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CORTE DI GIUSTIZIA UE Sez. 3^, 21 giugno 2018 Sentenza C-5/16

SENTENZA DELLA CORTE (Seconda Sezione)

21 giugno 2018

«Ricorso di annullamento – Decisione (UE) 2015/1814 – Determinazione della base giuridica – Considerazione degli effetti dell’atto – Insussistenza – Articolo 192, paragrafo 1, TFUE – Articolo 192, paragrafo 2, primo comma, lettera c), TFUE – Misure aventi una sensibile incidenza sulla scelta di uno Stato membro tra diverse fonti di energia e sulla struttura generale dell’approvvigionamento energetico del medesimo – Principio di leale cooperazione – Articolo 15 TUE – Competenze del Consiglio europeo – Principi della certezza del diritto e di tutela del legittimo affidamento – Principio di proporzionalità – Valutazione d’impatto»

Nella causa C-5/16,

avente ad oggetto un ricorso di annullamento, ai sensi dell’articolo 263 TFUE, proposto il 4 gennaio 2016,

Repubblica di Polonia, rappresentata da B. Majczyna e K. Rudzińska, in qualità di agenti, assistiti da I. Tatarewicz, ekspert,

ricorrente,

contro

Parlamento europeo, rappresentato da A. Tamás e A. Pospíšilová Padowska, in qualità di agenti,

Consiglio dell’Unione europea, rappresentato da M. Simm, A. Sikora e K. Pleśniak, in qualità di agenti,

convenuti,

sostenuti da:

Regno di Danimarca, rappresentato da M. Wolff, J. Nymann-Lindegren e C. Thorning, in qualità di agenti;

Repubblica federale di Germania, rappresentata da T. Henze, in qualità di agente;

Regno di Spagna, rappresentato da A. Gavela Llopis e M.A. Sampol Pucurull, in qualità di agenti;

Repubblica francese, rappresentata da D. Colas, G. de Bergues, J. Traband, T. Deleuil e S. Ghiandoni, in qualità di agenti;

Regno di Svezia, rappresentato da A. Falk, C. Meyer-Seitz, U. Persson, N. Otte Widgren e L. Swedenborg, in qualità di agenti;

Commissione europea, rappresentata da K. Herrmann, A.C. Becker, E. White e K. Mifsud-Bonnici, in qualità di agenti,

intervenienti,

LA CORTE (Seconda Sezione),

composta da M. Ilešič, presidente di sezione, A. Tizzano, vicepresidente della Corte, facente funzione di giudice della Seconda Sezione, A. Rosas (relatore), C. Toader e E. Jarašiūnas, giudici,

avvocato generale: P. Mengozzi

cancelliere: M. Aleksejev, amministratore

vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza dell’11 luglio 2017,

sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 30 novembre 2017,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1 Con il suo ricorso, la Repubblica di Polonia chiede alla Corte di annullare la decisione (UE) 2015/1814 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 6 ottobre 2015, relativa all’istituzione e al funzionamento di una riserva stabilizzatrice del mercato nel sistema dell’Unione per lo scambio di quote di emissione dei gas a effetto serra e recante modifica della direttiva 2003/87/CE (GU 2015, L 264, pag. 1; in prosieguo: la «decisione impugnata»).

Contesto normativo

Direttiva 2003/87

2 La direttiva 2003/87/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 ottobre 2003, che istituisce un sistema per lo scambio di quote di emissioni dei gas a effetto serra nella Comunità e che modifica la direttiva 96/61/CE del Consiglio (GU 2003, L 275, pag. 32), come modificata dalla direttiva 2009/29/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 aprile 2009 (GU 2009, L 140, pag. 63; in prosieguo: la «direttiva 2003/87»), è stata adottata sul fondamento dell’articolo 175, paragrafo 1, CE (divenuto articolo 192, paragrafo 1, TFUE).

3 La direttiva 2003/87 ha creato un sistema per lo scambio di quote di emissioni dei gas a effetto serra a livello dell’Unione europea (in prosieguo: l’«ETS»).

4 L’ETS è attivo dal 1° gennaio 2005 in tutti gli Stati dello Spazio economico europeo e copre circa il 45% delle emissioni di gas a effetto serra. Ai sensi dell’articolo 13, paragrafo 1, di tale direttiva, il terzo periodo di scambio, attualmente in corso, ha una durata di 8 anni, dal 2013 al 2020 (in prosieguo: il «terzo periodo di scambio»).

5 I considerando 5 e 22 della direttiva 2003/87 enunciano quanto segue:

«(5) La Comunità e i suoi Stati membri hanno convenuto di adempiere gli impegni a ridurre le emissioni antropiche dei gas a effetto serra di cui al protocollo di Kyoto, ai sensi della decisione 2002/358/CE [del Consiglio, del 25 aprile 2002, riguardante l’approvazione, a nome della Comunità europea, del protocollo di Kyoto allegato alla convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici e l’adempimento congiunto dei relativi impegni (GU 2002, L 130, pag. 1)]. La presente direttiva è intesa a contribuire ad un più efficace adempimento degli impegni da parte della Comunità europea e dei suoi Stati membri mediante un efficiente mercato europeo delle quote di emissione dei gas a effetto serra, con la minor riduzione possibile dello sviluppo economico e dell’occupazione.

