Il Caso Taranto. La costituzione di parte civile degli enti e risarcimento del danno nel processo “Ambiente Svenduto”.
LA COSTITUZIONE DI PARTE CIVILE DEGLI ENTI E RISARCIMENTO DEL DANNO NEL PROCESSO “AMBIENTE SVENDUTO”.
Il Caso Taranto*.
Avv. Andrea Albanese – Avv. Francesco Edmondo Fico – Avv. Francesco Fischetti – Avv. Giovanni Piccione
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Excursus sull’evoluzione della Costituzione di parte civile degli enti.
L’azione civile di danno pubblico ambientale può essere esercitata anche nel processo penale mediante costituzione di parte civile, consentita ex art. 74 c.p.p., la quale, com’è noto, rappresenta un eccezione all’ordinaria regola per cui i danni civilistici andrebbero chiesti nelle opportune sedi della giurisdizione.
D’altronde l’art. 185 c.p. afferma il principio secondo il quale il condannato è tenuto, secondo quanto disposto dalle leggi civili, alla restituzione del danno sia patrimoniale che non patrimoniale.
Il soggetto legittimato a costituirsi parte civile, secondo i principi generali, è il danneggiato del reato che, si badi bene, non deve intendersi e/o confondersi con la sola persona fisica ma bensì con tutti quei soggetti titolari del bene giuridico la cui lesione o la cui messa in pericolo costituisce l’essenza della condotta penalmente illecita.
Ed infatti, tale legittimazione comprende certamente anche enti o associazioni, dotate o prive di personalità giuridica, che abbiano subito un danno dalla commissione del reato.
È di fondamentale importanza evidenziare come già prima dell’entrata in vigore della Legge 349 del 1986, la Giurisprudenza ha sempre ritenuto ammissibile la costituzione di parte civile degli Enti locali territoriali, affermando che: “i comuni, cui la vigente normativa impone obblighi di intervento a tutela del diritto alla salute, sono titolari di tale dritto soggettivo che viene leso in caso di inquinamento delle falde acquifere comprese nel territorio dell’Ente con conseguente avvelenamento delle acque. Essi, pertanto, sono legittimati a costituirsi parte civile contro i responsabili dell’inquinamento e a richiedere il risarcimento dei danni”1.
Successivamente, considerato che, quanto alla materia del danno ambientale il diritto al relativo risarcimento e alla titolarità dell’azione risarcitoria sono espressamente attribuiti allo Stato ed agli enti territoriali minori, in aderenza a quanto previsto dall’Art. 18 Legge n. 349 del 1986 – secondo il quale qualunque fatto produttivo di danno ambientale obbliga l’autore al risarcimento “nei confronti dello Stato” – la giurisprudenza affermava che “il comune è legittimato a far valere in sede civile il danno subito per effetto di scarichi industriali illegittimi interessanti sul territorio, posto che tale ente sarà costretto ad impiegare mezzi finanziari per interventi di risanamento. Indiscutibilmente appare il diritto a costituirsi parte civile anche dei singoli cittadini…”2.
Invero, il terzo comma del citato art. 18 chiariva che l’azione di risarcimento – anche se esercitata in sede penale – è promossa dallo Stato nonché dagli Enti territoriali sui quali incidano i beni oggetto del fatto lesivo. Tale legittimazione riconosciuta agli Enti territoriali doveva ritenersi concorrente con quella statale e fondata sulla considerazione che il danno ambientale incide su un determinato contesto territoriale, essendo il territorio elemento costitutivo di tali Enti e perciò oggetto di un loro diritto di personalità.
A seguito dell’abrogazione dell’art. 18, c. 3°, della L. n. 349 del 1986, la legittimazione a costituirsi parte civile nei processi per reati ambientali (aventi ad oggetto fatti compiuti successivamente al 29 aprile 2006) a seguito dell’entrata in vigore dell’art. 318, comma secondo, lett. a), del d. lgs. n. 152 del 2006, spetta, in via esclusiva allo Stato poiché il risarcimento del danno ambientale è ritenuto di natura pubblica, intendendosi come la lesione dell’interesse pubblico alla integrità e salubrità dell’ambiente.
