbe ritenersi indicativo della semplice volontà di elevare da sei a sette mesi il limite di pena (anche residua) al di sopra del quale scatta l’obbligo di adozione della procedura di sorveglianza elettronica; oppure, potrebbe essere interpretato nel senso che, pur mantenendosi fermo l’obbligo di disporre l’applicazione del braccialetto elettronico ogni qualvolta residui una pena superiore a sei mesi, a fronte delle persistenti difficoltà di approvvigionamento dei dispositivi di controllo elettronico e della prassi, da tempo invalsa presso gli uffici di sorveglianza, per cui si concede la misura ma la si congela di fatto fino alla disponibilità degli strumenti di controllo a distanza5, si è inteso consentire l’esecuzione della misura anche senza la materiale attivazione del braccialetto elettronico, fermo restando che, nel momento in cui questo sarà disponibile, se la pena residua da scontare non supera i sette mesi, si farà definitivamente a meno della sorveglianza a distanza; diversamente, si procederà all’attivazione del dispositivo di controllo elettronico, dando però priorità ai condannati che presentino un residuo di pena inferiore.

Ove si ritenga essere questa la effettiva voluntas legis, va dato atto di un parziale revirement del legislatore, in sede di conversione del D.L. n. 18/2020, riguardo la problematica della sorveglianza a distanza della persona ammessa alla esecuzione domiciliare della pena, giacché – pur lasciandosi formalmente intatta la fisionomia dell’istituto disciplinato dall’art123, relativamente ai suoi presupposti applicativi – si conferisce una patente di legittimità ad esecuzioni domiciliari della pena senza attivazione del braccialetto, ma con la prescrizione che non appena il dispositivo sarà disponibile verrà applicato (sempre che, in quel momento, residui una pena superiore a sette mesi).

La seconda modifica consiste nell’inserimento del comma 8 bis, volto a specificare che “Le disposizioni di cui ai commi da 1 a 8 si applicano ai detenuti che maturano i presupposti per l’applicazione della misura entro il 30 giugno 2020″. Una precisazione quanto mai opportuna, volta a fugare ogni dubbio in ordine al significato della formula normativa posta in apertura del comma 1 (“fino al 30 giugno 2020, la pena detentiva è eseguita” presso il domicilio), la quale si presta ad interpretazioni non univoche. Potrebbe, infatti, significare che, al 1° luglio 2020, chi ha fruito della misura debba fare ritorno in carcere; oppure, che la data del 30 giugno 2020 è il termine entro il quale può essere concessa la misura, che continuerà a trovare esecuzione anche oltre quella data6; infine, che, per accedere alla misura, occorre avere maturato i presupposti di legge entro la data del 30 giugno 2020, fermo restando che la relativa richiesta può essere presentata anche successivamente.

Ed è quest’ultima l’interpretazione che pare ricevere avallo dal nuovo comma 8 bis dell’art123D.L. n. 18/2020, che, com’è stato osservato, è espressione di “un principio già consolidato in sede di applicazione dei benefici penitenziari, in relazione ai quali un’eventuale deadline posta dal legislatore non preclude ai soggetti che a quella data già possedessero i requisiti previsti di accedervi, anche se la relativa istanza sia presentata successivamente alla scadenza applicativa indicata nel disposto normativo”7.

Sicché, dopo il 30 giugno, potrà ancora lasciare il carcere per accedere all’esecuzione della pena presso il domicilio non solo chi ha già ottenuto il provvedimento favorevole del magistrato di sorveglianza ed è in “lista di attesa” per la attivazione del braccialetto elettronico, bensì pure chi intenda avanzare per la prima volta o ripresentare richiesta di applicazione della misura prevista dall’art123D.L. n. 18/2020, avendone maturato i presupposti anteriormente al 1° luglio 2020.

Quanto all’art124 del D.L. n. 18/2020, esso viene interamente riscritto, tranne che nella rubrica.

La nuova disposizione normativa non dice più che le licenze concesse al semilibero possono avere durata sino al 30 giugno 2020 anche in deroga al complessivo limite temporale massimo (di 45 giorni all’anno) stabilito nell’art. 52, comma 1, ord. penit., ma stabilisce, perentoriamente, che, per la straordinarietà della situazione dovuta all’emergenza sanitaria da Covid-19, al semilibero “sono concesse licenze con durata fino al 30 giugno 2020, salvo che il magistrato di sorveglianza ravvisi gravi motivi ostativi alla concessione della misura”.

In sostanza, il nuovo art124 conferma la possibilità di uno “sforamento” del tetto massimo dei 45 giorni (sino alla data del 30 giugno 2020), ma affida al magistrato di sorveglianza il potere discrezionale di non concedere la misura sulla base di non meglio precisati “gravi motivi ostativi”. E si tratta del punctum dolens della nuova fattispecie: gli indicati “gravi motivi ostativi” che possono determinare il rigetto dell’istanza non sono tipizzati, e ciò espone la norma al rischio di distorsioni sul piano applicativo.

  1. La campagna mediatica sulle presunte “scarcerazioni facili”, per motivi di salute connessi all’emergenza Covid-19, di detenuti pericolosi

Non riuscendo, le misure straordinarie di deflazione carceraria introdotte dal Decreto “Cura Italia“, a ridurre la densità della popolazione detenuta entro livelli tollerabili, tali da consentire un’agevole gestione dell’emergenza epidemiologica – sempre più pressante – all’interno delle carceri, la magistratura di sorveglianza e quella di cognizione si vedono costrette ad un delicato ruolo di supplenza, scavando all’interno delle norme dell’ordinamento penitenziario e del codice di rito penale per individuare appigli normativi che consentano di aprire ai detenuti (definitivi e non) le porte del carcere o impediscano loro di entrarvi8.

