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I RECENTI ORIENTAMENTI DEL CONSIGLIO DI STATO SULLA RESPONSABILITÀ PER LA BONIFICA SITI INQUINATI.

 

Federigo Barbensi

Abstract. L’Autore passa in rassegna le sentenze più rilevanti del Consiglio di Stato del 2021 che trattano la materia della responsabilità per la bonifica di siti inquinati, con particolare riguardo alla successione nel tempo di proprietari o soggetti giuridici diversi dall’originario “inquinatore”, e mettendo in risalto come talvolta la pronuncia dell’Adun. Plenaria del 2019 non abbia ricevuto uniformi e convincenti applicazioni a fattispecie che mostrano problematiche oggettive e profili assai complessi.

Sommario: I) Introduzione; II) L’analisi della recenti orientamenti giurisprudenziali; III) L’Adunanza Plenaria del 2019….; IV) ….e le sentenze successive; V) Conclusioni.

I.

La responsabilità per la bonifica di siti inquinati ancora appassiona studiosi, funzionari pubblici e operatori del settore, come testimoniano le numerose sentenze pubblicate negli ultimi 18 mesi.

Il tema dell’onere di bonifica di un’area contaminata è stato a lungo ed è tuttora dibattuto in giurisprudenza. Solo per ricordare recenti vicende, a fronte di un orientamento iniziale prevalente secondo il quale il proprietario non responsabile dell’abbandono di rifiuti non aveva obbligo alcuno, vi fu un orientamento minoritario di segno opposto, sostenuto soprattutto dal T.A.R. Lazio che, nella sostanza, poneva sullo stesso piano l’autore dell’ inquinamento o contaminazione e il proprietario non responsabile. Con l’ordinanza n. 21/2013 l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato rimise la questione alla Corte di Giustizia UE, Terza Sezione, la quale, con la sentenza 4 marzo 2015 causa C-534/13, confermò la correttezza dell’orientamento prevalente, ossia nessun obbligo di bonifica per il proprietario affatto responsabile dell’abbandono dei rifiuti1. La Corte UE precisava peraltro a conferma dell’imprescindibilità del nesso di causalità tra attività e inquinamento, la rilevanza in particolare dell’art. 8, par. 3, della Direttiva 2004/35/CE, dove si legge che “l’operatore non è tenuto a sostenere i costi di riparazione adottati qualora dimostri che i danni in questione sono opera di un terzo, e si sono verificati nonostante l’esistenza di idonee misure di sicurezza, o sono conseguenza di un ordine o di un’istruzione impartiti da un’autorità pubblica”. Quattro anni dopo, sempre con riguardo alla responsabilità in materia di prevenzione e riparazione del danno ambientale, la Corte di Giustizia U.E., 13 luglio 2017, C 129/16 ha statuito che il diritto comunitario non osta a una normativa nazionale “che identifica, oltre agli utilizzatori dei fondi su cui è stato generato l’inquinamento illecito, un’altra categoria di persone solidamente responsabili di un tale danno ambientale, ossia i proprietari di detti fondi, senza che occorra accertare l’esistenza di un nesso di causalità tra la condotta dei proprietari e il danno constatato, a condizione che tale normativa sia conforme ai principi generali di diritto dell’Unione, nonché ad ogni disposizione pertinente dei Trattati UE e FUE e degli atti di diritto derivato dell’Unione. Quindi sembra conseguirne il principio secondo cui chi inquina paga, e chi non inquina non paga, ma -precisa la Corte – il soggetto non inquinatore è tenuto a dimostrare che i danni sono opera di un soggetto estraneo e si sono verificati nonostante l’osservanza di misure di sicurezza dell’ambiente.

II.

Concentrandosi sull’anno 2021, in questi mesi da parte di varie Sezioni del Consiglio di Stato2 sono state pubblicate alcune sentenze che ancora tornano, non senza discrasie quanto meno apparenti, sulla questione della corretta individuazione del soggetto che, a distanza di molto tempo dalla contaminazione, è tenuto a bonificare un sito inquinato, quando lo stesso non sia anche il soggetto responsabile materiale dell’inquinamento, spesso risalente nel tempo. Ciò avviene a poca distanza temporale dalla pronuncia n. 10/2019 dell’Adunanza Plenaria che sembrava aver chiarito definitivamente il contrasto giurisprudenziale emerso sul punto tra Sezioni semplici, ma che risulta tutt’altro che risolto come subito vedremo.

