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GIUDIZIO PER RESPONSABILITA’ AMMINISTRATIVA: chiamata in causa da parte del giudice contabile.

 

CORTE COSTITUZIONALE  SENTENZA 7 – 28 luglio 2022, N. 203

 

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Responsabilita' amministrativa e  contabile  -  Codice  di  giustizia
  contabile, approvato mediante decreto legislativo  -  Giudizio  per
  responsabilita' amministrativa - Possibilita', da parte del giudice
  contabile, della chiamata in causa di soggetti ulteriori rispetto a
  quelli indicati dal pubblico ministero -  Esclusione  -  Denunciato
  eccesso di delega, e dell'impossibilita' al risarcimento del  danno
  erariale - Non fondatezza delle questioni. 
- Decreto legislativo 26 agosto 2016, n. 174, Allegato  1,  art.  83,
  commi 1 e 2, come modificati dalle lettere b)  e  c)  del  comma  1
  dell'art. 44 del decreto legislativo 7 ottobre 2019, n. 114. 
- Costituzione, artt. 3, 24, 76, 81 e 111. 

(GU n.31 del 3-8-2022 )

  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Giuliano AMATO; 
Giudici :Silvana SCIARRA, Daria  de  PRETIS,  Nicolo'  ZANON,  Franco
  MODUGNO, Augusto  Antonio  BARBERA,  Giulio  PROSPERETTI,  Giovanni
  AMOROSO,  Francesco  VIGANO',  Luca  ANTONINI,   Stefano   PETITTI,
  Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria  SAN  GIORGIO,  Filippo  PATRONI
  GRIFFI, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 83, commi 1
e 2, dell'Allegato 1  (Codice  di  giustizia  contabile)  al  decreto
legislativo 26 agosto 2016, n. 174 (Codice  di  giustizia  contabile,
adottato ai sensi dell'articolo 20 della  legge  7  agosto  2015,  n.
124), come modificato dall'art. 44, comma 1, lettere  b)  e  c),  del
decreto legislativo 7 ottobre 2019, n. 114 (Disposizioni  integrative
e correttive al decreto legislativo 26 agosto 2016, n.  174,  recante
codice di giustizia contabile, adottato  ai  sensi  dell'articolo  20
della legge 7 agosto 2015, n. 124), promosso dalla Corte  dei  conti,
sezione giurisdizionale regionale per la Campania,  nel  giudizio  di
responsabilita' instaurato a istanza del  Procuratore  regionale  nei
confronti di R. E. e altri,  con  ordinanza  del  17  febbraio  2021,
iscritta al n. 64 del registro  ordinanze  2021  e  pubblicata  nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica  n.  20,  prima  serie  speciale,
dell'anno 2021. 
    Visti  l'atto  di  costituzione  di  A.  F.,  nonche'  l'atto  di
intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; 
    udito nell'udienza pubblica del 5 luglio 2022 il Giudice relatore
Giovanni Amoroso; 
    uditi l'avvocato Guido Alfonsi per A. F. e l'avvocato dello Stato
Fabrizio Fedeli per il Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,  in
collegamento da remoto,  ai  sensi  dell'art.  2),  punto  2),  della
delibera della Corte del 23 giugno 2022. 
    deliberato nella camera di consiglio del 7 luglio 2022. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con sentenza non definitiva e contestuale ordinanza emessa in
data 17 febbraio 2021, n. 158, iscritta nel relativo registro  al  n.
20 dell'anno  2021,  la  Corte  dei  Conti,  sezione  giurisdizionale
regionale per la Campania, ha  sollevato  questioni  di  legittimita'
costituzionale dell'art. 83, commi 1 e 2, dell'Allegato 1 (Codice  di
giustizia contabile) al decreto legislativo 26 agosto  2016,  n.  174
(Codice di giustizia contabile, adottato ai  sensi  dell'articolo  20
della legge 7 agosto  2015,  n.  124),  nel  testo  conseguente  alle
modifiche recate dal decreto  legislativo  7  ottobre  2019,  n.  114
(Disposizioni integrative e  correttive  al  decreto  legislativo  26
agosto 2016, n. 174, recante codice di giustizia contabile,  adottato
ai sensi dell'articolo 20 della legge 7  agosto  2015,  n.  124),  in
riferimento agli artt. 3, 24, 76, 81 e 111 della Costituzione. 
    La Corte rimettente, in punto di fatto e di rilevanza, sottolinea
che, mediante atto di  citazione  del  31  maggio  2019,  la  Procura
regionale aveva evocato in giudizio  alcuni  dipendenti,  nonche'  il
segretario generale e il Sindaco di un Comune, al fine di ottenere la
condanna degli stessi al pagamento in favore dell'ente della somma di
euro 1.445.715,20,  oltre  accessori,  per  responsabilita'  erariale
correlata all'omessa attivazione, nonostante la comprovata conoscenza
della  situazione,  di  qualsivoglia  procedura  per  la  riscossione
(rispetto all'anno 2009, per gli immobili a destinazione abitativa, e
nel periodo 2009-2013, per i locali ad uso commerciale) dei canoni  e
delle indennita' di occupazione di un complesso  immobiliare.  Alcuni
convenuti, nell'ambito delle difese volte a contestare la  ricorrenza
della propria responsabilita',  deducevano  che  essa  doveva  essere
ascritta alle due societa' concessionarie del servizio di riscossione
dei  canoni  e   delle   indennita'   in   questione   e   chiedevano
l'integrazione  del  contraddittorio  nei  confronti  delle   stesse.
All'udienza il pubblico ministero replicava circa la  non  necessita'
di evocare in giudizio gli altri soggetti indicati  nelle  difese  di
alcune parti convenute, ricorrendo peraltro - in  ogni  caso  -  solo
un'ipotesi di litisconsorzio facoltativo. 
    Il Collegio emanava, in primo luogo, nel  contesto  del  medesimo
atto  di  promovimento,  sentenza  non  definitiva  sulle   questioni
pregiudiziali e preliminari, nonche' sulla pretesa  risarcitoria  per
danno all'immagine del Comune danneggiato (domanda che rigettava  nel
merito). 
    Con riferimento alla sussistenza nel merito della responsabilita'
amministrativa per danno erariale riteneva, invece, che  la  relativa
valutazione fosse inficiata, nella fattispecie concreta, dal divieto,
recato  dall'art.  83,  comma  1,  cod.   giust.   contabile,   nella
formulazione applicabile ratione temporis successiva  alle  modifiche
introdotte dal d.lgs. n. 114 del  2019,  di  chiamata  in  causa  per
ordine del giudice degli altri  soggetti,  evocati  nelle  difese  di
alcuni convenuti, potenzialmente responsabili del fatto dannoso. 
    Infatti, la Corte dei conti sottolinea che,  pur  non  ricorrendo
un'ipotesi  di  litisconsorzio  necessario  tra   i   corresponsabili
dell'illecito   erariale,   tuttavia    l'inderogabile    preclusione
all'integrazione del contraddittorio da parte  del  giudice  potrebbe
essere suscettibile di determinare un insanabile vulnus ai  fini  del
corretto inquadramento di fattispecie, come quella da  decidere,  che
«non si prestano ad  essere  delineate,  valutate  e  definite  senza
acquisire l'apporto al contraddittorio di ulteriori  soggetti»,  allo
scopo  di  individuarne  compiutamente  l'eventuale  responsabilita',
esclusiva o concorrente, da valutare per la decisione sullo  scomputo
di quote di responsabilita' dei soggetti citati in giudizio  dal  PM.
In sostanza, il giudice a quo lamenta  di  dover  procedere  all'uopo
alla valutazione della responsabilita' di soggetti ai  quali  non  e'
stato esteso il contraddittorio e  che  potrebbero  essere  indicati,
anche solo «virtualmente», come responsabili dei fatti illeciti nella
decisione senza avere avuto l'opportunita' di difendersi e di addurre
elementi probatori. 
    La Corte dei conti -  assumendo  di  non  poter  ne'  individuare
eventuali responsabilita' concorrenti rispetto a quelle dei  soggetti
effettivamente  convenuti,  ne'  conseguentemente  statuire  per  gli
stessi scomputi, totali o parziali,  di  responsabilita',  nonostante
l'emergenza «piu'  che  probabile»  dagli  atti  del  giudizio  della
sussistenza  delle  condotte  illecite  di  altri   soggetti,   senza
estendere il contraddittorio nei confronti di questi ultimi - ritiene
dunque rilevanti le questioni sollevate. 
    Quanto alla non manifesta infondatezza,  il  Collegio  rimettente
premette che le disposizioni  censurate,  ossia  i  primi  due  commi
dell'art.  83  cod.  giust.   contabile,   sono   insuscettibili   di
un'interpretazione costituzionalmente orientata, stante la  chiarezza
del divieto fatto al giudice nel processo, per  l'accertamento  della
responsabilita' amministrativa, di ordinare la chiamata in  causa  di
soggetti ulteriori rispetto a quelli gia' convenuti in  giudizio  dal
PM. 
    1.1.- Cio' posto, il giudice a quo dubita, in primo luogo,  della
compatibilita' del divieto espresso dall'art. 83, commi 1 e  2,  cod.
giust. contabile con l'art. 76 Cost. 
    A fondamento di tale questione, la  Corte  dei  conti  rimettente
deduce che il Governo,  nell'attuare  il  criterio  di  delega  posto
dall'art. 20, comma 2, lettera g), numero 6), della  legge  7  agosto
2015, n. 124 (Deleghe al Governo in materia di riorganizzazione delle
amministrazioni pubbliche), che demandava allo stesso di prevedere la
«preclusione in sede di giudizio di chiamata in causa su  ordine  del
giudice e in assenza di nuovi elementi e motivate ragioni di soggetto
gia' destinatario di formalizzata archiviazione», non avrebbe  tenuto
conto dei criteri di delega, di  carattere  piu'  generale,  indicati
nelle precedenti lettere a) e b) della medesima disposizione. Invero,
poiche'  questi  ultimi  criteri  demandavano  al  Governo  l'uno  di
contemplare un adeguamento delle norme  vigenti  alla  giurisprudenza
della  Corte  costituzionale   e   delle   giurisdizioni   superiori,
«coordinandole  con  le  norme  del  codice   di   procedura   civile
espressione di principi  generali  e  assicurando  la  concentrazione
delle tutele spettanti alla cognizione della giurisdizione contabile»
(lettera a) e l'altro di «disciplinare  lo  svolgimento  dei  giudizi
tenendo conto della peculiarita' degli interessi pubblici oggetto  di
tutela e dei diritti soggetti coinvolti, in base  ai  principi  della
concentrazione e dell'effettivita' della tutela e  nel  rispetto  del
principio della ragionevole durata del processo» (lettera b), il piu'
specifico criterio direttivo espresso dalla lettera  g),  numero  6),
dello stesso comma avrebbe dovuto essere  correttamente  interpretato
nel senso di riconoscere al giudice contabile il potere di  integrare
il contraddittorio nei confronti di terzi non evocati in giudizio dal
PM, salva l'emanazione di un espresso provvedimento di  archiviazione
a fronte di fatti nuovi. 
