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Gioco e scommesse, contrasto alla ludopatia: illegittimita’ della sanzione fissa per violazione obblighi informativi. – QUOTIDIANO LEGALE
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Gioco e scommesse, contrasto alla ludopatia: illegittimita’ della sanzione fissa per violazione obblighi informativi.

 

Contrasto alla ludopatia: illegittimita’ della sanzione fissa per violazione obblighi informativi.

CORTE COSTITUZIONALE  10 giugno – 23 settembre 2021 SENTENZA N. 185

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Gioco e scommesse - Misure di contrasto alla ludopatia -  Obblighi  a
  carattere informativo sul rischio di dipendenza da gioco  d'azzardo
  - Inosservanza da parte del soggetto  titolare  della  sala  o  del
  punto di raccolta o di vendita dei giochi - Sanzione amministrativa
  pecuniaria pari a cinquantamila euro - Violazione dei  principi  di
  uguaglianza e di ragionevolezza nonche' lesione del diritto,  anche
  convenzionale,   di    proprieta'    privata    -    Illegittimita'
  costituzionale. 
- Decreto-legge  13  settembre  2012,   n.   158,   convertito,   con
  modificazioni, nella legge 8 novembre 2012, n. 189, art.  7,  comma
  6, secondo periodo. 
- Costituzione, artt. 3,  41  e  42,  117,  primo  comma;  Protocollo
  addizionale  alla  Convenzione  europea  per  la  salvaguardia  dei
  diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, art. 1; Carta  dei
  diritti fondamentali dell'Unione europea, artt. 16 e 17. 

(GU n.39 del 29-9-2021 )

  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Giancarlo CORAGGIO; 
Giudici :Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria  de  PRETIS,  Nicolo'
  ZANON,  Franco  MODUGNO,  Giulio  PROSPERETTI,  Giovanni   AMOROSO,
  Francesco VIGANO', Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo  BUSCEMA,
  Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 7, comma 6,
del decreto-legge 13 settembre 2012, n. 158 (Disposizioni urgenti per
promuovere lo sviluppo del Paese mediante un  piu'  alto  livello  di
tutela della salute), convertito, con modificazioni,  nella  legge  8
novembre 2012, n. 189, promosso dal Tribunale ordinario  di  Trapani,
nel procedimento vertente tra A. T. e l'Agenzia delle  dogane  e  dei
monopoli - Ufficio dei monopoli per la Sicilia, con ordinanza del  27
novembre 2019, iscritta al  n.  69  del  registro  ordinanze  2020  e
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della  Repubblica  n.  26,  prima
serie speciale, dell'anno 2020. 
    Visto l'atto di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito nella camera di consiglio del  9  giugno  2021  il  Giudice
relatore Franco Modugno; 
    deliberato nella camera di consiglio del 10 giugno 2021. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ordinanza del 27 novembre 2019, il Tribunale ordinario di
Trapani  ha  sollevato  questioni  di   legittimita'   costituzionale
dell'art. 7, comma 6, del decreto-legge 13  settembre  2012,  n.  158
(Disposizioni urgenti per promuovere lo sviluppo del  Paese  mediante
un piu'  alto  livello  di  tutela  della  salute),  convertito,  con
modificazioni, nella legge 8 novembre 2012, n. 189,  nella  parte  in
cui, al secondo periodo,  punisce  con  una  sanzione  amministrativa
pecuniaria   pari   a   cinquantamila   euro   l'inosservanza   delle
disposizioni di cui al comma 5 del medesimo articolo, denunciando  la
violazione  dell'art.  3  della  Costituzione,  «anche  in  combinato
disposto con gli art[t]. 41 e 42 Cost.», nonche' dell'art. 117, primo
comma, Cost., in relazione all'art. 1 del Protocollo addizionale alla
Convenzione  per  la  salvaguardia  dei  diritti  dell'uomo  e  delle
liberta' fondamentali (CEDU), firmato a Parigi il 20  marzo  1952,  e
agli artt. 16 e 17 della Carta dei diritti  fondamentali  dell'Unione
europea (CDFUE), proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 e  adattata  a
Strasburgo il 12 dicembre 2007. 
    1.1.- Il giudice a quo riferisce di essere investito del giudizio
di opposizione avverso l'ordinanza-ingiunzione con la quale l'Agenzia
delle dogane e dei monopoli aveva irrogato al titolare di un bar, nel
quale era ubicato un apparecchio da gioco, la sanzione amministrativa
pecuniaria di cinquantamila euro per la violazione dell'art. 7, commi
5 e 6, del d.l. n. 158 del 2012, come convertito. 
    A seguito di  ispezione  nei  locali  del  bar,  si  era  infatti
accertato che  -  pur  essendo  presente  nell'esercizio  commerciale
materiale informativo sul rischio  di  dipendenza  dalla  pratica  di
giochi con vincita in denaro, e  sebbene  sull'apparecchio  da  gioco
fossero applicate formule di avvertimento sul medesimo rischio -  non
risultavano pero' esposte, all'interno della  sala,  apposite  targhe
contenenti analogo avvertimento. 
    Veniva, quindi, contestata la violazione dell'art.  7,  comma  5,
del d.l. n. 158 del  2012,  come  convertito,  il  quale,  dopo  aver
stabilito che «[f]ormule di avvertimento sul  rischio  di  dipendenza
dalla pratica di giochi con vincite  in  denaro  [...]  devono  [...]
figurare  sulle  schedine  ovvero  sui  tagliandi  di  tali  giochi»,
ulteriormente prevede che  «[l]e  medesime  formule  di  avvertimento
devono essere applicate sugli apparecchi  di  cui  all'articolo  110,
comma 6,  lettera  a),  del  testo  unico  delle  leggi  di  pubblica
sicurezza, di cui  al  regio  decreto  18  giugno  1931,  n.  773,  e
successive modificazioni»;  che  «le  stesse  formule  devono  essere
riportate su apposite targhe esposte nelle aree ovvero nelle sale  in
cui sono installati i videoterminali di cui all'articolo  110,  comma
6, lettera b), del predetto testo unico di cui al  regio  decreto  n.
773 del 1931, nonche' nei punti di vendita in cui  si  esercita  come
attivita' principale l'offerta di scommesse su eventi sportivi, anche
ippici, e non sportivi»; che, infine, «i gestori di sale da  gioco  e
di esercizi in cui vi sia  offerta  di  giochi  pubblici,  ovvero  di
scommesse su eventi sportivi, anche  ippici,  e  non  sportivi,  sono
tenuti a esporre, all'ingresso e all'interno dei locali, il materiale
informativo predisposto dalle aziende  sanitarie  locali,  diretto  a
evidenziare i rischi correlati al gioco e a segnalare la presenza sul
territorio dei servizi di assistenza pubblici e del  privato  sociale
dedicati alla cura e  al  reinserimento  sociale  delle  persone  con
patologie correlate alla G.A.P.» (ossia alla sindrome  da  gioco  con
vincita in denaro). Ai sensi del successivo comma  6,  l'inosservanza
di tali  disposizioni  e'  punita  con  una  sanzione  amministrativa
pecuniaria pari a  cinquantamila  euro  irrogata  nei  confronti  del
concessionario, ovvero del solo titolare della sala o  del  punto  di
raccolta dei giochi, quanto alle violazioni relative agli  apparecchi
di cui all'art. 110, comma 6, lettere a) e b), del regio  decreto  18
giugno 1931, n. 773 (Approvazione del  testo  unico  delle  leggi  di
pubblica sicurezza),  ovvero  ancora  del  solo  titolare  del  punto
vendita, se diverso dal concessionario, per le violazioni  nei  punti
vendita in cui si esercita come  attivita'  principale  l'offerta  di
scommesse. 