Pertanto, il titolare ad agire per il risarcimento del danno ambientale di natura pubblica, in sé considerato come lesione dell’interesse pubblico alla integrità e salubrità dell’ambiente – ora previsto e disciplinato soltanto dal d. lgs. n. 152 del 2006, art. 311 – è esclusivamente lo Stato, in persona del Ministro dell’ambiente3.
Invece, tutti gli altri soggetti, singoli o associati, ivi compresi tutti gli altri soggetti, singoli o associati, ivi compresi gli Enti pubblici territoriali e le Regioni, possono invece agire, in forza dell’art. 2043 cod. civ., per ottenere il risarcimento di qualsiasi danno patrimoniale, ulteriore e concreto, che abbiano dato prova di aver subito dalla medesima condotta lesiva dell’ambiente in relazione alla lesione di altri loro diritti particolari, diversi dall’interesse pubblico e generale alla tutela dell’ambiente come diritto fondamentale e valore a rilevanza costituzionale4, così come possono agire per il risarcimento del danno non patrimoniale5, avente tuttavia le medesime caratteristiche del precedente quanto alla estraneità al danno ambientale di natura pubblica.
Nell’accertamento di tale voce di danno il giudice dovrà verificare, sulla base della concreta allegazione di parte, la sussistenza di esso, consistente nel pregiudizio arrecato all’attività da detti soggetti effettivamente svolta per la valorizzazione e la tutela del territorio sul quale incidono i beni oggetto del fatto lesivo6.
Le Regioni e gli enti territoriali minori, in forza dell’art. 309, comma 1, possono presentare denunce ed osservazioni nell’ambito di procedimenti finalizzati all’adozione di misure di prevenzione, precauzione e ripristino oppure possono sollecitare l’intervento statale a tutela dell’ambiente, mentre non hanno più il potere di agire iure proprio per il risarcimento del danno ambientale.
Il principio di immanenza della parte civile, in base al quale la costituzione di parte civile produce i suoi effetti in ogni stato e grado del processo (salve le ipotesi di revoca e di esclusione) ed in applicazione del quale la costituzione di parte civile, resiste agli eventi che riguardino la persona fisica del danneggiato che si sia già costituito in giudizio; in particolare si è affermato che “alla morte della persona costituita parte civile non conseguono gli effetti della revoca tacita né quelli interruttivi del rapporto processuale previsti dall’art. 300 cod. proc. civ. – inapplicabili al processo penale, ispirato all’impulso di ufficio – in quanto la costituzione resta valida ex tunc7.
Tale principio è applicabile anche nel caso, che qui ricorre, di soppressione ex lege di un ente pubblico con la successione allo stesso di un altro ente verificatasi dopo la costituzione di parte civile, in quanto tale circostanza dà luogo ad un fenomeno equiparabile alla morte o alla perdita della capacità di stare in giudizio della persona fisica.
La denuncia di violazioni di legge non dedotte con i motivi di appello costituisce causa di inammissibilità originaria dell’impugnazione; non possono, quindi, essere dedotte con il ricorso per cassazione questioni sulle quali il giudice di appello abbia correttamente omesso di pronunciare, perché non devolute alla sua cognizione8, tranne che si tratti di questioni rilevabili di ufficio in ogni stato e grado del giudizio o che non sarebbe stato possibile dedurre in precedenza9.
- La difesa degli enti territoriali nei procedimenti per risarcimento danni da illecito ambientale.
Profili pratici e criticità: citazione per risarcimento danni in sede civile o costituzione di parte civile nel processo penale?
1. Le Regioni e gli Enti Locali per tutelare l’ecosistema loro territorialmente affidato possono denunziare al Ministero dell’Ambiente casi di danno ambientale o di minaccia imminente di inquinamento depositando presso le Prefetture – Uffici del Governo denunzie, esposti o memorie corredate di documenti, di fotografie, di videoriprese, di rapporti di Polizia Locale e quant’altro utile a dimostrare l’esistenza di un pericolo per l’ecosistema10.