(…)

(22) La presente direttiva è compatibile con la convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici e con il protocollo di Kyoto. Essa dovrebbe essere riesaminata alla luce degli sviluppi che si registreranno in tale contesto e per tener conto dell’esperienza acquisita nella sua attuazione, come pure dei progressi realizzati nel controllo delle emissioni di gas a effetto serra».

6 Ai sensi dell’articolo 1 di tale direttiva, intitolato «Oggetto»:

«La presente direttiva istituisce un sistema per lo scambio di quote di emissioni di gas a effetto serra nella Comunità (…) al fine di promuovere la riduzione di dette emissioni secondo criteri di validità in termini di costi e di efficienza economica.

La presente direttiva dispone inoltre che le riduzioni delle emissioni dei gas a effetto serra aumentino al fine di contribuire ai livelli di abbattimento ritenuti necessari, dal punto di vista scientifico, per evitare cambiamenti climatici pericolosi.

La presente direttiva stabilisce inoltre disposizioni per la valutazione e l’attuazione di un impegno più rigoroso della Comunità in materia di riduzioni, superiore al 20%, da applicare previa approvazione da parte della Comunità di un accordo internazionale sui cambiamenti climatici che conduca a riduzioni delle emissioni dei gas a effetto serra superiori a quelle previste all’articolo 9, come risulta dall’impegno di riduzione del 30% approvato dal Consiglio europeo del marzo 2007».

7 L’articolo 9 di detta direttiva, intitolato «Quantitativo comunitario di quote», al paragrafo 1 prevede quanto segue:

«Il quantitativo comunitario di quote rilasciate ogni anno a decorrere dal 2013 diminuisce in maniera lineare a partire dall’anno intermedio del periodo dal 2008 al 2012. Il quantitativo diminuisce di un fattore lineare pari all’1,74% rispetto al quantitativo medio annuo totale di quote rilasciate dagli Stati membri conformemente alle decisioni della Commissione sui loro piani nazionali di assegnazione per il periodo dal 2008 al 2012.

(…)».

8 L’articolo 29 della medesima direttiva così dispone:

«Qualora le relazioni periodiche sul mercato del carbonio di cui all’articolo 10, paragrafo 5 dimostrino che il mercato del carbonio non funziona correttamente, la Commissione presenta una relazione al Parlamento europeo e al Consiglio. Tale relazione può essere accompagnata, se del caso, da proposte volte a migliorare la concorrenza sul mercato del carbonio e a definire misure per migliorarne il funzionamento».

Direttiva 2009/29

9 I considerando da 3 a 5 della direttiva 2009/29 enunciano quanto segue:

«(3) Il Consiglio europeo del marzo 2007 si è impegnato risolutamente ad abbattere le emissioni complessive di gas a effetto serra della Comunità di almeno il 20% entro il 2020 rispetto al 1990 e del 30% a condizione che altri paesi sviluppati s’impegnino a realizzare riduzioni comparabili e che i paesi in via di sviluppo economicamente più avanzati contribuiscano adeguatamente in funzione delle proprie responsabilità e capacità. Per il 2050 è opportuno che le emissioni globali dei gas a effetto serra si riducano almeno della metà rispetto ai valori del 1990. Tutti i settori dell’economia dovrebbero contribuire a realizzare tali riduzioni delle emissioni, compresi i settori del trasporto marittimo e aereo internazionale. (…)

(4) Nella risoluzione del 31 gennaio 2008 sull’esito della Conferenza di Bali sul cambiamento climatico (COP 13 e COP/MOP 3) [(GU 2009, C 68 E, pag. 13)], il Parlamento europeo ha ribadito la sua posizione secondo la quale i paesi industrializzati dovrebbero impegnarsi a ridurre le loro emissioni di gas a effetto serra almeno del 30% entro il 2020 e dal 60 all’80% entro il 2050 rispetto ai livelli del 1990. Prevedendo un risultato positivo dei negoziati del COP 15 che si terranno a Copenaghen nel 2009, l’Unione europea dovrebbe iniziare a predisporre obiettivi più severi di riduzione delle emissioni per il 2020 e oltre, e dovrebbe garantire che, dopo il 2013, il sistema comunitario consenta, se necessario, di applicare tetti più rigorosi alle emissioni, quale parte del contributo dell’Unione a un futuro accordo internazionale sui cambiamenti climatici (…)

(5) Per contribuire alla realizzazione di questi obiettivi a lungo termine è opportuno definire un andamento prevedibile di riduzione delle emissioni prodotte dagli impianti che rientrano nel sistema comunitario. Per ottemperare in maniera economicamente efficiente all’impegno di abbattere le emissioni di gas a effetto serra della Comunità di almeno il 20% rispetto ai livelli del 1990, le quote di emissione assegnate a tali impianti dovrebbero essere, nel 2020, inferiori del 21% rispetto ai livelli di emissione registrati per detti impianti nel 2005».