    Con l'atto di  opposizione  all'ordinanza-ingiunzione,  la  parte
opponente deduceva che l'ispezione era stata effettuata dal personale
dell'Agenzia delle dogane e dei monopoli in un momento nel  quale  il
titolare del bar non era in loco, essendo presente solo sua  sorella,
la quale ignorava dove fosse collocata la targa di avvertimento,  che
pure esisteva. Dopo l'allontanamento degli ispettori, essa era stata,
in effetti, rinvenuta dietro un raccoglitore di prodotti. 
    Cio'    premesso,    l'opponente     eccepiva     preliminarmente
l'illegittimita' costituzionale della norma sulla cui base era  stato
emesso  il  provvedimento   impugnato,   a   fronte   del   carattere
sproporzionato e fisso della sanzione da essa prevista. In subordine,
chiedeva  di  dichiarare  la  violazione   insussistente,   dovendosi
intendere gli obblighi previsti dall'art. 7, comma 5, del d.l. n. 158
del 2012 come alternativi e non cumulativi.  Eccepiva,  infine,  vizi
formali dell'ordinanza-ingiunzione e la violazione del termine per la
conclusione del procedimento amministrativo di cui all'art.  2  della
legge 7 agosto 1990, n. 241 (Nuove norme in materia  di  procedimento
amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi). 
    1.2.- Ad avviso del giudice a quo, la rilevanza  delle  questioni
di legittimita' costituzionale risulterebbe evidente, non potendo  la
risoluzione della controversia  prescindere  dall'applicazione  della
norma sanzionatoria censurata. 
    Quest'ultima  non  si  presterebbe,   d'altro   canto,   ad   una
interpretazione costituzionalmente orientata, stante  il  suo  chiaro
tenore testuale. La disposizione dell'art. 11 della legge 24 novembre
1981,  n.  689  (Modifiche  al  sistema  penale),  che  consente   la
determinazione della sanzione in base alla gravita' della violazione,
all'opera svolta dall'agente per la eliminazione o attenuazione delle
conseguenze della violazione, nonche' alla personalita' dello  stesso
e alle sue condizioni economiche, e' espressamente riferita, infatti,
ai casi in cui la sanzione debba essere  determinata  tra  un  limite
minimo e un limite massimo stabilito  dalla  legge.  Di  conseguenza,
quando - come nella specie -  la  sanzione  sia  prevista  in  misura
fissa, il giudice dell'opposizione non avrebbe alcuna possibilita' di
procedere a una sua riduzione. 
    Neppure   parrebbero   esservi   ragionevoli    prospettive    di
accoglimento degli altri motivi di opposizione, formulati,  peraltro,
solo in via  subordinata  rispetto  all'eccezione  di  illegittimita'
costituzionale. Le circostanze di fatto  dedotte  dall'opponente  (in
particolare, quella della presenza nel locale della targa di  cui  si
tratta, che sarebbe pero' scivolata a terra in modo da non  risultare
visibile) apparirebbero prive di rilievo, stante la  chiarezza  della
prescrizione secondo cui le targhe devono essere «esposte». L'art. 7,
comma 5, del d.l. n. 158 del 2012, come convertito, sarebbe  altresi'
chiaro nel prevedere come cumulative,  e  non  come  alternative,  le
prescrizioni rivolte ai titolari di esercizi commerciali in cui siano
collocate   macchine   da    gioco.    L'ordinanza-ingiunzione    non
presenterebbe, infine, i vizi formali denunciati;  ne',  in  base  al
costante orientamento della giurisprudenza di legittimita' sul punto,
sarebbe possibile ravvisare la violazione del termine di cui all'art.
2 della legge n. 241 del 1990. 
    1.3.- Quanto alla non manifesta infondatezza delle questioni,  il
rimettente osserva  come  questa  Corte  -  in  particolare,  con  la
sentenza n. 112 del 2019 - abbia riconosciuto  che  il  principio  di
proporzionalita' della sanzione rispetto alla gravita'  dell'illecito
risulta applicabile anche  alle  sanzioni  amministrative,  trovando,
rispetto a queste, la  sua  base  normativa  nell'art.  3  Cost.,  in
combinato disposto con le norme costituzionali che tutelano i diritti
volta a volta incisi dalla sanzione. 
    La norma censurata non risulterebbe, peraltro, rispettosa di tale
principio. 
    Essa - prosegue il rimettente - si  inscrive  nell'ambito  di  un
complesso di interventi  legislativi  intesi  a  tutelare  la  salute
pubblica in confronto alla crescente diffusione  del  fenomeno  della
ludopatia, vale a dire della dipendenza dalla pratica del  gioco  con
vincite in denaro.  Nonostante  l'«alto  rango»  del  bene  giuridico
tutelato,  sarebbe   pero'   lecito   dubitare   della   legittimita'
costituzionale  della  norma,  la  quale  prevede  una  sanzione   di
«eccezionale severita'» e non graduabile in funzione  della  concreta
gravita' dell'illecito. 
    Tale «automatismo sanzionatorio» si porrebbe in contrasto con  il
principio di eguaglianza, impedendo di adeguare la risposta  punitiva
agli  specifici  comportamenti  messi  in  atto   nella   commissione
dell'illecito, con il risultato di allineare nel medesimo trattamento
punitivo fatti di disvalore sensibilmente  diverso.  La  sanzione  in
questione si applica, infatti, indiscriminatamente, senza distinguere
secondo  che  sia  stata  violata  una  sola  o  piu'  di  una  delle
prescrizioni, secondo il numero di macchine  da  gioco  presenti  nel
locale e secondo la collocazione dell'esercizio commerciale e i  suoi
orari di apertura al pubblico; elementi tutti che  influirebbero  sul
grado di offensivita' della condotta. 
    Sotto altro profilo, la sanzione di  cui  si  tratta  apparirebbe
irragionevole, in quanto sproporzionata rispetto  a  quella  prevista
per fattispecie di non minore gravita', come quella di  cui  all'art.
24, comma 21, del decreto-legge 6 luglio 2011,  n.  98  (Disposizioni
urgenti  per  la  stabilizzazione   finanziaria),   convertito,   con
modificazioni, nella legge 15 luglio 2011, n. 111,  che  punisce  con
sanzione  da  cinquemila   a   ventimila   euro   chi   consente   la
partecipazione ai giochi pubblici a minori di anni diciotto. 
    La norma denunciata si porrebbe, infine, in contrasto con  l'art.