    Rileva,  inoltre,  il  giudice  a  quo  che  le  norme  censurate
violerebbero    l'art.    3    Cost.,    laddove     determinerebbero
un'ingiustificata disparita' di trattamento tra i soggetti  convenuti
in giudizio e quelli nei confronti dei quali la procura scegliesse di
non esercitare l'azione di responsabilita', in quanto  solo  i  primi
potrebbero fornire una propria ricostruzione alternativa  dei  fatti,
anche «in danno» dei secondi i  quali,  non  coinvolti  in  giudizio,
potrebbero essere  dichiarati  «virtualmente»  colpevoli  senza  aver
potuto far valere in contradditorio le proprie ragioni. 
    D'altra parte, la decisione sull'evocazione in causa di  tutti  i
soggetti potenzialmente responsabili di un illecito erariale  sarebbe
rimessa all'esclusivo potere del PM e la relativa valutazione sarebbe
cosi' sottratta al collegio, che non e' una  parte  del  giudizio  di
responsabilita' per danno erariale, ma ha un ruolo imparziale. 
    Il divieto espresso dall'art. 83 cod. giust. contabile violerebbe
l'art. 3 Cost. anche sotto il profilo della ragionevolezza, imponendo
all'autorita'  giudiziaria  di  effettuare  una  valutazione  per  la
compiutezza  della  quale  non  disporrebbe  di   adeguati   elementi
conoscitivi. 
    La Corte  dei  conti  sottolinea,  inoltre,  che  il  divieto  di
chiamata in  causa  per  ordine  del  giudice  espresso  dalla  norma
censurata violerebbe l'art. 24 Cost., compromettendo  il  diritto  di
difesa sia delle  parti  convenute  che  di  quelle  non  evocate  in
giudizio, astrattamente coinvolte  nella  ipotizzata  fattispecie  di
responsabilita',    non    consentendo    che    tutte    partecipino
all'accertamento dei fatti in contraddittorio in modo da pervenire  a
una «piu' giusta e avveduta  decisione»  e  impedendo,  peraltro,  ai
soggetti che non siano stati chiamati a prendere parte al processo  e
nondimeno eventualmente indicati nella sentenza  come  «virtualmente»
responsabili, di impugnare detta decisione. 
    Il vulnus all'art. 24 Cost. sarebbe inoltre  arrecato  anche  dal
pericolo della formazione di giudicati  contraddittori  sui  medesimi
fatti. 
    Il  collegio   rimettente   assume,   altresi',   una   possibile
violazione, da parte dei primi due commi  dell'art.  83  cod.  giust.
contabile, dell'art. 111 Cost.,  e  cio'  sia  per  l'impossibilita',
conseguente al  divieto  di  chiamata  in  causa  iussu  iudicis,  di
instaurare un effettivo  contraddittorio  processuale,  con  evidente
pregiudizio  per  i  convenuti,  sia  per   l'irragionevole   vincolo
determinato in capo  all'autorita'  giudiziaria  nella  ricostruzione
della vicenda operata dal PM. 
    Secondo la prospettazione del giudice a quo, le  norme  censurate
potrebbero di poi porsi in contrasto con l'art. 81 Cost. nella misura
in cui non consentono all'autorita' giudiziaria di chiamare in  causa
i corresponsabili dell'evento dannoso i quali, ove ne fosse accertata
in  giudizio  la  responsabilita',   potrebbero   essere   condannati
realmente (e non solo in modo virtuale, ai fini della  riduzione  del
danno dei soggetti evocati nel giudizio di responsabilita' dal PM) al
risarcimento in favore dell'ente. 
    Precisa, infine, la Corte dei conti rimettente  che  il  petitum,
stante il necessario rispetto del diritto all'espletamento della fase
preprocessuale  e  delle  prerogative   del   PM,   deve   intendersi
circoscritto «nel senso che la chiamata  in  giudizio  iussu  iudicis
sarebbe  subordinata   comunque   all'attivazione   di   detta   fase
preprocessuale  e  all'esercizio  delle  prerogative   del   Pubblico
ministero». 
    2.- Con atto in data 28 maggio 2021 si e' costituito nel giudizio
costituzionale A. F., convenuto  nel  processo  principale,  aderendo
alle argomentazioni sottese all'ordinanza di rimessione e ponendo  in
particolare evidenza lo squilibrio determinato dalle norme  censurate
tra le parti del processo di  responsabilita'  contabile,  ridondante
nell'impossibilita'  di  un  completo  accertamento   della   vicenda
fattuale  nel  contraddittorio  con  tutti  i  soggetti  coinvolti  e
comportante  il  rischio,  in  spregio  del  principio  di   economia
processuale, di giudicati contraddittori. 
    3.- Con atto in data 8 giugno 2021, e' intervenuto in giudizio il
Presidente  del  Consiglio  dei  Ministri,  rappresentato  e   difeso
dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,  chiedendo  dichiararsi   le
questioni inammissibili e, in ogni caso, non fondate. 
    In punto di inammissibilita', la difesa  statale  deduce  che  il
rimettente  avrebbe  motivato  in  modo  inadeguato  sulla  rilevanza
laddove ha prospettato che il divieto di chiamata in causa  di  terzi
su ordine del giudice sancito dall'art.  83,  comma  1,  cod.  giust.
contabile impedirebbe un compiuto accertamento dei fatti. In  realta'
tale accertamento sarebbe  ben  possibile,  anche  in  assenza  degli
eventuali compartecipi nella determinazione del danno, in forza degli
ampi  poteri  istruttori   riconosciuti   all'autorita'   giudiziaria
dall'art. 94 del predetto codice. 
    Nel merito, l'Avvocatura generale rileva, innanzi tutto,  la  non
fondatezza dei dubbi di  legittimita'  costituzionale  che  investono
l'art.  3  Cost.,  stante  la  peculiarita'  del  processo  contabile
rispetto  a  quello  civile:  per  vero,  nel  primo,  l'esigenza  di
assicurare la parita'  tra  le  posizioni  di  accusa  e  difesa  non
consente di attribuire all'autorita' giudiziaria  poteri  sindacatori
che possano alterare detto equilibrio, se non trasmettendo  gli  atti
al PM per le valutazioni di competenza nei limiti delineati dall'art.
83, comma 4, cod. giust. contabile. 
    Peraltro, se nel processo per  responsabilita'  erariale  non  e'
attualmente ammesso un intervento iussu iudicis,  la  responsabilita'
tra i concorrenti nell'illecito ha natura parziaria e non e' preclusa
al  giudice  una  valutazione  incidentale,   per   determinarne   le
rispettive «quote», dell'incidenza causale delle condotte di soggetti
non evocati in giudizio dal PM, valutazione incidentale che  consente
di non "appesantire" il processo in vista  della  ragionevole  durata
dello stesso. 
    L'Avvocatura generale  contesta,  inoltre,  la  fondatezza  delle
questioni correlate alla violazione  degli  artt.  24  e  111  Cost.,
rispettivamente in punto di diritto di difesa e di giusto processo. 
    Sotto  il  primo  profilo,   infatti,   l'eventuale   concorrenza
nell'illecito  di  soggetti  non  citati  in  giudizio  dal  PM   non
comprometterebbe il diritto di difesa degli altri perche' il  giudice
contabile ha solo il dovere di determinare  il  quantum  debeatur,  e
quindi di definire la controversia ponendo  a  carico  del  convenuto
esclusivamente la parte del danno che ha in concreto  cagionato,  con
conseguente insussistenza di un litisconsorzio  necessario  tra  piu'
corresponsabili del medesimo danno la cui condotta e'  vagliata,  ove
occorra, solo incidentalmente. 
    Rispetto alla violazione dell'art. 111  Cost.,  la  difesa  dello
Stato  si  riconduce  alla  costante  giurisprudenza   costituzionale
sull'ampia discrezionalita' del legislatore processuale, che trova un
limite solo nella manifesta arbitrarieta' delle scelte compiute. 
    Detta manifesta arbitrarieta' non ricorrerebbe nella  fattispecie
in esame perche' l'esigenza di mitigare  la  rigidita'  del  processo
rispetto ai soggetti evocati dal PM e' temperata  dalla  possibilita'
per il giudice, ove emergano fatti nuovi, ex art. 83, comma  3,  cod.
giust. contabile,  di  trasmettere  gli  atti  alla  procura  per  le
valutazioni di competenza. 
    L'Avvocatura   generale   evidenzia,   inoltre,   l'insussistenza
dell'evocato vizio di eccesso di delega ex art. 76 Cost.  poiche'  lo
stesso legislatore delegante ha indicato, tra i criteri direttivi, il
divieto di chiamata iussu  iudicis,  nell'intento  di  assicurare  il
rispetto del principio di imparzialita' del giudice. 
    Con memoria depositata in data 14 giugno 2022,  la  difesa  dello
Stato   ha   ribadito   la   propria   eccezione    preliminare    di
inammissibilita'  per  inidonea  motivazione  sulla  rilevanza  e  ha
ripercorso le ragioni di non fondatezza delle questioni sollevate. 
    4.- Ai sensi dell'art. 10, comma 3, delle Norme integrative per i
giudizi davanti alla Corte costituzionale  e'  stato  formulato  alle
parti, in vista dell'udienza pubblica, il seguente quesito:  «Risulta
alle parti che le societa' del servizio di riscossione dei canoni, ai
quali si riferisce l'azione di responsabilita' per danno  erariale  -
concessionarie fino  al  31  dicembre  2010  e  poi  affidatarie  del
servizio di riscossione delle entrate comunali dal 2011 in seguito  -
sono  gia'   state   destinatarie   di   formale   provvedimento   di
archiviazione  ovvero  l'eventuale  contributo  causale  della   loro
condotta al fatto dannoso  e'  gia'  stato  valutato  in  termini  di
infondatezza dalla procura contabile?». 
    Nel corso dell'udienza, l'Avvocatura generale ha evidenziato  che
il PM non aveva emanato un formale provvedimento di archiviazione nei
confronti delle due societa' non evocate in  giudizio,  ma  ne  aveva
comunque vagliato le posizioni, escludendone la responsabilita'. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Con sentenza non definitiva e contestuale ordinanza  in  data
17 febbraio 2021, n. 158, la Corte dei conti, sezione giurisdizionale
regionale per la Campania, ha  sollevato  questioni  di  legittimita'
costituzionale dell'art. 83, commi 1 e 2, dell'Allegato 1 (Codice  di
giustizia contabile) al decreto legislativo 26 agosto  2016,  n.  174
(Codice di giustizia contabile, adottato ai  sensi  dell'articolo  20
della legge 7 agosto  2015,  n.  124),  nel  testo  conseguente  alle
modifiche recate dal decreto  legislativo  7  ottobre  2019,  n.  114
(Disposizioni integrative e  correttive  al  decreto  legislativo  26
agosto 2016, n. 174, recante codice di giustizia contabile,  adottato
ai sensi dell'articolo 20 della legge 7  agosto  2015,  n.  124),  in
riferimento agli artt. 3, 24, 76, 81 e 111 della Costituzione. 
