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I RECENTI ARRESTI GIURISPRUDENZIALI SULLA VICENDA DEI BIODIGESTORI

TRA LACUNE ORDINAMENTALI E ASSERITE VIOLAZIONI DELLA VAS.

 

Damiano Carmelo Paternò

Abstract: la vicenda dei biodigestori è al centro di un animato dibattito. Ad un certo ineliminabile scetticismo manifestato da comunità ed Enti locali circa i potenziali benefici socio-ambientali connessi ai processi di digestione anaerobica dei rifiuti, si contrappone l’importanza strategica di tali infrastutture, per la cui realizzazione sono anche stati stanziati cospicui finanziamenti del PNRR. La giurisprudenza amministrativa è stata chiamata, tra l’altro, a sopperire al vulnus normativo in tema di localizzazione degli impianti in questione, nonché alle criticità emerse in sede di effettuazione delle VAS. Non mancano, infine, doglianze sul tema della carenza di potere in capo agli organi che dispongono la localizzazione di un biodigestore, come di recente accaduto nel caso paradigmatico di un Commissario straordinario chiamato, in via eccezionale, ad esercitare le competenze regionali in tema di gestione dei rifiuti.

Principali fonti normative: D.lgs. 3 aprile 2006, n. 152.

Principale appendice giurisprudenziale: Consiglio di Stato, Sez. IV, sent. n. 1072 del 31 gennaio 2023 (pubblicata il 7 marzo 2023); Tar del Lazio, Sez. V, 5 luglio 2023 n. 12163, (pubblicata il 19/07/2023).

Biodigestori; localizzazione; pianificazione rifiuti; investimenti PNRR; VAS e PAUR.

 

Introduzione

Negli ultimi anni, l’avvertita necessità di avviare un’economia davvero circolare ha portato alla proliferazione dei biodigestori, espressamente qualificati dal legislatore come «infrastrutture e insediamenti strategici di preminente interesse nazionale ai fini della tutela della salute e dell’ambiente» (art. 35, comma 1 del d.l. 133/2014, conv. con modif. dalla l. 164/2014).

La loro implementazione, sempre più spesso contemplata tra i macro-obiettivi definiti dal Ministero dell’ambiente in sede di Programma nazionale per la gestione dei rifiuti di cui all’art. 198-bis del d.lgs. n. 152/2006 (T.U. in materia ambientale), risponde anche ad una strategia di tendenziale autosufficienza energetica regionale. Ciò in quanto il processo di digestione anaerobica avente luogo all’interno di questi impianti di termotrattamento riesce a trasformare i rifiuti organici in compost e biogas, da cui, a seguito di un’articolata fase di purificazione e rimozione dell’anidride carbonica (nota come “upgrading”), può ricavarsi biometano.

Nell’attuale scenario, l’accresciuta importanza dei biodigestori è da ricollegare altresì alle logiche di attuazione del PNRR, essendo stati previsti per essi appositi investimenti nell’ambito della Missione 2 (“Rivoluzione verde e transizione ecologica”), Componente 1 (“Economia circolare e agricoltura sostenibile”), Misura M2C1.1.I.1.1, Linea di Intervento B, rubricata “Realizzazione nuovi impianti di gestione rifiuti e ammodernamento di impianti esistenti”.

Per la precisione, per ciascuna proposta progettuale afferente alle infrastrutture strategiche in questione è erogabile un contributo a fondo perduto di importo complessivo di 40 milioni di euro, sempre che l’intervento non abbia già ottenuto, nell’ultimo ciclo di programmazione, un finanziamento a valere su fondi strutturali di investimento europeo. Tra le condizioni di ammissibilità del finanziamento de quo, meritano menzione anche l’osservanza del principio DNSH sancito dall’art. 17 del regolamento (UE) 2020/852 – che si risolve nel “non arrecare un danno significativo” contro l’ambiente – e la necessaria coerenza con gli strumenti di pianificazione di cui al d.lgs. n. 152/2006, ivi inclusi i PRGR di riferimento. Se, di converso, l’intervento non è previsto nel PRGR, il soggetto destinatario rimane onerato a corredare la proposta con un nulla osta rilasciato dal competente organo regionale, che attesti la coerenza dell’intervento con gli obiettivi del PRGR.