Regolamento (UE) n. 176/2014

10 Ai sensi del considerando 3 del regolamento (UE) n. 176/2014 della Commissione, del 25 febbraio 2014, recante modifica del regolamento (UE) n. 1031/2010 al fine di determinare, in particolare, i volumi delle quote di emissioni dei gas a effetto serra da mettere all’asta nel periodo 2013-2020 (GU 2014, L 56, pag. 11):

«È opportuno tener conto dei mutamenti eccezionali intervenuti negli elementi determinanti per l’equilibrio tra domanda e offerta di quote, in particolare il nuovo rallentamento dell’economia, così come degli elementi temporanei connessi direttamente alla transizione alla fase 3, fra cui: l’aumento del volume inutilizzato di quote valide per il secondo periodo di scambio ai fini della conformità nel corso dello stesso; l’aumento dei volumi di riduzioni delle emissioni certificate e di unità di riduzione delle emissioni, derivante da progetti di riduzione delle emissioni nell’ambito del meccanismo di sviluppo pulito o di disposizioni di attuazione congiunta, disponibili per la cessione da parte di operatori rientranti nel sistema; la monetizzazione delle quote provenienti dalla riserva destinata ai nuovi entranti per il terzo periodo di scambio a sostegno di progetti dimostrativi della cattura e del sequestro del carbonio e di tecnologie innovative per le energie rinnovabili (NER300) a norma della decisione 2010/670/UE della Commissione [del 3 novembre 2010, che definisce i criteri e le misure per il finanziamento di progetti dimostrativi su scala commerciale mirati alla cattura e allo stoccaggio geologico del CO 2 in modo ambientalmente sicuro, nonché di progetti dimostrativi relativi a tecnologie innovative per le energie rinnovabili nell’ambito del sistema di scambio delle quote di emissioni dei gas a effetto serra nella Comunità istituito dalla direttiva 2003/87 (GU 2010, L 290, pag. 39)]; la liberazione delle quote che non sono necessarie nelle riserve destinate ai nuovi entranti per il secondo periodo di scambio. Sebbene su tutti questi fattori pesi, in gradi diversi, l’incertezza, è importante stabilire tempestivamente rettifiche adeguate dei volumi annui da mettere all’asta nel periodo 2014-2020».

11 L’articolo 1 di tale regolamento prevede quanto segue:

«Il regolamento (UE) n. 1031/2010 [della Commissione, del 12 novembre 2010, relativo ai tempi, alla gestione e ad altri aspetti della vendita all’asta delle quote di emissioni dei gas a effetto serra a norma della direttiva 2003/87 (GU 2010, L 302, pag. 1)] è così modificato:

1) all’articolo 10, paragrafo 2, dopo il secondo comma sono inseriti i commi seguenti:

“Nel periodo 2014-2016 il volume di quote da mettere all’asta in un dato anno, calcolato in base al primo o al secondo comma, è ridotto della quantità di quote indicata per l’anno in questione nella seconda colonna della tabella riportata nell’allegato IV.

(…)».

Conclusioni del Consiglio europeo del 23 e 24 ottobre 2014

12 Il 23 e il 24 ottobre 2014, il Consiglio europeo ha adottato conclusioni sul quadro 2030 per le politiche dell’energia e del clima (EUCO 169/14) (in prosieguo: le «conclusioni del Consiglio europeo del 2014»).

13 Il punto 2 di tali conclusioni enuncia quanto segue:

«Il Consiglio europeo ha approvato un obiettivo [dell’Unione] vincolante di riduzione delle emissioni nazionali di gas a effetto serra almeno del 40% entro il 2030 rispetto ai livelli del 1990. A tal fine:

(…)

[ETS]

2.3. un sistema di scambio di quote di emissione (ETS) riformato ben funzionante, con uno strumento di stabilizzazione del mercato in linea con la proposta della Commissione, sarà il principale strumento europeo per raggiungere tale obiettivo; il fattore annuale di riduzione del tetto massimo di emissioni consentite verrà modificato dall’1,74% al 2,2% a partire dal 2021;

(…)».

Decisione impugnata

14 Il 6 ottobre 2015, il Parlamento europeo ed il Consiglio dell’Unione europea hanno adottato la decisione impugnata, relativa alla costituzione e al funzionamento della riserva stabilizzatrice del mercato (in prosieguo: la «RSM»)

15 I considerando 1, 2, 4, 5 e 8 di tale decisione così recitano:

«(1) La direttiva 2003/87/CE del Parlamento europeo e del Consiglio istituisce un [ETS] (…) al fine di favorire le riduzioni delle emissioni [dei gas a effetto serra] in maniera efficace in termini di costi ed economicamente efficiente.

(2) Secondo le conclusioni del Consiglio europeo [del 2014] per le politiche dell’energia e del clima, un [ETS] riformato e ben funzionante, con uno strumento di stabilizzazione del mercato, sarà il principale strumento europeo per raggiungere l’obiettivo dell’Unione di riduzione delle emissioni di gas a effetto serra.