3 Cost., in combinato disposto con gli artt. 41 e 42  Cost.,  nonche'
con l'art. 117, primo comma, Cost., in  relazione  all'art.  1  Prot.
addiz. CEDU e agli artt. 16 e 17 CDFUE, «quali norme  che  in  ambito
europeo tutelano il diritto di proprieta' e il diritto d'impresa». La
sanzione prevista potrebbe, infatti, incidere irragionevolmente,  sia
sul diritto di proprieta' dell'autore dell'illecito, sia sul  diritto
di esercitare liberamente un'attivita' d'impresa, essendo in grado di
determinare, per il suo importo, «un'irreversibile crisi  aziendale»,
almeno nei  casi  in  cui  l'esercizio  commerciale  sia  di  modeste
dimensioni. 
    2.- E' intervenuto in giudizio il Presidente  del  Consiglio  dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, chiedendo che le  questioni  siano  dichiarate  manifestamente
inammissibili o, comunque sia, non fondate. 
    2.1.-  L'Avvocatura  dello  Stato  rileva   come   il   Tribunale
rimettente abbia  correttamente  individuato  la  ratio  della  norma
censurata nella  primaria  necessita'  di  tutelare  il  fondamentale
diritto alla salute in confronto alla «non prevista e per certi versi
devastante» diffusione del fenomeno sociale del "gioco patologico". 
    Tale fenomeno ha richiesto  ripetuti  e  sempre  piu'  stringenti
interventi, tanto di rango normativo primario - nell'ambito dei quali
si inserisce quello  oggetto  dell'odierno  scrutinio  -,  «quanto  a
livello di attivita' amministrativa»: interventi che si porrebbero in
sintonia  anche  con  il  diritto  dell'Unione  europea  e   con   la
giurisprudenza della Corte di giustizia  dell'Unione  europea.  Sugli
interventi in parola si sarebbero altresi'  espresse  favorevolmente,
pur    nell'inevitabile    bilanciamento    con     altri     diritti
costituzionalmente  tutelati,  sia  questa  Corte  (sono  citate   le
sentenze n. 108 del 2017 e n. 300 del 2011),  sia  la  giurisprudenza
amministrativa. 
    2.2.-   Emergerebbe   da   cio'   un   profilo   preliminare   di
inammissibilita' delle questioni. 
    Il  rimettente  si  sarebbe,  infatti,  limitato   a   denunciare
l'illegittimita' costituzionale della norma censurata, senza indicare
in alcun modo se e come la  lacuna  conseguente  alla  sua  ablazione
possa essere  colmata:  con  la  conseguenza  che  comportamenti  «di
incontestabile gravita'», quali quelli considerati - incidenti  sulla
tutela del diritto alla salute  -  rimarrebbero  privi  di  qualsiasi
risposta sanzionatoria. 
    Verrebbe pertanto a crearsi, «inammissibilmente», una  situazione
di vuoto  normativo,  «che  non  potrebbe  essere  colmato  da  altra
disposizione vigente se non attraverso  l'intervento  additivo  della
Corte - pero', non consentito - in attesa  di  una  nuova  previsione
legislativa». 
    2.3.- Nel merito, le questioni risulterebbero, in ogni caso,  non
fondate. 
    La difesa dello Stato rileva come questa Corte, pur  riconoscendo
al legislatore un'ampia  discrezionalita'  nelle  scelte  in  materia
sanzionatoria, ritenga le stesse sindacabili  ove  caratterizzate  da
evidente illogicita' e irragionevolezza, anche nel confronto  con  le
soluzioni adottate in rapporto ad altre fattispecie:  cio'  anche  al
fine di evitare il venir meno di qualsiasi  proporzionalita'  tra  la
sanzione prevista e la gravita' dei fatti sanzionati. 
    Cio' non comporta, tuttavia, che la previsione di una sanzione in
misura fissa  possa  essere  ritenuta,  per  cio'  solo,  illogica  e
irrazionale, come attesta il fatto  che  sanzioni  di  questo  genere
abbiano in piu' occasioni superato il vaglio di questa Corte. 
    La  sanzione  di  cui  oggi  si  discute  -  sebbene  di  importo
«relativamente  consistente»   -   non   apparirebbe,   in   effetti,
manifestamente eccessiva o sproporzionata. 
    Posto che essa e' irrogata a soggetti  che  operano  sul  mercato
come imprenditori «e quindi certamente dotati di  non  modesti  mezzi
economici»,  la  sua  severita'   risulterebbe   giustificata   dalla
"sensibilita'" della materia e dalla gravita' dei comportamenti posti
in  essere,  atti  a  provocare  seri  danni  ai   singoli   e   alla
collettivita' (con vantaggio, peraltro, dei soggetti  sanzionati,  in
quanto interessati a non distogliere l'utente dal gioco). 
    La previsione  della  sanzione  in  misura  fissa  discenderebbe,
d'altro canto, dalla valutazione compiuta dal legislatore  in  ordine
alla sostanziale equivalenza dei comportamenti sanzionati,  quanto  a
bene giuridico offeso e intento illecito. Il  disvalore  delle  varie
condotte  (mancata  apposizione  della  targa  sugli  apparecchi   di
intrattenimento, nella sala, e  via  dicendo)  potrebbe  bene  essere
ritenuto,   infatti,   sostanzialmente   uniforme,   trattandosi   di
comportamenti «sovente anche assimilabili nella loro materialita',  e
tutti teleologicamente "unificati" dalla finalita' indicata». In ogni
caso, una simile valutazione, non palesemente illogica,  rientrerebbe
nella discrezionalita' del legislatore. 
    Andrebbe tenuto  conto,  inoltre,  del  fatto  che  la  normativa
vigente (art. 16 della legge n. 689 del  1981)  consente,  anche  nel
caso in esame, di temperare l'afflittivita' della sanzione tramite il
pagamento in misura ridotta (un terzo). 
    2.4.- Erroneo risulterebbe, poi, il riferimento del rimettente  -
quale tertium comparationis - alla sanzione  prevista  dall'art.  24,
comma 21, del d.l. n. 98 del 2011, come convertito, nei confronti  di
chi consente la partecipazione ai giochi pubblici a  minori  di  anni
diciotto: comportamento,  secondo  il  giudice  a  quo,  di  maggiore
gravita'. 
    A prescindere dall'opinabilita' di  una  simile  valutazione,  il
Tribunale  rimettente  non  avrebbe  considerato  che,  se  pure   la
disposizione citata prevede una  sanzione  amministrativa  pecuniaria
inferiore (da cinquemila a ventimila euro),  essa  stabilisce  che  a
quella sanzione si aggiunga, anche nel caso di  pagamento  in  misura
ridotta, «la  chiusura  dell'esercizio  commerciale,  del  locale  o,
comunque, del punto di offerta del  gioco  da  dieci  fino  a  trenta
giorni». La sanzione irrogata nel  caso  in  questione  risulterebbe,
quindi, nel suo complesso, assai piu' grave di quella prevista  dalla
norma censurata, a conferma del fatto che il legislatore ha stabilito
sanzioni diverse per comportamenti differenti. 