    In punto di fatto, il giudice a quo  riferisce  che  il  pubblico
ministero aveva evocato in giudizio  alcuni  dipendenti,  nonche'  il
segretario generale e il Sindaco di un Comune, al fine  di  ottenerne
la condanna al pagamento in favore  dell'ente  della  somma  di  euro
1.445.715,20, oltre  accessori,  per  responsabilita'  amministrativa
dovuta all'omessa attivazione, nonostante  la  comprovata  conoscenza
della  situazione,  di  qualsivoglia  procedura  per  la  riscossione
(rispetto all'anno 2009, per gli immobili a destinazione abitativa, e
nel periodo 2009-2013, per i locali ad uso commerciale) dei canoni  e
delle  indennita'  di  occupazione  di   un   complesso   immobiliare
dell'ente. Alcuni convenuti avevano contestato la  sussistenza  della
propria responsabilita', deducendo che la stessa doveva essere semmai
ascritta  alle  societa'  concessionarie  (e  poi  affidatarie)   del
servizio di riscossione dei canoni e delle  indennita'  in  questione
che non si erano attivate  per  il  recupero  delle  somme  spettanti
all'ente e chiedevano al collegio l'integrazione del  contraddittorio
nei confronti delle  stesse.  A  fronte  di  tale  richiesta,  il  PM
rappresentava che non era necessario evocare in  giudizio  gli  altri
soggetti indicati  dalle  difese  delle  parti  suddette,  ricorrendo
peraltro solo un'ipotesi di litisconsorzio facoltativo. 
    La Corte rimettente pronunciava, in  primo  luogo,  sentenza  non
definitiva sulle questioni pregiudiziali e preliminari, ritenute  non
impedienti.  Con  riferimento  alla  ricorrenza  nel   merito   della
responsabilita' amministrativa dei convenuti riteneva, invece, che la
relativa valutazione fosse inficiata dal  divieto,  recato  dall'art.
83, comma 1, cod. giust. contabile, di chiamata  in  causa  di  altri
soggetti non evocati in giudizio dal PM. 
    Cio'  in  quanto  il  comma  2  della   medesima   norma,   nella
formulazione applicabile ratione temporis, successiva alle  modifiche
introdotte dal d.lgs. n. 114 del 2019, impone comunque  all'autorita'
giudiziaria di  valutare  la  responsabilita'  di  tutti  i  soggetti
concorrenti nell'illecito  ai  fini  della  decisione  sull'eventuale
scomputo di quote di responsabilita' a carico dei convenuti. 
    1.1.- In ordine alla rilevanza  delle  questioni,  la  Corte  dei
conti sottolinea che, pur non ricorrendo un'ipotesi di litisconsorzio
necessario tra i  corresponsabili  dell'illecito  erariale,  tuttavia
l'inderogabile preclusione all'integrazione  del  contraddittorio  da
parte del giudice potrebbe  essere  suscettibile  di  determinare  un
insanabile vulnus ai fini del corretto inquadramento di  fattispecie,
come quella da decidere, che «non si prestano  ad  essere  delineate,
valutate e definite senza acquisire l'apporto al  contraddittorio  di
ulteriori soggetti», in assenza dei quali non potrebbe individuarsene
compiutamente l'eventuale responsabilita', esclusiva  o  concorrente,
pure da valutare in sede di decisione, ex art.  83,  comma  2,  dello
stesso d.lgs. n. 174 del 2016. 
    In sostanza, il giudice a quo lamenta di dover procedere all'uopo
alla valutazione della responsabilita' di soggetti ai  quali  non  e'
stato esteso il contraddittorio e  che  potrebbero  essere  indicati,
anche solo «virtualmente», come responsabili dei  fatti  illeciti  in
sentenza senza avere avuto l'opportunita' di difendersi e di  addurre
elementi probatori. 
    La Corte dei conti - deducendo di non poter  accertare  eventuali
responsabilita'  concorrenti   rispetto   a   quelle   dei   soggetti
effettivamente  convenuti  allo  scopo  di  decidere   su   eventuali
scomputi, totali o parziali, di responsabilita'  come  richiesto  dal
comma 2 dell'art. 83 cod. giust.  contabile,  nonostante  l'emergenza
«piu' che probabile» dagli atti del giudizio della sussistenza  delle
condotte illecite di altri soggetti -  ritiene  dunque  rilevanti  le
questioni sollevate. 
    1.2.-  In  punto  di  non  manifesta  infondatezza,  il  Collegio
rimettente premette che le disposizioni espresse dai primi due  commi
dell'art.  83  cod.   giust.   contabile   sono   insuscettibili   di
un'interpretazione  costituzionalmente  orientata,  in  virtu'  della
chiarezza  del  divieto  fatto   al   giudice   nel   processo,   per
l'accertamento della responsabilita' amministrativa, di  ordinare  la
chiamata in causa  di  soggetti  ulteriori  rispetto  a  quelli  gia'
convenuti in giudizio dal PM. 
    La Corte  dei  conti  rimettente  dubita,  innanzi  tutto,  della
compatibilita' del divieto  espresso  dall'art.  83,  comma  1,  cod.
giust. contabile con l'art. 76 Cost. 
    A riguardo, il giudice  rimettente  sottolinea  che  il  Governo,
nell'attuare il criterio di  delega  posto  dall'art.  20,  comma  2,
lettera g), numero 6), della legge 7 agosto 2015, n. 124 (Deleghe  al
Governo  in  materia  di   riorganizzazione   delle   amministrazioni
pubbliche), che demandava allo stesso di prevedere la «preclusione in
sede di giudizio di chiamata in causa su  ordine  del  giudice  e  in
assenza di  nuovi  elementi  e  motivate  ragioni  di  soggetto  gia'
destinatario di formalizzata archiviazione», non avrebbe tenuto conto
dei criteri di delega, di carattere  piu'  generale,  indicati  nelle
precedenti lettere a) e  b),  della  medesima  disposizione.  Invero,
poiche' questi ultimi  criteri  rimettevano  al  Governo,  l'uno,  di
contemplare un adeguamento delle norme  vigenti  alla  giurisprudenza
della  Corte  costituzionale   e   delle   giurisdizioni   superiori,
«coordinandole  con  le  norme  del  codice   di   procedura   civile
espressione di principi  generali  e  assicurando  la  concentrazione
delle tutele spettanti alla cognizione della giurisdizione contabile»
(lettera a) e l'altro di «disciplinare  lo  svolgimento  dei  giudizi
tenendo conto della peculiarita' degli interessi pubblici oggetto  di
tutela e dei diritti soggetti coinvolti in  base  ai  principi  della
concentrazione e dell'effettivita' della tutela e  nel  rispetto  del
principio della ragionevole durata del processo» (lettera b), il piu'
specifico criterio direttivo espresso dalla lettera  g),  numero  6),
dello stesso comma avrebbe dovuto essere  correttamente  interpretato
nel senso di riconoscere al giudice contabile il potere di  integrare
il contraddittorio nei confronti di terzi non evocati in giudizio dal
PM  a  fronte  di  nuovi  elementi  e  in  assenza  di  un   espresso
provvedimento di archiviazione. 
    Rileva,  inoltre,  il  giudice  a  quo  che  le  norme  censurate
potrebbero violare  l'art.  3  Cost.  determinando  un'ingiustificata
disparita' di trattamento tra i  soggetti  convenuti  in  giudizio  e
quelli nei confronti dei quali la procura scelga  di  non  esercitare
l'azione di  responsabilita',  in  quanto  solo  i  primi  potrebbero
fornire la propria ricostruzione alternativa  dei  fatti,  anche  «in
danno» dei secondi i quali, non  coinvolti  in  giudizio,  potrebbero
essere dichiarati «virtualmente» colpevoli,  senza  aver  potuto  far
valere in contradditorio le proprie difese. 
    D'altra parte la decisione sull'evocazione di  tutti  i  soggetti
potenzialmente responsabili di un illecito erariale  sarebbe  rimessa
all'esclusivo potere del PM sottraendo  la  relativa  valutazione  al
collegio, che non e' una parte del giudizio  di  responsabilita'  per
danno erariale, ma ha un ruolo imparziale. 
    Il divieto espresso dall'art. 83, comma 1, cod. giust. contabile,
tenuto conto del dovere del Collegio di vagliare la condotta di tutti
i concorrenti nell'illecito imposto dal comma 2 della  stessa  norma,
violerebbe  l'art.   3   Cost.   anche   sotto   il   profilo   della
ragionevolezza, imponendo all'autorita' giudiziaria di effettuare una
valutazione senza disporre di adeguati elementi conoscitivi acquisiti
nel contraddittorio tra tutti i soggetti coinvolti. 
    La Corte  dei  conti  sottolinea,  inoltre,  che  il  divieto  di
chiamata in  causa  per  ordine  del  giudice  espresso  dalla  norma
censurata potrebbe violare l'art.  24  Cost.,  nella  misura  in  cui
lederebbe il diritto di difesa tanto delle parti convenute quanto  di
quelle  non  evocate  in  giudizio  astrattamente   coinvolte   nella
ipotizzata fattispecie di responsabilita', non consentendo che  tutte
partecipino all'accertamento dei fatti in contraddittorio in modo  da
pervenire a una «piu'  giusta  e  avveduta  decisione»  e  impedendo,
peraltro, ai soggetti che non siano stati chiamati a  prendere  parte
al processo e nondimeno indicati nella sentenza  come  «virtualmente»
responsabili, di impugnare detto provvedimento. Il vulnus all'art. 24
Cost. sarebbe, inoltre, arrecato  anche  dal  pericolo  di  giudicati
contraddittori sui medesimi fatti. 
    Il Collegio rimettente assume, inoltre, una possibile violazione,
da parte dei primi due commi  dell'art.  83  cod.  giust.  contabile,
dell'art. 111 Cost., e cio' sia per l'impossibilita',  derivante  dal
divieto  di  chiamata  in  causa  iussu  iudicis,  di  instaurare  un
effettivo contraddittorio processuale, con evidente pregiudizio per i
convenuti,  sia  per  l'irragionevole  vincolo  determinato  in  capo
all'autorita' giudiziaria nella ricostruzione della  vicenda  operata
dal PM. 
    Secondo la prospettazione del giudice a quo, le  norme  censurate
potrebbero altresi' porsi in contrasto con l'art.  81  Cost.  poiche'
non consentirebbero all'autorita' giudiziaria di chiamare in causa  i
corresponsabili dell'evento dannoso che, ove ne  fosse  accertata  in
giudizio la responsabilita', potrebbero essere  condannati  realmente
(e non solo in modo virtuale, ai fini della riduzione del  danno  dei
soggetti  evocati  nel  giudizio  di  responsabilita'  dal   PM)   al
risarcimento in favore dell'ente. 
    1.3.- Precisa, infine, la  Corte  dei  conti  rimettente  che  il
petitum, stante il necessario rispetto del  diritto  all'espletamento
della fase preprocessuale e delle prerogative del PM, deve intendersi
circoscritto «nel senso che la chiamata  in  giudizio  iussu  iudicis
sarebbe  subordinata   comunque   all'attivazione   di   detta   fase
preprocessuale  e  all'esercizio  delle  prerogative   del   Pubblico
ministero». 
    2.-  In  via  preliminare,  occorre  rilevare  che  le  questioni
sollevate sono ammissibili, nonostante l'atto di  promovimento  abbia
la veste formale della sentenza (non definitiva). 