Sinteticamente, diciamo che la Quarta Sezione ha pubblicato due interessanti sentenze a distanza di pochi mesi: con la sentenza n. 172/21 essa rigetta il ricorso di una società privata confermando l’obbligo di bonifica disposto dalla pubblica amministrazione. Sempre la Quarta Sezione con la sentenza n. 3575/21 accoglie invece il ricorso di una società privata annullando i provvedimenti della pubblica amministrazione.

La Seconda Sezione con sentenza n. 3511/21 rigetta il ricorso di una società privata confermando l’obbligo di bonifica disposto della pubblica amministrazione. Sempre la Seconda Sezione con sentenza n. 3535/21 conferma la correttezza dell’operato della P.A. che aveva indicato la società ricorrente come obbligata a bonificare. Invece, sempre la Seconda Sezione con sentenza n. 4139/21 accoglie il ricorso di una società privata annullando i provvedimenti della pubblica amministrazione.

Come subito si vede, il panorama è degno di attenzione e di maggiore analisi. Le macro-questioni nodali che, da un’analitica lettura di queste pronunce, non appaiono pienamente sciolte sono sostanzialmente due:

a) la questione formale e sostanziale del valore <nomofilattico> delle pronunce dell’Adunanza Plenaria, ai sensi dell’art. 99 c.p.a.;

b) la questione sostanziale della norma applicabile agli inquinamenti risalenti nel tempo quando alla gestione di una medesima area si alternano o si succedono più proprietà o società detentrici;

c) la compatibilità tra orientamento eurocomunitario e giurisprudenza nazionale.

All’interno della macro-questione sub b), si articolano altre problematiche, in particolare b1) la necessità o meno – ai fini della legittimità dell’atto impugnato – di individuare i singoli apporti causali inquinanti dei vari soggetti subentrati o succeduti all’iniziale soggetto inquinatore, nonché b2) la necessità o meno di determinare l’elemento soggettivo dell’illecito in capo al subentrato.

III.

Partiamo allora da quanto ha affermato la Adunanza Plenaria n. 10/2019. Il principio di diritto consacrato nella pronuncia è il seguente: La bonifica del sito inquinato può essere ordinata anche a carico di una società non responsabile dell’inquinamento, ma che sia ad essa subentrata per effetto di fusione per incorporazione, nel regime previgente alla riforma del diritto societario, e per condotte antecedenti a quando la bonifica è stata introdotta nell’ordinamento giuridico, i cui effetti dannosi permangano al momento dell’adozione del provvedimento”). La Plenaria era giunta a tale conclusione in una fattispecie, deferita dalla Quarta Sezione, riguardante il giudizio di impugnazione promosso da una impresa – quale ultima subentrata nella proprietà di un’area industriale – contro l’ordine impartito dalla Provincia di Asti di bonificare la porzione dello stabilimento industriale nel quale, diversi decenni prima, venivano prodotti manufatti tecnici per automobili e treni, e in relazione al quale è stato accertato l’inquinamento del suolo. La responsabilità era in particolare imputata alla società appellante quale acquirente dello stabilimento e successore delle società autrici materiali dell’inquinamento, l’ultima delle quali era stata incorporata dalla ricorrente nel luglio 1991. In primo grado il TAR Piemonte n. 674/2016 aveva rigettato il ricorso. La Quarta Sezione ha rimesso alla Plenaria, alla luce del contrasto giurisprudenziale tra Sezioni semplici, la questione di diritto se possa essere destinataria di un ordine di bonifica di un sito inquinato, emesso ai sensi dell’art. 244 del c.d. codice dell’ambiente (D.Lgs. 152/2006) una società non responsabile materiale di un inquinamento (di data antecedente rispetto a quando la bonifica dei siti inquinati è stata prevista come obbligo dalla legge), ma subentrata a quella effettivamente responsabile per effetto di fusione per incorporazione, nel regime antecedente alla riforma del diritto societario.