Così, il rischio di contrarre la malattia Covid-19, anche in assenza di patologie pregresse acclarate, viene assunto, dalla magistratura di sorveglianza, a base di molteplici provvedimenti di scarcerazione, attraverso il ricorso all’applicazione provvisoria dell’affidamento in prova al servizio sociale (art. 47, comma 4, ord. penit.), anche terapeutico (art. 94, comma 2, t.u.l.stup.), o, talvolta, della detenzione domiciliare c.d. generica (art. 47 ter, commi 1 bis e 1 quater, ord. penit.); più sovente, la scarcerazione riguarda detenuti malati, quasi sempre affetti da pluripatologie, determinanti un quadro clinico grave ma ritenuto dai sanitari non incompatibile con il regime detentivo (alla luce anche delle indicazioni scientifiche fornite dall’O.M.S. e dall’I.S.S.), suscettibile tuttavia di complicanze letali o comunque grandemente pregiudizievoli per la salute in caso di contrazione della malattia respiratoria Covid-199. A tal uopo, la magistratura di sorveglianza fa ricorso sia alla detenzione domiciliare c.d. ordinaria (art. 47 ter, comma 1, ord. penit.), che annovera tra i possibili destinatari (sempre che si debba scontare una pena, in origine o residua, non superiore ai quattro anni) la persona che versi in condizioni di salute particolarmente gravi e necessiti di costanti contatti con i presidi sanitari territoriali (abbisogni cioè di cure non garantite in carcere, dove l’assistenza sanitaria fornita è di regola quella di base); sia e soprattutto alla detenzione domiciliare c.d. “surrogatoria” o “in deroga” (art. 47 ter, comma 1 ter, ord. penit.), riservata ai soggetti in espiazione di pena – ancorché superiore a 4 anni e sebbene inflitta per taluno dei reati ostativi di cui all’art. 4 bis ord. penit. – che si trovino in una delle condizioni di particolare fragilità e vulnerabilità per le quali è previsto il rinvio obbligatorio o facoltativo della esecuzione ai sensi degli artt. 146 e 147 c.p.; talvolta, infine, all’istituto appena richiamato, che, com’è noto, opera a prescindere dalla qualità o quantità di pena da espiare e comporta il mantenimento o il ripristino dello status libertatis del condannato (che non entrerà in carcere o vi uscirà, se l’esecuzione è già in corso), seppure limitata al lasso di tempo in cui permangono i bisogni di tutela prefigurati dagli artt. 146 e 147 c.p.

I giudici della cognizione, da parte loro, nel disporre la misura degli arresti domiciliari anche in sostituzione della custodia cautelare in carcere, fanno leva sull’art. 275, comma 4 bis, c.p.p., che vieta di applicare o di mantenere in esecuzione la custodia cautelare in carcere nei confronti degli imputati colpiti da una malattia particolarmente grave, tale da comportare una incompatibilità con lo stato di detenzione.

Orbene, tra i destinatari dei provvedimenti assunti dalla magistratura di sorveglianza o da quella di cognizione, disponenti la detenzione domiciliare o il mero differimento della pena o gli arresti domiciliari, vi sono anche persone condannate all’ergastolo, detenuti provenienti dal circuito di “alta sicurezza” e qualche boss di mafia ristretto in regime di 41 bis (sottoposto cioè al c.d. “carcere duro” per la sua rilevante e perdurante pericolosità).

La scarcerazione di detenuti condannati o in attesa di giudizio appartenenti alla criminalità organizzata scatena scomposte polemiche, mediaticamente alimentate e ideologicamente caratterizzate10, che stigmatizzano il presunto abbassamento della guardia nelle attività (processuali ed esecutive) di contrasto alla criminalità organizzata, anche per effetto – si dice – dei provvedimenti di deflazione carceraria introdotti con il D.L. n. 18/2020.

E benché poi si scopra che il Decreto “Cura Italia” centra poco o nulla con la scarcerazione dei capi-mafia; che delle 376 persone scarcerate nell’arco di quasi due mesi, solo 3 provengono dal regime di 41 bis (e dunque sono personaggi di spicco della grande criminalità mafiosa); che delle restanti 372 persone (tutte provenienti dal circuito di “Alta Sicurezza”, ma solo una di esse dal sottocircuito “AS1”), ben 195 sono ancora in attesa di giudizio (dunque, da presumere innocenti sino a sentenza definitiva di condanna)11, le polemiche non si placano, investendo anche il direttore del D.A.P., il dott. Francesco Basentini, già destinatario di dure critiche in relazione alla gestione sia dell’emergenza Covid-19 sia delle rivolte all’interno delle carceri.

Questa volta, oggetto di contestazione è una sua nota – del 21 marzo 2020 – indirizzata ai direttori degli istituti di pena con la quale li si invita a comunicare “con solerzia all’autorità giudiziaria, per eventuali determinazioni di competenza”, i nominativi dei detenuti ultrasettantenni affetti da determinate patologie; richiesta che, secondo i suoi detrattori, in uno all’assenza di tempestive e precise indicazioni sulla possibilità di ricovero e cura degli infermi presso reparti carcerari opportunamente attrezzati presenti sul territorio, avrebbe offerto il destro ai giudici per operare scarcerazioni “facili”, basate cioè su sconsiderata sopravvalutazione del rischio di diffusione dell’infezione da Covid-19 nelle carceri e sottovalutazione delle pur legittime esigenze di difesa sociale.

Fondate o meno che siano le critiche rivoltegli, il capo del D.A.P. è costretto a rassegnare le dimissioni ed il Governo, sull’onda delle crescenti polemiche politico-mediatiche per le continue e persistenti scarcerazioni, decide di correre ai ripari, varando, in fretta e furia, nell’arco di una decina di giorni, ben due Decreti-legge, volti a rassicurare l’opinione pubblica che lo Stato non ha abbassato la guardia nella lotta alla mafia e che la tutela della sicurezza collettiva rimane ai primi posti nell’agenda di governo12.

  1. La incorporazione del D.L. n. 29/2020 nel D.L. n. 28/2020

I Decreti cui si fa riferimento sono il D.L. 30 aprile 2020, n. 28 e il D.L. 10 maggio 2020, n. 29.

Il primo provvedimento normativo interviene – con disposizioni urgenti, ma non temporanee, espresse nell’art. 2 – sulla disciplina del procedimento di applicazione dei permessi c.d. “di necessità” (concessi, ai sensi dell’art. 30 ord. penit., nel caso di imminente pericolo di vita di un familiare o, eccezionalmente, per eventi familiari di particolare gravità) e del procedimento di applicazione o proroga della detenzione domiciliare c.d. “surrogatoria” o “in deroga” (art. 47 ter, comma 1 ter, ord. penit.), istituto dell’ordinamento penitenziario, quest’ultimo, che, in uno a quello della esecuzione domiciliare della pena disciplinato dal decreto “Cura Italia“, ha maggiormente catalizzato l’attenzione mediatica nel contesto dell’emergenza dovuta alla pandemia da Covid-19.

Il secondo Decreto13, emanato a distanza di appena dieci di giorni dal precedente, introduce, con l’art1, un’ulteriore modifica alla disciplina della detenzione domiciliare “surrogatoria”; provvede, con gli artt. 2 e 3, a dettare disposizioni specifiche e innovative, rivolte sia alla giurisdizione di sorveglianza sia a quella di cognizione, che vengono chiamate ad una revisione periodica delle proprie precedenti decisioni in materia, rispettivamente, di detenzione domiciliare e differimento dell’esecuzione della pena e di sostituzione della custodia cautelare in carcere con la misura degli arresti domiciliari; detta, all’art. 4, disposizioni in materia di colloqui del detenuto con i congiunti o con altre persone, da svolgere “a distanza” o con la tradizionale modalità “in presenza”.

Quest’ultimo Decreto, analogamente a quanto accaduto per altri Decreti-legge adottati in costanza di pandemia da coronavirus, non viene convertito in legge e subisce un’espressa abrogazione.