Gli stessi soggetti possono agire giudizialmente davanti al TAR per l’annullamento degli atti del Ministero dell’Ambiente e contro il silenzio inadempimento ministeriale.
Inoltre, gli enti territoriali sono legittimati a chiedere il risarcimento del danno subito per il ritardo del Ministero dell’Ambiente nell’applicazione di misure di precauzione, di prevenzioni e di contenimento del danno ambientale.
Gli enti territoriali, come le associazioni ambientaliste, nelle ipotesi di illeciti ambientali possono agire in giudizio iure proprio nei confronti di chi inquina per ottenere il risarcimento del danno ambientale, “inteso come interesse alla tutela dell’ambiente in sé considerato11” ed alla “conservazione e valorizzazione del paesaggio urbano, rurale, naturale nonché dei monumenti e dei centri storici12”.
Il danno risarcibile in favore degli enti territoriali consiste nella lesione dell’ambiente come bene pubblico, di natura patrimoniale e non patrimoniale per l’offesa all’attività svolta per la salvaguardia del territorio dove insistono i beni danneggiati.
In caso di violazioni ambientali, premesso che in concreto la titolarità a costituirsi parte civile nel processo penale per il risarcimento del danno da reato ex art. 185 c.p. è riservata alla vittima danneggiata dal reato (o al suo erede), l’art. 74 c.p.p. ha allargato la legitimatio ad causam alle persone giuridiche ed agli enti collettivi portatori di interessi diffusi o collettivi13.
Conseguentemente un ente pubblico può costituirsi parte civile quando il danno da risarcire inerisca a un bene o a un interesse patrimoniale oppure quando vi sia lesione di un diritto del soggetto stesso.
Quest’ultima circostanza si verifica quando vengono violati l’interesse perseguito dall’istituzione o la soggettività giuridica dell’ente stesso.
Il reato commesso, infatti, ostacola l’ente locale nella realizzazione del fine pubblico di tutela della collettività dei consociati e di promozione del territorio14.
In particolare, si riconosce la legittimazione attiva dello Stato e degli enti territoriali a promuovere l’azione risarcitoria nei casi in cui il reato abbia offeso un interesse diretto dell’amministrazione, a prescindere che il danno sia patrimoniale o morale15.
In questo modo si realizza la finalità risarcitoria dell’azione civile nel processo penale senza trasformare la costituzione di parte civile dell’ente territoriale in un intervento ad adiuvandum della tesi accusatoria della Procura della Repubblica.
Di conseguenza, la costituzione di parte civile dell’ente territoriale è ammissibile se la condotta illecita lede un bene della collettività dei cittadini e si riferisce direttamente alla comunità locale rappresentata16.
Detto altrimenti, il pregiudizio per il cui risarcimento l’ente locale agisce non coincide con l’offesa provocata al bene giuridico protetto dalla norma (patrimonio, fede pubblica, etc.), ma consiste nella lesione di uno specifico diritto o scopo dell’ente17, oltre ad un “danno sociale18”.
Risalente giurisprudenza ha riconosciuto la legittimazione del Comune a costituirsi parte civile nel processo penale poiché titolare del diritto soggettivo pubblico e del bene giuridico da salvaguardare19.
Pertanto, le stesse condizioni di ammissibilità delle costituzioni di parti civili private valgono per gli enti territoriali legittimati alla tutela dei propri diritti violati che vanno risarciti civilmente con una somma di denaro20.
Per queste ragioni, la giurisprudenza di legittimità ha ammesso la costituzione di parte civile del Comune in processi per associazione di stampo mafioso o finalizzata al narcotraffico o per reati urbanistici in quanto la presenza di criminalità organizzata lede l’immagine della città e nuoce allo sviluppo del turismo, dei traffci commerciali e delle attività imprenditoriali insistenti sul territorio martoriato dal racket o dalla Mafia (per esempio, in tema di rifiuti urbani e discariche.
In questi casi, il danno patrimoniale si riferisce alla decrescita turistica ed ai disinvestimenti derivanti dalla presenza di compagini criminali nelle aree di competenza comunale.