Le questioni su cui la riflessione della Plenaria si è concentrata sono state tre:

  1. innanzitutto, la questione se la condotta di inquinamento ambientale commessa prima che nell’ordinamento giuridico fosse introdotta la bonifica dei siti inquinati sia qualificabile come illecito, fonte di responsabilità civile per il suo autore, e in quale fattispecie normativa di quest’ultimo istituto il fatto possa essere inquadrato. A tale quesito la Plenaria ha dato agilmente risposta positiva richiamando la ampia e consolidata giurisprudenza, nonché l’elaborazione dottrinale di gran lunga maggioritaria, sui principi generali in tema di illecito ambientale e danno ambientale. Il danno all’ambiente è inquadrabile nella fattispecie generale di illecito civile ex art. 2043 cod. civ. e la sua natura di illecito permanente consente di ritenere il relativo responsabile soggetto agli obblighi, risarcitori ed in primis di reintegrazione o ripristino dello stato dei luoghi, da esso derivanti. In altri termini, allorché la situazione di danno all’ambiente si protragga in un arco di tempo in cui, per effetto della successione di norme di legge, al rimedio risarcitorio si aggiunga quello della bonifica, nessun ostacolo di ordine giuridico è ravvisabile ad applicare quest’ultima ad un soggetto che, pur non avendo posto in essere la condotta che è stata fonte del danno, sia nondimeno subentrato al primo;

  2. in caso di risposta positiva al primo punto, vi è la questione di quali siano i rapporti tra la figura di illecito così individuato e la bonifica, e pertanto se, incontestata la discontinuità normativa tra i due istituti, sia nondimeno possibile ordinare la bonifica per fatti risalenti ad epoca antecedente alla sua introduzione a livello legislativo. Sul punto la Plenaria ha sposato la tesi della Sezione remittente condividendo la chiave di lettura di tali rapporti, incentrata sulla comune funzione «ripristinatoria – reintegratoria», della responsabilità civile e della bonifica, tale da consentire alla P.A. di ordinare quest’ultima nei casi di inquinamento risalenti ad epoca antecedente alla sua introduzione nell’ordinamento giuridico.

  3. infine, ammessa l’ipotesi positiva per il secondo punto, vi è la questione se gli obblighi e le responsabilità conseguenti alla commissione dell’illecito siano trasmissibili per effetto di operazioni societarie straordinarie quale la fusione, secondo la legislazione civilistica vigente a quell’epoca vigente. Al quesito posto viene data risposta positiva proprio sulla base del tenore letterale del richiamato art. 2504-bis, comma 1, cod. civ., che include espressamente nella vicenda traslativa in questione «gli obblighi delle società estinte», ovvero di quelle incorporate. Analoga formulazione pone la medesima disposizione dopo la riforma del diritto societario, con la sola differenza che in luogo delle società estinte si fa riferimento alle «società partecipanti alla fusione» e al fatto che in tutti i rapporti giuridici di queste ultime, anche quelli processuali, vi è una “prosecuzione” dell’incorporante. Anche guardando al diritto societario previgente, negli obblighi dell’incorporata di cui l’incorporante diviene l’unico obbligato a seguito di fusione rientrano anche quelli derivanti da responsabilità civile come indicato dalla Cassazione (Sezione III, 11 novembre 2015, n. 22998, in un caso di responsabilità da cose in custodia ex art. 2051 cod. civ.). Sul piano dogmatico la conclusione è avvalorata dal fatto che “responsabilità civile” è espressione che designa l’insieme delle conseguenze cui un soggetto deve sottostare per legge in conseguenza di un fatto illecito da lui commesso, che nel caso dell’illecito civile consistono nell’«obbligo …di risarcire il danno» o nell’alternativa della «reintegrazione in forma specifica», anch’essa pertanto oggetto di obbligo, rispettivamente ai sensi degli artt. 2043 e 2058 del codice civile, oltre che della più generale norma contenuta nell’art. 1173 cod. civ., che pone il fatto illecito tra le fonti di obbligazione.