    2.5.- Quanto, infine, all'ipotizzato contrasto con gli artt.  41,
42 e 117, primo comma, Cost. - quest'ultimo in relazione  all'art.  1
Prot. addiz. CEDU  e  agli  artt.  16  e  17  CDFUE  -  le  questioni
risulterebbero inammissibili, «consistendo in una mera  petizione  di
principio». 
    Il rimettente si sarebbe limitato, infatti, ad affermare  che  la
sanzione censurata potrebbe irragionevolmente incidere sul diritto di
proprieta' e sul diritto di impresa, essendo in grado di  determinare
«un'irreversibile  crisi  aziendale»,   almeno   quando   l'esercizio
commerciale sia  di  dimensioni  modeste.  La  censura  risulterebbe,
quindi, formulata «in via del tutto ipotetica e generale, senza alcun
supporto fattuale e  giuridico  concreto».  Essa  apparirebbe,  anzi,
«illogica con riferimento ad operatori di un  mercato,  quale  quello
dei   giochi,    nel    quale    operano    soggetti    concessionari
dell'Amministrazione e necessariamente solvibili». 
    Le questioni sarebbero, in  ogni  caso,  anch'esse  non  fondate,
essendo  pacifico,  alla  luce  della  giurisprudenza  nazionale   ed
europea, che diritti quali  quelli  evocati  dal  rimettente  possono
essere limitati in funzione della tutela  del  diritto  alla  salute,
purche' in base a scelte ragionevoli, quale quella di cui si discute. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Il Tribunale ordinario di Trapani dubita  della  legittimita'
costituzionale dell'art. 7, comma 6, del decreto-legge  13  settembre
2012, n. 158 (Disposizioni urgenti per  promuovere  lo  sviluppo  del
Paese  mediante  un  piu'  alto  livello  di  tutela  della  salute),
convertito, con modificazioni, nella legge 8 novembre 2012,  n.  189,
nella parte in cui, al secondo  periodo,  punisce  con  una  sanzione
amministrativa pecuniaria pari a  cinquantamila  euro  l'inosservanza
delle disposizioni di cui al comma 5 del medesimo articolo, le  quali
prevedono, a carico di coloro che  offrono  giochi  o  scommesse  con
vincite in denaro, una serie di  obblighi  a  carattere  informativo,
intesi  a  porre  sull'avviso  il  fruitore  riguardo  ai  rischi  di
dipendenza da una simile pratica. 
    Ad avviso del giudice  a  quo,  la  norma  censurata  violerebbe,
anzitutto,  l'art.  3  della  Costituzione,  per  contrasto  con   il
principio  di  eguaglianza.  Prevedendo   una   sanzione   fissa   di
«eccezionale severita'», essa non consentirebbe, infatti, di graduare
la risposta sanzionatoria in  rapporto  al  disvalore  delle  singole
violazioni, il quale potrebbe risultare significativamente diverso in
relazione alle circostanze del caso concreto. 
    La disposizione denunciata si porrebbe in contrasto anche con  il
principio di ragionevolezza, desumibile dallo stesso  art.  3  Cost.,
apparendo la sanzione in discorso sproporzionata  rispetto  a  quella
contemplata per altre  fattispecie  di  non  minore  gravita',  quale
quella di cui all'art. 24, comma 21, del decreto-legge 6 luglio 2011,
n. 98 (Disposizioni  urgenti  per  la  stabilizzazione  finanziaria),
convertito, con modificazioni, nella legge 15 luglio  2011,  n.  111,
che punisce con la sanzione amministrativa pecuniaria da cinquemila a
ventimila euro chi consente la partecipazione ai  giochi  pubblici  a
minori di anni diciotto. 
    Il rimettente denuncia, da  ultimo,  la  violazione  dell'art.  3
Cost. in combinato disposto con gli artt.  41  e  42  Cost.,  nonche'
dell'art. 117, primo  comma,  Cost.,  in  relazione  all'art.  1  del
Protocollo addizionale alla  Convenzione  per  la  salvaguardia   dei
diritti dell'uomo e delle liberta'  fondamentali  (CEDU),  firmato  a
Parigi il 20 marzo 1952, e agli artt. 16 e 17 della Carta dei diritti
fondamentali dell'Unione europea (CDFUE), proclamata  a  Nizza  il  7
dicembre 2000 e adattata a Strasburgo il  12  dicembre  2007,  «quali
norme che in ambito europeo tutelano il diritto di  proprieta'  e  il
diritto d'impresa». La sanzione in  questione,  in  ragione  del  suo
importo,  potrebbe,  infatti,  incidere  irragionevolmente,  sia  sul
diritto di proprieta' dell'autore dell'illecito, sia sul suo  diritto
di esercitare liberamente un'attivita' di impresa, essendo  in  grado
di provocare  una  «irreversibile  crisi  aziendale»,  almeno  quando
l'esercizio commerciale coinvolto sia di modeste dimensioni, come nel
caso oggetto del giudizio a quo. 
    2.- La norma denunciata si colloca nell'articolato  quadro  delle
misure intese a contrastare il fenomeno - diffusosi in  parallelo  al
progressivo aumento dell'offerta ludica consentita, sino ad  assumere
dimensioni  allarmanti  -  della  "dipendenza  da  gioco   d'azzardo"
(cosiddetto gioco d'azzardo patologico  o  ludopatia):  «fenomeno  da
tempo riconosciuto come vero e proprio  disturbo  del  comportamento,
assimilabile,   per   certi   versi,   alla    tossicodipendenza    e
all'alcoolismo» (sentenza n. 108 del 2017),  con  riflessi,  talvolta
gravi, sulle capacita' intellettive, di lavoro e di relazione di  chi
ne e' affetto, e con ricadute negative  altrettanto  rilevanti  sulle
economie personali e familiari. 
    Esclusa dal legislatore una risposta di tipo  "proibizionistico",
le misure considerate si muovono su una pluralita' di piani. 
    Vi  rientrano,  cosi',  le  misure  di  "prevenzione  logistica",
prefigurate dall'art. 7, comma 10, del d.l. n.  158  del  2012,  come
convertito, e ampiamente diffuse a livello di legislazione regionale,
consistenti nell'imposizione di distanze minime delle sale  da  gioco
rispetto a luoghi  cosiddetti  "sensibili":  frequentati,  cioe',  da
categorie di soggetti che si presumono particolarmente vulnerabili  -
per  le  loro  condizioni  personali  -  di  fronte  «alla  capacita'
suggestiva dell'illusione di conseguire, tramite il gioco, vincite  e
facili guadagni» (sentenza n. 300 del 2011). 
    Una misura piu' radicale e' prevista al fine di tutelare i minori
di eta', i quali non possono essere ammessi a partecipare  ai  giochi
pubblici con  vincita  in  denaro:  precetto  la  cui  violazione  e'
sanzionata, in  capo  al  titolare  dell'esercizio  commerciale,  del
locale  o  del  punto  di  offerta  del  gioco,   con   la   sanzione
amministrativa pecuniaria da cinquemila a ventimila  euro  e  con  la
chiusura dell'esercizio, del locale o del punto di offerta da dieci a
trenta giorni, nonche' con la revoca di  qualsiasi  autorizzazione  o
concessione nel caso di commissione di tre violazioni nel corso di un
triennio (art. 24, commi 20 e 21, del  d.l.  n.  98  del  2011,  come
convertito). 