Alla sua soppressione provvede l’art1, comma 3, L. 25 giugno 2020, n. 70, che preserva la validità degli atti e dei provvedimenti adottati e fa salvi gli effetti prodottisi e i rapporti giuridici sorti sulla base di esso.

Nel convertire – a seguito del consueto ricorso alla fiducia parlamentare – il D.L. n. 28/2000, tuttavia, la citata L. n. 70/2020 recupera gran parte dei contenuti normativi dell’abrogato D.L. n. 29/2020, variamente combinandoli con quelli del D.L. n. 28/2020, che subisce, per questa via, uno stravolgimento nel suo originario impianto normativo, con l’inserimento di un art1 bis, con la modificazione dell’art. 2, con l’aggiunta degli artt. 2 bis, 2 ter e 2 quater, nei quali viene trasfusa e assorbita, con alcune modifiche, la disciplina già espressa nel Decreto-legge abrogato, e con l’introduzione degli artt. 2 quinquies, 2 sexies e 3 bis.

Poiché le misure adottate con i due Decreti, quello convertito e quello – solo formalmente – abrogato, rinvengono, ormai, la loro regolamentazione in un corpo normativo unitario, è a questo che pare opportuno fare riferimento per analizzare i contenuti delle stesse14.

  1. Le modifiche alla disciplina dei permessi di necessità

La prima novità sulla quale portare l’attenzione attiene alla procedura per la concessione dei permessi di necessità (art. 30 bis ord. penit.).

L’art. 2, comma 1, lett. a, n. 1, D.L. n. 28/2020, infatti, interviene sul primo comma dell’art. 30 bis ord. penit., innestandovi la previsione secondo cui l’organo decidente (il magistrato di sorveglianza o – se il richiedente è un indagato o imputato – il giudice procedente), prima di pronunciarsi sull’istanza avanzata da persona detenuta per taluno dei delitti previsti dall’art. 51, commi 3 bis e 3 quater, c.p.p., deve richiedere il parere del procuratore della Repubblica, nonché, qualora il beneficio sia invocato da un detenuto sottoposto al regime di cui all’art. 41 bis ord. penit., del procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo15, in ordine all’attualità dei collegamenti con la criminalità organizzata ed alla pericolosità del soggetto. Il procuratore della Repubblica legittimato ad esprimere il parere è quello presso il tribunale del capoluogo del distretto “ove è stata pronunciata la sentenza di condanna o ove ha sede il giudice che procede”. Non è chiaro se, nell’ipotesi che la pena in espiazione sia stata determinata con un provvedimento di cumulo, in relazione a delitti commessi in diversi contesti territoriali, il parere debba essere richiesto a tutti i procuratori distrettuali interessati16. Ad ogni modo, presentata istanza di rilascio dei prescritti pareri, l’autorità competente potrà decidere liberamente decorse ventiquattro ore dalla richiesta, od anche prima, qualora ricorrano “esigenze di motivata eccezionale urgenza”.

Un’ulteriore novità investe il comma 9 dell’art. 30 bis ord. penit., che viene interamente sostituito, ad opera dell’art. 2, comma 1, lett. a, n. 2, del D.L. n. 28/2020; in sostanza, viene aggiunta all’originaria previsione che fa obbligo alle autorità che hanno rilasciato i permessi di informare degli stessi e del loro esito, con relazione trimestrale, il procuratore generale presso la corte di appello, la previsione di un obbligo, per quest’ultimo, di dare comunicazione, al procuratore della Repubblica presso il tribunale del capoluogo del distretto ove è stata pronunciata la sentenza di condanna o ove ha sede il giudice che procede, dei permessi concessi a detenuti per taluno dei delitti previsti dall’art. 51, commi 3 bis e 3 quater c.p.p.; e di informare altresì il procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo, qualora i permessi siano stati concessi a detenuti sottoposti al regime previsto dall’art. 41 bis ord. penit..

  1. Le modifiche alla disciplina della procedura di concessione o di proroga della detenzione domiciliare “surrogatoria”

Come innanzi detto, il D.L. n. 28/2020 interviene anche sulla procedura per la concessione o la proroga della detenzione domiciliare “surrogatoria”, ossia quella applicabile quando potrebbe procedersi al rinvio obbligatorio o facoltativo dell’esecuzione della pena ai sensi degli artt. 146 o 147 c.p.

L’art. 2, comma 1, lett. b, D.L. n. 28/2020, infatti, aggiunge un comma 1 quinquies all’art. 47 ter ord. penit., con il quale – analogamente a quanto previsto per i permessi di necessità – si rende obbligatoria, in funzione della decisione (di concessione o proroga della misura) la richiesta di un parere sull’attualità dei collegamenti con la criminalità organizzata e sulla pericolosità del soggetto; il parere va richiesto, dal tribunale o dal magistrato di sorveglianza, soltanto al procuratore della Repubblica presso il tribunale del capoluogo di distretto di corte d’appello “ove è stata pronunciata la sentenza di condanna”17, laddove si tratti di condannati per delitti di mafia o di terrorismo o per altro delitto comunque rientrante nelle previsioni dell’art. 51, commi 3 bis e 3 quater, c.p.p.; anche al procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo, nel caso di detenuti sottoposti allo speciale regime detentivo di cui all’art. 41 bis ord. penit.

Il capo della direzione nazionale antimafia e antiterrorismo e il capo della procura distrettuale devono esprimersi entro due giorni o entro quindici giorni dalla richiesta di parere, a seconda che questa provenga dal magistrato di sorveglianza o dal tribunale di sorveglianza. Decorsi detti termini – o anche prima, ove ricorrano “esigenze di motivata eccezionale urgenza” – l’organo di sorveglianza che ha richiesto il parere potrà decidere anche in sua assenza.

Quid iuris se il parere è regolarmente fornito nei tempi previsti ed è sfavorevole alla concessione o proroga della misura? La norma non si spinge fino al punto di ascrivergli natura vincolante18. Giova ricordare, tuttavia, che, sin dal 1992, esiste una previsione – espressa nell’art. 4 bis, comma 3 bis, ord. penit. – secondo cui la concessione delle misure alternative alla detenzione (nonché l’assegnazione al lavoro all’esterno e i permessi premio) in favore di detenuti o internati per non meglio precisati delitti dolosi è subordinata alla circostanza che il procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo o il procuratore della Repubblica distrettuale non rappresenti – di sua iniziativa o su segnalazione del comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza pubblica – all’organo decidente la persistenza di collegamenti con la criminalità organizzata. Deve dedursene che, ove il parere richiesto ai sensi dell’art. 47, comma 1 quinquies, ord. penit., evidenzi l’attualità dei collegamenti con la criminalità organizzata, resti preclusa, ai sensi del citato art. 4 bis, comma 3 bis, ord. penit., la concessione o la proroga della misura?