Il vulnus normativo e l’opera suppletiva della giurisprudenza amministrativa.

La vicenda dei  ha sollevato in giurisprudenza un tormentato nodo problematico con riguardo alla problematica dell’individuazione dell’ente cui demandare, nel silenzio del legislatore, la competenza a localizzare l’impianto.

L’imprescindibile opera ermeneutica e suppletiva dei giudici amministrativi non può che essere assunta a punto di partenza, dovendosi ormai dare per assodata l’intelaiatura formale di un diritto dell’ambiente quale sistema normativo multilivello integrato dal sostanziale apporto della giurisprudenza1. A ciò si aggiunga che anche la materia ambientale è oggi costantemente oggetto di riforme amministrative2, aventi spesso la loro matrice nelle indicazioni di Corti eurounitarie e sovranazionali3.

Sulla summenzionata questione si innesta, poi, il diverso ma complementare tema della necessità di stabilire congrue modalità di effettuazione della valutazione ambientale strategica (VAS).

La VAS è obbligatoria4 nel campo di cui si discute, stante la prioritaria esigenza di assicurare un elevato livello di tutela ambientale, attraverso l’integrazione delle previsioni pianificatorie e programmatiche con valutazioni di carattere strategico che involgono le “ragionevoli alternative” (art. 13, comma 4 d.lgs. n. 152/2006) sulle destinazioni di un dato territorio5.

Nel settore in esame, le incertezze applicative sull’istituto della localizzazione appaiono, perciò, strettamente compenetrate alla tematica del corretto espletamento degli adempimenti istruttori relativi alla VAS, la cui asserita violazione risulta di frequente denunciata da comitati e associazioni ambientaliste, cui è accordata una legittima facoltà di esprimersi in ordine ai potenziali sacrifici ambientali6.

Tali denunce, nella casistica concernente i biodigestori anaerobici, vengono presentate per lo più durante le prime battute dell’iter procedimentale della valutazione ambientale strategica, e soprattutto nel corso di quella fase preliminare alla redazione del rapporto ambientale nota come “scoping”. È questo, invero, un momento caratterizzato da una preminente attività consultiva, avviata su input dell’Autorità procedente e destinata a coinvolgere tutti i «soggetti competenti in materia ambientale, al fine di definire la portata ed il livello di dettaglio delle informazioni da includere nel rapporto ambientale» (art. 13, comma 1 d.lgs. 152/2006). Si tratta di una fase obbligatoria rispetto alla VAS e meramente facoltativa per la VIA.

Sembra, pertanto, ragionevole ipotizzare che, anche in futuro, le principali riserve di quanti avversano i progetti per la realizzazione di un biodigestore continueranno a manifestarsi principalmente nel corso di tale fase, essendo questa la sede naturale in cui rivendicare il rigoroso rispetto del principio del confronto sull’individuazione delle “ragionevoli alternative” (in termini di siti, tipologia degli impianti e caratteristiche dimensionionali), nonché del principio dell’unitarietà e cumulatività dei progetti ai fini della redazione della VAS7.

Le soluzioni emerse nella casistica giurisprudenziale.

Per una più compiuta delucidazione delle problematiche cui si accennava, sembra opportuno muovere dal recente approdo cui è addivenuto il Consiglio di Stato, Sez. IV, con la sent. n. 1072 del 31 gennaio 2023 (pubblicata il 7 marzo 2023).

La vicenda giurisprudenziale prende le mosse dai ricorsi presentati in primo grado dai Comuni di Santo Stefano Magra e Vezzano Ligure (SP), avverso il PAUR (provvedimento autorizzatorio unico regionale in materia ambientale) della Regione Liguria, n. 2286 del 17 aprile 2021. Con tale provvedimento, la società appellante Recos S.p.A. veniva autorizzata al ripristino della piena operatività del TBM nel sito di Saliceti (impianto già esistente dal 2009, e per il cui affidamento in gestione e manutenzione era stato avviato nel 2016 un Project financing8) e alla realizzazione di un digestore anaerobico nel sito di Boscalino.

