4 minuti

Taranto. Terrorizza i cittadini di Taranto la notizia dell’apertura di un inedito procedimento per una nuova Autorizzazione ambientale all’Ilva. Dopo gli incontri che il ministro dell’Ambiente Corrado Clini ha voluto, dopo il decreto legge per accelerare la bonifica dell’area di Taranto e dopo che il Governo, nell’accordo del 26 luglio scorso con le istituzioni locali, ha stanziato 336 milioni di euro, di questi, 329 di parte pubblica e circa 7 da privati, ci si aspettava un po’ più di cautela.

Il Ministro Clini parla di Taranto come “un’emergenza nazionale” e contestualmente di “Coesione territoriale”, per questo motivo è stata affidata alla Regione Puglia la cabina di regia e vigilanza.

Al decreto legge arriva subito il consenso della politica e del sindacato. E il presidente dell’Ilva Bruno Ferrante annuncia che: l’azienda ritira il ricorso contro la riapertura dalla procedura Aia deciso da Clini a fronte delle perizie sui danni da inquinamento consegnate al gip di Taranto, Patrizia Todisco. Sulla bonifica, invece, Ferrante non specifica cosa l’Ilva è disposta a fare e quali risorse mobiliterà.

Che ci sia la predisposizioni verso nuove soluzioni lo afferma anche Clini. “Nel caso in cui l’azienda suggerisca dei progetti innovativi per raggiungere obiettivi di qualità che vadano oltre le leggi nazionali, può esserci la possibilità di un contributo di risorse pubbliche nazionali ed europee. Progetti di questo tipo potrebbero essere inseriti anche all’interno dei fondi europei destinati all’innovazione tecnologica”.

Intanto dalle intercettazioni tremano parecchie persone e categorie, sembra emergere che l’Ilva influisse sui media: “Paghiamo tutti i giornali” ma anche sull’attuale ministro dell’ambiente “Clini è uomo nostro”, dice Girolamo Archinà parlando, nel 2010, con un consulente del gruppo Riva, già funzionario del Cnr. Ovviamente, subito è arrivata la risposta di Clini che ha negato di conoscere il manager dell’Ilva Girolamo Archinà.

E mentre i cittadini continuano a protestare, la questura di Taranto ha identificato e denunciato 41 persone, del gruppo di contestatori che il 2 agosto scorso in Piazza della Vittoria interruppe il comizio e la manifestazione dei sindacati confederali, organizzata con i lavoratori dell’Ilva. Molti, ironicamente, si chiedono se veramente la legge sia uguale per tutti non capita spesso, infatti, che attraverso un decreto legge si agevoli una società privata. Ma una nota non poco incidente può dare una risposta: nel solo 2011 l’Ilva ha versato stipendi netti ai propri dipendenti dello stabilimento di Taranto per oltre 340 milioni di euro. Conteggiando anche Tfr e oneri sociali l’azienda ha versato lo scorso anno più di mezzo miliardo. Si stima che il peso di Ilva sul Pil regionale sia del 10%. Sembra un caso ma non lo è di pura dottrina dove il diritto alla salute sia compresso dal diritto al lavoro? Disperazione e norme, legittime o meno, si arroccano dietro il dilemma: inquinamento uguale lavoro, senza considerare l’alternativa, oggi tecnologicamente possibile, lavorare senza inquinare.

Intanto, l’Ilva preme psicologicamente su tutte le istituzioni coinvolte e in attesa (in settimana) del riesame dell’ordinanza di sequestro, mette le mani avanti dichiarando che: “in caso di conferma del sequestro, sarà conseguenziale la chiusura dei tre stabilimenti italiani e il loro trasferimento in altre nazioni”. Sarebbe come dire o il lavoro o la vita.


Un commento su “Il caso Ilva di Taranto.

Lascia un commento