Per la questione sub a), la interessantissima pronuncia della Ad. Plenaria, così riassunta per sommi capi, va purtroppo dato atto che, nell’ordinamento vigente, aspetti di insufficiente efficacia vincolante presenta la pur esistente subordinazione delle Sezioni semplici al precedente consacrato in una sentenza dell’Adunanza Plenaria. Appare conveniente – per un agile e sintetica analisi del problema – rimandare sul punto alla esauriente enunciazione contenuta nella sentenza Ad. Plen. 23 febbraio 2018 n. 2/18, secondo cui l’enunciazione da parte dell’Adunanza Plenaria di un principio di diritto ai sensi dell’articolo 99, comma 4 del c.p.a. non determina nei confronti della Sezione remittente un vincolo di giudicato (a ciò non ostando la motivata valutazione di rilevanza doverosamente operata dalla Sezione remittente ai sensi del comma 1 del medesimo articolo 99). Ed infatti, l’enunciazione da parte dell’Adunanza plenaria di un principio di diritto nell’esercizio della propria funzione nomofilattica non integra l’applicazione alla vicenda per cui è causa della regula iuris enunciata, e non assume quindi i connotati tipicamente decisori che caratterizzano le decisioni idonee a “far stato” fra le parti con l’autorità della cosa giudicata, con gli effetti di cui all’articolo 2909 cod. civ. e di cui all’articolo 395, n. 5) c.p.c. Il vincolo del giudicato può pertanto formarsi unicamente sui capi delle sentenze dell’Adunanza plenaria che definiscono – anche parzialmente – una controversia, mentre tale vincolo non può dirsi sussistente a fronte della sola enunciazione di princìpi di diritto, la quale richiede – al contrario – un’ulteriore attività di contestualizzazione in relazione alle peculiarità della vicenda di causa, che non può non essere demandata alla Sezione remittente.

Quanto alla questione sub b), le sentenze pubblicate nel 2021 dalle Sezioni semplici fanno intuire che sulla problematica della corretta individuazione del soggetto tenuto a bonificare un sito inquinato, quando questo non sia anche il responsabile materiale dell’inquinamento ma solo subentrato al primo, ancora molto inchiostro dovrà e potrà essere scritto. Passiamo perciò ora in rassegna tali recenti pronunce, per appurare se e/o in che misura il principio di diritto assunto dalla Plenaria n. 10/2019 è stato recepito in concreto, partendo proprio dalla pronunce della Quarta Sezione, quella che aveva rimesso alla Plenaria la questione giuridica.

IV.

Le sentenze che qui analizziamo sono due: la n. 172 e la n. 3575.

Con la sentenza n. 172/21 la Quarta Sezione ha affrontato una fattispecie che riguardava un ordine di bonifica impartito congiuntamente da una Provincia e un Comune piemontesi, che imponevano ad una nota società l’onere di bonificare un’area inquinata vari decenni addietro: il TAR in primo grado aveva respinto le argomentazioni della impresa ricorrente. In sede di appello, a fronte dell’eccezione secondo cui fino al D.Lgs. 22/1997 nessuna norma vietava l’abbandono di rifiuti in area privata (ma solo in aree pubbliche), il Consiglio di Stato ha richiamato i principi espressi dalla Plenaria n. 10/2019, e ha ricordato che ogni lesione del bene ambiente costituisce un illecito permanente; ragion per cui non si ha applicazione retroattiva di norme successive, ma solo l’applicazione di norme vigenti nel momento dell’adozione dell’atto, le quali regolano situazioni permanenti storicizzate. sicché la Sezione ha respinto il motivo principale di appello. Nell’occasione, i Giudici di Palazzo Spada si sono peraltro pronunciati anche su un motivo accessorio, ossia sulla presunta illegittimità della tesi della piena responsabilità solidale tra soggetti subentranti e subentrati, respingendo di contro la tesi della obbligatoria individuazione di singole responsabilità parziali della società individuata come soggetto inquinatore principale. Ciò seppure in applicazione del principio generale eurocomunitario <chi inquina paga>, che presuppone un previo accertamento dei singoli responsabili di abbandoni di rifiuti e degli inquinamenti stratificatisi nel tempo; quando tuttavia non è tecnicamente possibile distinguere per quantità e/o per qualità quali sono state le singole contaminazioni, come norma di chiusura deve necessariamente prevalere il vincolo di solidarietà tra più soggetti responsabili. La sentenza qui esprime un ragionamento ineccepibile e di buon senso: poiché la bonifica di un’area è un’attività necessariamente unitaria, non frazionabile, quando non sia tecnicamente possibile distinguere con certezza gli apporti inquinanti di ciascun soggetto, non è corretto per la P.A. ordinare singolarmente distinte azioni di bonifica di singoli strati o singoli lotti che non rientrino in un progetto unico e unitario, fatta salva l’azione di rivalsa economica del soggetto che si assume la anticipazione dei lavori e dei relativi costi. Concludendo, la sentenza n. 172 si fa apprezzare per avere risolto le varie questioni sottoposte con chiarezza e coerenza complessive, nel rispetto dei principi della Plenaria n. 10/2019.