Quello non patrimoniale, invece, riguarda il danno reputazionale d’immagine della persona giuridica legata a realtà criminali nonché la lesione alla identità storica o culturale del Comune protetta dall’art. 114 Cost. (si pensi al discredito al buon nome di Roma arrecato dal processo “Mafia Capitale” ed altri).
Per le medesime argomentazioni si può sostenere l’ammissibilità della costituzione di parte civile degli enti territoriali nei processi penali per disastri ambientali (come il Comune di Taranto nel procedimento “Ambiente Svenduto” in fase di istruzione dibattimentale).
1.1 Tutto ciò posto, accertato un reato ambientale, l’ente territoriale colpito dall’illecito deve scegliere se costituirsi parte civile nel processo penale o agire nella naturale sede civile per la tutela dei propri interessi e dell’ecosistema.
La scelta strategica del rito civile o penale per il ristoro del danno ambientale poiché portatrice di conseguenze sul piano probatorio e su quello della durata del processo va valutata attentamente dal danneggiato per l’ottenimento del migliore risultato possibile nel minore tempo.
Se il danneggiato promuove il giudizio civile, si separano le res iudicandae come previsto dall’art. 75, co. 2, c.p.p., con la conseguenza che la causa civile di danno prosegue autonomamente anche in pendenza del processo penale sullo stesso fatto costitutivo di reato.
Il giudice civile in questo caso deve valutare incidentalmente la sussistenza dell’illecito senza attendere l’esito del procedimento penale, “atteso che proprio la completa autonomia dei due accertamenti determina l’inefficacia della sentenza penale di assoluzione o di condanna nello stesso giudizio civile21”.
Con la costituzione di parte civile nel processo penale, invece, l’azione civile è ab origine promossa davanti al giudice penale, che verificherà contemporaneamente all’esito del giudizio se ricorrano o meno i presupposti per la condanna risarcitoria e penale.
Di conseguenza, la sentenza di condanna conterrà deciderà sulle statuizioni civili, mentre quella di assoluzione determinerà il rigetto della domanda risarcitoria con le conseguenze stabilite dall’art. 652 c.p.p. in tema di efficacia della sentenza irrevocabile di assoluzione nei procedimenti civili per il risarcimento del danno e le restituzioni.
Se il danneggiato sceglie di adire il giudice civile dopo la costituzione di parte civile o dopo la sentenza di primo grado, ai sensi dell’art. 75, co. 3, c.p.p., il processo civile si sospende fino al passaggio in giudicato della pronunzia penale di condanna, salvo i casi in cui il danneggiato subisce l’opzione processuale dell’imputato senza poter scegliere il rito (come per il patteggiamento, in tal caso non opera la preclusione di cui all’art. 75, co. 3, c.p.p.).
Di recente, la Cassazione ha riaffermato l’autonomia strutturale e funzionale del giudizio civile rispetto a quello penale22.
Il codice di rito penale, fermo il favor per la risarcibilità del danno nella sede propria civile, ha previsto la possibilità della costituzione della parte civile nel procedimento penale per favorire il simultaneus processus, ridurre i tempi processuali e le spese ed evitare conflitti di giudicati.
Non va dimenticato, però, che la parte civile in quanto “parte eventuale” del processo è tradizionalmente considerata un “ospite” e deve soggiacere alle regole probatorie del processo penale.
La parte civile trae vantaggio dal rito penale perché può affidarsi al P.M. per provare l’an debeatur (il reato presupposto del risarcimento) senza sopportare alte spese legali (contributo unificato per cause di valore indeterminato, diritti di cancelleria, spese di notifica, etc.) limitandosi a dimostrare nel processo il quantum debeatur anche ai fini del riconoscimento nella sentenza di condanna di una provvisionale immediatamente esecutiva.
Di contro, soprattutto nei maxiprocessi (come nel Caso Ilva) con molti imputati che richiedono un’ istruttoria dibattimentale complessa, la parte civile dovrà sopportare tempi di giudizio più lunghi della media dei processi civili con il rischio di polverizzazione del patrimonio degli obbligati al risarcimento oltre che della prescrizione del reato.
