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FURTO AL SUPERMERCATO, SE SI SUPERANO LE CASSE È DELITTO TENTATO. 

Suprema Corte di Cassazione Sezioni Unite Penali ud. 17/07/2014 – dep.16/12/2014 Sentenza Numero: 52117

Di Enrico Schenato.

 

Da diversi anni la giurisprudenza si interroga circa la qualificazione da dare alla condotta di furto in supermercato avvenuto sotto il controllo del personale di sicurezza, nei casi in cui il soggetto attivo venga fermato con la refurtiva dopo il superamento delle casse.

Come è noto, due sono le tesi emerse negli anni: a chi sostiene che tale condotta debba essere qualificata nei termini di furto consumato (posto che – si sostiene – nei casi in cui il responsabile abbia superato la barriera delle casse, a nulla rileva che il fatto sia avvenuto sotto il costante controllo del personale del centro commerciale addetto alla vigilanza) ribatte chi ritiene si abbia a che fare con furto solo tentato (atteso che, rispetto al momento della sottrazione, sarebbe l’effettivo impossessamento del bene a segnare il passaggio dal mero tentativo al delitto consumato; possesso che – sostengono i sostenitori della tesi del furto tentato – si realizzerebbe allorché la persona offesa abbia perso il controllo diretto della merce asportata).

Le Sezioni Unite hanno risolto il contrasto giurisprudenziale mediante la riaffermazione di tale secondo orientamento, nel senso della qualificazione giuridica della condotta in esame nei termini di furto tentato.

La quaestio iuris in esame – si legge nelle motivazioni – involge il più ampio tema della definizione giuridica della azione di impossessamento della cosa altrui, tipizzata dalla norma incriminatrice di cui all’art. 624, primo comma, cod. pen. che punisce chi «si impossessa della cosa mobile altrui, sottraendola a chi la detiene, al fine di trarne profitto per se o per altri”. La condotta dell’agente il quale oltrepassi la cassa, senza pagare la merce prelevata, rende difficilmente contestabile l’intento furtivo, ma lascia impregiudicata la questione se la circostanza comporti di per sé sola la consumazione del reato, quando l’azione delittuosa sia stata rilevata nel suo divenire dalla persona offesa, o dagli addetti alla vigilanza, i quali, nella immediatezza intervengano a difesa della proprietà della merce prelevata.

Orbene, appare difficilmente confutabile che l’impossessamento del soggetto attivo del delitto di furto postuli il conseguimento della signoria del bene sottratto, intesa come piena, autonoma ed effettiva disponibilità della refurtiva da parte dell’agente.

Sicché, laddove esso è escluso dalla concomitante vigilanza della persona offesa e dall’intervento esercitato in continenti a difesa della detenzione del bene materialmente appreso, ma ancora non uscito dalla sfera del controllo del soggetto passivo, la incompiutezza dell’impossessamento osta alla consumazione del reato e circoscrive la condotta delittuosa nell’ambito del tentativo.

L’occasione è stata data dal giudizio su una coppia che ha cercato di trafugare della merce da un supermercato. I due avevano rimosso la placchetta antitaccheggio e nascosto la merce sotto ai vestiti; arrivati alle casse avevano pagato solo un prodotto e si erano avviati all’uscita, dove però erano stati fermati da un addetto alla sicurezza che li seguiva a vista, essendosi accorto da prima del loro comportamento.

Tutta l’azione si era “svolta sotto gli occhi dell’addetto alla sicurezza il quale aveva monitorato ogni spostamento” dei due imputati e aveva deciso “di bloccarli alla rectius: dopo la barriera delle casse, anziché durante la sottrazione, per mere ragioni di opportunità” e proprio con questa motivazione il Tribunale decideva che la concorsuale condotta delittuosa doveva essere derubricata nella ipotesi del tentativo.

I giudici di merito avevano condiviso un orientamento presente nella stessa giurisprudenza di cassazione, che in alcune occasioni aveva affermato che il prelevamento della merce dai banchi di vendita di un grande magazzino a sistema “self service” e l’allontanamento senza pagare realizzasse il reato di furto consumato; ma aggiungendo che “allorché l’avente diritto o la persona da questi incaricata sorvegli l’azione furtiva, così da poterla interrompere in qualsiasi momento il delitto non può dirsi consumato perché la cosa non è ancora uscita dalla sfera di vigilanza e di controllo diretto dell’offeso.

In caso di “blocco” del ladro da parte del personale di vigilanza veniva così a ritenersi configurabile il solo tentativo di furto, con la conseguente diminuzione di pena. E ciò anche se la sottrazione avviene certamente nel momento in cui il cliente non mostra alla cassa la merce per il pagamento; con la integrazione di un “possesso” illegittimo non appena superate le casse (sino al momento della presentazione della merce alla cassa il possesso è legittimo, in quanto finalizzato al successivo acquisto).