    Respinte  alcune   questioni   di   carattere   pregiudiziale   e
preliminare, la  Corte  dei  conti  rimettente  -  dopo  la  positiva
valutazione concernente la rilevanza e la non manifesta  infondatezza
delle  questioni  sollevate  -  ha  disposto   la   sospensione   del
procedimento  principale  e  la  trasmissione  del   fascicolo   alla
cancelleria di questa Corte. 
    Sicche' all'atto di promovimento, anche se assunto con  la  forma
di sentenza, deve essere riconosciuta anche natura di  ordinanza,  in
conformita' a quanto previsto dall'art. 23 della legge 11 marzo 1953,
n. 87 (Norme sulla  costituzione  e  sul  funzionamento  della  Corte
costituzionale) (ex multis, sentenze n. 128  del  2022,  n.  153  del
2020; n. 208 del 2019, n. 86 del 2017, n. 256 del 2010, n. 151  e  n.
94 del 2009 e n. 452 del 1997). 
    3.- Sempre in via preliminare, il giudice a  quo  ha  escluso  la
praticabilita'  di  un'interpretazione  costituzionalmente  orientata
della disposizione censurata, idonea a consentire, almeno  in  alcune
ipotesi, la chiamata in causa per ordine  del  giudice  perche'  cio'
sarebbe impedito dalla chiara formulazione della norma. 
    La valutazione del Collegio rimettente  e'  in  sintonia  con  la
costante giurisprudenza di questa Corte per la quale l'univoco tenore
della  disposizione  segna  il  confine  in  presenza  del  quale  il
tentativo  di  interpretazione  conforme  deve  cedere  il  passo  al
sindacato di legittimita' costituzionale (sentenze n. 150  del  2022,
n. 118 del 2020, n. 221 del 2019 e n. 83 del 2017). 
    In ogni caso, e' stato piu' volte ribadito che nelle  ipotesi  in
cui il giudice a quo abbia consapevolmente  ritenuto  che  il  tenore
della disposizione censurata impone una determinata interpretazione e
ne  impedisce  altre,  eventualmente  conformi  a  Costituzione,   la
verifica delle relative soluzioni ermeneutiche non attiene  al  piano
dell'ammissibilita', ed e' piuttosto una valutazione che riguarda  il
merito delle questioni (cosi', ex multis, sentenze n. 133  del  2019,
n. 50 e n. 118 del 2020). 
    4.- Ancora in via preliminare, occorre  vagliare  l'eccezione  di
inammissibilita' delle questioni  per  inadeguata  motivazione  sulla
rilevanza, sollevata dall'Avvocatura generale. 
    A fondamento  di  detta  eccezione,  la  difesa  dello  Stato  ha
evidenziato che il rimettente ha dedotto che il divieto  di  chiamata
in causa di terzi su ordine del giudice  sancito  dall'art.  83  cod.
giust. contabile impedirebbe un compiuto accertamento dei fatti. Tale
accertamento, invece, sarebbe ben  possibile,  anche  in  assenza  di
eventuali  compartecipi,  in  forza  degli  ampi  poteri   istruttori
riconosciuti all'autorita'  giudiziaria  dall'art.  94  del  predetto
codice. 
    Tale  eccezione,  anche  in  ragione  del   controllo   meramente
"esterno" esercitato dalla Corte sulla rilevanza (ex multis, sentenze
n. 34 e n. 19 del 2022, n. 236 e n. 183 del 2021, n. 44 del 2020 e n.
128 del 2019), non e' fondata. 
    Infatti, nel giudizio di responsabilita' erariale il  dovere  del
giudice - espresso anche dall'art. 83, comma 2, cod. giust. contabile
- di considerare, ai fini della decisione sulla  responsabilita'  del
convenuto, le condotte di tutti i soggetti che possano aver  concorso
al fatto dannoso, sebbene non  evocati  in  giudizio  dal  PM,  rende
almeno  non  manifestamente  implausibile  il  ragionamento   sotteso
all'ordinanza  di  rimessione;  cio'  che  comporta  la   sufficiente
adeguatezza della motivazione sulla rilevanza (ex multis, sentenze n.
259, n. 236, n. 207, n. 181, n. 59 e n. 32 del 2021, n. 267, n. 224 e
n. 32 del 2020). 
    Una manifesta  implausibilita'  della  motivazione  dell'atto  di
promovimento non potrebbe del resto essere predicata  neppure  avendo
riguardo  agli   ampi   poteri   istruttori   tutt'ora   riconosciuti
all'autorita'  giudiziaria  contabile  dall'art.   94   cod.   giust.
contabile, atteso  che,  in  base  alla  prospettazione  della  Corte
rimettente,  il  vulnus  principale  sarebbe  costituito   non   gia'
dall'impossibilita' di accertare compiutamente  i  fatti,  quanto  di
effettuare  detto  accertamento  nel  rispetto  del   principio   del
contraddittorio e della parita'  delle  armi  tra  tutti  i  soggetti
coinvolti. 
    5.-  All'esame  delle  questioni,  e'  opportuno  premettere  una
sintetica  ricostruzione  del   complessivo   quadro   normativo   di
riferimento nel quale si collocano le norme espresse  dai  primi  due
commi della disposizione censurata. 
    6.-  Sul  piano  sostanziale,  occorre  ricordare   che,   ancora
all'attualita',   la   responsabilita'   amministrativa   si   fonda,
essenzialmente sull'art.  82,  primo  comma,  del  regio  decreto  18
novembre 1923, n. 2440 (Nuove disposizioni  sull'amministrazione  del
patrimonio e sulla contabilita' generale  dello  Stato)  secondo  cui
«[l]'impiegato che per  azione  od  omissione,  anche  solo  colposa,
nell'esercizio delle sue  funzioni,  cagioni  danno  allo  Stato,  e'
tenuto a risarcirlo». 
    Tale responsabilita', la giurisdizione sulla quale  e'  demandata
dall'art. 103 Cost. alla Corte dei conti,  si  caratterizza  per  una
serie di aspetti peculiari rispetto alla concorrente  responsabilita'
civile    degli    stessi    agenti    pubblici     nei     confronti
dell'amministrazione  di   appartenenza,   rinveniente   il   proprio
fondamento negli artt. 28 Cost. e 22 e seguenti del d.P.R. 10 gennaio
1957, n. 3 (Testo unico delle  disposizioni  concernenti  lo  statuto
degli impiegati civili dello Stato), che impone  al  danneggiante  il
risarcimento dei pregiudizi  derivanti  a  terzi  per  effetto  della
propria condotta in forza di un illecito contrattuale (art. 1218  del
codice civile) ovvero aquiliano (art. 2043  cod.  civ.),  rimessa  al
giudice ordinario. 
    In particolare,  come  ha  gia'  sottolineato  questa  Corte,  la
responsabilita'  amministrativa  o  erariale   e'   connotata   dalla
combinazione di elementi restitutori e di deterrenza (sentenze n. 355
del 2010, n. 453 e n. 371 del 1998), cio'  che  giustifica  anche  la
possibilita' di  configurare  la  stessa  solo  in  presenza  di  una
condotta, commissiva o omissiva, imputabile al  pubblico  agente  per
dolo o colpa grave,  al  fine  precipuo  di  determinare  quanto  del
rischio dell'attivita' debba restare a carico dell'apparato e  quanto
a carico del dipendente, nella ricerca di un punto di equilibrio tale
da rendere, per dipendenti ed amministratori pubblici, la prospettiva
della responsabilita' «ragione di stimolo,  e  non  di  disincentivo»
(sentenza n. 371 del 1998). 
    In realta', l'elemento soggettivo permea l'illecito  erariale  su
un piano piu' ampio, stante l'art. 83, primo comma, dello stesso r.d.
n. 2440 del 1923, secondo  cui  la  Corte  dei  conti,  «valutate  le
singole responsabilita', puo' porre a carico dei responsabili tutto o
parte del danno accertato o del valore perduto». 
    In tale  disposizione  si  concreta  quello  che  e'  comunemente
definito il «potere riduttivo» del giudice  contabile  che  determina
una attenuazione della responsabilita'  amministrativa,  nei  singoli
casi, rimessa a un potere del giudice, che, a tal  fine,  puo'  anche
tener conto delle capacita'  economiche  del  soggetto  responsabile,
oltre che del comportamento, al livello della responsabilita'  e  del
danno effettivamente cagionato (sentenza n. 340 del 2001). 
    Vi e' dunque che,  come  ha  ancora  sottolineato  questa  Corte,
nell'ambito  della  responsabilita'  amministrativa  «l'intero  danno
subito dall'Amministrazione, ed accertato secondo il principio  delle
conseguenze dirette ed immediate del fatto dannoso, non e' di per se'
risarcibile e, come la giurisprudenza contabile ha sempre  affermato,
costituisce soltanto il presupposto per il promovimento da parte  del
pubblico ministero dell'azione di  responsabilita'  amministrativa  e
contabile. Per determinare la risarcibilita' del danno,  occorre  una
valutazione discrezionale ed equitativa  del  giudice  contabile,  il
quale, sulla base dell'intensita' della colpa, intesa come  grado  di
scostamento dalla regola che  si  doveva  seguire  nella  fattispecie
concreta, e di tutte le circostanze del caso, stabilisce quanta parte
del danno  subito  dall'Amministrazione  debba  essere  addossato  al
convenuto, e debba pertanto essere considerato risarcibile» (sentenza
n. 183 del 2007). 
    Un'altra   caratteristica   peculiare    della    responsabilita'
amministrativa, a  seguito  della  novella  operata  dalla  legge  14
gennaio 1994, n. 20  (Disposizioni  in  materia  di  giurisdizione  e
controllo della  Corte  dei  conti),  e'  la  regola  generale  della
parziarieta' della  stessa,  atteso  che,  per  un  verso,  ai  sensi
dell'art. 1, comma 1-quater, «[s]e il fatto  dannoso  e'  causato  da
piu'   persone,   la   Corte   dei   conti,   valutate   le   singole
responsabilita', condanna ciascuno per la parte che vi ha preso»,  e,
per  un  altro,  giusta  il  comma  1-quinquies,  sono   responsabili
solidalmente i soli concorrenti che abbiano  conseguito  un  illecito
arricchimento  o  abbiano  agito  con  dolo.  Anche  tale  regola  si
distingue  da  quella,  salve  diverse  previsioni  di  legge,  della
solidarieta' dell'obbligazione sul versante  passivo  operante  nella
responsabilita' civile, contrattuale ed extracontrattuale (artt. 1292
e 2055 cod. civ.). 
    Nella giurisprudenza costituzionale la differente  scelta  ancora
una volta effettuata  per  la  configurazione  della  responsabilita'
erariale  e'  stata  ritenuta  costituzionalmente  legittima  proprio
evidenziando che, per i pubblici dipendenti, la  responsabilita'  per
il danno ingiusto puo' essere  oggetto  di  discipline  differenziate
rispetto ai principi comuni in materia (sentenza n. 453 del 1998). 
    Da questi  presupposti  differenziati  per  l'affermazione  della
responsabilita' del pubblico agente  sul  piano  civile  e  contabile
deriva che l'azione di responsabilita' per  danno  erariale  promossa
dal PM dinanzi alla Corte  dei  conti  e  quella  di  responsabilita'
civile promossa dalle singole amministrazioni interessate davanti  al
giudice ordinario restano reciprocamente indipendenti,  anche  quando
investano i medesimi fatti materiali, poiche' la prima e' volta  alla
tutela dell'interesse pubblico  generale,  al  buon  andamento  della
pubblica amministrazione e al corretto impiego delle  risorse,  e  la
seconda, invece, al pieno ristoro del danno, con funzione riparatoria
e integralmente compensativa,  a  tutela  dell'interesse  particolare
della amministrazione attrice (Corte  di  cassazione,  sezioni  unite
civili, ordinanze 23 novembre 2021, n. 36205  e  7  maggio  2020,  n.