    La legge ha, inoltre, dapprima fortemente limitato la pubblicita'
concernente i giochi con vincite in denaro,  punendo  il  committente
del messaggio pubblicitario non  consentito  e  il  proprietario  del
mezzo di diffusione con una sanzione amministrativa  da  centomila  a
cinquecentomila euro (art. 7, commi 4 e 6, primo periodo, del d.l. n.
158 del  2012,  come  convertito);  successivamente,  ha  vietato  la
pubblicita' relativa, tanto ai giochi, quanto alle scommesse, pena il
pagamento di una sanzione di importo pari  al  venti  per  cento  del
valore della sponsorizzazione o della pubblicita' e in ogni caso  non
inferiore, per ogni violazione, a  cinquantamila  euro  (art.  9  del
decreto-legge 12 luglio 2018, n. 87,  recante  «Disposizioni  urgenti
per la dignita' dei lavoratori  e  delle  imprese»,  convertito,  con
modificazioni, nella legge 9 agosto 2018, n. 96). 
    In questo  contesto,  si  e'  anche  inteso  responsabilizzare  i
concessionari del gioco e i titolari delle sale, introducendo in capo
a  essi  obblighi  di  informazione  sui  rischi  di   cadere   nella
dipendenza: il  riferimento  e'  proprio  alle  prescrizioni  di  cui
all'art. 7, comma 5, del d.l. n. 158 del 2012,  come  convertito,  la
cui  inosservanza  e'  punita  dalla  norma  censurata  nel  presente
giudizio. 
    Il citato art. 7, comma 5, prevede, in particolare,  che  formule
di avvertimento sul rischio di dipendenza dalla pratica di giochi con
vincite in denaro debbano figurare (unitamente all'indicazione  delle
relative  probabilita'  di  vincita)  sulle  schedine,   ovvero   sui
tagliandi di tali giochi; che le  medesime  formule  di  avvertimento
debbano essere applicate sugli apparecchi da gioco  di  cui  all'art.
110, comma 6, lettera a), del regio decreto 18 giugno  1931,  n.  773
(Approvazione del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza); che
esse debbano essere altresi' riportate  su  apposite  targhe  esposte
nelle aree o nelle sale in cui sono installati i  videoterminali  per
il gioco di cui all'art. 110, comma 6, lettera b), del  r.d.  n.  773
del 1931 (d'ora in avanti: TULPS), nonche' nei punti  di  vendita  in
cui si esercita come attivita' principale l'offerta di  scommesse  su
eventi sportivi  e  non;  che  debbano  inoltre  comparire,  in  modo
chiaramente leggibile, all'atto di accesso ai siti internet destinati
all'offerta di giochi con vincite in denaro; che, infine,  i  gestori
di sale da gioco e di esercizi, in  cui  vi  sia  offerta  di  giochi
pubblici o scommesse, debbano esporre, all'ingresso e all'interno dei
locali, il materiale informativo predisposto dalle aziende  sanitarie
locali, diretto a porre in evidenza i rischi correlati al gioco  e  a
segnalare la  presenza  sul  territorio  dei  servizi  di  assistenza
dedicati alla cura e  al  reinserimento  sociale  delle  persone  con
patologie collegate al gioco d'azzardo. 
    Il successivo comma 6 dell'art. 7 del d.l. n. 158 del 2012,  oggi
censurato, dopo aver previsto, al primo periodo, la sanzione  per  la
violazione delle limitazioni  ai  messaggi  pubblicitari  di  cui  in
precedenza si e' detto, al secondo periodo - che e' quello contro  il
quale, in effetti,  specificamente  si  rivolgono  le  doglianze  del
giudice rimettente - stabilisce che l'inosservanza delle disposizioni
di  cui  al  comma  5  e'  punita  con  una  sanzione  amministrativa
pecuniaria pari a cinquantamila euro. Tale sanzione  si  applica  nei
confronti del concessionario  del  gioco  pubblico;  ovvero,  per  le
violazioni relative agli apparecchi di cui  all'art.  110,  comma  6,
lettere a) e b), TULPS, nei  confronti  del  solo  soggetto  titolare
della sala o del punto di raccolta dei giochi; ovvero ancora, per  le
violazioni realizzate nei punti di vendita in cui  si  esercita  come
attivita'  principale  l'offerta  di  scommesse,  nei  confronti  del
titolare del punto vendita, se diverso dal concessionario. 
    Sulla materia e' poi tornato anche l'art. 9-bis del  d.l.  n.  87
del 2018, come convertito,  stabilendo  che  avvertenze  relative  ai
rischi connessi al gioco d'azzardo  debbano  figurare  nei  tagliandi
delle lotterie istantanee (comma 1) e ribadendo che omologhe  formule
di avvertimento debbano essere applicate sugli apparecchi da gioco  e
nelle aree e nei locali in cui  questi  sono  installati  (comma  4),
senza, peraltro, che cio' implichi abrogazione implicita  del  citato
art. 7, comma 5, del d.l. n. 158 del  2012,  il  cui  disposto  viene
espressamente lasciato «fermo» (comma 5). 
    3.- Cio' posto, l'Avvocatura generale  dello  Stato  ha  eccepito
l'inammissibilita' delle questioni, sul rilievo che il giudice a  quo
si sarebbe  limitato  a  denunciare  l'illegittimita'  costituzionale
della norma censurata, senza affatto indicare se e come la lacuna che
conseguirebbe  alla  sua  ablazione  possa  essere  colmata:  con  il
risultato che, ove le questioni fossero  accolte,  comportamenti  «di
incontestabile gravita'», quali quelli considerati,  incidenti  sulla
tutela del fondamentale diritto alla salute,  rimarrebbero  privi  di
qualsiasi sanzione. Verrebbe pertanto a crearsi, «inammissibilmente»,
un vuoto normativo, non colmabile - in attesa di una nuova previsione
legislativa -  «da  altra  disposizione  vigente  se  non  attraverso
l'intervento additivo [di questa]  Corte»:  intervento  da  ritenere,
«pero', non consentito». 
    L'eccezione non e' fondata. 
    In linea di principio, per risalente rilievo di questa Corte, non
puo' essere ritenuta «preclusiva della declaratoria di illegittimita'
costituzionale delle leggi la carenza di disciplina [...] che da essa
puo' derivarne, in ordine a determinati rapporti (sentenza n. 59  del
1958)» (sentenza n. 242 del 2019). Spettera' - laddove  ne  ricorrano
le condizioni - ai giudici comuni trarre dalla decisione i  necessari
corollari  sul  piano  applicativo,   avvalendosi   degli   strumenti
ermeneutici a loro disposizione,  e,  comunque  sia,  al  legislatore
provvedere a disciplinare, nel modo piu' sollecito e  opportuno,  gli
aspetti che - in conseguenza della  decisione  stessa  -  apparissero
bisognevoli di apposita regolamentazione (sentenza n. 113 del 2011). 