Crediamo che al quesito debba fornirsi risposta negativa. In dottrina e giurisprudenza, infatti, è soluzione interpretativa ampiamente condivisa che la valutazione espressa – ai sensi del comma 3 bis dell’art. 4 bis ord. penit. – dal procuratore nazionale o distrettuale antimafia (come del resto quella formulata, ai sensi del precedente comma 3, dal comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza pubblica), sull’attualità dei collegamenti tra il detenuto e la criminalità organizzata (mafiosa o eversiva), non sia vincolante per il giudice, giacché, come chiarito dalla stessa Consulta, “la verifica quanto all’esistenza di elementi in grado di escludere l’attualità di collegamenti con la criminalità organizzata o eversiva è di esclusiva ed inderogabile competenza della magistratura di sorveglianza” (Corte cost. n. 271/1992 e, successivamente, Corte cost. n. 350/1992)19.

Ad ogni modo, il parere rilasciato ai sensi dell’art. 47, comma 1 quinquies, ord. penit. potrebbe limitarsi ad evidenziare la pericolosità del soggetto. Pericolosità che, in ogni caso, deve formare oggetto di valutazione da parte dell’organo decidente, allorché venga richiesto dal condannato il differimento della pena per gravi motivi di salute. A meno che, infatti, non si tratti di malattia giunta allo stadio terminale (art. 146, comma 1, n. 3, c.p.), il giudice è tenuto a verificare l’assenza di un concreto pericolo di commissione di delitti da parte del soggetto che invoca il provvedimento ed a valutare se, nello specifico caso, “il grado di pericolosità del condannato sconsiglia un semplice differimento, con il conseguente stato di (temporanea) libertà che esso presuppone, e rende invece preferibili le rigide restrizioni proprie della detenzione domestica”20.

Non può non stupire, allora, la scelta di restringere l’operatività della previsione di obbligatorietà del parere delle procure all’istituto della detenzione domiciliare in surroga del differimento pena, senza estenderla all’ipotesi del differimento della pena sic et simpliciter, con mantenimento o ripristino cioè dello status libertatis del condannato, ove si considerino i “maggiori rischi che, in astratto, si riconnettono alla condizione di libertà del condannato e di totale assenza di controlli da parte delle forze dell’ordine”21.

Nè risulta chiaro perché analoga scelta non sia stata fatta per il settore delle misure cautelari personali. In effetti, se – com’è stato osservato – la prevista attività consultiva (la richiesta di un parere sull’attualità dei collegamenti con la criminalità organizzata e sulla pericolosità del soggetto), propedeutica alla decisione sulla concessione o revoca della detenzione domiciliare, ha “carattere squisitamente politico” e un’efficacia simbolico-comunicativa, intendendosi con essa veicolare il messaggio che sui giudici “è bene sorvegliare”, non si comprendono le ragioni dell’affrancamento, da siffatta sorveglianza, del giudice delle cautele personali, posto che i regimi penitenziari di cui agli artt. 4 bis e 41 bis ord. penit. riguardano detenuti sia definitivi sia non definitivi; nessuna modifica, infatti, viene apportata all’art. 275, comma 4 bis, c.p.p., benché questa disposizione normativa sia quella che ha determinato il maggior numero di scarcerazioni per motivi di salute.

Va dato atto, conclusivamente, di una ulteriore modifica apportata alla disciplina della detenzione domiciliare “surrogatoria”. L’art. 2 del D.L. n. 28/2020, come modificato, in sede di conversione, dalla L. n. 70/2020, infatti, recuperando una previsione già espressa nell’ambito del D.L. n. 29/2020 (segnatamente, all’art1), inserisce nel comma 7 dell’art. 47 ter ord. penit. un richiamo al comma 1 ter, che si aggiunge agli originari riferimenti ai commi 1 (disciplinante la detenzione domiciliare “ordinaria”) e 1 bis (relativo alla detenzione domiciliare c.d. “generica”). L’intento è di chiarire – onde fugare i dubbi affacciatisi nella prassi applicativa22 – che anche la detenzione domiciliare “surrogatoria” – al pari delle altre tipologie di detenzione domestica – va incontro a revoca nel caso venga a cessare la situazione che ne ha legittimato l’adozione.

  1. La rivalutazione periodica dei provvedimenti di ammissione alla detenzione domiciliare o di differimento dell’esecuzione della pena

La L. n. 70/2020, oltre alla previsione dell’art1, or ora richiamata, recupera i contenuti degli artt. 2, 3 e 4 dell’abrogato D.L. n. 29/2020, trasfondendoli nei nuovi artt. 2 bis, 2 ter e 2 quater del D.L. n. 28/2020, senza però rinunciare ad introdurre alcune importanti novità, in accoglimento dei rilievi critici formulati da dottrina e giurisprudenza con riguardo a taluni aspetti, poco convincenti, della pregressa disciplina.

Intanto, viene confermata la scelta di obbligare magistratura di sorveglianza e giudici della cognizione:

a) ad una revisione periodica delle proprie precedenti decisioni – assunte, secondo quanto dispone l’art. 2 bis, comma 5, primo periodo, D.L. n. 28/2020, successivamente al 23 febbraio 2020 – in materia, rispettivamente, di detenzione domiciliare e differimento dell’esecuzione della pena e di sostituzione della custodia cautelare in carcere con la misura degli arresti domiciliari, assunte, per motivi connessi all’emergenza sanitaria da Covid-19, nei confronti di soggetti condannati o imputati per gravi reati23 o sottoposti al regime detentivo speciale previsto dall’art. 41 bis ord. penit.;

b) a disporre il ripristino della detenzione inframuraria laddove sopravvenga la disponibilità di strutture penitenziarie o di reparti di medicina protetta adeguati alle condizioni di salute del detenuto in cui lo stesso possa riprendere la detenzione.

Per quanto concerne, specificamente, la rivalutazione delle decisioni assunte nella fase post rem iudicatam, si stabilisce, ai commi 1-3 dell’art. 2 bis del D.L. n. 28/2020, che il magistrato o il tribunale di sorveglianza deve valutare “la permanenza dei motivi legati all’emergenza sanitaria” già nei quindici giorni successivi all’adozione del provvedimento che ha disposto la custodia domestica o il differimento della pena e, successivamente, ogni mese, nonché tutte le volte che il D.A.P. comunichi la disponibilità di strutture penitenziarie o di reparti di medicina protetta, adeguati alle condizioni di salute del detenuto o internato, in cui possa riprendere la detenzione.

Al giudice di sorveglianza (monocratico o collegiale) incombe, prima di disporre, con provvedimento immediatamente esecutivo, la revoca della detenzione domiciliare o del differimento di pena, l'”acquisizione” – si badi, non la mera richiesta – del parere del procuratore della Repubblica distrettuale nonché, nel caso di condannati od internati già sottoposti al regime del 41 bis, del procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo24.