(…)

(4) La relazione della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio sulla situazione del mercato europeo del carbonio nel 2012 ha individuato la necessità di adottare misure per affrontare gli squilibri strutturali tra domanda e offerta. Dalla valutazione d’impatto vertente sul quadro 2030 per le politiche del clima e dell’energia emerge che, stando alle previsioni, detti squilibri perdureranno e non potranno essere riassorbiti in modo adeguato adattando la traiettoria lineare verso un obiettivo più rigoroso stabilito in tale quadro. Ritoccando il fattore lineare si ottengono soltanto modifiche graduali della quantità di quote a livello di Unione [tetto massimo dell’ETS (…)]. Di conseguenza, anche l’eccedenza diminuirebbe soltanto gradualmente, tant’è che per oltre un decennio il mercato dovrebbe continuare a funzionare con un’eccedenza di circa 2 miliardi di quote o più, impedendo in tal modo all’ETS (…) di inviare il segnale di investimento necessario per ridurre le emissioni di CO2 in maniera efficace in termini di costi e di divenire un motore dell’innovazione a basse emissioni di carbonio in grado di contribuire alla crescita economica e all’occupazione.

(5) Per ovviare a detto problema e per aumentare la resilienza dell’ETS (…) agli squilibri tra domanda e offerta, così da consentirgli di funzionare in un mercato ordinato, è opportuno costituire una [RSM] (…) nel 2018, la quale dovrebbe essere operativa a partire dal 2019. La [RSM] potenzierà inoltre le sinergie con le altre politiche in materia di clima ed energia. Per garantire la massima prevedibilità, dovrebbero essere fissate regole chiare sull’integrazione di quote nella [RSM] e sul loro svincolo dalla [RSM]. (…)

(…)

(8) La reintroduzione prevista di 300 milioni di quote nel 2019 e di 600 milioni di quote nel 2020, così come determinato nel regolamento (UE) n. 176/2014 della Commissione, pregiudicherebbe l’obiettivo della [RSM] di porre rimedio agli squilibri strutturali tra domanda e offerta. Conseguentemente, i suddetti 900 milioni di quote non dovrebbero essere messi all’asta nel 2019 e nel 2020 ma dovrebbero al contrario essere integrati nella [RSM]».

16 L’articolo 1 di detta decisione, intitolato «Riserva stabilizzatrice del mercato», così dispone:

«1. È costituita una [RSM] nel 2018 nella quale le quote sono integrate a partire dal 1° gennaio 2019.

2. La quantità di 900 milioni di quote dedotta dal volume d’asta durante il periodo 2014-2016, come determinato nel regolamento (UE) n. 176/2014 a norma dell’articolo 10, paragrafo 4, della direttiva 2003/87/CE, non è aggiunta ai volumi da mettere all’asta nel 2019 e nel 2020 ma è integrata nella [RSM].

3. Le quote non assegnate agli impianti a norma dell’articolo 10 bis, paragrafo 7, della direttiva 2003/87/CE e quelle non assegnate agli impianti in applicazione dell’articolo 10 bis, paragrafi 19 e 20, della citata direttiva sono integrate nella [RSM] nel 2020. La Commissione riesamina la direttiva 2003/87/CE in relazione a tali quote non assegnate e, se del caso, presenta una proposta al Parlamento europeo e al Consiglio.

4. La Commissione pubblica il numero totale di quote di emissione in circolazione ogni anno entro il 15 maggio dell’anno successivo. (…)

5. Ogni anno, un numero di quote pari al 12% del numero totale di quote in circolazione, quale determinato nella più recente pubblicazione di cui al paragrafo 4 del presente articolo, è dedotto dal volume di quote che gli Stati membri devono mettere all’asta a norma dell’articolo 10, paragrafo 2, della direttiva 2003/87/CE ed è integrato nella [RSM] in un periodo di 12 mesi a decorrere dal 1° settembre di tale anno, salvo che il numero di quote da integrare nella [RSM] sia inferiore ai 100 milioni. Nel primo anno di attività della [RSM], le integrazioni dovrebbero anche avere luogo tra il 1° gennaio e il 1° settembre di tale anno per una percentuale pari all’8%, (il che equivale ad una percentuale dell’1% per ogni mese civile), del numero totale di quote in circolazione quale determinato nella più recente pubblicazione.

Fatto salvo il numero totale di quote di emissione da dedurre a norma del presente paragrafo, fino al 31 dicembre 2025, le quote di cui all’articolo 10, paragrafo 2, primo comma, lettera b), della direttiva 2003/87/CE non sono computate nel determinare le percentuali con cui gli Stati membri contribuiscono a tale numero totale.

6. Qualora, in un anno, il numero totale di quote in circolazione sia inferiore a 400 milioni, 100 milioni di quote sono svincolate dalla [RSM] e aggiunte al volume di quote che gli Stati membri devono mettere all’asta a norma dell’articolo 10, paragrafo 2, della direttiva 2003/87/CE. Se le quote disponibili nella [RSM] sono meno di 100 milioni, ai fini del presente paragrafo sono svincolate tutte le quote della [RSM].

7. Qualora, in un dato anno, il paragrafo 6 del presente articolo non sia applicabile e siano adottate misure ai sensi dell’articolo 29 bis della direttiva 2003/87/CE, 100 milioni di quote sono svincolate dalla [RSM] e aggiunte al volume di quote che gli Stati membri devono mettere all’asta a norma dell’articolo 10, paragrafo 2, della direttiva 2003/87/CE. Se le quote disponibili nella [RSM] sono meno di 100 milioni, ai fini del presente paragrafo sono svincolate tutte le quote della [RSM].