    Tale principio e' riferibile -  con  la  riserva  di  cui  subito
appresso si dira' - anche ai casi in cui lo scrutinio di legittimita'
costituzionale  verta  su  una  norma  sanzionatoria  e  le   censure
investano l'entita' o la  strutturazione  del  trattamento  punitivo.
Questa   Corte,   nelle   prime   occasioni    in    cui    dichiaro'
costituzionalmente illegittima una  disposizione  penale  in  ragione
della sua cornice edittale,  non  esito',  in  effetti,  a  rimuovere
puramente e semplicemente la norma sottoposta a scrutinio,  lasciando
al legislatore il compito di rimodulare la sanzione in accordo con  i
principi costituzionali  (sentenza  n.  218  del  1974,  con  cui  fu
censurata l'omologazione, nel medesimo trattamento sanzionatorio,  di
violazioni di gravita' palesemente diversa  in  tema  di  obbligo  di
assicurazione per l'esercizio dell'attivita' venatoria; analogamente,
sentenza n. 176 del 1976). 
    L'esigenza di far ricorso a una pronuncia di  tipo  manipolativo,
che  sostituisca  la  sanzione  censurata  con   altra   conforme   a
Costituzione, si pone imprescindibilmente solo allorche' la lacuna di
punibilita' che conseguirebbe a una pronuncia ablativa, non colmabile
tramite l'espansione  di  previsioni  sanzionatorie  coesistenti,  si
riveli foriera di «insostenibili vuoti di tutela» per  gli  interessi
protetti dalla norma incisa (sentenza n.  222  del  2018):  come,  ad
esempio, quando ne  derivasse  una  menomata  protezione  di  diritti
fondamentali dell'individuo o di  beni  di  particolare  rilievo  per
l'intera collettivita' rispetto a gravi  forme  di  aggressione,  con
eventuale  conseguente  violazione  di  obblighi   costituzionali   o
sovranazionali. In simili ipotesi,  il  vuoto  normativo  conseguente
alla rimozione pura e  semplice  della  disposizione  scrutinata  non
sarebbe tollerabile, neppure temporaneamente: cio', tanto  piu'  alla
luce della considerazione che  un  intervento  legislativo  inteso  a
colmare la lacuna, per quanto immediato, opererebbe,  di  necessita',
solo   per   il   futuro   (stante   l'inderogabile   principio    di
irretroattivita' della norma sfavorevole in materia  punitiva).  Esso
non avrebbe, quindi, alcun effetto sui fatti pregressi,  i  quali,  a
seguito  della   declaratoria   di   illegittimita'   costituzionale,
diverrebbero automaticamente e definitivamente privi di ogni  rilievo
penale, persino in presenza di una sentenza irrevocabile di condanna,
i cui effetti verrebbero a cessare  (art.  30,  quarto  comma,  della
legge 11 marzo 1953, n. 87, recante «Norme sulla costituzione  e  sul
funzionamento della Corte costituzionale»):  disciplina,  questa,  da
ritenere   riferibile   anche   ai   fatti   colpiti   con   sanzioni
amministrative a carattere punitivo (sentenza n. 68 del 2021). 
    E' in tali casi che la rimozione del vulnus costituzionale  resta
necessariamente   condizionata   all'individuazione   di    soluzioni
sanzionatorie che - nel rispetto  dei  limiti  ai  poteri  di  questa
Corte,  che  escludono  interventi  di  tipo  "creativo"  -   possano
sostituirsi a quella censurata: soluzioni rinvenibili  -  secondo  la
piu'   recente   giurisprudenza   della   Corte   stessa,    ispirata
dall'esigenza di evitare la creazione di "zone  franche"  intangibili
dal controllo  di  legittimita'  costituzionale  -  anche  fuori  dal
tradizionale schema delle "rime obbligate", facendo leva su  «precisi
punti di riferimento» offerti dal sistema  normativo  vigente,  anche
alternativi  tra  loro,  salvo   un   sempre   possibile   intervento
legislativo   di   segno   differente,   purche'   rispettoso   della
Costituzione (sentenze n. 40 del 2019, n. 222 del 2018 e n.  236  del
2016; nello stesso senso, sentenza n. 99 del 2019). 
    Una  simile  ipotesi  non   e',   peraltro,   ravvisabile   nella
fattispecie oggetto dell'odierno giudizio. La  tutela  della  salute,
nella cui cornice si inscrivono le misure  intese  a  contrastare  il
gioco d'azzardo patologico (sentenze n. 27 del 2019, n. 108 del  2017
e n. 300 del 2011), e' obiettivo di sicuro rilievo costituzionale e i
precetti sanzionati dalla norma censurata sono in grado  di  svolgere
un ruolo indubbiamente apprezzabile in questo contesto. Nondimeno, si
resta pur sempre di fronte a condotte  sensibilmente  antecedenti  la
concreta offesa all'interesse protetto: discutendosi di  inosservanze
a obblighi informativi, o di "richiamo dell'attenzione", a  carattere
preventivo (apposizione  di  formule  di  avvertimento  su  schedine,
tagliandi o apparecchi  da  gioco,  affissione  di  targhe,  messa  a
disposizione  di  materiale  informativo),  finalizzati   a   mettere
sull'avviso chi gia' pratica, o  sarebbe  intenzionato  a  praticare,
forme  di  gioco  consentite  dalla  legge  sulle  possibili   derive
patologiche di tale pratica, fidando che cio' giovi a dissuaderlo (se
non dall'intento di praticare il gioco, quantomeno) dagli abusi. 
    Il  deficit  di  tutela  conseguente  all'ablazione  della  norma
denunciata  non  attinge,  dunque,  a  quei   livelli   che   rendono
indispensabile la ricerca - e l'indicazione,  da  parte  del  giudice
rimettente (sentenze n. 115  del  2019  e  n.  233  del  2018)  -  di
soluzioni  sanzionatorie  alternative,  costituzionalmente  adeguate,
suscettibili di essere sostituite, ad opera di questa Corte, a quella
sospettata  di  illegittimita'  costituzionale,  in  attesa   di   un
intervento legislativo. 
    4.- L'Avvocatura  dello  Stato  ha  eccepito,  per  altro  verso,
l'inammissibilita' per difetto di  motivazione  sulla  non  manifesta
infondatezza delle questioni sollevate in riferimento agli artt. 41 e
42 Cost. e all'art. 117, primo comma, Cost., in relazione all'art.  1
Prot. addiz. CEDU e agli artt. 16 e 17 CDFUE. Secondo la difesa dello
Stato,  il  giudice  a  quo  avrebbe  prospettato  una  irragionevole
incidenza della sanzione censurata sul diritto di  proprieta'  e  sul
diritto d'impresa dell'autore  dell'illecito  in  termini  del  tutto
generici e  di  «mera  petizione  di  principio,  [...]  senza  alcun
supporto fattuale e giuridico concreto». 
    Anche tale eccezione, cosi' come formulata, non e' fondata. 