Oltre ad acquisire i suddetti pareri, il giudice di sorveglianza, prima di provvedere, deve ottemperare a due ulteriori incombenze: è, infatti, necessario “sentire” l’autorità sanitaria regionale, in persona del presidente della giunta regionale, sulla situazione sanitaria locale e verificare, sulla scorta di informazioni acquisite presso il D.A.P., l’eventuale disponibilità di strutture penitenziarie o di reparti di medicina protetta in cui il condannato o l’imputato possa essere nuovamente ristretto senza pregiudizio per le sue condizioni di salute.

Sin qui non si rinvengono significative divergenze rispetto alla pregressa disciplina della materia, come formulata nell’art. 2 del D.L. n. 29/2020; la quale, peraltro, aveva suscitato, in dottrina e in giurisprudenza, diffuse perplessità in ordine alla sua compatibilità con la nostra Carta fondamentale: non solo per la totale assenza, nel Decreto-legge abrogato, di qualsiasi indicazione in merito alle ragioni di straordinaria necessità ed urgenza che, in ossequio al disposto dell’art. 77 Cost., avrebbero dovuto giustificarlo, ma anche per la mancata previsione di qualsiasi forma di contraddittorio – neppure differito – con la difesa del condannato (che abbia avuto concessa la detenzione domiciliare o abbia usufruito del differimento della pena per motivi connessi all’emergenza sanitaria da Covid-19), in punto di valutazione delle condizioni giustificanti il ripristino della detenzione inframuraria.

A quest’ultima stortura, cerca di porre rimedio, in sede di conversione, la L. n. 70/2020, in considerazione anche delle tante questioni di legittimità costituzionale nel frattempo sollevate da diversi giudici e tutt’ora pendenti innanzi alla Corte costituzionale25.

In relazione alla rivalutazione, da parte del magistrato di sorveglianza, del provvedimento provvisorio di ammissione alla detenzione domiciliare (art. 47, comma 1 quater, ord. penit.) o di differimento della pena (art. 684, comma 2, c.p.p.), viene infatti previsto, al comma 4 dell’art. 2 bis del D.L. n. 28/2020, un sistema di raccordo tra l’organo di sorveglianza monocratico e quello collegiale, chiaramente ispirato al meccanismo contemplato dall’art. 51 ter ord. penit., in tema di sospensione cautelativa delle misure alternative alla detenzione per comportamenti tenuti dal condannato suscettibili di determinarne la revoca; meccanismo che consente il controllo successivo – da parte del tribunale di sorveglianza – delle valutazioni compiute in via provvisoria dal magistrato di sorveglianza, con conseguente possibilità di interlocuzione anche da parte della difesa del condannato.

Si stabilisce, infatti, nell’anzidetto comma 4 dell’art. 2 bis, che le informazioni e i pareri acquisiti dal magistrato di sorveglianza in funzione della prescritta revisione periodica delle sue precedenti decisioni (di ammissione, in via provvisoria, alla detenzione domiciliare o di differimento provvisorio dell’esecuzione della pena) e i provvedimenti adottati all’esito della revisione sono trasmessi immediatamente al tribunale di sorveglianza, per unirli a quelli già inviati ai sensi degli artt. 684, comma 2, c.p.p. e 47 ter, comma 1 quater, ord. penit. Allorché la revisione delle ragioni sottese alle proprie precedenti decisioni abbia condotto il magistrato di sorveglianza a disporre la revoca della detenzione domiciliare o del differimento della pena adottati in via provvisoria, il tribunale di sorveglianza – cui spetta la decisione definitiva circa l’ammissione alla detenzione domiciliare o il differimento della pena – è tenuto a provvedere entro trenta giorni dalla ricezione del provvedimento di revoca, pena la perenzione del provvedimento stesso. E non v’è dubbio che, a dispetto del silenzio serbato sul punto dalla norma, nella fase dinanzi all’organo collegiale, il condannato – quantunque in vinculis, stante l’efficacia immediata del provvedimento di ripristino della detenzione inframuraria – e il suo difensore possano recare il proprio contributo dialettico alla decisione da assumere26. Così come non pare revocabile in dubbio che – pur in assenza di espresse indicazioni legislative – debba ritenersi consentito al condannato che intendesse insorgere rispetto alla decisione di ripristino della detenzione carceraria, di ricorrere in cassazione per violazione di legge, ai sensi dell’art. 111, comma 7, Cost..

  1. La rivalutazione periodica dei provvedimenti di sostituzione della custodia cautelare in carcere con la misura degli arresti domiciliari

Ai sensi dell’art. 2 ter del D.L. n. 28/2020, che riproduce pedissequamente le previsioni contenute nell’art. 3 dell’abrogato D.L. n. 29/2020, va sottoposta a revisione periodica anche l’ordinanza con la quale sia stata disposta la sostituzione della custodia carceraria con gli arresti domiciliari per motivi connessi all’emergenza sanitaria da Covid-19, nei confronti di detenuti indagati o imputati per gravi reati27 o sottoposti al regime detentivo speciale previsto dall’art. 41 bis ord. penit.

Diversamente, però, da quanto previsto per la restaurazione della “carcerazione esecutiva”, ai fini del ripristino della “carcerazione preventiva” non occorre acquisire il parere del procuratore distrettuale né quello del procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo.

Peraltro, mentre nella fase post iudicatum spetta allo stesso giudice di sorveglianza (magistrato o tribunale) autore del provvedimento acquisire – in uno ai prescritti pareri delle procure antimafia – le informazioni sanitarie e quelle riguardanti la disponibilità di strutture penitenziarie o di reparti di medicina protetta in cui possa riprendere la detenzione senza pregiudizio per le condizioni di salute del detenuto, e valutare la permanenza o il sopravvenuto mutamento delle condizioni, connesse all’emergenza sanitaria, che hanno giustificato la scarcerazione, nel corso del giudizio di cognizione, siffatte incombenze ricadono, in primis, sul magistrato del pubblico ministero. Ciò, verosimilmente, in ragione del fatto che – in linea col principio della domanda cautelare su cui è incentrato il sistema delle cautele personali – è il pubblico ministero a dover assumere l’iniziativa in ordine all’eventuale ripristino della custodia cautelare in carcere, che potrà richiedere al giudice competente de libertate qualora accerti il sopravvenuto mutamento delle condizioni che hanno giustificato la sostituzione della misura cautelare o la disponibilità di strutture penitenziarie o reparti di medicina protetta adeguate alle condizioni di salute dell’imputato28, e sempre che ritenga persistenti le originarie esigenze cautelari.