(…)».

Fatti

17 Nel novembre 2012, la Commissione ha presentato una relazione al Parlamento europeo e al Consiglio intitolata «La situazione del mercato europeo del carbonio nel 2012» [COM(2012) 652 final] (in prosieguo: la «relazione sulla situazione del mercato del carbonio nel 2012»), e ha constatato che, all’inizio del terzo periodo di scambio, l’ETS era caratterizzato da un crescente squilibrio strutturale tra domanda e offerta di quote, che si tradurrebbe in un’eccedenza che può raggiungere circa 2 miliardi di quote.

18 Per porre rimedio a tale squilibrio, la Commissione ha presentato, il 22 gennaio 2014, una proposta di decisione del Parlamento europeo e del Consiglio relativa alla costituzione e al funzionamento di una riserva stabilizzatrice del mercato nel sistema unionale di scambio di quote di emissione dei gas a effetto serra e recante modifica della direttiva 2003/87 [COM(2014) 20 final] (in prosieguo: la «proposta della Commissione del 2014»).

19 Nella valutazione d’impatto che accompagna la proposta di decisione del Parlamento europeo e del Consiglio relativa alla costituzione e al funzionamento di una riserva stabilizzatrice del mercato nel sistema unionale di scambio di quote di emissione dei gas a effetto serra e recante modifica della direttiva 2003/87/CE (SWD(2014) 017 final) (in prosieguo: la «valutazione d’impatto»), la Commissione ha affermato che tale eccedenza strutturale di quote di emissione nell’ETS, che si era accumulata a ritmo sostenuto dal 2008 al 2012, avrebbe potuto compromettere la capacità di detto sistema di raggiungere i propri obiettivi a lungo termine con un buon rapporto costo/efficacia, a meno che non venissero adottate misure regolamentari.

20 La proposta della Commissione del 2014 è stata esaminata dal Consiglio e dai suoi organi preparatori nel corso di una serie di riunioni tenutesi tra la fine del gennaio 2014 al maggio 2015. I negoziati con il Parlamento europeo hanno portato all’adozione della decisione impugnata il 6 ottobre 2015.

Conclusioni delle parti e procedimento dinanzi alla Corte

21 La Repubblica di Polonia chiede che la Corte voglia:

– annullare la decisione impugnata e

– condannare il Parlamento e il Consiglio alle spese.

22 Il Parlamento e il Consiglio chiedono che la Corte voglia:

– respingere integralmente il ricorso e

– condannare la Repubblica di Polonia alle spese.

23 Con decisione del 1° giugno 2016, il Regno di Danimarca, la Repubblica federale di Germania, il Regno di Spagna, la Repubblica francese e la Commissione sono stati ammessi ad intervenire a sostegno delle conclusioni del Parlamento e del Consiglio. Lo stesso giorno, il Regno di Svezia è stato ammesso ad intervenire a sostegno delle conclusioni del Consiglio.

Sul ricorso

Sul primo motivo, vertente sulla violazione dell’articolo 192, paragrafo 1, TFUE, letto in combinato disposto con l’articolo 192, paragrafo 2, primo comma, lettera c), TFUE

Argomenti delle parti

24 La Repubblica di Polonia sostiene che la decisione impugnata violi l’articolo 192, paragrafo 1, TFUE, letto in combinato disposto con l’articolo 192, paragrafo 2, primo comma, lettera c), TFUE, in quanto è stata adottata secondo la procedura legislativa ordinaria, sebbene costituisca, ai sensi di quest’ultima disposizione, una misura avente una sensibile incidenza sulla scelta di uno Stato membro tra diverse fonti di energia nonché sulla struttura generale del suo approvvigionamento energetico. In forza dell’articolo 192, paragrafo 2, primo comma, TFUE, siffatta decisione avrebbe dovuto essere adottata dal Consiglio all’unanimità, conformemente alla procedura legislativa speciale.

25 In primo luogo, tale Stato membro afferma che dal tenore letterale dell’articolo 192, paragrafo 2, primo comma, lettera c), TFUE emerge che la scelta di detta disposizione come base giuridica deve fondarsi su una valutazione degli effetti concreti, derivanti dall’esecuzione delle misure ambientali previste dall’atto legislativo di cui trattasi, e non degli obiettivi perseguiti con l’adozione di quest’ultimo.

26 La Repubblica di Polonia osserva che, stando alla sua formulazione, l’articolo 192, paragrafo 2, primo comma, lettera c), TFUE riguarda le «misure aventi una sensibile incidenza sulla scelta di uno Stato membro tra diverse fonti di energia e sulla struttura generale dell’approvvigionamento energetico del medesimo», e non le misure volte ad avere una sensibile influenza su tale scelta. Pertanto, essa sostiene che, se si ammettesse che la scelta di tale disposizione come base giuridica possa non fondarsi sulla valutazione degli effetti concreti di una misura, la procedura speciale prevista da detta disposizione sarebbe svuotata di significato e il solo fatto che l’autore del progetto di un atto dichiari che quest’ultimo non ha l’obiettivo di incidere sulla scelta di uno Stato membro tra diverse fonti di energia sarebbe sufficiente per escludere la necessità di applicare la procedura legislativa speciale.