Il danneggiato dal reato, oltre alle valutazioni di opportunità di cui sopra, deve tenere presente che dalla diversità tra i riti penale e civile discendono i seguenti corollari:
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Nel processo civile è possibile considerare la colpa invece del dolo oppure qualificare differentemente la responsabilità del soggetto agente;
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La persona offesa costituita parte civile può essere escussa come testimone in dibattimento, mentre la medesima non può deporre nel procedimento civile stante il divieto di cui all’art. 246 c.p.c. di assumere come testi le persone che hanno un interesse nella causa da legittimarne la costituzione in giudizio;
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Nel rito civile non vale il principio processual penalistico di inutilizzabilità delle prove assunte in violazione di un espresso divieto neanche per le dichiarazioni autoaccusatorie di persona non indagata (arg. ex art. 63 c.p.p.).
Ciò in quanto la sanzione della “inutilizzabilità probatoria” di cui all’art. 191 c.p.p. è propria soltanto del processo penale e non anche di quello civile cui è ignota;
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Quanto all’accertamento del nesso causale, nel processo penale la colpevolezza dell’imputato deve essere dichiarata “oltre ogni ragionevole dubbio” ai sensi dell’art. 533 c.p.p., mentre in quello civile sarà sufficiente un più lieve grado di certezza sulla sussistenza degli elementi costitutivi dell’illecito secondo la regola del “più probabile che non”;
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Le cause di esclusione della punibilità e le scriminanti, che impediscono l’irrogazione della sanzione penale nei confronti del reo, “non producono effetti preclusivi sulla domanda risarcitoria (come risulta dalla legge Gelli Bianco e dalla legge sulla legittima difesa23”.
Di tutte queste circostanze, “il soggetto danneggiato che liberamente opti per la costituzione di parte civile nel processo penale, al fine di trarre il massimo vantaggio possibile dal sistema probatorio tipico del processo penale, altrettanto liberamente e consapevolmente sceglie di soggiacere alle condizioni ed ai limiti che, in funzione di una tutela necessariamente differenziata, le peculiarità strutturali del processo penale “razionalmente” impongono all’esercizio dell’azione civile in tale sede24”.
Traendo le conclusioni, si ritiene opportuno che l’ente territoriale danneggiato dal reato ambientale valuti attentamente caso per caso se sostenere le proprie ragioni risarcitorie in sede civile o penale.
In particolare occorrerà stimare ex ante se l’istruttoria dibattimentale sarà prevedibilmente lunga (casi mediatici o maxiprocessi) ed in tal caso optare per il rito sommario civile ritenendo l’an dimostrato con gli indici di prova contenuti nel fascicolo d’indagine del P.M.
In casi presumibilmente di più veloce risoluzione giudiziale (esempio: lo sversamento di liquami in un fondo di dimensioni contenute) all’ente pubblico converrà costituirsi parte civile nel processo penale per ottenere un risparmio di spesa e di tempi processuali, coadiuvando l’Accusa per la prova del reato contestato all’imputato.
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La costituzione di parte civile degli enti nel processo “Ambiente Svenduto”.
Nel processo “Ambiente Svenduto”, celebrato dinanzi alla Corte di Assise di Taranto, relativo al “caso ILVA”, è stata esaminata la possibilità, per gli enti esponenziali, di costituirsi parte civile nella precipua qualità di enti territoriali che agiscono in giudizio “per ottenere il ristoro di un danno patito con riferimento all’integrità del territorio, all’equilibrio dell’habitat naturale ma anche globalmente inteso ed alla salute”, principio riportato nell’ordinanza emessa della Corte d’Assise di Taranto in data 04.10.2016.
Nel dettaglio dell’ordinanza testé citata si fa presente che i suddetti enti territoriali, “hanno rappresentato adeguatamente la propria legitimatio ad causam rivendicando iure proprio danni patrimoniali e non derivanti dalla lesione a beni giuridici diversi dal danno ambientale lato sensu, quindi l’integrità del territorio, la propria identità culturale, politica ed economica, oltre che danni diretti alla propria economia”.