Ricevuta la richiesta del pubblico ministero, il giudice, prima di pronunciarsi, valuta, innanzitutto, se non debba disporre la revoca o la sostituzione della misura cautelare a norma dell’art. 299, comma 1, c.p.p.; effettua, inoltre, le prescritte consultazioni, del Presidente della Giunta regionale (per avere contezza della situazione sanitaria locale) e del D.A.P. (per acquisire informazioni in ordine all’eventuale disponibilità di strutture penitenziarie o di reparti di medicina protetta ove possa riprendere l’esecuzione della custodia cautelare, senza che la salute dell’imputato ne riceva vulnus).

Nell’impossibilità di decidere allo stato degli atti, il giudice può disporre, anche di ufficio e senza formalità, accertamenti in ordine allo stato di salute dell’imputato, oppure può disporre perizia, nelle forme di cui agli artt. 220 ss. c.p.p., acquisendone gli esiti nei successivi quindici giorni.

  1. L’autorizzazione alla surroga, entro il 30 giugno 2020, dei colloqui “visivi” con colloqui “a distanza”

Nel riprodurre senza modifiche (tranne che nella rubrica) il testo dell’art. 4 dell’abrogato D.L. n. 29/2020, l’art. 2 quater del D.L. n. 28/2020, inserito in sede di conversione, contempla l’ennesima autorizzazione, con efficacia temporalmente limitata (sino alla data del 30 giugno 2020), a sostituire, nelle carceri per adulti e minorili, i colloqui “visivi” o “in presenza”, con i congiunti o con altre persone (diverse dai difensori)29, con colloqui “a distanza”; in quanto tali, da effettuarsi in via telematica (mediante apparecchiature e collegamenti nella disponibilità dell’amministrazione penitenziaria e minorile) o mediante corrispondenza telefonica, autorizzabile dal direttore dell’istituto oltre i limiti di cui all’art. 39, comma 2, reg. penit. e all’art. 19, comma 1, D.Lgs. n. 121/2018. Ciò, “al fine di consentire il rispetto delle condizioni igienico-sanitarie idonee a prevenire il rischio di diffusione del Covid-19”.

I colloqui a distanza potranno comunque svolgersi, ma entro un numero massimo che il direttore dell’istituto penitenziario e dell’istituto penale per minorenni stabiliranno, dopo avere consultato, rispettivamente, il provveditore regionale dell’amministrazione penitenziaria e il dirigente del centro per la giustizia minorile, nonché l’autorità sanitaria regionale; resta fermo il diritto dei detenuti minorenni ad almeno un colloquio al mese effettuato “in presenza”.

  1. Le novità in materia di corrispondenza telefonica delle persone detenute

Con una tecnica normativa alquanto discutibile, l’art. 2 quinquies del D.L. n. 28/2020, inserito in sede di conversione, destituisce di efficacia (rectius: “abroga”) il comma 3 dell’art. 39 reg. penit., sostituendolo con nuove previsioni normative in tema di limiti alla corrispondenza telefonica dei condannati o internati, destinate però a restare fuori del citato art. 39 e dello stesso regolamento penitenziario.

In pratica, si stabilisce, al comma 1, che, ove ricorrano “motivi di urgenza o di particolare rilevanza”, nonché in caso di “trasferimento del detenuto”, la corrispondenza telefonica prevista dall’art. 39 reg. penit. può essere autorizzata (dal direttore dell’istituto) oltre i limiti stabiliti dal comma 2 del medesimo art. 3930.

Si aggiunge – e qui sta la novità più importante – che può essere autorizzata una conversazione telefonica giornaliera “con figli minori o figli maggiorenni portatori di una disabilità grave”; nonché “con il coniuge, con l’altra parte dell’unione civile, con persona stabilmente convivente o legata all’internato da relazione stabilmente affettiva, con il padre, la madre, il fratello o la sorella del condannato qualora gli stessi siano ricoverati presso strutture ospedaliere”.

Si precisa, ad integrazione di quanto disposto nell’ultimo periodo del comma 2 dell’art. 39 reg. esec., che nei confronti di detenuti o internati per uno dei delitti previsti dal primo periodo del comma 1 dell’art. 4 bis ord. penit., che non siano sottoposti allo speciale regime del 41 bis, l’autorizzazione può essere concessa solo una volta a settimana.

  1. La speficicazione delle prerogative dei garanti dei diritti dei detenuti in relazione alla detenzione in regime di 41 bis

L’art. 2 sexies, D.L. n. 28/2020, introdotto in sede di conversione, interpola nel tessuto normativo dell’art. 41 bis ord. penit. tre nuovi commi (il 2 quater.1, il 2 quater.2 e il 2 quater.3), nei quali vengono specificate le prerogative spettanti ai garanti dei diritti dei detenuti, nelle loro diverse articolazioni, allorché intendano accedere all’interno delle sezioni speciali degli istituti, segnatamente a quelle in cui sia praticato il regime detentivo speciale del c.d. “carcere duro”.

Si stabilisce, infatti, che il “Garante nazionale dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale” può accedere senza alcuna limitazione all’interno delle sezioni speciali degli istituti, ove potrà incontrare detenuti ed internati sottoposti al regime speciale di cui all’art. 41 bis e svolgere con essi colloqui visivi riservati senza limiti di tempo, non sottoposti a controllo auditivo o a videoregistrazione e non computati ai fini della limitazione dei colloqui personali di cui al comma 2 quater dell’art. 41 bis ord. penit. (2 quater.1).

Analogamente, i “garanti regionali dei diritti dei detenuti” possono accedere, seppur nell’ambito del territorio di competenza, all’interno delle sezioni speciali degli istituti, incontrare detenuti ristretti in regime di 41 bis e svolgere con essi colloqui visivi, che tuttavia devono essere videoregistrati, benché non vengano computati ai fini della limitazione dei colloqui personali di cui al comma 2 quater dell’art. 41 bis ord. penit. (2 quater.2.).

Infine, i garanti comunali, provinciali o delle aree metropolitane dei diritti dei detenuti, comunque denominati, accedono esclusivamente in visita accompagnata agli istituti ove sono ristretti i detenuti in regime di 41 bis e, peraltro, solo per verificare le condizioni di vita dei detenuti. E’ loro precluso intrattenere colloqui visivi con i detenuti sottoposti a “carcere duro” (2 quater.3).

  1. Ulteriori previsioni del D.L. n. 28/2020 in materia penitenziaria: cenni

Va conclusivamente segnalato che la conversione in legge del D.L. n. 28/2020 fornisce al legislatore l’occasione per:

a) estendere anche alla polizia penitenziaria – quantomeno sulla carta, stante la clausola d’invarianza finanziaria inserita nel comma 2 – la possibilità di fare utilizzo degli “aeromobili a pilotaggio remoto” (c.d. APR), comunemente noti come “droni”, allo scopo di “assicurare una più efficace vigilanza sugli istituti penitenziari e garantire la sicurezza all’interno dei medesimi” (art1 bis D.L. n. 28/2020);

b) intervenire in materia di collaboratori di giustizia, introducendo, con l’art. 3 bis, alcune modifiche ed integrazioni al D.Lgs. 29 marzo 1993, n. 119 (recante la disciplina del cambiamento delle generalità per la protezione di coloro che collaborano con la giustizia), volte ad apprestare alcune specifiche tutele ai familiari di tali soggetti31.