    E' ben vero che l'ordinanza di rimessione non sviluppa autonome e
specifiche argomentazioni a sostegno  della  dedotta  violazione  dei
parametri dianzi indicati (di la' dall'accenno alla possibilita'  che
l'applicazione  della  sanzione  determini,  per  il   suo   importo,
«un'irreversibile crisi  aziendale»):  ma  cio'  in  quanto  -  nella
prospettazione del rimettente - il riferimento a tali parametri ha la
semplice funzione di individuare  le  norme  costituzionali  che,  in
combinato disposto con l'art. 3 Cost., fornirebbero nel caso in esame
la base normativa del principio di proporzionalita'  della  sanzione;
principio la cui denunciata violazione e' ampiamente argomentata. 
    La prospettazione del giudice a quo riflette  le  indicazioni  di
questa Corte - specificamente richiamate nell'ordinanza di rimessione
- in punto di applicabilita' del principio di proporzionalita', fuori
dai confini della materia penale, anche alle sanzioni  amministrative
a carattere punitivo  (sentenza  n.  112  del  2019).  Tali  sanzioni
condividono, infatti, con le pene il carattere reattivo rispetto a un
illecito, per la cui commissione l'ordinamento dispone  che  l'autore
subisca una sofferenza  in  termini  di  restrizione  di  un  diritto
(diverso dalla liberta' personale,  la  cui  compressione  in  chiave
sanzionatoria e' riservata alla pena); restrizione che trova, dunque,
la sua "causa giuridica" proprio nell'illecito che ne costituisce  il
presupposto. Allo stesso  modo  che  per  le  pene  -  pur  a  fronte
dell'ampia    discrezionalita'    che    al    legislatore    compete
nell'individuazione  degli  illeciti  e  nella  scelta  del  relativo
trattamento punitivo  -  anche  per  le  sanzioni  amministrative  si
prospetta, dunque, l'esigenza che non venga  manifestamente  meno  un
rapporto di congruita' tra la sanzione e  la  gravita'  dell'illecito
sanzionato;  evenienza  nella  quale  la  compressione  del   diritto
diverrebbe irragionevole e non giustificata. 
    Diversamente che per le pene, peraltro,  rispetto  alle  sanzioni
amministrative il principio di proporzionalita'  trova  la  sua  base
normativa non gia' nell'art. 3 Cost. in combinato disposto con l'art.
27 Cost., nella parte in cui enuncia i principi di personalita' della
responsabilita' e della funzione  rieducativa  della  pena  (principi
riferibili alla sola materia penale in senso stretto), ma nell'art. 3
Cost. in combinato disposto con le norme costituzionali che  tutelano
i diritti a volta a volta incisi dalla sanzione (sentenza n. 112  del
2019); diritti che, nel caso in esame, il giudice a  quo  identifica,
per  l'appunto,  nel  diritto  di  proprieta'  e  nella  liberta'  di
iniziativa economica. 
    Resta peraltro salva la successiva verifica,  nel  merito,  della
correttezza di tale individuazione. 
    5.- La questione sollevata in relazione agli artt. 16 e 17 CDFUE,
quali parametri interposti rispetto all'art. 117, primo comma, Cost.,
e' pero' inammissibile per una distinta e piu' specifica ragione. 
    Come piu' volte affermato da questa  Corte,  affinche'  la  CDFUE
possa essere invocata quale parametro interposto in  un  giudizio  di
legittimita' costituzionale, occorre che il giudice a quo  dia  conto
della riconducibilita' della fattispecie regolata dalla  legislazione
interna all'ambito di applicazione del diritto dell'Unione europea ai
sensi  dell'art.  51   CDFUE,   cio'   che   condiziona   la   stessa
applicabilita' delle norme della Carta (ex plurimis, sentenze n. 33 e
n. 30 del 2021). Il giudice a quo non fornisce alcuna motivazione  in
proposito, lasciando dunque inadempiuto l'onere in discorso. 
    6.- Nel merito, le questioni sollevate in riferimento all'art. 3,
in combinato disposto con gli artt. 42 e 117, primo comma, Cost.,  in
relazione all'art. 1 Prot. addiz. CEDU, sono fondate. 
    La norma censurata  punisce  indistintamente  l'inosservanza  dei
plurimi obblighi di condotta contemplati dall'art. 7,  comma  5,  del
d.l.  n.  158  del  2012,   come   convertito,   con   una   sanzione
amministrativa pecuniaria di  considerevole  severita'  e,  al  tempo
stesso, fissa; dunque,  non  suscettibile  di  graduazione  da  parte
dell'autorita' amministrativa, e del  giudice  poi,  in  correlazione
alle specifiche circostanze  del  caso  concreto  secondo  i  criteri
indicati dall'art. 11 della legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche
al sistema penale). 
    Con riguardo alle sanzioni penali, questa Corte ha posto da tempo
in  luce  come  la  «mobilita'»  (sentenza  n.  67   del   1963),   o
«individualizzazione» (sentenza  n.  104  del  1968),  della  pena  -
tramite l'attribuzione al giudice di un margine  di  discrezionalita'
nella sua commisurazione all'interno di una forbice  edittale,  cosi'
da poterla adeguare alle particolarita' della fattispecie concreta  -
costituisca   «naturale   attuazione   e   sviluppo    di    principi
costituzionali, tanto di ordine  generale  (principio  d'uguaglianza)
quanto attinenti direttamente alla materia penale»  (sentenza  n.  50
del 1980),  al  lume  dei  quali  «l'attuazione  di  una  riparatrice
giustizia   distributiva   esige   la   differenziazione   piu'   che
l'uniformita'» (cosi', ancora, la sentenza n.  104  del  1968).  Cio'
implica che, in via di principio,  «previsioni  sanzionatorie  rigide
non appaiono in linea  con  il  "volto  costituzionale"  del  sistema
penale», potendo il dubbio di  illegittimita'  costituzionale  essere
superato, caso per caso,  solo  «a  condizione  che,  per  la  natura
dell'illecito sanzionato e per la  misura  della  sanzione  prevista,
quest'ultima   appaia   ragionevolmente   "proporzionata"    rispetto
all'intera gamma di comportamenti riconducibili allo  specifico  tipo
di reato» (sentenze n. 222 del 2018 e n. 50 del 1980). 
    Secondo quanto piu' di recente chiarito  da  questa  Corte,  tale
affermazione si presta ad essere estesa, mutatis mutandis, anche alle
sanzioni amministrative a carattere punitivo. Pure in  questo  campo,
infatti, «previsioni sanzionatorie rigide, [...]  che  colpiscono  in
egual modo, e quindi equiparano, fatti in qualche misura  differenti,
debb[o]no  rispondere  al   principio   di   ragionevolezza»:   donde
l'esigenza di verificare «se anche le  infrazioni  meno  gravi»,  tra
quelle  comprese   nel   perimetro   applicativo   della   previsione
sanzionatoria, «siano connotate da un disvalore tale da  non  rendere
manifestamente  [...]  sproporzionata  la  sanzione   amministrativa»
comminata (sentenza n. 212 del 2019). In simile  prospettiva,  questa
Corte ha ritenuto costituzionalmente  illegittima  la  previsione  di
sanzioni amministrative rigide e di rilevante incidenza  sui  diritti
dell'interessato  per  ipotesi  di  gravita'   marcatamente   diversa
(sentenza n. 88 del 2019), o suscettibili, comunque sia, di condurre,
nella  prassi  applicativa,  a  risultati  sanzionatori   palesemente
eccedenti il  limite  della  proporzionalita'  rispetto  all'illecito
commesso (sentenza n. 112 del 2019). 