27 Detto Stato membro sostiene che tale valutazione non sia in contrasto con la giurisprudenza della Corte in materia di scelta della base giuridica. In particolare, risulterebbe dalle sentenze del 23 febbraio 1999, Parlamento/Consiglio (C‑42/97, EU:C:1999:81, punto 63), nonché del 12 dicembre 2002, Commissione/Consiglio (C‑281/01, EU:C:2002:761, punti 40 e 41), che gli effetti prodotti da un atto legislativo fanno parte degli elementi oggettivi che possono essere sottoposti a controllo giurisdizionale.

28 In secondo luogo, lo Stato membro ricorrente afferma che, tenuto conto del contesto energetico globale della Polonia, la decisione impugnata ha una sensibile incidenza sulla scelta delle sue fonti di energia e sulla struttura generale del suo approvvigionamento energetico.

29 A tale riguardo, la Repubblica di Polonia sostiene di dipendere in misura particolarmente elevata dai combustibili fossili, cosicché più dell’83% dell’energia elettrica in essa prodotta proviene dal carbone e dalla lignite. La costituzione della RSM comporterebbe un aumento dei prezzi delle quote di emissione che porterebbe inevitabilmente ad una modifica del settore energetico di tale Stato membro. Nel caso di specie, l’utilizzo del gas naturale aumenterebbe sino a raggiungere, nel 2035, il 700% dell’attuale livello di utilizzo. Per contro, in assenza della RSM, il settore energetico polacco continuerebbe a basarsi principalmente sulla lignite e sul carbone. Inoltre, l’utilizzo del gas naturale supererebbe ampiamente il livello nazionale attuale di estrazione di tale materia prima, comporterebbe un aumento del volume delle importazioni e, pertanto, pregiudicherebbe la sicurezza della Repubblica di Polonia in materia di approvvigionamento energetico.

30 Secondo tale Stato membro, la creazione della RSM comporterà un aumento dei prezzi delle quote di emissione che determinerà anche una modifica della competitività dei vari tipi di centrali e della struttura della produzione di energia elettrica a livello nazionale, nonché un calo della competitività del settore energetico e dell’economia polacca.

31 Al fine di dimostrare l’impatto della decisione impugnata sul proprio mix energetico, la Repubblica di Polonia ha prodotto in allegato alla sua replica un documento intitolato «Analisi dell’influenza del meccanismo della riserva stabilizzatrice del mercato [conformemente alla decisione 2015/1814] sulla formazione del mix energetico della Polonia», redatto dal Krajowy Ośrodek Bilansowania Zarządzania i Emisjami (Centro nazionale di bilanciamento e gestione delle emissioni, Polonia).

32 In terzo luogo, la Repubblica di Polonia sostiene che, in ogni caso, risulta direttamente dalla valutazione d’impatto che accompagna la proposta della Commissione del 2014 che la lotta contro lo squilibrio tra l’offerta e la domanda sul mercato delle quote di emissione sia una finalità di natura strumentale della decisione impugnata, la quale mira, in realtà, a che il prezzo delle quote sia fissato ad un livello corretto. Tale prezzo dovrebbe, successivamente, riorientare gli Stati membri verso le energie rinnovabili o verso i combustibili con minori emissioni di carbonio e, quindi, comportare una modifica della struttura del loro approvvigionamento energetico, attraverso la sua diversificazione e la riduzione della parte di energia ottenuta da combustibili fossili.

33 Ne deriverebbe che la correzione dello squilibrio esistente sul mercato attraverso l’aumento del prezzo delle quote dovrebbe consentire di raggiungere l’obiettivo principale della decisione impugnata, consistente nell’evoluzione del mix energetico degli Stati membri, il che confermerebbe che la decisione impugnata avrebbe dovuto essere adottata sulla base dell’articolo 192, paragrafo 2, primo comma, lettera c), TFUE.

34 In risposta all’argomento del Consiglio secondo il quale la modifica dei prezzi non imporrebbe agli operatori di adottare una determinata posizione, poiché lascerebbe loro la scelta tra acquistare quote o ridurre le emissioni, o ancora trasferire i costi sui rispettivi clienti, la Repubblica di Polonia replica che, in un mercato all’ingrosso dell’energia che funziona correttamente, l’operatore dispone di limitate possibilità di trasferire i costi sul cliente. Tale trasferimento sarebbe possibile a breve termine mentre, a lungo termine, l’operatore che utilizza carbone dovrebbe entrare in concorrenza con altri operatori, che utilizzano, ad esempio, gas naturale, ottenendo costi di produzione inferiori, oppure rinunciare all’uso del carbone a vantaggio di altre fonti di energia, per contenere l’aumento dei costi di produzione dell’energia.

35 Infine, la Repubblica di Polonia contesta gli argomenti delle istituzioni convenute relativi alla decrescente importanza della parte riservata agli impianti di combustione in tutti gli Stati interessati dall’ETS, a causa del costante ampliamento del campo di applicazione della direttiva 2003/87. I dati dell’Agenzia europea dell’ambiente (AEA) dimostrerebbero che la parte delle emissioni di combustione non ha subito cambiamenti significativi nei primi anni del terzo periodo di scambio e che il suo livello, in Polonia, è nettamente superiore alla media rilevata in tutti tali Stati.