La portata “innovativa” di questa ordinanza si inscrive dello scenario assai dibattuto che ha caratterizzato il panorama di dottrina25 e giurisprudenza26 del diritto italiano negli ultimi anni.
Questo frastagliamento giuridico si è riversato, inoltre, nel decreto legislativo n.231 del 2001 il quale, pur non prevedendo espressamente “la parte civile”, tanto da far credere che fosse una scelta consapevole del legislatore di escludere l’ammissibilità della costituzione di parte civile nei confronti di un ente; cristallizza il principio di una vera e propria azione risarcitoria nei confronti della persona fisica autrice del reato.
In questo clima giuridico si sono succedute diverse pronunce, le più significative sono state quella della Suprema corte di Cassazione, Sez. VI, 5 ottobre 2010, n. 2251 e, successivamente, quella della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, Sentenza n. 79 del 12 luglio 2012, che sembravano aver risolto definitivamente la questione, seppur in senso negativo e, cioè, di inammissibilità.
L’inammissibilità di costituzione della parte civile nel processo agli Enti collettivi, secondo i sostenitori di tale tesi, aveva la propria ratio nel fatto che non sarebbe stata configurabile, da un punto di vista sostanziale, una ragione di risarcimento del danno in funzione dell’illecito amministrativo per la quale potesse essere invocata una responsabilità diretta ed autonoma della persona giuridica, con la conseguenza che era possibile esercitare l’azione risarcitoria nell’ambito del procedimento a carico dell’Ente.
Secondo tale visione, oltretutto, se l’Ente non ha tecnicamente “commesso” il reato presupposto, cui si collegano i danni di cui si chiede il ristoro, la costituzione di parte civile non potrebbe essere ammessa in quanto l’art. 185 c.p., richiamato dagli artt. 74 e ss. c.p.p., richiede, per la costituzione di parte civile, la commissione di un reato e non di un illecito “amministrativo” che potrà, eventualmente, fondare una separata azione civile di danno innanzi al giudice civile, senza possibilità di trasferire la relativa azione nel processo penale.
L’importante inversione di tendenza , rispetto alla Giurisprudenza ed alla dottrina sopra richiamate, è stata apportata dalla richiamata ordinanza della Corte d’Assise di Taranto che ha rilevato “la mancanza di richiami alla parte civile all’interno del decreto sulla responsabilità amministrativa degli Enti, prevista dal D.Lgs. n. 231/2001, non equivale ad escludere la possibilità di costituirsi nei confronti dell’ente poiché, all’opposto, denota esclusivamente la mancanza di specificità della disciplina rispetto alla normativa ordinaria dettata dal codice di procedura penale”.
Questo è l’importante principio di diritto desumibile dall’ordinanza citata, che offre una interpretazione differente dalla Giurisprudenza sinora intervenuta, sia in sede di legittimità sia in ambito europeo e rappresenta, nel panorama dell’ordinamento giuridico italiano, e rappresenta il punto di partenza per tutelare in maniera più profonda l’ambiente ed il territorio, attese le ripercussioni sulla salute dei cittadini che vivono il territorio stesso, ma anche ragionando in un ottica globale e mondiale.
E’ sotto gli occhi di tutti che il periodo storico che stiamo attraversando è fortemente caratterizzato da una profonda crisi ambientale mondiale, che sta mettendo a dura prova anche il più semplice approvvigionamento delle risorse essenziali alla vita dell’uomo.
Il diritto, quindi, ha il dovere di assicurare un futuro utile alla tutela dell’ambiente, soprattutto attraverso l’individuazione dei soggetti colpevoli dei reati ambientali e l’attribuzione di inequivocabili responsabilità da cui ne dovranno conseguire le azioni di risarcimento.