Minore apprezzamento complessivo viene rivolto al ragionamento che ha condotto sempre la Quarta Sezione con la successiva sentenza n. 3575/21 ad accogliere l’appello promosso da due società per ottenere la riforma della sentenza TAR Toscana n. 641/2017. La pronuncia della Sezione, riunendo due distinti ricorsi, da un lato – sotto il profilo formale – riafferma che l’autorità competente a individuare il soggetto responsabile dell’inquinamento è la provincia territorialmente competente, dall’altro – sotto il profilo del merito – censura il provvedimento impugnato nella parte in cui non ha distinto o indicato il riparto delle responsabilità individuali delle varie società e imprese parastatali che si sono alternate nei decenni nella gestione industriale dell’area “non avendo l’Amministrazione regionale decidente approfondito la consistenza del contributo causale di ciascuna società rispetto all’effettiva produzione del danno ambientale”, cosicché l’atto va annullato perché “l’accertamento delle responsabilità ha rilevanza e efficacia ai fini dell’azione di rivalsa”. Già questo passaggio evidenzia che la sentenza n. 3575 si pone in una prospettiva ermeneutica diametralmente opposta a quella statuita dalla stessa Sezione (seppur con diversa composizione collegiale e diverso giudice estensore) nella menzionata sentenza n. 172. Neppure leggendo con particolare attenzione la fattispecie fattuale da cui è scaturita la motivazione si traggono sufficienti spunti per comprendere come possa approdarsi a soluzioni così diverse in presenza di presupposti fattuali del tutto analoghi rispetto alla sentenza n. 172, che pur viene richiamata ma per farne discendere una conclusione assai dissimile in concreto: detto altrimenti, mentre la sentenza n. 172 stabiliva che – a distanza di vari decenni – è tecnicamente problematico distinguere singoli apporti causali all’inquinamento riscontrato e che, peraltro, la bonifica di un’area è un’attività che necessita di un progetto unitario, nella sentenza in commento viceversa si afferma che, se è corretto applicare il principio di diritto stabilito dalla Plenaria n. 10/2019, tuttavia la P.A. ha attribuito la responsabilità al soggetto successore “senza tuttavia distinguere, sotto il profilo temporale o delle quantità delle produzioni effettuate nel periodo di riferimento, l’eventuale diverso apporto causale tra i soggetti che hanno gestito il sito”. Pare di poter dire che dalla P.A. qui viene preteso un elemento da un lato del tutto ignoto (le quantità di materiale contaminante depositate in un’area in un arco di tempo, che sono conosciute solo dalle industrie che le hanno prodotte, e chiaramente non vengono “pubblicizzate”), dall’altro un elemento non rilevante ai fini della individuazione dell’obbligato che può essere l’ultimo successore anche se non sia l’autore materiale dell’inquinamento (si tratta di illecito permanente e dunque si sanziona chi detiene l’area nel momento dell’adozione dell’atto), dall’altro infine un elemento non apprezzabile per la tutela del bene ambiente nell’interesse collettivo dato che la bonifica di un sito è un onere legato ad una responsabilità che, secondo i dettami della Plenaria, resta sostanzialmente di tipo solidale ed è attività unitaria legata a un progetto unico, non segmentale a seconda della quantità o delle fasi temporali di sversamento. Resta pertanto il sapore amaro di una pronuncia non chiara, che difficilmente fungerà da guida in futuro per gli enti competenti, né potrà costituire efficace precedente, dato che essa stabilisce il contrario di quanto affermato nella sentenza n. 172.

Passiamo a questo punto a esaminare le pronunce della Seconda Sezione, e con ciò entriamo ad analizzare il punto c), ossia la compatibilità tra giurisprudenza comunitaria e giurisprudenza nazionale..