___________________

1 Pubblicata nel suppl. ord. n. 16/L alla G.U. n. 110 del 29 aprile 2020. Tra i primi commenti al provvedimento, cfr. via più agevole di accesso all’esecuzione domiciliare, è rimarcato Fiorentin, Misure detentive: sui benefici il Governo dice no a modifiche, in Guida dir., 2020, n. 25, 62 ss.

2 Siffatto revirement legislativo viene espressamente invocato, oltre che dagli organismi associativi indicati alla nota precedente, da Spangher, Come evitare strage in carcere? Concedere arresti domiciliari, in Il Riformista, 2 aprile 2020. Correttivi in punto di obbligatorietà del controllo mediante braccialetto elettronico in relazione alla misura disciplinata dall’art123D.L. n. 18/2020 sono auspicati anche dal C.S.M. nel Parere reso sul d.d.l. A.S. n. 1766.

3 Che l’art1, L. n. 199/2010 conviva con l’art123D.L. n. 18/2020, potendo costituire, soprattutto nel caso di pene superiori a sei mesi, una via più agevole di accesso all’esecuzione domiciliare, è rimarcato da Fiorentin, Misure detentive, cit., 65. In giurisprudenza, cfr. Mag. sorv. Spoleto 27 marzo 2020, che concede l’esecuzione domiciliare di cui art1, L. n. 199/2010, ritenendo che la detenzione domiciliare introdotta con D.L. n. 18/2020 sia “misura all’apparenza più favorevole ma di fatto di difficile immediata applicazione”.

4 Si sostituisce, al comma 6, l’espressione “art1, comma 4, legge” con l’espressione – più confacente ad un testo normativo – “articolo 1, comma 4, della legge”; si ritocca altresì il comma 7, chiarendosi – ove mai ve ne fosse stato bisogno – che “l’equipe educativa dell’istituto” con la quale l’ufficio di servizio sociale minorenni deve raccordarsi, in funzione della redazione del programma educativo da sottoporre all’approvazione del magistrato di sorveglianza, è quella dell'”istituto penitenziario”.

5  Minnella, Evoluzioni giurisprudenziali sulle misure svuota carceri adottate dalla magistratura di sorveglianza, in Dir. giust.27 aprile 2020, che dà conto di una pronuncia del Mag. sorv. Venezia 4 aprile 2020, con cui viene disposto, nei confronti di una detenuta, che “la pena sia eseguita in esecuzione domiciliare ex art123 d.l18/2020, non appena sarà messo a disposizione il dispositivo di controllo elettronico, momento cui farà seguito l’ordine di esecuzione da parte della competente procura”.

6 Cfr. il documento dell’Osservatorio Carcere dell’U.C.P.I. relativo all'”Indagine conoscitiva in materia di applicazione dell’art. 275 bis c.p.p. e art. 58 quinquies o.p. c.d. ‘braccialetto elettronico’”), del 30 luglio 2015, disponibile sul sito www.camerepenali.it.

7 Minnella, Evoluzioni giurisprudenziali, cit., che dà conto di una pronuncia del Mag. sorv. Venezia 4 aprile 2020, con cui viene disposto, nei confronti di una detenuta, che “la pena sia eseguita in esecuzione domiciliare ex art123 d.l18/2020, non appena sarà messo a disposizione il dispositivo di controllo elettronico, momento cui farà seguito l’ordine di esecuzione da parte della competente procura”.

8 Ciò, in linea con l’esortazione agli Stati, da parte Sottocomitato per la prevenzione della tortura e altre pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti (SPT), a “ridurre la popolazione carceraria” attuando, ove possibile, “modelli di liberazione provvisoria, temporanea o anticipata” ed a “rivedere tutti i casi di custodia cautelare al fine di determinare se essa è strettamente necessaria alla luce della prevalente emergenza sanitaria pubblica” (cfr. Parere del SPT agli Stati parte e ai Meccanismi Nazionali di Prevenzione in relazione alla pandemia di coronavirus, adottato il 25 marzo 2020, reperibile sul sito www.rassegnapenitenziaria.it, nella sezione /le pubblicazioni); analoga raccomandazione è espressa dalla Commissaria CoE per i Diritti Umani, nella citata Dichiarazione del 6 aprile 2020, con particolare riguardo a “quei detenuti con condizioni di salute già compromesse”; alle “persone anziane che non rappresentano una minaccia per la società” ed a “coloro che sono stati accusati o condannati per reati minori o non violenti”.

9 Che malattie dell’apparato cardio-circolatorio e cerebrovascolari, diabete, disfunzioni metaboliche in generale, obesità e ipertensione pregresse rendano più vulnerabili le persone che contraggono l’infezione da SARS-CoV-2 e fra loro aumenti la probabilità di decesso per Covid-19 è confermato da numerosi studi clinici. Cfr., al riguardo, Aa.Vv., Il ruolo delle patologie croniche pregresse nella prognosi dei pazienti COVID-19, in www.epicentro.iss.it.

10 Fiandaca, Scarcerazione per motivi di salute, lotta alla mafia e opinione pubblica, in Sistema Penale, 19 maggio 2020, che evidenzia “l’andamento non solo tendenzioso, ma per certi versi anche manipolatorio della campagna allarmistica lanciata da importanti testate giornalistiche”, con “interventi frequenti e insistenti di cronisti e commentatori” diretti ad “alimentare paura, sconcerto e indignazione pubblica, suscitando la falsa impressione di una notevole quantità di scarcerazioni di capi mafiosi in regime di 41 bis […] per improvvida sopravvalutazione del rischio-contagio da parte dei giudici autori dei relativi provvedimenti”.

11 Cfr. sul punto, l’intervista rilasciata dal Garante nazionale dei detenuti, La situazione nelle carceri. Parla Mauro Palma, in www.treccani.it, 8 maggio 2020. Sul versante giornalistico, cfr. Ferrarella, Quelle scarcerazioni e la demagogia dei pm per attaccare i giudici, in Corriere della sera, 8 maggio 2020; e Ferrara, Togliere la coca dall’informazione italiana, in Il Foglio, 9 maggio 2020.

12 De Carolis, “Sui boss fuori non ho colpe. Ora parere dei pm antimafia”, in Il Fatto Quotidiano, 30 aprile 2020, 9, secondo cui il Governo “ha risposto con un segnale molto forte. Questo decreto che intendiamo approvare va a rafforzare ulteriormente il contrasto alle mafie nel pieno rispetto della magistratura”.