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1 Cass. Pen., Sez. IV, 29 giugno 1985, n. 6651;
2 Cass. Pen., Sez. III, 21 luglio 1988, n. 8318;
3 Cass. Pen., Sez. III 09 luglio 2014, , n. 24677;
4 Cass. Pen., Sez. III, 12 gennaio 2012, n. 633;
5 Cass. Pen., Sez.III, 23 maggio 2012, n. 19439;
6 Cass. Pen., Sez. III, 26 settembre 2011, n. 34761;
7 Cass. Pen., Sez. IV, del 15 luglio 2016 n. 39506
8 Cass. Pen., Sez.III, del 24 gennaio 2017, n. 16610, Rv. 269632;
9 Cass. Pen., Sez.II, del 29 gennaio 2016, n.6131, Rv. 266202;
10 Aa. Vv., Manuale Ambiente, Milano, 2017, p. 113 e ss.
11 Cass., sez. III, 12 gennaio 2012, n. 633, S.
12 Cass., sez. III, 22 ottobre 2010, dep. 3 febbraio 2011, n. 3872, in CEDCass. 249152).
13 V. Quaglierini, Le parti diverse dall’imputato e l’offeso dal reato, Milano, 2003, p. 61.
14 Mancuso, La parte civile, il responsabile civile e il civilmente obbligato per la pena pecuniaria, in Tratt. Spangher, II, Torino, 2009, p. 521-522.
15 Ichino, La parte civile nel processo penale. La legittimazione, Milano, 1989, p. 439.
16 V. Quaglierini, Le parti diverse dall’imputato e l’offeso dal reato, cit., p. 60; cfr. C. cost. 30.12.1987, n. 641, in Giur. Cost., 1987, I, 3800.
17 Cass., 4 dicembre 1998, n. 1464, in Dir. Pen. e processo, 1999, p. 1002; per un commento v. Quaglierini, La legittimazione del comune a costituirsi parte civile, in Dir. Pen. e processo, 1999, p. 1003.
18 V. Quaglierini, La legittimazione del comune a costituirsi parte civile, cit., p. 1004; Florit, L’ente territoriale si costituisce nel processo quando persegue uno scopo specifico, in Dir. e giustizia, 2009, 112.
19 Cass., sez. un., 21 aprile 1979, Pelosi e Armellini, in Cass. pen., 1979, p. 1074; Cass., sez. un., 21 aprile 1979, Guglielmini, in Cass. pen., 1979, p. 1084.
20 Per una diffusa trattazione della tematica, v. Aa. Vv., Procedura penale – Teoria e pratica del processo, Milano, 2015, Vol. I, p. 328 e ss.
21 Mancuso, La parte civile, il responsabile civile e il civilmente obbligato per la pena pecuniaria, cit., p. 566 in Aa. Vv., Procedura penale – Teoria e pratica del processo, Milano, 2015, Vol. I, p. 335.
22 Cass. Civ., sez. III, 18 aprile 2019, dep. 12 settembre 2019, n. 22729, con nota a sentenza di F. Valerini, La scelta strategica del danneggiato da reato: costituzione di parte civile o azione civile?, in Diritto e Giustizia – Il quotidiano di informazione giuridica, www.dirittoegiustizia.it, 2019.
23 Cass. Civ., sez. III, 18 aprile 2019, dep. 12 settembre 2019, n. 22729, cit.;
24 Cass. Civ., sez. III, 18 aprile 2019, dep. 12 settembre 2019, n. 22729, cit.
25 Giampietro, Danno all’ambiente e legittimazione al giudizio dello Stato, degli enti territoriali e delle associazioni protezionistiche (art. 18 della Legge n. 349/1986), R.g. amb. 87, 542ss; Morbidelli, Il danno ambientale nell’art. 18 L. 349/1986. Considerazioni introduttive, R. crit. D. priv. 87, 612; Lamanuzzi, Il danno ambientale, Napoli, 2002, 73ss. Nel senso invece di riconoscere una legittimazione iure proprio degli enti territoriali minori, concorrente con quella statale, Francario, Danni ambientali e tutela civile, Napoli, 1990, 222ss.; Libertini, Le nuove frontiere del danno risarcibile, Contr. Imp. 87, 121.
26 C pen. 11-6-2004, n. 38748, R. pen. 05, 1261
DIRITTO AMBIENTALE: CORSO DI ALTA FORMAZIONE E AGGIORNAMENTO.