8634). 
    Cio' significa che  un  pubblico  agente  puo'  essere  convenuto
affinche' ne venga accertata la responsabilita' per entrambi i titoli
ovvero  essere  attinto  da  una  soltanto  delle  due  azioni,   non
sussistendo  i  presupposti  per  l'esercizio  di   entrambe,   senza
naturalmente che vi sia cumulo  del  danno  risarcibile,  erariale  o
civile. 
    7.- Sul versante processuale,  l'espressa  previsione,  da  parte
dell'art. 82, primo  comma,  del  r.d.  n.  2440  del  1923,  di  una
responsabilita' - pure gia' in parte elaborata  nella  giurisprudenza
della Corte dei conti - che poteva fondarsi su illeciti non collegati
con fatti di  gestione  finanziaria-contabile,  non  si  accompagno',
peraltro, almeno all'epoca e per lungo tempo, all'introduzione di  un
rito diverso da quello che gia'  regolava  la  responsabilita'  degli
agenti contabili, costituente sino a quel momento l'unico modello  di
processo contabile. 
    Il giudizio di responsabilita' amministrativa,  in  sostanza,  e'
stato in origine disciplinato "per derivazione" da quello di conto e,
sul modello di questo, avente carattere marcatamente  inquisitorio  e
permeato dalla ricerca della verita' nell'interesse  dell'erario,  si
e'  caratterizzato   per   decenni,   nella   vigenza   dell'abrogato
regolamento di procedura, di cui al regio decreto 13 agosto 1933,  n.
1038 (Approvazione del regolamento di procedura per i giudizi innanzi
alla  Corte  dei  conti),  tanto  per  la  sostanziale   assenza   di
regolamentazione della fase pre-processuale affidata  al  PM,  quanto
per gli ampi poteri cosiddetti sindacatori riconosciuti all'autorita'
giudiziaria. 
    7.1.- Per quel che maggiormente rileva ai fini  dell'esame  delle
questioni sollevate  dall'ordinanza  di  rimessione,  il  potere  del
giudice contabile di disporre la chiamata in causa  di  soggetti  non
evocati  nel  giudizio  di  responsabilita'  erariale  dal   PM   era
espressamente contemplato dall'art. 47 del r.d. n. 1038 del 1933,  il
cui secondo periodo stabiliva che  «l'intervento  puo'  essere  anche
ordinato  dalla  sezione  d'ufficio,  o  anche   su   richiesta   del
procuratore generale o di una delle parti ». 
    Tale norma era stata comunemente integrata nella prassi, ai sensi
dell'art. 26 del medesimo regio decreto - a mente  del  quale  «[n]ei
procedimenti contenziosi di  competenza  della  Corte  dei  conti  si
osservano le norme e i termini della procedura civile in quanto siano
applicabili e non siano modificati dalle  disposizioni  del  presente
regolamento» - dalla disciplina recata dall'art. 107  del  codice  di
procedura civile per l'intervento per ordine del giudice nel processo
civile. 
    Il potere del giudice di ordinare l'intervento del  terzo  quando
ritiene opportuno che il processo si svolga nei confronti di un terzo
al quale la causa e' comune ai sensi dell'art. 107 cod.  proc.  civ.,
ha plurime finalita', tra le quali, principalmente, evitare giudicati
contraddittori e attuare il principio di economia processuale (tra le
tante, Corte  di  cassazione,  sezione  seconda  civile,  sentenza  9
gennaio 2013, n. 315),  nonche'  scongiurare  che  il  terzo  subisca
l'efficacia riflessa della sentenza, contenente l'accertamento di  un
fatto al medesimo comune, con un pregiudizio significativo al diritto
di difesa derivante dalla mancata partecipazione al  giudizio  (Corte
di cassazione, sezione lavoro, 13 dicembre 1982, n. 6850). 
    Nel processo civile, peraltro, l'intervento iussu iudicis ha  una
valenza meramente residuale rispetto alle altre forme  con  le  quali
puo'  realizzarsi,  anche  al  di  fuori   di   una   situazione   di
litisconsorzio necessario, la partecipazione,  su  istanza  di  parte
(art. 106 cod. proc. civ.) o volontaria (art. 105 cod.  proc.  civ.),
di terzi nel giudizio pendente tra  altri  soggetti,  realizzando  di
conseguenza un cumulo soggettivo e questo  anche  in  fattispecie  di
litisconsorzio  facoltativo  (Corte  di  cassazione,  sezione   prima
civile, sentenza 13 marzo 2013, n. 6208). 
    7.2.- In seguito,  a  fronte  dell'estensione  del  novero  delle
garanzie del giusto processo  contemplate  dall'art.  111  Cost.,  ad
opera della legge costituzionale 23 novembre 1999, n. 2  (Inserimento
dei  principi   del   giusto   processo   nell'articolo   111   della
Costituzione), e' stata tuttavia messa in discussione, da parte della
stessa  giurisprudenza  contabile,  la  compatibilita'   del   potere
dell'autorita' giudiziaria, almeno nel  processo  di  responsabilita'
amministrativa, di ordinare la chiamata  in  causa  di  soggetti  non
evocati dal PM, con il principio dell'imparzialita' del giudice. 
    Questo indirizzo interpretativo,  inizialmente  non  univoco,  e'
divenuto maggioritario soprattutto a seguito dell'orientamento  della
sezione centrale d'appello della Corte dei  conti,  che  ha  in  piu'
occasioni ribadito, pur nella vigenza, all'epoca, dell'indicato  art.
47 del regolamento di procedura, il quale prevedeva tale  potere  del
giudice, che quest'ultimo doveva ritenersi ormai incompatibile con la
necessaria imparzialita' del  giudice  pretesa  dall'art.  111  Cost.
(Corte dei conti, sezione prima giurisdizionale  centrale  d'appello,
sentenza 13  luglio  2015,  n.  435;  sezione  terza  giurisdizionale
centrale d'appello, sentenze 21 aprile 2010, n. 316  e  30  settembre
2002, n. 300). 
    7.3.- Per altro verso non si puo' trascurare che, tuttavia, anche
dopo la citata  novella  dell'art.  111  Cost.,  questa  Corte  aveva
precisato che «gli artt. 14 e 26 del regolamento di procedura  per  i
giudizi innanzi alla Corte dei conti, approvato con il regio  decreto
13 agosto  1933,  n.  1038  -  e,  per  il  tramite  di  quest'ultima
disposizione, l'art. 210 del  codice  di  procedura  civile  -  [...]
consentono alla Corte di ordinare alle parti di produrre gli atti e i
documenti ritenuti necessari alla  decisione  della  controversia,  e
quindi di richiedere l'esibizione dell'atto di archiviazione disposto
nei confronti di  altri  soggetti,  concorrenti  nel  medesimo  fatto
produttivo di responsabilita' amministrativa: al fine,  all'esito  di
quella esibizione, non solo di ordinare, se del caso, l'intervento in
causa  dei  concorrenti   nella   causazione   del   danno   pubblico
(allargamento del contraddittorio non impedito dal fatto che la  loro
posizione  sia  stata  archiviata  dal  Procuratore  regionale,   non
formandosi   il   giudicato   con   l'archiviazione),    ma    anche,
eventualmente, di procedere ad una piu' esatta  personalizzazione  ed
individualizzazione della responsabilita' nei confronti di coloro che
sono stati citati a giudizio dal pubblico ministero, e cio' alla luce
del principio - ribadito dall'art. 1, comma 1-quater, della legge  14
gennaio 1994, n.  20  (aggiunto  dall'art.  3  del  decreto-legge  23
ottobre 1996, n. 543, nel testo integrato  dalla  relativa  legge  di
conversione) - secondo cui "se il fatto dannoso e'  causato  da  piu'
persone, la Corte dei conti,  valutate  le  singole  responsabilita',
condanna ciascuno per la parte che vi ha preso"»  (ordinanza  n.  261
del 2006). 
    8.-  Ai  fini  della  ricostruzione  del  quadro   normativo   di
riferimento, occorre considerare, poi,  che  la  norma  censurata  e'
stata emanata a fronte della  delega  contenuta  nell'art.  20  della
legge 7 agosto 2015,  n.  124  (Deleghe  al  Governo  in  materia  di
riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche), avente ad oggetto,
come precisato nel comma 1, «il riordino  e  la  ridefinizione  della
disciplina processuale concernente tutte le tipologie di giudizi  che
si  svolgono  innanzi  la  Corte  dei  conti,  compresi   i   giudizi
pensionistici, i giudizi di conto e i giudizi a istanza di parte». 
    Piu' in particolare, nell'ambito dei principi di delega  espressi
dal comma 2, lettera g), del predetto art. 20, volti a «riordinare la
fase istruttoria e dell'emissione di eventuale invito  a  dedurre  in
conformita' ai seguenti principi», si colloca  quello  stabilito  dal
numero 6), che demandava al Governo di contemplare la «preclusione in
sede di giudizio di chiamata in causa su  ordine  del  giudice  e  in
assenza di  nuovi  elementi  e  motivate  ragioni  di  soggetto  gia'
destinatario di formalizzata archiviazione». 
    In virtu' del predetto principio di delega, il Governo ha emanato
l'art.   83   cod.   giust.   contabile,   della   cui   legittimita'
costituzionale, rispetto ai primi due  commi,  dubita  la  Corte  dei
conti, sezione giurisdizionale per la Campania, con riferimento  agli
artt. 76, 3, 24, 81 e 111 Cost. 
    8.1.- In  particolare,  il  comma  1  dell'art.  83  cod.  giust.
contabile stabilisce, in termini generali, che  «[n]el  giudizio  per
responsabilita' amministrativa e' preclusa la chiamata in  causa  per
ordine del giudice». 
    Sotto  tale  profilo,  la  norma  ha  codificato   l'orientamento
affermato dalla giurisprudenza dominante della sezione centrale della
Corte dei conti ancora nella vigenza dell'art. 47 del regolamento  di
procedura, la quale aveva ritenuto, come evidenziato, specie dopo  le
modifiche operate dalla legge cost. n. 2 del 1999 all'art. 111 Cost.,
che la mancata chiamata in giudizio da parte del PM di  soggetti  nei
confronti dei quali lo stesso non avesse ritenuto  di  procedere  con
l'azione di responsabilita' non comporta la  necessaria  integrazione
del contraddittorio iussu iudicis,  ben  potendo  il  giudice,  senza
violare il principio della domanda e il  proprio  ruolo  equidistante
tra le parti, compiere un accertamento incidentale di responsabilita'
al solo scopo dell'esatta determinazione  delle  quote  di  danno  da
porre a carico dei soggetti evocati in  giudizio  (Corte  dei  conti,
sentenze n. 435 del 2015, n. 316 del 2010 e n. 300 del 2002). 