    Una evenienza analoga e' riscontrabile nel caso oggi in esame. 
    La fissita' del  trattamento  sanzionatorio  impedisce  di  tener
conto della diversa gravita' concreta dei singoli illeciti, che e' in
funzione dell'ampiezza dell'offerta di gioco e del tipo di violazione
commessa. Un conto e' l'omissione delle formule  di  avvertimento  in
schedine o tagliandi di giochi soggetti ad  ampia  diffusione,  altro
conto le inadempienze relative a sale da gioco o esercizi in  cui  vi
sia offerta di  giochi  pubblici,  la  cui  gravita'  varia  in  modo
rilevante  secondo  la  dimensione  e  l'ubicazione  della   sala   o
dell'esercizio,  il   grado   di   frequentazione,   il   numero   di
apparecchiature da gioco presenti e la  circostanza  che  si  sia  di
fronte a una violazione totale, ovvero solo parziale, degli  obblighi
previsti. 
    Tutto cio' fa si' che la reazione sanzionatoria  possa  risultare
manifestamente  sproporzionata  per  eccesso  rispetto  al  disvalore
concreto di fatti  pure  ricompresi  nella  sfera  applicativa  della
norma, come attesta in modo esemplare il caso oggetto del giudizio  a
quo. Nella specie, il titolare di un bar, nel quale  e'  presente  un
unico apparecchio da gioco, si trova esposto all'applicazione di  una
sanzione di cinquantamila euro per il solo fatto di non aver  esposto
in modo visibile nel locale una  targa  di  avvertimento  sui  rischi
della dipendenza da gioco d'azzardo: cio', pur essendo egli risultato
adempiente agli altri obblighi  posti  a  suo  carico  in  chiave  di
prevenzione delle  ludopatie,  tra  cui  quello  di  esposizione  del
materiale informativo in materia, predisposto dall'azienda  sanitaria
locale. 
    Contrariamente a  quanto  assume  l'Avvocatura  dello  Stato,  la
validita' della conclusione non e' inficiata  dalla  circostanza  che
l'autore  dell'illecito  possa  mitigare  l'importo  della   sanzione
ricorrendo all'istituto del pagamento  in  misura  ridotta  (art.  16
della legge n. 689 del 1981). Da un  lato,  infatti,  il  difetto  di
proporzionalita' della sanzione non puo'  essere  contestato  facendo
leva sulla fruibilita' di tale istituto,  costituente  una  forma  di
definizione della contestazione puramente eventuale e che implica  la
rinuncia al diritto di difendersi in giudizio; dall'altro lato, e  in
ogni caso, il possibile ricorso all'istituto in questione non esclude
che la sanzione, di importo significativo anche  dopo  la  riduzione,
resti di per se' fissa e tale da accomunare violazioni  di  disvalore
sensibilmente differenziato. 
    Giova rilevare, per altro verso, che -  come  emerge  dal  rapido
excursus  condotto  in  principio  -   le   sanzioni   amministrative
introdotte dal legislatore per contrastare la diffusione dei disturbi
da gioco d'azzardo sono improntate a marcata severita', ma  risultano
in genere graduabili: il  che  conferma  anche  sotto  altro  profilo
l'irragionevolezza della diversa scelta operata con la norma oggi  in
esame. 
    Quest'ultima   va    dichiarata,    quindi,    costituzionalmente
illegittima, per violazione dell'art. 3 Cost., in combinato  disposto
con gli artt. 42 e 117, primo comma, Cost., in relazione  all'art.  1
Prot. addiz. CEDU, con assorbimento della questione relativa all'art.
41 Cost. 
    7.- Nel sistema vigente non si rinvengono soluzioni sanzionatorie
che possano essere sostituite, ad opera di  questa  Corte,  a  quella
dichiarata     costituzionalmente     illegittima,     in     ragione
dell'assimilabilita' delle condotte sanzionate. In  particolare,  non
soccorre la soluzione - che pure sembra ipotizzata dall'ordinanza  di
rimessione - di sostituire, alla sanzione colpita dalla dichiarazione
di illegittimita' costituzionale, quella prevista  nei  confronti  di
chi consenta la partecipazione al gioco a minori  di  anni  diciotto:
all'evidenza,  le   fattispecie   non   sono   assimilabili,   stante
l'eterogeneita' delle condotte punite. Per la violazione ora indicata
sono d'altro canto previste, in aggiunta alla sanzione amministrativa
pecuniaria, di minor importo e graduabile (da cinquemila a  ventimila
euro),  sanzioni  accessorie  di  significativo  spessore   (chiusura
temporanea dell'esercizio, del locale o  del  punto  di  offerta;  in
determinati casi di recidiva, revoca  delle  autorizzazioni  e  delle
concessioni amministrative), la cui estensione ai  comportamenti  che
qui interessano sarebbe contraria allo stesso "verso" delle questioni
e certamente estranea, comunque sia, alle competenze di questa Corte. 
    Per le ragioni gia' indicate al punto 3  che  precede,  cio'  non
rappresenta tuttavia ostacolo  alla  declaratoria  di  illegittimita'
costituzionale, la  quale  dovra'  assumere  un  contenuto  meramente
ablativo. Spettera' al  legislatore  determinare,  nel  rispetto  dei
principi costituzionali, una diversa  sanzione  per  i  comportamenti
considerati, stabilendone i relativi limiti minimo e massimo. 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    1) dichiara l'illegittimita' costituzionale dell'art. 7, comma 6,
secondo  periodo,  del  decreto-legge  13  settembre  2012,  n.   158
(Disposizioni urgenti per promuovere lo sviluppo del  Paese  mediante
un piu'  alto  livello  di  tutela  della  salute),  convertito,  con
modificazioni, nella legge 8 novembre 2012, n. 189; 
    2)  dichiara   inammissibile   la   questione   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 7, comma 6, secondo periodo, del d.l. n. 158
del 2012, come convertito, sollevata, in  riferimento  all'art.  117,
primo comma, della Costituzione, in relazione  agli  artt.  16  e  17
della Carta dei diritti  fondamentali  dell'Unione  europea  (CDFUE),
proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 e adattata a Strasburgo  il  12
dicembre 2007, dal Tribunale ordinario  di  Trapani  con  l'ordinanza
indicata in epigrafe. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 10 giugno 2021. 
 
                                F.to: 
                   Giancarlo CORAGGIO, Presidente 
                      Franco MODUGNO, Redattore 
             Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria 
 
    Depositata in Cancelleria il 23 settembre 2021. 
 
                   Il Direttore della Cancelleria 
                        F.to: Roberto MILANA 
 
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