La Corte Costituzionale, che già in passato ha escluso che la inapplicabilità dei riti alternativi nel procedimento davanti al giudice di pace sia in contrasto con la Costituzione, affronta nuovamente la questione.
Decisione: Ordinanza n. 50/2016 Corte Costituzionale
Il caso.
Il giudice di pace di Termini Imerese, a seguito della richiesta di applicazione della pena ai sensi dell’art. 444 codice di procedura penale avanzata nella prima udienza di trattazione dal difensore dell’imputato per il delitto di lesioni personali colpose, ha sollevato la questione di legittimità costituzionale dell’art. 2, Decreto Legislativo n. 274/2000 in relazione agli artt. 3 e 24 della Costituzione, nella parte in cui esclude l’applicazione del cd. “patteggiamento” nel procedimento penale davanti al giudice di pace.
La decisione.
Nell’ordinanza con cui ha sollevato la questione di legittimità costituzionale, il giudice di pace evidenzia, tra gli altri punti, «(…) che la violazione dei principi di ragionevolezza e di eguaglianza (art. 3 Cost.) risulterebbe, d’altronde, evidente ove si consideri che nei casi in cui i reati di competenza del giudice di pace sono giudicati dal tribunale per ragioni di connessione, l’imputato può accedere ai riti alternativi, compreso il “patteggiamento”, e fruire quindi dei relativi benefici sul piano sanzionatorio: con l’illogica conseguenza che per fatti più gravi l’interessato potrebbe ottenere una pena più mite; che, d’altra parte, per le pene irrogate dal giudice di pace non è ammessa la sospensione condizionale, beneficio al quale possono invece accedere gli imputati giudicati dal tribunale: donde un ulteriore profilo di contrasto con l’art. 3 Cost.; che sarebbe violato, inoltre, l’art. 24 Cost., in quanto, «pur rimanendo identici gli elementi sia soggettivi che oggettivi del reato», il diritto di difesa dell’imputato, del quale la scelta dei riti alternativi è espressione, risulterebbe menomato dall’essere il reato devoluto alla competenza del giudice di pace, anziché del tribunale; (…)»
La Corte Costituzionale, dapprima ha ricordato che «questa Corte ha già reiteratamente escluso che l’inapplicabilità dei riti alternativi – e, in particolare, del “patteggiamento” – nel procedimento davanti al giudice di pace, stabilita dall’art. 2, comma 1, del d.lgs. n. 274 del 2000, possa reputarsi in contrasto con gli artt. 3 e 24 Cost., dichiarando manifestamente infondate le questioni di legittimità costituzionale al riguardo sollevate (ordinanze n. 28 del 2007, n. 312 e n. 228 del 2005);».
E conclude affermando che la questione va dichiarata manifestamente infondata anche sulla base delle seguenti considerazioni:
– che il d.lgs. n. 274 del 2000 contempla, infatti, forme alternative di definizione, non previste dal codice di procedura penale, le quali si innestano in un procedimento connotato, già di per sé, da un’accentuata semplificazione e concernente reati di minore gravità, con un apparato sanzionatorio del tutto autonomo: procedimento nel quale il giudice deve inoltre favorire la conciliazione tra le parti (artt. 2, comma 2, e 29, commi 4 e 5), e in cui la citazione a giudizio può avvenire anche su ricorso della persona offesa (art. 21);
– che, in particolare, l’istituto del patteggiamento mal si concilierebbe con il costante coinvolgimento della persona offesa nel procedimento, anche in rapporto alle forme alternative di definizione (artt. 34, comma 2, e 35, commi 1 e 5, del d.lgs. n. 274 del 2000);
– che, di conseguenza, «le caratteristiche del procedimento davanti al giudice di pace consentono di ritenere che l’esclusione dell’applicabilità dei riti alternativi sia frutto di una scelta non irragionevole del legislatore […], comunque tale da non determinare una ingiustificata disparità di trattamento», impedendo altresì di ravvisare in essa una violazione del diritto di difesa (ordinanze n. 28 del 2007 e n. 228 del 2005);
– che tali conclusioni non sono inficiate dal rilievo che, nel caso di connessione tra procedimenti di competenza del giudice di pace e procedimenti di competenza di altro giudice – connessione circoscritta, peraltro, dall’art. 6 del d.lgs. n. 274 del 2000 alla sola ipotesi del concorso formale di reati – è consentito il ricorso al “patteggiamento” anche per i reati attratti nella competenza del giudice superiore;
– che, infatti, le situazioni poste a raffronto «sono tra loro affatto diverse e non possono essere oggetto di comparazione al fine del giudizio di costituzionalità» (ordinanza n. 228 del 2005);
– che inconferente risulta, infine, il riferimento dell’odierno rimettente al fatto che, nel caso in cui il reato di competenza del giudice di pace sia giudicato dal tribunale per ragioni di connessione, l’imputato possa beneficiare, oltre che del “patteggiamento”, anche della sospensione condizionale della pena, diversamente che nell’ipotesi in cui il reato fosse giudicato dal giudice onorario;
– che, a prescindere da ogni altro possibile rilievo, è sufficiente rilevare che la disparità di trattamento ora indicata non deriverebbe comunque dalla norma sottoposta a scrutinio, ma dalla distinta disposizione – l’art. 60 del d.lgs. n. 274 del 2000 – che rende inapplicabile l’istituto della sospensione condizionale alle pene inflitte dal giudice di pace (disposizione ritenuta, peraltro, anch’essa non in contrasto con l’art. 3 Cost. da questa Corte: sentenza n. 47 del 2014);
Osservazioni.
Per la Corte Costituzionale, le caratteristiche del procedimento davanti al giudice di pace sono il frutto di scelte non irragionevoli del legislatore che non determinano una ingiustificata disparità di trattamento, né una violazione del diritto di difesa; le situazioni del procedimento di competenza del giudice di pace e di procedimenti di competenza di altro giudice sono diverse e non possono essere oggetto di comparazione al fine del giudizio di costituzionalità (Ordinanza n. 228/2005).
Disposizioni rilevanti.
Costituzione Italiana
Art. 3
Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.
E’ compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.
Art. 24.
Tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi.
La difesa e’ diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento.
Sono assicurati ai non abbienti, con appositi istituti, i mezzi per agire e difendersi davanti ad ogni giurisdizione.
La legge determina le condizioni e i modi per la riparazione degli errori giudiziari.
DECRETO LEGISLATIVO 28 agosto 2000, n. 274
Disposizioni sulla competenza penale del giudice di pace
Art. 2 – Principi generali del procedimento davanti al giudice di pace
1. Nel procedimento davanti al giudice di pace, per tutto ciò che non è previsto dal presente decreto, si osservano, in quanto applicabili, le norme contenute nel codice di procedura penale e nei titoli I e II del decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271, ad eccezione delle disposizioni relative:
a) all’incidente probatorio;
b) all’arresto in flagranza e al fermo di indiziato di delitto;
c) alle misure cautelari personali;
d) alla proroga del termine per le indagini;
e) all’udienza preliminare;
f) al giudizio abbreviato;
g) all’applicazione della pena su richiesta;
h) al giudizio direttissimo;
i) al giudizio immediato;
l) al decreto penale di condanna.
2. Nel corso del procedimento, il giudice di pace deve favorire, per quanto possibile, la conciliazione tra le parti.