    Anche nella Relazione illustrativa  al  decreto  legislativo  del
2016 la scelta legislativa di introdurre il divieto  di  chiamata  in
giudizio per ordine del giudice  e'  stata  motivata  nel  senso  che
«[...]  costituisce  la  doverosa  cerniera   garantista   tra   fase
istruttoria  e  la  fase  del  giudizio»  e  che  «[...]   consentire
un'integrazione   del   contraddittorio   iussu   iudicis,   peraltro
"saltando" tutta la parte dell'esercizio  delle  garanzie  difensive,
sarebbe ovviamente contraria ai principi del  giusto  processo  oltre
che, [...], alla titolarita' esclusiva del potere di azione da  parte
del pubblico ministero contabile». 
    8.2.- Per altro verso, nella formulazione originaria, il comma  2
dello stesso art. 83 del predetto decreto - anch'esso oggetto,  nella
versione attuale, delle censure del giudice  rimettente  -  stabiliva
che «[q]uando il fatto dannoso costituisce ipotesi di  litisconsorzio
necessario sostanziale, tutte le parti nei cui confronti deve  essere
assunta la decisione devono essere convenute nello  stesso  processo.
Qualora alcune di esse non siano state convenute,  il  giudice  tiene
conto di tale circostanza ai fini della  determinazione  della  minor
somma da porre a carico  dei  condebitori  nei  confronti  dei  quali
pronuncia sentenza». 
    La  norma  era  apparsa   di   complessa   lettura,   stante   la
contraddittorieta' logica nel  ritenere  possibile  che  un  giudizio
prosegua sebbene non venga integrato il contraddittorio nei confronti
di litisconsorti necessari pretermessi, atteso che cio'  condurrebbe,
in spregio al fondamentale principio di economia processuale,  a  una
sentenza inutiliter data. 
    Peraltro,  il  successivo  decreto  correttivo  del   codice   di
giustizia contabile, varato  con  il  d.lgs.  n.  114  del  2019,  ha
modificato  il  censurato  comma  2  eliminando  la  possibilita'  di
disporre d'ufficio l'evocazione  in  giudizio  nelle  fattispecie  di
litisconsorzio necessario sostanziale. 
    La norma stabilisce, quindi,  nella  formulazione  attinta  dalle
censure del giudice a quo, che «[q]uando il fatto dannoso e'  causato
da piu' persone e alcune di  esse  non  sono  state  convenute  nello
stesso processo,  se  si  tratta  di  responsabilita'  parziaria,  il
giudice tiene conto di tale circostanza ai fini della  determinazione
della minor somma da porre a carico dei condebitori nei confronti dei
quali pronuncia sentenza». 
    8.3.- Va poi considerato anche il comma 3 dello  stesso  art.  83
cod. giust. contabile, secondo cui, nel processo  di  responsabilita'
amministrativa, il giudice puo' ordinare la trasmissione  degli  atti
al pubblico ministero per le valutazioni  di  competenza  «[s]oltanto
qualora nel processo emergano fatti nuovi rispetto a quelli  posti  a
base dell'atto introduttivo del giudizio [...]  senza  sospendere  il
processo». 
    Si tratta di una situazione differente da quella all'esame  della
Corte   nella   quale   il   PM   contabile,   pur   senza   disporne
l'archiviazione, aveva comunque vagliato la posizione dei  terzi  dei
quali era richiesta l'integrazione del contraddittorio. 
    In presenza di un fatto nuovo il collegio  puo'  trasmettere  gli
atti  al  PM  affinche'  valuti,  ai  fini  della   proposizione   di
un'eventuale azione di responsabilita', la posizione dei soggetti che
non aveva vagliato inizialmente. 
    Comunque, il pubblico ministero non puo' procedere nei  confronti
di  un  soggetto  gia'  destinatario  di  formale  provvedimento   di
archiviazione,  ovvero  di  soggetto  per   il   quale,   nel   corso
dell'attivita'  istruttoria  precedente  l'adozione   dell'invito   a
dedurre, sia stata valutata  l'infondatezza  del  contributo  causale
della condotta al fatto dannoso, salvo che l'elemento nuovo  consista
in  un  fatto  sopravvenuto,  ovvero  preesistente,  ma   dolosamente
occultato, e ne sussistano motivate ragioni. 
    In ogni caso - dispone il comma 4 dell'art. 83 - il PM  non  puo'
disporre la citazione a giudizio, se non previa notifica  dell'invito
a dedurre di cui all'art. 67 cod. giust. contabile. 
    9.- Tutto cio' premesso, va esaminata, per priorita'  logica,  la
questione di legittimita' costituzionale dell'art. 83, commi 1  e  2,
cod. giust. contabile sollevata in riferimento all'art. 76 Cost.,  la
quale non e' fondata. 
    10.- Il parametro interposto, per il tramite dell'art. 76  Cost.,
e' costituito dall'art. 20 della  legge  n.  124  del  2015,  che  ha
previsto la delega  per  il  riordino  della  procedura  dei  giudizi
innanzi la Corte dei conti; delega in  forza  della  quale  e'  stato
emanato il codice di giustizia contabile,  e  il  successivo  decreto
correttivo n. 114 del 2019. 
    Con specifico riferimento alla disposizione censurata dalla Corte
rimettente, per un verso, rileva in generale che il Governo sia stato
delegato ad adeguare le norme processuali all'epoca  vigenti  (quelle
del regolamento di procedura  del  1933)  alla  giurisprudenza  della
Corte costituzionale e delle giurisdizioni  superiori,  coordinandole
con le norme del codice di procedura civile, espressione di  principi
generali. 
    Per altro verso, in particolare, viene in rilievo la  lettera  g)
del comma 2 dell'art. 20 che ha contemplato il  riordino  della  fase
dell'istruttoria del PM contabile. 
    Questa  fase  muove  dalla  notizia  di  danno,  sempre  che  sia
connotata da «specificita' e concretezza», la quale attiva  i  poteri
istruttori del PM, che ha  l'attribuzione  esclusiva  dell'azione  di
responsabilita' amministrativa per danno erariale. 
    Un momento importante nella procedimentalizzazione di  tale  fase
e' l'emissione dell'invito a  dedurre  rivolto  dal  PM  al  soggetto
potenzialmente   destinatario    dell'azione    di    responsabilita'
amministrativa  per  danno  erariale  con  audizione  personale   del
medesimo, se  richiesta,  e  con  riconoscimento  della  facolta'  di
assistenza difensiva in favore di quest'ultimo. 
    L'esito  possibile   dell'attivita'   istruttoria   puo'   essere
l'esercizio dell'azione di responsabilita' da  parte  del  PM  oppure
l'adozione di un formale provvedimento di archiviazione. 
    In questo contesto regolatorio dell'attivita' del PM  si  colloca
il piu' specifico criterio  di  delega  (numero  6),  che  chiude  il
catalogo di quelli (elencati nella lettera g del  comma  2  dell'art.
20) relativi al riordino della fase istruttoria e che in  particolare
la Corte rimettente assume essere stato violato. 
    Il legislatore delegato e' stato chiamato a introdurre nel codice
la «preclusione in sede di giudizio di chiamata in  causa  su  ordine
del giudice». In riferimento a questo specifico criterio si appuntano
le censure della Corte rimettente. 
    Tale  criterio  esprime  la  scelta  del  legislatore   delegante
diretta,  da  una  parte,  a  centrare  l'esercizio  dell'azione   di
responsabilita' ammnistrativa solo ed esclusivamente  nell'iniziativa
del PM - cio' che ispira l'intero riordino dell'attivita' istruttoria
di quest'ultimo - e, d'altra parte, a superare l'assetto  precedente,
risultante in particolare dall'art. 47 del regolamento  di  procedura
del 1933, che - per com'era letto dalla  giurisprudenza  della  Corte
dei  conti  -  assegnava   al   giudice   un   potere   sindacatorio,
sostanzialmente  correttivo  dell'azione  del   pubblico   ministero,
mediante l'ordine, a lui rivolto, di chiamare in  giudizio  un  terzo
perche' rispondesse del medesimo danno erariale. 
    L'espressa esclusione, contenuta nel criterio  di  delega,  della
chiamata in giudizio, su ordine del giudice, del terzo potenzialmente
corresponsabile,  ma  non  convenuto  in  giudizio  dal  PM,  supera,
infatti, la previsione dell'indicato art. 47 che per lungo  tempo  ha
governato  i  poteri   officiosi   del   giudice   nei   giudizi   di
responsabilita'  amministrativa  per  danno  erariale.  Il  comma   1
dell'art.  83   cod.   giust.   contabile   -   sia   nell'originaria
formulazione, che contemplava  un  vero  e  proprio  divieto  per  il
giudice, sia in quella introdotta dal decreto  correttivo,  che  piu'
propriamente parla di una preclusione - riproduce questa scelta. 
    La preclusione della «chiamata in causa su ordine  del  giudice»,
di cui al criterio di delega  in  esame,  piu'  non  consente  quanto
disponeva l'art. 47, secondo cui, invece, «[l]'intervento puo' essere
anche ordinato dalla sezione, d'ufficio». 
    11.- Le censure della Corte rimettente si muovono lungo  distinte
direttrici argomentative e si articolano in plurimi profili. 
    Innanzi tutto non puo' dirsi che il  legislatore  delegato  abbia
operato in difformita' alla  giurisprudenza  costituzionale,  si'  da
violare - come assume la  Corte  rimettente  -  il  (gia'  ricordato)
criterio generale che richiedeva l'adeguamento a quest'ultima. 
    E' vero che questa Corte, con l'ordinanza n. 261  del  2006,  nel
dichiarare la manifesta inammissibilita' della sollevata questione di
legittimita' costituzionale, aveva  dato  atto  del  diverso  assetto
risultante  dall'applicazione  dell'art.  47,  affermando  che   esso
consentiva  al  giudice  di  ordinare  «l'intervento  in  causa   dei
concorrenti nella causazione del  danno  pubblico  (allargamento  del
contraddittorio non impedito dal fatto  che  la  loro  posizione  sia
stata  archiviata  dal  Procuratore  regionale,  non  formandosi   il
giudicato con l'archiviazione)»; cio' al fine «di  procedere  ad  una
piu'   esatta   personalizzazione   ed   individualizzazione    della
responsabilita' nei confronti di  coloro  che  sono  stati  citati  a
giudizio dal pubblico ministero». 
    In tal modo, la mancanza  di  un  controllo  giurisdizionale  sul
provvedimento  di  archiviazione   del   PM   trovava   un   parziale
riequilibrio  nel  potere  sindacatorio  del  giudice,  che   poteva,
d'ufficio, allargare il contraddittorio anche nei  confronti  di  chi
non   era   stato   destinatario   dell'azione   di   responsabilita'
amministrativa. 
    Si  tratta,  pero',  di  un  modulo   processuale   datato,   non
coessenziale  alla   peculiarita'   dello   specifico   giudizio   di
responsabilita' amministrativa per danno erariale e anzi destinato  a
essere   rivisto   in   ragione   dell'avvenuta   esplicitazione   in
Costituzione del  principio  di  terzieta'  del  giudice  (art.  111,
secondo comma, Cost.), come del resto, gia'  prima  dell'introduzione
del nuovo codice  di  rito,  veniva  affermandosi  nel  piu'  recente
orientamento della giurisprudenza della Corte dei conti. 