Con la sentenza n. 3511/21 i Giudici di palazzo Spada rigettano l’appello di una società privata che eccepiva di essere mero successore per incorporazione del soggetto autore dell’inquinamento. È agevole per la Sezione, nell’ argomentare il rigetto dell’appello, affermare che la quaestio juris è del tutto sovrapponibile a quella oggetto della disamina della Plenaria, e dunque concludere per la correttezza dell’individuazione del soggetto obbligato così come individuato dalla P.A.

Con la sentenza n. 3535/21 di nuovo la Sezione conferma che la successione dell’incorporante negli obblighi della incorporata è informata al brocardo generale cuius commoda eius et incommoda, per cui alla successione di soggetti sul piano giuridico-formale si contrappone sul piano economico-sostanziale una continuazione dell’impresa e dell’organizzazione aziendale, con relativa assunzione delle passività e degli oneri. Non occorre perciò – ai fini della responsabilità di cui all’art. 244 D.Lgs. 152/2006 – distinguere tra attività posta in essere dal soggetto inquinatore materiale e attività posta in essere dal soggetto ultimo proprietario / detentore dell’area da bonificare. La Seconda Sezione, richiamando esplicitamente l’excursus argomentativo della Plenaria n. 10/2019, ritiene che debba accogliersi l’appello del Comune di Brindisi, contro il quale era stato accolto in primo grado dal TAR Puglia un ricorso di una società subentrata al soggetto autore materiale dell’inquinamento. Attraverso la rigorosa ricostruzione dei passaggi societari attraverso i quali un’area industriale era passata in gestione a più persone giuridiche, il Consiglio di Stato riafferma il principio secondo cui nella definizione di soggetto responsabile viene fatto rientrare anche il subentrante a titolo universale, poiché gli obblighi e le responsabilità conseguenti a un fatto illecito sono trasmissibili per effetto di operazioni societarie quali la fusione e l’incorporazione.

Invece con la sentenza n. 4139/21 la medesima Seconda Sezione, seppur in diversa composizione collegiale, accoglie l’appello di un’impresa parastatale e riforma la sentenza di primo grado del TAR Toscana che aveva respinto il ricorso originario. La vicenda riguardava la contaminazione all’esito della coltivazione di un sito minerario in cui era stata trovata una contaminazione del suolo ben superiore alla soglia indicata dalla normativa di settore. Pur richiamandosi formalmente il principio di diritto espresso dalla Plenaria n. 10/2019, esso di fatto viene eluso sostanzialmente; valga per tutti il passaggio della sentenza in cui la Sezione va a affermare “i provvedimenti impugnati tacciono del tutto sul titolo della responsabilità del concessionari “e, a giudizio della Sezione, persino le difese delle amministrazioni pubbliche “trascurano la questione dell’elemento soggettivo dell’illecito”. In sostanza la Sezione qui non pare allineata al principio espresso dalla menzionata sentenza della Corte UE del 2013, secondo cui : in effetti, non chiarendo a sufficienza l’obiter dictum che viene speditamente esposto, la Sezione ritiene che per la legittimità dell’ordine di bonifica sia indispensabile evidenziare qual è l’elemento soggettivo dell’illecito. Questa appare una tesi parzialmente innovativa se confrontata con il chiaro disposto dell’art. 2043 c.c., secondo il quale è indifferente la commissione di “qualunque fatto doloso o colposo..”, (v. in termini anche Consiglio di Stato Ad. Plen., ord. n. 21/2013), tesi secondo la quale la responsabilità per danno ambientale permanente si atteggerebbe diversamente a seconda dell’elemento soggettivo, il dolo e/o la colpa, del soggetto autore dell’inquinamento, tesi che così come sbrigativamente posta non risulta intelligibile e lascia perplessità in chi legge, mentre avrebbe meritato una motivazione puntuale.