Preso atto che, in materia di gestione dei rifiuti, il d.lgs. n. 152/2006 elenca dettagliatamente (agli artt. da 195 a 198) competenze distinte per lo Stato, le Regioni, le Province ed i Comuni, si rileva, al riguardo, una manifesta lacuna normativa: a nessuno degli enti anzidetti la richiamata normativa attribuisce una specifica competenza a localizzare i singoli impianti di trattamento dei rifiuti.

Nell’attuale sistema della pianificazione dei rifiuti, risultano pacifici soltanto l’assenza di una qualsivoglia competenza dei Comuni e il fatto che lo strumento di vertice debba essere rappresentato dal Piano regionale dei rifiuti, cui le Province sono tenute a conformarsi nella predisposizione dei rispettivi piani d’area.

Per il resto, appare infelice la formulazione legislativa (art. 197, co. 1, lett. d del d.lgs. n. 152/2006) che si limita ad annoverare tra le funzioni amministrative delle Province una generica attività programmatoria in ordine all’individuazione delle zone idonee e di quelle non idonee alla localizzazione degli impianti di smaltimento dei rifiuti, senza null’altro aggiungere. Parimenti, neppure gli artt. 195, comma 1, lett. p e 196 del cit. d.lgs. del 2006, offrono spunti normativi dirimenti quanto alla puntuale localizzazione dei singoli impianti, limitandosi a dettare criteri generali per l’individuazione delle aree non idonee alla localizzazione (criteri la cui fissazione è di competenza, rispettivamente dello Stato e delle Regioni).

La vigente normativa si astiene, dunque, dal designare in via cogente un preciso livello territoriale cui riconoscere il potere di adottare le scelte di merito relative alla localizzazione dei biodigestori.

Rilevato il predetto vulnus normativo, il Consiglio di Stato risolve il caso sottoposto al suo sindacato osservando come il PAUR non abbia in concreto violato una presunta localizzazione imperativa prevista dagli atti di pianificazione, così dissentendo dalle conclusioni del giudice di prime cure, secondo cui la pianificazione in materia consentiva già di individuare i siti in cui localizzare gli impianti senza possibilità di deroga.

Inoltre, nella segnalata pronuncia, il Collegio ha modo di precisare che il PAUR, allorché (come accaduto nel caso di specie) non si identifichi con un decreto del dirigente regionale, ma con la determinazione motivata di conclusione della Conferenza di servizi (convocata in modalità sincrona a norma dell’art. 14-ter l. 241/1990), risulta comunque espressione di un’autonoma competenza regionale che supera e trascende le diverse competenze dei diversi enti intervenuti in sede di conferenza. A questi ultimi, pertanto, non può esser riconosciuto un contraddittorio per esporre le eventuali diverse valutazioni, in primis in sede di VAS (in tal senso, si aderisce alla statuizione della Corte cost., sent. 198/2018, recepita anche da Cons. St., Sez. II, n. 6195/2021 e 6248/2021).

È poi il caso di avvertire che, per la realizzazione degli impianti programmati di produzione di biometano ottenuti da digestione anaerobica della frazione organica dei rifiuti (di cui all’allegato VIII alla parte seconda del d.lgs. n. 152/2006), è indispensabile, a norma dell’art. 6, comma 13 d.lgs. 152/2006, l’AIA (autorizzazione integrata ambientale)9. E molteplici doglianze, registratesi nel settore dei biodigestori, vertono proprio sul supposto riscontro di vizi procedurali nella procedura di rilascio della medesima, spesso originati dall’ambiguo rapporto procedimentale che intercorre tra VAS e/o VIA da una parte e AIA dall’altra.

A tal proposito, una condivisibile soluzione è stata di recente elaborata dalla giurisprudenza amministrativa con specifico riguardo alla VIA (Tar del Lazio, sent. del 20 marzo 2023 n. 483010), ma non v’è dubbio che il relativo principio di diritto possa essere applicato analogicamente anche alla VAS: l’esito negativo di una VIA (o di una VAS) preclude senz’altro il rilascio dell’AIA, assurgendo la prima ad imprescindibile condizione di procedibilità della seconda.

Da ultimo, giova ricordare che, inevitabilmente, le denunce dei comitati di protezione ambientale si traducono in ricorsi al Tar (con conseguente accrescimento del contenzioso giudiziario) laddove la carente istruttoria sia imputabile all’azione amministrativa di un’Autorità procedente sospettata di incompetenza e carenza di potere.