    L'esercizio dei pur ampi poteri officiosi del  giudice  non  puo'
comportare  l'estensione  soggettiva,  iussu   iudicis,   dell'azione
promossa dal PM,  che  ne  ha  la  piena  disponibilita'  secondo  un
criterio  di  esclusivita',  quale  proiezione  del  principio  della
domanda, tipico dell'ordinario codice di rito  (art.  99  cod.  proc.
civ.); principio  che  peraltro  e'  espressamente  richiamato  dallo
stesso codice di giustizia contabile (art. 7, comma 2). 
    Questa  Corte  ha  affermato,  in  generale,  che  «[i]l   nostro
ordinamento processuale civile e', sia pure in  linea  tendenziale  e
non senza qualche eccezione, ispirato dal principio ne procedat judex
ex officio (sentenza n. 123 del 1970), cosi' da escludere che in capo
all'organo giudicante siano allocati anche  significativi  poteri  di
impulso processuale» (sentenza n. 184 del 2013). 
    La Corte dei conti in sede giurisdizionale, se da una  parte  non
e' vincolata al provvedimento di archiviazione del  PM,  che  non  ha
natura  giurisdizionale,  dall'altra   non   puo'   determinare   (od
orientare) l'iniziativa di quest'ultimo, ne'  supplire  all'eventuale
mancato esercizio dell'azione. 
    Ed e' proprio cio' che ha voluto  il  legislatore  delegante  nel
disegnare un nuovo equilibrio  tra  PM  e  giudice  nel  giudizio  di
responsabilita'; mentre - puo' rilevarsi marginalmente - nel giudizio
pensionistico, dove non c'e' l'attribuzione esclusiva dell'azione  al
pubblico ministero, e' valorizzato l'interesse del terzo «ad  opporsi
al  ricorso»,  che  attiva  il  potere  del   giudice   di   ordinare
l'integrazione del  contraddittorio  (art.  160-bis,  comma  1,  cod.
giust. contabile). 
    In  coerente  applicazione  di  questo  criterio  di  delega,  il
legislatore delegato ha posto la generale preclusione  dell'art.  83,
comma 1, nella formulazione del decreto  correttivo  del  2019:  «Nel
giudizio per responsabilita' amministrativa e' preclusa  la  chiamata
in causa per ordine del giudice». 
    12.-  Il  criterio  di  delega  non  e'  violato  neppure   sotto
l'ulteriore profilo che la preclusione alla chiamata  del  terzo  per
ordine del giudice non e' condizionata  all'intervenuta  adozione  di
provvedimento di archiviazione che solo - nella prospettazione  della
Corte rimettente - lo metterebbe al riparo dall'iniziativa  officiosa
del giudice, in passato invece possibile (ordinanza n. 261 del  2006;
sentenza n. 415 del 1995). 
    E' vero che il suddetto criterio di delega - quello del numero 6)
della lettera g) del comma 2 dell'art. 20  citato,  che  preclude  la
chiamata officiosa del terzo -  prosegue:  «e  in  assenza  di  nuovi
elementi  e  motivate  ragioni  di  soggetto  gia'  destinatario   di
formalizzata archiviazione». 
    Pero' la congiunzione coordinativa che lega le  due  proposizioni
del criterio non pone una  condizione  limitativa  della  preclusione
della  chiamata   officiosa   del   terzo,   bensi'   introduce   una
specificazione parallela del criterio, che poi ha trovato  attuazione
nel comma 3 dell'art. 83. 
    Una volta intervenuto un provvedimento formale di  archiviazione,
non solo non e' possibile  la  chiamata  del  terzo  per  ordine  del
giudice, ma la posizione del terzo diventa  immune  e  schermata  dal
provvedimento, pur trattandosi di una preclusione processuale  e  non
gia' di un giudicato sostanziale favorevole. 
    La regola generale e'  che  «[i]l  pubblico  ministero  non  puo'
comunque procedere nei confronti di  soggetto  gia'  destinatario  di
formale provvedimento di archiviazione», sempre che non si tratti  di
«fatti nuovi rispetto a quelli posti a  base  dell'atto  introduttivo
del giudizio». Tale e' il «fatto sopravvenuto,  ovvero  preesistente,
ma  dolosamente  occultato»,  sempre  che  «ne  sussistano   motivate
ragioni» (art. 83, comma 3). 
    In base alla medesima disposizione,  il  giudice  che  rilevi  la
sussistenza   di   «fatti   nuovi»,   tali   da   far   ritenere   la
corresponsabilita' di un terzo, non  convenuto  in  giudizio,  ha  un
potere officioso (non gia' di chiamata in giudizio del terzo, bensi')
di "segnalazione"  al  pubblico  ministero:  «il  giudice  ordina  la
trasmissione degli atti al pubblico ministero per le  valutazioni  di
competenza». 
    In definitiva l'art. 83, nella cadenza dei suoi commi, detta  una
disciplina organica e pienamente coerente con il criterio di  delega:
a) in generale - ossia in alcun caso - non e' possibile  la  chiamata
officiosa in giudizio del terzo,  quand'anche  ritenuto  dal  giudice
corresponsabile del danno erariale (comma 1); b) l'apporto  causativo
del danno erariale ad opera del terzo puo' venire in rilievo solo per
dimensionare e quindi ridurre la responsabilita' di chi e'  convenuto
in giudizio per iniziativa del PM (comma  2);  c)  la  posizione  del
terzo puo' essere rimessa in gioco a seguito  di  "segnalazione"  del
giudice, sul presupposto della sussistenza di «fatti nuovi», ma  solo
per iniziativa del PM (comma 3) e  nel  rispetto  della  fondamentale
garanzia del previo invito, al terzo, a dedurre e discolparsi  (comma
4). 
    13.- Infine, il criterio di delega non e' violato  neppure  sotto
il profilo della portata generale della  preclusione  della  chiamata
del terzo per ordine del giudice, tale non solo da superare il regime
di cui all'art. 47 del regolamento di procedura del 1933, ma anche da
non lasciare spazio al parallelo intervento per ordine del giudice di
cui all'art. 107 cod. proc. civ. 
    La Corte rimettente assume che il  legislatore  delegato  sarebbe
andato oltre il criterio di delega perche' in tal modo  non  solo  e'
risultata non piu' applicabile la chiamata del terzo per  ordine  del
giudice, di cui all'art. 47 citato, ma anche l'intervento  del  terzo
per  ordine  del  giudice  di  cui  all'art.  107  cod.  proc.  civ.,
disposizione in tesi applicabile  per  il  tramite  della  richiamata
norma di rinvio (art. 7 cod. giust. contabile) alle  disposizioni  di
quel codice di rito, quale modello generale di riferimento. 
    In effetti, la portata testuale della preclusione non consente di
operare alcuna distinzione e quindi correttamente la Corte rimettente
assume che l'art. 107 cod. proc. civ., astrattamente  applicabile  ex
art. 7 cod. giust. contabile, in  quanto  riconducibile  ai  principi
generali del processo civile, vede sbarrato l'ingresso  nel  giudizio
di responsabilita' proprio dalla disposizione censurata. 
    In vero, c'e' una netta differenza tra la chiamata per ordine del
giudice ex art. 47 citato, che - per come e' stato interpretato dalla
giurisprudenza   -    comportava    l'estensione    dell'azione    di
responsabilita' amministrativa al terzo chiamato, e l'intervento  per
ordine del giudice ai sensi  dell'art.  107  cod.  proc.  civ.,  che,
veicolato peraltro da una valutazione  di  "opportunita'"  fatta  dal
giudice stesso, lascia invece inalterati i presupposti  soggettivi  e
oggettivi   della    domanda,    determinando    solo    l'estensione
dell'efficacia soggettiva  dell'accertamento  (Corte  di  cassazione,
sezione lavoro, sentenza 10 agosto 1996, n. 7436), salvo che non  sia
la parte attrice ad estendere la domanda al terzo chiamato. 
    Non  di  meno  c'e'  da   considerare   che   nel   giudizio   di
responsabilita' per  danno  erariale  l'ordine  del  giudice  sarebbe
diretto al PM, che dovrebbe notificare al terzo  l'atto  introduttivo
del giudizio, sicche' sarebbe  pressoche'  ineluttabile  che  ci  sia
anche  l'estensione  al  terzo  della  domanda  risarcitoria,   cosi'
riproponendosi, per altra via, il modello  processuale  dell'art.  47
del regolamento di procedura del 1933 che  il  legislatore  delegante
chiaramente ha voluto superare. 
    Cio'  rende  coerente  -  sul  piano  dell'art.  76  Cost.  -  la
disposizione censurata al criterio direttivo e giustifica  l'ampiezza
della preclusione posta dal comma 1 dell'art. 83, che non fa salva  -
come invece vorrebbe la Corte rimettente -  neppure  la  possibilita'
dell'intervento per ordine del giudice ai sensi  dell'art.  107  cod.
proc. civ. In nessun caso  il  giudice  puo'  d'ufficio  chiamare  in
giudizio un terzo, o ordinarne l'intervento, sull'assunto di una  sua
corresponsabilita' nella causazione del danno  erariale.  Puo'  solo,
d'ufficio, segnalare al PM «fatti nuovi» che coinvolgano il  terzo  e
comunque puo' tener conto dell'apporto del terzo alla causazione  del
danno erariale al fine di diminuire (o escludere) la responsabilita',
non  solidale,  dei  soggetti  convenuti  in  giudizio  dal  pubblico
ministero. 
    14.- In conclusione, non sussiste il denunciato eccesso di delega
sotto alcuno degli esaminati profili. 
    15.- Le ulteriori questioni poste con riferimento agli  artt.  3,
24 e 111 Cost., che possono essere trattate congiuntamente in  quanto
strettamente connesse, sono invece inammissibili. 
    16.-  Il  filo  conduttore  delle  censure  mosse   dalla   Corte
rimettente e' quello di un denunciato deficit di tutela del terzo, il
quale - come si e' detto - in nessun caso  puo'  essere  chiamato  in
giudizio per iniziativa officiosa del giudice,  ma  non  di  meno  e'
interessato all'accertamento, che il giudice e' chiamato a  compiere,
nel  momento  in  cui   il   giudice   stesso   prefigura   una   sua
responsabilita' concorrente  nella  causazione  del  danno  erariale,
seppur al solo fine di dimensionare la responsabilita'  parziaria  di
ciascun convenuto in giudizio, destinatario dell'azione promossa  dal
PM. 
    Questa denunciata carenza di tutela - secondo la Corte rimettente
-  ridonderebbe,  al  contempo,  in  violazione  del   principio   di
eguaglianza (perche', «quando il fatto dannoso  e'  causato  da  piu'
persone ed alcune di esse  non  sono  state  convenute  nello  stesso
processo»,  queste  ultime  si   troverebbero   in   una   situazione
processualmente deteriore non potendo interloquire in  giudizio);  vi
sarebbe inoltre lesione del diritto di difesa (perche' la persona, la
cui condotta e' valutata in quanto causativa di danno  erariale,  non
avrebbe la possibilita' di discolparsi e di far sentire la sua voce);
sussisterebbe infine contrasto con il principio del  giusto  processo
(per  l'ingiustificata  asimmetria  che  connoterebbe   un   siffatto
giudizio). 