A livello più generale, peraltro, come annotano diversi Autori 3 ,per le contravvenzioni l’art. 42 comma 4 c.p. dispone che ciascuno risponda della propria azione od omissione cosciente e volontaria, sia essa dolosa che colposa. Di conseguenza, dolo e colpa risultano criteri di imputazione alternativi, nel senso che la colpa è anch’essa normale criterio di addebito soggettivo, in quanto la punibilità a titolo di colpa di una contravvenzione non richiede alcuna previsione legislativa ad hoc. In campo amministrativo punitivo, la norma generale che disciplina l’elemento psicologico dell’illecito amministrativo è l’art. 3, 1° comma della legge 24 novembre 1981, n. 689. Tale disposizione prevede che ciascuno risponda della propria azione cosciente e volontaria, sia essa dolosa o colposa. Come si vede, tale norma ricalca l’art. 42, 4° comma c.p. in materia di elemento soggettivo delle contravvenzioni ed estende i principi del sistema penale al diritto amministrativo punitivo. Solo per i delitti il dolo è il normale criterio di imputazione soggettiva, per le contravvenzioni e gli illeciti amministrativi è indifferente la presenza dell’una o dell’altra specie di imputazione soggettiva dell’illecito. Al riguardo il Consiglio di Stato, Sez. VI, 19 gennaio 2017, n. 1261, con riferimento alla responsabilità del proprietario dell’area estraneo all’inquinamento, ha affermato che “al di là dell’evoluzione subita dal sistema di responsabilità civile in direzione del progressivo abbandono dei criteri di imputazione fondati sulla sola colpa, poiché nel sistema di responsabilità civile rimane centrale, pure nei casi che prescindono dall’elemento soggettivo, la necessità di accertare comunque il rapporto di causalità tra la condotta e il danno, non potendo rispondere a titolo di illecito civile colui al quale non sia imputabile l’evento lesivo neppure sotto il profilo oggettivo”. Ma l’Adunanza Plenaria n. 3/2021, trattando della questione della possibilità di ordinare alla curatela fallimentare la bonifica di un’area di proprietà del soggetto fallito, superando un automatismo spesso applicato in maniera tralatizia dalla giurisprudenza, ha chiarito che il principio “chi inquina paga” (il quale, per la verità, esprime un “concetto persino banale”, come ha evidenziato TAR Marche, n. 207 del 12/03/2021) non equivale ad escludere sempre e comunque la legittimazione passiva rispetto agli obblighi di ripristino, bonifica, di siti inquinati dei soggetti che in qualche modo “succedono” all’autore dell’inquinamento, ed in particolare, per quanto di interesse, anche della curatela fallimentare Questo è possibile in quanto il danno ambientale risarcibile ha natura di danno permanente. La condotta quindi continua a protrarsi anche quando l’attività che ha causato il danno sia cessata. Il cessare della condotta inquinante non coincide dunque con la rimozione delle conseguenze dannose.

La medesima dottrina qui menzionata aggiunge che “a partire dal D.Lgs. n. 152/2006 (il c.d. Codice dell’ambiente), i due sistemi legislativi (Parte IV e Parte VI) appaiono “uniformati” dal legislatore, in quanto la disciplina della responsabilità per danno all’ambiente (in attuazione della cit. direttiva 2004/35/CE) esclude la commisurazione del quantum alla colpa ed al profitto, comparandola all’equivalente patrimoniale del pregiudizio ambientale ed include anche misure contro il pericolo (prevenzione del danno)”. Detto altrimenti, nella vigente normativa ambientale, essendo ormai abrogato l’art. 18 L.349/86 (ad eccezione del comma 5, che qui non rileva), emerge una sostanziale indifferenza, ai fini della potenziale imputazione “soggettiva”, della commissione di un illecito con dolo oppure con colpa nella maggior parte dei procedimenti amministrativi previsti dal codice dell’ambiente, dato che è pacificamente4 riconosciuto che la distinzione è “ rilevante ai soli fini della commisurazione della pena che il giudice penale irroga in concreto” . Di sicuro non vi è una così rilevante distinzione nella configurazione dell’illecito civilistico. Probabilmente, viene da dubitare che in questa sentenza siano stati sovrapposti due temi o aspetti tra loro autonomi, il tema della responsabilità della contaminazione rilevante ai fini dell’obbligo di bonifica e il tema della responsabilità per abbandono di rifiuti: solo nel secondo può senz’altro rilevare “la questione dell’elemento soggettivo dell’illecito” di cui parla la Sezione, ma il proprietario è tenuto a dimostrare che gli inquinamenti sono “opera di un terzo, e si sono verificati nonostante l’esistenza di idonee misure di sicurezza”. Qui invece il Consiglio di Stato ha invertito l’onere probatorio sulla P.A. 5.