Ciò è emblematicamente accaduto, con riferimento alla VAS relativa al Piano di gestione dei rifiuti di Roma Capitale, rispetto ad un caso-limite che vedeva i processi decisionali provvisoriamente rimessi ad un soggetto chiamato ad esercitare, in via eccezionale, poteri straordinari di programmazione in materia di gestione di rifiuti, una materia questa normalmente di pertinenza delle Regioni11.

Segnatamente, i comitati ed i consorzi ricorrenti chiedevano, a norma dell’art. 21-octies della l. 241/1990, l’annullamento della VAS, nonché dell’ordinanza del Commissario straordinario per il Giubileo 2025, che ha deliberato la localizzazione di un biodigestore di 100 mila tonnellate di rifiuti/anno a Cesano, adducendone l’incompetenza, l’eccesso di potere, nonché il difetto di istruttoria e motivazione.

Il Tar del Lazio (Sez. V, 5 luglio 2023 n. 12163, pubblicata il 19/07/2023), però, rigetta il ricorso, riconoscendo la piena legittimità di una normativa che, in situazioni di natura emergenziale, dispone l’allocazione temporanea, in capo ad un Commissario straordinario di nomina governativa (di cui all’art. 1, comma 421 della l. 234/2021), dei poteri relativi alla gestione dei rifiuti ordinariamente assegnati alla competenza delle Regioni, ai sensi degli artt. 196 e 208 del d.lgs. n. 152/2006.

L’anzidetta pronuncia ha altresì il merito di rammentare che, qualora la realizzazione di un biodigestore avvenga, anche parzialmente, con l’utilizzazione di fondi del PNRR, il rito che si instaura è quello abbreviato ex art. 12-bis del d.l. 68/2022.

Note:

1 Sul punto, si rinvia al pregevole contributo di L. SALVEMINI, Un sistema multilivello alle origini del diritto ambientale, in Il costituzionalismo multilivello nel terzo millennio: Scritti in onore di Paola Bilancia, editoriale a cura di A. Papa, F. Pizzetti e F. Scuto Editoriale, su Federalismi.it, n. 4/2022, 15 ss.

2 Per meglio comprendere la genesi di ogni riforma amministrativa in generale e la consustanziale connessione con la questione dei controlli sull’uso delle risorse pubbliche, si rinvia alle tuttora attuali disamine di E. D’ALTERIO, La riforma della pubblica amministrazione e la sua attuazione, con B.G. Mattarella, in La riforma della pubblica amministrazione. Commento alla legge n. 124 del 2015 (Madia) e ai decreti attuativi, a cura di B.G. Mattarella e E. D’Alterio, Milano, Il Sole24 ore, 2017, 1-20; S. CASSESE, L’età delle riforme amministrative, in Riv. trim. dir. pubbl., 2001, 79 ss., che cita V. Wright, Reshaping the State: the Implications for Public Administrations, in 3 West Eur Pol (1994), 104; M.CECCHETTI, Prospettive per una razionalizzazione della “normazione tecnica” a tutela dell’ambiente nell’ordinamento italiano, in S. GRASSI, M. CECCHETTI (a cura di), Governo dell’ambiente e formazione delle norme tecniche, Milano, Giuffrè, 2006, 41 ss. In una prospettiva comparata, si segnala l’apporto di S. KUHLMANN e H. WOLLMANN, Introduction to Comparative Public Administration: Administrative Systems and Reforms in Europe, Cheltenham, Edward Elgar, 2014, 56 ss.

3 Da ultimo, anche sulla scorta dei gravosi impegni assunti in sede di Strategia dell’UE sulla biodiversità per il 2030, COM(2020) 380 final, approvata dalla Commissione europea a Bruxelles il 20.5.2020, l’Italia è stata deferita alla Corte di giustizia per la mancata attuazione di varie disposizioni del Regolamento (UE) n. 1143/2014.

4 Si prescinde, infatti, da una previa verifica di assoggettabilità a VAS ex art. 12 d.lgs. n. 152/2006, trattandosi di progetti elencati, a norma dell’art. 6, comma 2, lett. a) d.lgs. 152/2006, nell’allegato IV (impianti di smaltimento di rifiuti urbani non pericolosi, mediante operazioni di incenerimento o di trattamento).