    17.- Orbene, se la ipotizzata corresponsabilita' del terzo deriva
da «fatti nuovi» e tali sono quelli che eccedono  i  fatti  «posti  a
base dell'atto introduttivo del giudizio», il terzo  in  realta'  non
rimane estraneo, perche' cio' attiva il potere officioso del  giudice
di segnalazione al PM, di cui si e' detto sopra. 
    In tale evenienza, il coinvolgimento del terzo, perche'  risponda
del  danno  erariale  cagionato  ad  una  pubblica   amministrazione,
richiede l'iniziativa del pubblico ministero, titolare del potere  di
azione, nel rispetto delle garanzie procedimentali dell'istruttoria e
segnatamente dell'invito a dedurre, di cui all'art.  67  cod.  giust.
contabile, che consente al terzo di discolparsi. 
    Il giudice,  nell'investire  il  PM  con  la  segnalazione  della
posizione del terzo, non  sospende  il  giudizio  fin  tanto  che  il
pubblico ministero non  adotti  le  valutazioni  di  sua  competenza.
Successivamente, ove sia esercitata l'azione anche nei confronti  del
terzo, sara' possibile la riunione dei giudizi ai sensi dell'art.  84
cod. giust. contabile. 
    18.- Se invece la ipotizzata  corresponsabilita'  del  terzo  non
derivi da «fatti nuovi», ma da un diverso apprezzamento da parte  del
giudice di fatti gia' valutati dal PM - sia  che  quest'ultimo  abbia
adottato un formale provvedimento di  archiviazione,  sia  anche  che
egli abbia soltanto valutato l'infondatezza  del  contributo  causale
della condotta del terzo al fatto dannoso - la struttura del giudizio
di  responsabilita',  esaminata,  giustifica  -  per   quanto   sopra
argomentato - che il terzo non possa essere chiamato, per ordine  del
giudice, a  intervenire  in  giudizio.  Cio'  essenzialmente  perche'
significherebbe un'inammissibile estensione officiosa  della  domanda
del pubblico ministero, in violazione del principio  di  attribuzione
esclusiva a quest'ultimo dell'azione di responsabilita'  e  senza  la
garanzia,  per  il  terzo,  di  una  previa  formale  istruttoria   e
soprattutto senza il previo invito, a quest'ultimo,  a  dedurre  e  a
discolparsi. 
    Pero', da una parte, c'e' che  il  terzo  non  e'  estraneo  alla
vicenda, oggetto del giudizio, nella misura in cui si  ragiona  anche
del suo apporto causale nel cagionare il danno erariale. Benche'  sia
preclusa l'azione di responsabilita' nei suoi  confronti,  stante  la
gia' effettuata valutazione  "assolutoria"  del  pubblico  ministero,
soprattutto  se  trasfusa  in  un  provvedimento  di   archiviazione,
comunque sarebbe per il terzo pregiudizievole, anche sotto il profilo
dell'immagine, una pronuncia del giudice, il quale, sulla base di  un
diverso  apprezzamento  dei  fatti  (non  essendo,  certamente,  egli
vincolato alle valutazioni del PM), riducesse (o finanche escludesse)
la responsabilita' dei soggetti convenuti in  giudizio  dal  pubblico
ministero per essere tale responsabilita', nella causazione del danno
erariale, ascrivibile in parte (o in tutto) al terzo. 
    D'altra parte, c'e'  anche  che,  nella  particolare  fattispecie
della responsabilita' amministrativa per  danno  erariale,  il  terzo
rimane  non  di  meno  esposto,  ricorrendone  i  presupposti,   alla
eventualita' della domanda risarcitoria della PA danneggiata, la  cui
iniziativa giudiziaria non sarebbe preclusa,  in  tesi,  dal  mancato
esercizio dell'azione del PM, ove anche cio' si fosse tradotto in  un
formale   provvedimento   di   archiviazione.    La    legittimazione
"concorrente"  (o  "colegittimazione"),  del  pubblico  ministero   e
dell'amministrazione  creditrice,  ad  agire   davanti   a   distinte
giurisdizioni per la tutela del  credito,  sub  specie  di  possibile
danno erariale o civile, e' stata riconosciuta  dalla  giurisprudenza
(Corte di cassazione, sezioni unite  civili,  ordinanze  10  dicembre
2020, n. 28183 e 19 luglio 2016, n. 14792). 
    Il caso del giudizio a quo e' emblematico: ove  la  Corte,  adita
dal pubblico ministero contabile, ritenesse che il danno erariale  e'
stato causato anche (o solo) da chi aveva in carico - per concessione
o affidamento del servizio - la riscossione dei canoni locatizi degli
immobili del Comune, ben potrebbe il Comune danneggiato  far  valere,
in un distinto e diverso giudizio ordinario, come tale non  ricadente
nella giurisdizione della Corte dei conti, l'inadempimento  colpevole
del terzo rispetto alle obbligazioni assunte. 
    Pertanto, sotto entrambi questi profili, non e' indifferente  per
il  terzo  che  il  giudice,  in   ipotesi,   per   giustificare   il
ridimensionamento  della   responsabilita'   parziaria   di   ciascun
convenuto, o  addirittura  la  ritenuta  insussistenza  di  ogni  sua
responsabilita',  faccia  riferimento  all'apporto   (concorrente   o
finanche esclusivo) del  terzo  stesso  nella  causazione  del  danno
erariale. 
    Ma - una volta esclusi, sia la chiamata (ex art. 47 citato, ormai
abrogato), sia l'intervento (ex art. 107  cod.  proc.  civ.,  per  la
preclusione posta dalla disposizione censurata) in giudizio del terzo
per ordine del giudice (per le ragioni sopra  esaminate)  -rimarrebbe
l'ipotesi di un'iniziativa volontaria del  terzo  stesso;  la  quale,
pero', implica la  costruzione  di  una  fattispecie  processuale  di
intervento in giudizio del terzo e, prima ancora, di una  ipotesi  di
segnalazione a quest'ultimo (denuntiatio litis), ad opera del giudice
stesso, in parallelismo alla gia' prevista  segnalazione  al  PM  dei
«fatti nuovi», perche' il terzo sia posto in condizione di  conoscere
della controversia e di valutare le  iniziative  da  prendere  a  sua
tutela. 
    Queste, pero', sono scelte di sistema, che vedono nel  codice  di
giustizia  contabile  solo  una  traccia,  non  sufficiente  per   un
intervento additivo di questa Corte: nel giudizio di  responsabilita'
e' previsto l'intervento volontario di un terzo, ma solo in  adesione
alla posizione del pubblico  ministero  (art.  85),  e  nel  giudizio
pensionistico vi e' un'ipotesi di denuntiatio litis, ma solo in grado
di impugnazione  (art.  183,  comma  3,  cod.  giust.  contabile,  in
simmetria con la denuntiatio litis di cui all'art. 332, primo  comma,
cod. proc. civ.). 
    Sono, in definitiva, scelte devolute  al  legislatore,  il  quale
«dispone  di  un'ampia  discrezionalita'  nella  conformazione  degli
istituti processuali, incontrando  il  solo  limite  della  manifesta
irragionevolezza o arbitrarieta' delle scelte compiute» (sentenza  n.
58 del 2020); scelte, pertanto, precluse a questa Corte (ex plurimis,
sentenze n. 143 e n. 13 del 2022, n. 213, n. 148 e n. 87 del  2021  e
n. 80 del 2020). 
    Ne deriva, quindi, l'inammissibilita' delle esaminate questioni. 
    Tuttavia,  il  denunciato  deficit  di  tutela  del  terzo,   non
convenuto e il cui intervento in giudizio non  puo'  essere  ordinato
dal giudice,  ne'  aversi  su  base  volontaria  senza  aderire  alla
posizione del PM, chiama il legislatore a intervenire  nella  materia
compiendo le  scelte  discrezionali  ad  esso  demandate,  quando  si
discuta nel processo  della  concorrente  responsabilita'  del  terzo
stesso, pur se  al  fine  di  accertare  l'eventuale  responsabilita'
parziaria dei soggetti convenuti in causa. 
    19.- Non fondata e' infine la  dedotta  violazione  dell'art.  81
Cost., sotto il profilo di una possibile mancata integrale  copertura
del danno erariale. 
    Il sistema, come sopra descritto, comporta che  l'iniziativa  per
far valere la responsabilita' amministrativa, al fine  di  conseguire
il risarcimento del danno erariale, e' attribuita  esclusivamente  al
PM contabile. 
    L'evenienza che il giudice ritenga la concorrente  (o  esclusiva)
responsabilita' di un terzo, non evocato  in  giudizio  dal  pubblico
ministero, appartiene all'ordinaria alea  della  controversia  ed  e'
compatibile con l'assetto processuale del giudizio di responsabilita'
voluto dal legislatore delegante,  in  ragione  delle  argomentazioni
sopra sviluppate, anche quando cio'  comporta,  in  applicazione  del
criterio della parziarieta' della responsabilita', una  riduzione  (o
finanche esclusione) della risarcibilita' del danno erariale da parte
dei soggetti convenuti, destinatari dell'azione del PM. 
    Ma cio' non determina alcun vulnus  al  parametro  evocato  dalla
Corte  rimettente,  atteso  che   la   tendenziale   integrita'   del
risarcimento del danno erariale, subito dalla PA, e'  assicurata,  in
principio, proprio dall'ampiezza dell'azione del pubblico  ministero,
integrata  anche,  in  ipotesi,  dalla  segnalazione,  ad  opera  del
giudice, di «fatti nuovi». 
    Residualmente  poi  -  come  gia'  rilevato  -  rimane,  ove   ne
sussistano i presupposti, l'azione risarcitoria  ordinaria  della  PA
danneggiata. 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    1)  dichiara   inammissibili   le   questioni   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 83, commi 1 e 2, dell'Allegato 1 (Codice  di
giustizia contabile) al decreto legislativo 26 agosto  2016,  n.  174
(Codice di giustizia contabile, adottato ai  sensi  dell'articolo  20
della legge 7 agosto 2015, n. 124), come modificato dall'art. 44  del
decreto legislativo 7 ottobre 2019, n. 114 (Disposizioni  integrative
e correttive al decreto legislativo 26 agosto 2016, n.  174,  recante
codice di giustizia contabile, adottato  ai  sensi  dell'articolo  20
della legge 7 agosto 2015, n. 124), sollevate,  in  riferimento  agli
artt. 3, 24 e 111 della Costituzione, dalla Corte dei conti,  sezione
giurisdizionale  per  la  Campania,  con  l'ordinanza   indicata   in
epigrafe; 
    2)  dichiara   non   fondate   le   questioni   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 83, commi 1 e 2, cod. giust. contabile, come
modificato dall'art. 44 del d.lgs. n. 114  del  2019,  sollevate,  in
riferimento agli artt. 76 e 81 Cost., dalla Corte dei conti,  sezione
giurisdizionale  per  la  Campania,  con  l'ordinanza   indicata   in
epigrafe. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 7 luglio 2022. 
 
                                F.to: 
                     Giuliano AMATO, Presidente 
                     Giovanni AMOROSO, Redattore 
             Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria 
 
    Depositata in Cancelleria il 28 luglio 2022. 
 
                   Il Direttore della Cancelleria 
                        F.to: Roberto MILANA