V.

A conclusione di queste brevi riflessioni, si può solo auspicare che nelle prossime sentenze:

– venga consolidata una maggiore uniformità delle Sezioni semplici nell’applicare il principio di diritto espresso dalla Adunanza Plenaria 10/19 in tutti i casi, nessuno escluso, di successione e subentro di altri soggetti giuridici all’autore materiale dell’inquinamento;

-venga eliminato il riferimento alla necessità da parte della P.A. di distinguere l’apporto causale individuale dei vari soggetti subentrati o succeduti, ai fini del riparto interno di responsabilità, elemento spesso ignoto e che non rileva ai fini della tutela del bene ambiente;

-venga chiarito se e quale rilevanza abbia l’elemento soggettivo dell’illecito, e quale debba essere il corretto approccio del funzionario pubblico al tema, al fine di garantire la correttezza dei provvedimenti sia con riguardo all’orientamento comunitario, sia con riguardo alla giurisprudenza nazionale;

C’è al momento da constatare la disomogeneità dell’orientamento giurisprudenziale più recente, molto calato su lievi distinzioni misurate sul “caso per caso”, un orientamento che purtroppo non è stato unificato dalla pronuncia della Adunanza Plenaria, per cui ancora negli anni a venire si assisterà a una perdurante prassi applicativa da parte delle amministrazioni competenti tutt’altro univoca.

___________

1 Si veda l’interessante commento alla giurisprudenza della Corte UE in A. Scialò, “Gli attesi chiarimenti della Corte di giustizia europea sui presupposti della responsabilità ambientale: il proprietario di un sito contaminato «paga» solo se ha contribuito con la sua attività all’inquinamento”, in osservatorio-agromafie, 2015; P. Bertolini, “Il principio di proporzionalità e l’accertamento del nesso di causalità nei procedimenti relativi alla bonifica di siti inquinati”, in Riv. giur. Amb., 2013; P. Fimiani, “La recente giurisprudenza amministrativa in materia di bonifiche”, in www.rivistarifiuti.it .

2 Tutte le sentenze citate sono reperibili sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa.

3 A. Franchina, “Riflessioni sull’elemento soggettivo nel delitto di inquinamento ambientale, Riv. CamminoDiritto, 2020; L. Facondini, “L’Adunanza Plenaria si pronuncia sulla possibilità di ordinare la bonifica del sito inquinato a carico di società non responsabile”, Diritto.it, 2019; P. Fimiani, op. ult. cit.; S. Pallotta, “Conformazione e accertamento dell’elemento soggettivo negli illeciti relativi ai formulari di trasporto”, Diritto Ambiente, 2007; F. Giampietro, “Pericolo e danno all’Ambiente, la tutela amministrativa – civile – penale” Convegno a Rodi Garganico, 2012; id. “Bonifica e danno ambientale: due discipline a confronto”, Amb. e Sviluppo, 2012; D. Siclari, “La bonifica dei siti inquinati tra tutela dell’ambiente e giustiziabilità delle pretese”, 2017; Peres, “Procedimenti di bonifica e di riparazione del danno ambientale”, in Guida all’Ambiente – Analisi e commento del d.lgs. n. 152/2006, in Ambiente&Sicurezza, 2017,

4 C. Ruga Riva, “Dolo e colpa nei reati ambientali“, 2014.

5 La bibliografia sull’argomento è comunque vastissima. Vedasi ex multis, L. Aristei, La disciplina del danno ambientale nel d.lgs. n.152 del 2006. Criticità e spunti di riflessione”, Amministrazione in Cammino, 2020; M. Benozzo, “La disciplina del danno ambientale. Commento alla Parte Sesta,” in Germanò-Basile-Bruno-Benozzo, Commento al Codice dell’ambiente, Giappichelli, 2013; U. Salanitro, “Il risarcimento del danno all’ambiente: un confronto tra vecchia e nuova disciplina”, in Riv. giur. Ambiente, 2008; G. Rossi (a cura di), “Diritto dell’ambiente”, Torino, Giappichelli, 2015 ; M. Pernice, “Bonifica e danno ambientale: l’utilizzo dei moduli negoziali”, in Ambiente e sicurezza, 2011, 56 ss