13 Fiorentin, Con controlli cadenzati sui casi blindate le procedure per i benefici, in Guida dir., 2020, n. 23, 114 ss.; Gianfilippi, La rivalutazione delle detenzioni domiciliari per gli appartenenti alla criminalità organizzata, la magistratura di sorveglianza e il corpo dei condannati nel D.L. 10 maggio 2020 n. 29, in Giustizia Insieme, 12 maggio 2020; PestelliD.L. 29/2020: obbligatorio rivalutare periodicamente le scarcerazioni connesse all’emergenza Covid-19, in Quotidiano Giuridico, 13 maggio 2020; Pulvirenti, COVID-19 e diritto alla salute dei detenuti: un tentativo, mal riuscito, di semplificazione del procedimento per la concessione dell’esecuzione domiciliare della pena (dalle misure straordinarie degli artt123 e 124 del D.L. n. 18/2020 alle recenti novità del D.L. n. 29/2020, in Leg. pen., 26 maggio 2020.

14 Pestelli, D.L. n. 28/2020 e D.L. n. 29/2020: tutte le modifiche apportate in sede di conversione, in Quotidiano Giuridico, 26 giugno 2020.

15 Il quale, ai sensi dell’art. 103 del codice antimafia (D.Lgs. 6 settembre 2011, n. 159), è a capo della direzione nazionale antimafia ed antiterrorismo, organismo operante nell’ambito della procura generale della Repubblica presso la corte di cassazione, con compiti di impulso e di coordinamento, in ambito nazionale, delle indagini relative alla criminalità mafiosa ed a quella terroristico-eversiva.

16 Fiorentin, Dettati specifici oneri istruttori, cit., 54.

17 È così modificato, in sede di conversione del D.L. n. 28/2020, l’originario riferimento, contenuto nella lett. b dell’art1, al capoluogo di distretto di corte di appello “ove ha sede il tribunale che ha emesso la sentenza”.

18 Gialuz, L’emergenza nell’emergenza, cit., “la previsione del carattere vincolante del parere del procuratore sarebbe palesemente incostituzionale per violazione degli artt. 13, 27 comma 3 e 101, comma 2, Cost.”.

19 Caraceni, sub Art. 4 bis, in Aa.Vv., Ordinamento penitenziario commentato, a cura di F. Della Casa-G. Giostra, Padova, 2019, 85 ss.; Marandola, sub Art. 4 bis, in Aa.Vv., L’esecuzione penale. Ordinamento penitenziario e leggi complementari, a cura di F. Fiorentin-F. Siracusano, Milano, 2019, 78, 81. In giurisprudenza, cfr., in particolare, Cass., Sez. I, 20 marzo 2015, n. 16374, in CED, n. 263381.

20 Carnevale, Le misure alternative alla detenzione e la liberazione anticipata, in Aa.Vv., Manuale di diritto penitenziario, a cura di F. Della Casa-G. Giostra, Torino, 2020, 177.

21 Così il C.S.M., nel parere reso sui D.L. n. 28/2020 e n. 29/2020, disponibile sul sito www.csm.it, nella sezione /norme e documenti. Cfr., pure, PestelliD.L. n. 28/2020 e D.L. n. 29/2020, cit., che considera ingiustificata la diversità di disciplina tra le due ipotesi di differimento pena (con e senza detenzione domiciliare), anche considerando che gli stessi pareri sono previsti (dal D.L. n. 29/2020) in sede di rivalutazione periodica dei provvedimenti per motivi legati all’emergenza sanitaria da Covid-19, sia in caso di ammissione dei condannati alla detenzione domiciliare sia in caso di differimento della pena tout court. Una posizione critica al riguardo è assunta anche da Della Bella, Emergenza COVID e 41 bis, cit., Fiorentin, Nel caso di differimento della pena, cit., 56 ss., e Gialuz, L’emergenza nell’emergenza, cit.

22 Fiorentin, Con controlli cadenzati, cit., 114-115.

23 Si tratta dei delitti di cui agli artt. 270, 270 bis, 416 bis c.p. e 74, comma 1, t.u.l.stup., o di un delitto commesso avvalendosi delle condizioni o al fine di agevolare l’associazione mafiosa o di un delitto commesso con finalità di terrorismo ai sensi dell’art. 270 sexies c.p.

24 Si fa fatica a comprendere le ragioni per cui è stata imposta la consulenza degli anzidetti organismi antimafia, posto che gli stessi hanno già espresso il loro parere in sede di applicazione della misura (ai sensi dell’art. 47 ter, comma 1 quinquies, ord. penit.) e che, in ogni caso, la obbligatoria procedura di revisione disciplinata dall’art. 2 bis D.L. n. 28/2020 ha quale oggetto normativamente predefinito la valutazione della “permanenza dei motivi legati all’emergenza sanitaria”, senza coinvolgere il profilo della pericolosità sociale dell’interessato. Cfr., per tali rilievi, Fiorentin, Con controlli cadenzati, cit., 117.

25 Cfr. Mag. Sorv. Spoleto, ord. 26 maggio 2020; Mag. Sorv. Avellino, ord. 3 giugno 2020; Trib. Sorv. Sassari, ord. 9 giugno 2020.

26 Pestelli, D.L. n. 28/2020 e D.L. n. 29/2020, cit.

27 Si tratta dei delitti di cui agli artt. 270, 270 bis, 416 bis c.p. e 74, comma 1, t.u.l.stup., o di un delitto commesso avvalendosi delle condizioni o al fine di agevolare l’associazione mafiosa o di un delitto commesso con finalità di terrorismo ai sensi dell’art. 270 sexies c.p.

28 Valutazione che il pubblico ministero è tenuto ad effettuare – non dissimilmente dalla magistratura di sorveglianza – entro quindici giorni dalla data di adozione della misura degli arresti domiciliari e, successivamente, con cadenza mensile, salvo quando il D.A.P. comunica la disponibilità di strutture penitenziarie o di reparti di medicina protetta adeguati alle condizioni di salute dell’imputato. In tal caso, la verifica deve essere svolta immediatamente, anche prima delle anzidette cadenze temporali.

29  Colloqui cui i condannati, gli internati e gli imputati hanno diritto ai sensi dell’art. 18 ord. penit., dell’art. 37 reg. penit. e dell’art. 19, D.Lgs. n. 121/2018.

30 Tale disposizione prevede che il direttore possa autorizzare un colloquio telefonico settimanale con i congiunti e conviventi, od anche con persone diverse dai congiunti e conviventi, allorché ricorrano ragionevoli e verificati motivi; una conversazione telefonica con i familiari o con le persone conviventi, in occasione del rientro nell’istituto dal permesso o dalla licenza; massimo due colloqui telefonici al mese, quando si tratti di detenuti o internati per uno dei delitti previsti dal primo periodo del comma 1 dell’articolo 4 bis ord. penit., e per i quali si applichi il divieto dei benefìci ivi previsto.

31 PestelliD.L. n. 28/2020 e D.L. n. 29/2020, cit.

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