36 Il Consiglio e il Parlamento, sostenuti dagli intervenienti, sostengono che il primo motivo debba essere respinto.

Giudizio della Corte

37 Al fine di statuire sul presente motivo, occorre rilevare che, come rammentano giustamente il Consiglio e il Parlamento europeo, la Corte è stata chiamata ad esaminare, nella sentenza del 30 gennaio 2001, Spagna/Consiglio (C‑36/98, EU:C:2001:64), la natura dell’eccezione prevista dall’articolo 192, paragrafo 2, primo comma, TFUE, in occasione dell’interpretazione da essa effettuata dell’articolo 130 S, paragrafo 2, primo comma, secondo trattino, del Trattato CE, corrispondente all’articolo 192, paragrafo 2, primo comma, lettera b), secondo trattino, TFUE.

38 In tale causa, la Corte ha ricordato che la scelta della base giuridica di un atto dell’Unione deve fondarsi su elementi oggettivi, che possano essere oggetto di sindacato giurisdizionale, tra i quali figurano, in particolare, lo scopo e il contenuto di tale atto (sentenze del 30 gennaio 2001, Spagna/Consiglio, C‑36/98, EU:C:2001:64, punti 58 e 59, nonché dell’11 giugno 2014, Commissione/Consiglio, C‑377/12, EU:C:2014:1903, punto 34 e giurisprudenza ivi citata).

39 Nonostante la causa che ha dato luogo alla sentenza del 30 gennaio 2001, Spagna/Consiglio (C‑36/98, EU:C:2001:64), riguardasse l’eccezione di cui all’articolo 192, paragrafo 2, primo comma, lettera b), TFUE, il medesimo ragionamento deve essere seguito per quanto riguarda le disposizioni dell’articolo 192, paragrafo 2, primo comma, lettera c), TFUE. Risulta quindi da tale giurisprudenza che la scelta come base giuridica dell’articolo 192, paragrafo 2, primo comma, lettera c), TFUE, non può fondarsi su elementi diversi da quelli presi costantemente in considerazione dalla Corte nella propria giurisprudenza.

40 Il fatto che, quando la Corte ha pronunciato tale sentenza, il testo dell’articolo 130 S, paragrafo 2, primo comma, secondo trattino, del trattato CE contenesse il termine «concernenti», e non il termine «incidenti» non rimette in discussione le conclusioni che si devono trarre ai fini della soluzione della presente controversia. Risulta infatti dal ragionamento seguito dalla Corte in detta sentenza che essa ha ritenuto che tali due termini abbiano un significato in larga misura equivalente, come attestato dal punto 52 della medesima sentenza, nel quale viene precisato che l’articolo 130 S, paragrafo 2, primo comma, secondo trattino, del Trattato CE contiene le misure che riguardano, in quanto tali, il territorio ed i suoli degli Stati membri, nonché le loro risorse idriche.

41 Dato che, per conoscere gli effetti reali e concreti di una misura legislativa, è necessario procedere all’analisi di tali effetti dopo la sua entrata in vigore, la scelta del legislatore dovrebbe basarsi su ipotesi relative all’impatto probabile di detta misura, le quali, per loro natura, hanno carattere speculativo e non rappresentano in alcun modo elementi oggettivi che possono essere oggetto di sindacato giurisdizionale, ai sensi della giurisprudenza citata al punto 38 della presente sentenza.

42 Si deve di conseguenza constatare che la valutazione dell’impatto sulla politica energetica di uno Stato membro di un atto dell’Unione non costituisce un elemento che deve essere valutato al di fuori dello scopo o del contenuto di tale atto, o in deroga a questi ultimi.

43 Peraltro, come ha rilevato il Consiglio, occorre sottolineare che l’articolo 192, paragrafo 2, TFUE deve essere letto in combinato disposto con l’articolo 191 TFUE, che mira ad attribuire all’UE un ruolo nella salvaguardia dell’ambiente e nella lotta contro il cambiamento climatico, in particolare assumendo ed attuando impegni internazionali a tal fine.

44 Dal momento che le misure adottate a tal fine hanno necessariamente un impatto sul settore energetico degli Stati membri, un’interpretazione estensiva dell’articolo 192, paragrafo 2, primo comma, punto c), TFUE rischierebbe di produrre l’effetto di erigere a regola generale il ricorso a una procedura legislativa speciale che ha il carattere di deroga prevista dal Trattato FUE.

45 Ebbene, tale conclusione non sarebbe conciliabile con la giurisprudenza della Corte secondo la quale le disposizioni che hanno carattere di deroga ad un principio devono essere interpretate restrittivamente (v., per analogia, sentenza del 10 giugno 2010, Bruno e a., C‑395/08 e C‑396/08, EU:C:2010:329, punto 35 e giurisprudenza ivi citata).

46 Ne consegue che l’articolo 192, paragrafo 2, primo comma, lettera c), TFUE, può costituire la base giuridica di un atto dell’Unione soltanto se risulta dallo scopo e dal contenuto di quest’ultimo che il risultato principale perseguito da tale atto consiste nell’avere una sensibile incidenza sulla scelta di uno Stato membro tra diverse fonti di energia e sulla struttura generale dell’approvvigionamento energetico del medesimo.