Il Procuratore generale della Repubblica presso la Corte territoriale proponeva però ricorso immediato per cassazione, dichiarando promiscuamente di denunziare, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e), inosservanza o erronea applicazione della legge penale, in relazione all’art. 56 c.p., nonchè mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione.

La questione è stata quindi rimessa alle Sezioni Unite.

In questa nuova occasione la sezione assegnataria del ricorso ha evidenziato che nella giurisprudenza di cassazione esisteva un diverso orientamento, che ha ritenuto integrato il reato di furto consumato e non tentato nel caso in cui il cliente si era impossessato, superando la barriera delle casse, di merce prelevata dai banchi, sottraendola al pagamento, non dando rilievo al fatto che ciò fosse avvenuto sotto il costante controllo del personale del supermercato incaricato della sorveglianza.

Va inoltre evidenziato, a conforto della prima opzione, che le sezioni unite (19 aprile 2012 n. 34952, Reina), anche se chiamate a risolvere la diversa questione del tentativo di rapina impropria, hanno ritenuto che finché la cosa non sia uscita dalla sfera di sorveglianza del possessore, e questi è ancora in grado di recuperarla, la condotta andrebbe collocata nell’ambito del tentativo.
In considerazione di quanto sopra la quinta sezione della corte aveva ritenuto di sottoporre alla valutazione del Primo Presidente della Corte la opportunità di assegnare alle Sezioni Unite la trattazione del caso, una opportunità condivisa dal Primo Presidente, che aveva conseguentemente fissato, con decreto del 30 maggio 2014, l’udienza del 17 luglio 2014, per vedere risolta la questione se la condotta di sottrazione di merce all’interno di un supermercato, avvenuta sotto il costante controllo del personale di vigilanza, sia qualificabile come furto consumato o tentato allorché l’autore sia fermato dopo il superamento della barriera delle casse con la merce sottratta.

Le Sezioni Unite hanno privilegiato la soluzione più soft, affermando che si tratta soltanto di furto tentato, in continuità con la richiamata pronuncia delle sezioni unite in tema di rapina impropria.

La decisione ha evidenziato che la definizione della azione di impossessamento della cosa altrui di cui all’art. 624 c.p. (si impossessa della cosa mobile altrui sottraendola a chi la detiene) è caratterizzata dal sintagma impossessamento – sottrazione, ed è a questo che occorre riferirsi pur in presenza di una condotta dell’agente che, oltrepassando la cassa senza avere provveduto al pagamento, dimostra un incontestabile intento furtivo.

Infatti, sostiene la Corte, in difetto del perfezionamento del possesso della refurtiva a favore dell’agente deve escludersi che il reato possa considerarsi consumato.

Sul punto non vi è dubbio che l’impossessamento richieda il raggiungimento della piena signoria sul bene sottratto, intesa come piena, autonoma ed effettiva disponibilità della refurtiva da parte dell’autore del furto.
Condizione che viene esclusa dalla concomitante vigilanza della persona offesa dimostrata dall’intervento esercitato a difesa del bene, certamente appreso dal ladro, ma non ancora uscito completamente dalla sfera di controllo del soggetto passivo del reato.

A sostegno della propria scelta le Sezioni Unite hanno altresì richiamato il principio di offensività che ulteriormente giustifica il collegamento della consumazione del reato alla completa rescissione della “signoria che sul bene esercitava il detentore”.

In considerazione di quanto sopra le Sezioni Unite hanno affermato il principio di diritto per il quale “il monitoraggio nella attualità della azione furtiva avviata, esercitato sia mediante la diretta osservazione della persona offesa (o dei dipendenti addetti alla sorveglianza o della forze dell’ordine presenti in loco), sia mediante appositi apparati di rilevazione automatica del movimento della merce, e il conseguente intervento difensivo in continenti a tutela della detenzione, impediscono la consumazione del delitto di furto, che resta allo stadio del tentativo, in quanto l’agente non ha conseguito, neppure momentaneamente, l’autonoma ed effettiva disponibilità della refurtiva, non ancora uscita dalla sfera di vigilanza e di controllo diretto del soggetto danneggiato”.

In definitiva, per la Cassazione si tratta di tentativo perché anche se l’intento furtivo è incontestabile, di fatto la merce prelevata e oggetto del reato non è mai uscita dal controllo del possessore anche perché la stessa è stata subito recuperata e tanto fa “degradare la condotta di apprensione del bene a mero tentativo“.

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