5 In tal senso, la VAS si distingue dalla VIA (valutazione di impatto ambientale), che si focalizza, invece, preminentemente sulle mere alternative tecniche in seno al quadro progettuale presentato (ad esempio, le tecniche di disinquinamento o di monitoraggio degli impianti), fermo restando che anche la VIA non può risolversi in una mera verifica di natura tecnica circa la astratta compatibilità ambientale dell’opera programmata, dovendo sostanziarsi «in un giudizio sintetico globale di comparazione tra il sacrificio ambientale imposto e l’utilità socio-economica procurata dall’opera medesima, tenendo conto anche delle alternative possibili e dei riflessi della c.d. opzione zero», anche perché non si tratta di un mero atto tecnico di gestione, bensì di un provvedimento con cui viene esercitata una vera e propria funzione di indirizzo politico-amministrativo (sul punto, si rinvia a Cons. St., Sez. IV, 23 giugno 2023, n. 6190).

6 Non può sottacersi della legittimità di tali denunce, posto che la stessa Direttiva comunitaria 2001/42/CE, introduttiva della VAS, riconosce esplicitamente l’obbligo di mettere a disposizione del pubblico la bozza del piano o programma, con l’evidente scopo di consentire ad associazioni portatrici di interessi collettivi e diffusi la possibilità di rendere, entro una tempistica adeguata, tutti i pareri del caso. Si v., al riguardo, l’art. 6 ed il Considerando (15) della cit. Direttiva.

7 Quest’ultimo è un principio di elaborazione giurisprudenziale. Si v., da ultimo Tar Piemonte, Sez. II, sent. del 23 marzo 2020 n. 210, per tutte le procedure di valutazione degli impatti sull’ambiente (V.I.A.V.A.S., VIncA), è necessario considerare i progetti nella loro unitarietà e cumulativamente ad altre opere connesse già esistenti. Occorre cioè aver riguardo alle dimensioni dell’opera finale, risultante dalla sommatoria delle opere esistenti con quelle nuove, giacché è l’opera finale complessivamente considerata che, incidendo sull’ambiente, deve essere sottoposta a valutazione. Sul punto, si rinvia anche a  Corte di Giustizia CE, Sez. III, 25 luglio 2008, n. 142; Corte di Giustizia CE, Sez. II, 28 febbraio 2008, causa C-2/07;  Cons. Stato,  Sez. IV, 9 gennaio 2014, n. 36; Cons. Stato, Sez. VI, 15 giugno 2004, n. 4163; T.A.R. Sardegna, sez. II, 6 febbraio 2012, n. 427; Trib. Sup. Acquepubbliche, 14 ottobre 2015, n. 263.

8 L’impianto di Saliceti fu originariamente realizzato da ACAM S.p.A. in attuazione al “Piano per l’organizzazione del sistema integrato di gestione dei RU nella Provincia della Spezia”, per permettere di trattare il residuo indifferenziato ai fini di una valorizzazione energetica. Per una più completa disamina della genesi di tale impianto, si consulti la delibera del Consiglio Comunale del Comune di Santo Stefano di Magra, n. 29 del 30.03.2017, p. 14 s. Oggetto della pianificazione è oggi un upgrading impiantistico, che prevede l’introduzione, nell’attuale processo, anche della fase di digestione anaerobica.

9 L’AIA, essendo un provvedimento che incide specificamente sugli aspetti gestionali dell’impianto, non può certamente conglobare la VIA (che investe profili propriamente localizzativi e strutturali), né, tantomeno, la VAS (ex plurimis, TAR Calabria, Sez. I, 8 novembre 2011, n. 1345).

10 La pronuncia in questione, tra l’altro, ha il pregio di spiegare come l’AIA, ancorché cronologicamente successiva alla VIA, sia suscettibile di condizionarne l’oggetto, in virtù del maggior livello di approfondimento e della maggior discrezionalità tecnica che essa produce sulla VIA. Così, è come se si operasse una sorta di retroazione delle prescrizioni e raccomandazioni proprie dell’AIA al momento della predisposizione della VIA.

11 Sul punto, si rinvia alla recente sentenza del Tar del Lazio, Sez. V, 5 luglio 2023 n. 12163 (pubblicata il 19/07/2023).