47 Per quanto riguarda l’argomento della Repubblica di Polonia secondo il quale la procedura speciale prevista da tale disposizione potrebbe essere aggirata dall’autore di un progetto di un atto che dichiara che l’obiettivo di quest’ultimo non consiste nell’influire sulla scelta di uno Stato membro tra diverse fonti di energia, occorre ricordare che non solo l’obiettivo, ma anche il contenuto dell’atto adottato costituiscono un elemento essenziale ai fini della verifica della fondatezza della base giuridica di tale atto.

48 Alla luce di quanto precede, occorre analizzare la fondatezza della scelta della base giuridica della decisione impugnata alla luce dello scopo e del contenuto della stessa.

49 In via preliminare, occorre rilevare che l’atto impugnato è, certamente, intrinsecamente connesso alla direttiva 2003/87. Tuttavia, secondo una costante giurisprudenza, la determinazione della base giuridica di un atto, infatti, deve avvenire sulla base del suo scopo e del suo contenuto specifici e non alla luce della base giuridica scelta per l’adozione di altri atti dell’Unione aventi, eventualmente, caratteristiche analoghe (sentenza del 10 gennaio 2006, Commissione/Parlamento e Consiglio, C‑178/03, EU:C:2006:4, punto 55). Pertanto, come ha correttamente affermato la Repubblica di Polonia, l’analisi della base giuridica della decisione impugnata deve essere effettuata in maniera autonoma rispetto a quella della base giuridica della direttiva 2003/87.

50 Per quanto riguarda l’obiettivo della decisione impugnata, occorre ricordare i motivi che hanno giustificato l’adozione della stessa.

51 Come indicato dalla relazione introduttiva alla proposta della Commissione del 2014, l’inizio del terzo periodo di scambio ha visto un grande squilibrio fra domanda e offerta di quote nell’ETS, come è stato ricordato ai punti 17 e 18 della presente sentenza.

52 La causa di tale squilibrio va ricercata soprattutto nel disallineamento fra l’offerta di quote di emissione nelle aste, il cui volume è fissato in maniera molto rigida, e la domanda di quote, che è invece flessibile e influenzata dal ciclo economico, dai prezzi dei combustibili fossili e da altri fattori. Pertanto, se a una domanda debole corrisponde in genere un calo dell’offerta sul mercato europeo del carbonio, lo stesso non vale per l’offerta di quote nelle aste, in ragione della disciplina in vigore.

53 Come sottolineato in tale proposta, nonché al considerando 4 della decisione impugnata, l’esistenza di un’eccedenza così importante poteva rimettere in discussione l’effetto incentivante che l’istituzione di un ETS operativo era destinato a fornire e compromettere notevolmente la capacità di tale sistema di raggiungere i propri obiettivi nelle fasi successive.

54 Pertanto, il considerando 5 della decisione impugnata precisa che è «[p]er ovviare a detto problema e per aumentare la resilienza dell’[ETS] agli squilibri tra domanda e offerta, così da consentirgli di funzionare in un mercato ordinato, [che] è opportuno costituire una [RSM] (…) nel 2018, la quale dovrebbe essere operativa a partire dal 2019».

55 Il considerando 8 di tale decisione sottolinea inoltre che l’obiettivo della RSM consiste nel «porre rimedio agli squilibri strutturali tra domanda e offerta».

56 Come rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 22 delle sue conclusioni, è quindi per rispondere a tale «squilibrio strutturale», identificato fin dal 2012, che la decisione impugnata è stata adottata.

57 Per quanto riguarda il contenuto di tale decisione, occorre ricordare che la RSM è intesa come un meccanismo quantitativo sulla base del quale i volumi di quote da mettere all’asta sono adattati automaticamente, in funzione di una serie di criteri specificati all’articolo 1 della stessa decisione.

58 Come risulta da tale articolo 1, la RSM può agire bloccando l’arrivo sul mercato delle quote oppure, in caso di carenza di offerta, liberando una parte delle quote che erano state collocate all’interno di tale riserva. La RSM ha quindi l’effetto di stabilizzare l’offerta di quote sul mercato, senza aggiungere quote supplementari e senza ritirarne in via definitiva.

59 A norma dell’articolo 1, paragrafo 4, della decisione impugnata, l’avvio dei trasferimenti verso la RSM, o a partire da quest’ultima, viene effettuato in base ai dati numerici relativi al livello annuo dell’offerta di quote sul mercato, pubblicate dalla Commissione.

60 Risulta pertanto sia dallo scopo che dal contenuto di tale decisione che la RSM è stata concepita come uno strumento che deve, in un primo momento, porre rimedio agli squilibri attuali e, in un secondo momento, rendere l’ETS più resistente a qualsiasi evento futuro di grande portata, che possa perturbare gravemente l’equilibrio tra la domanda e l’offerta di quote.

61 Si tratta, in sostanza, di un intervento puntuale del legislatore finalizzato alla correzione di una debolezza strutturale dell’ETS, che potrebbe impedire a tale sistema di svolgere la sua funzione di incentivo agli investimenti per ridurre le emissioni di biossido di carbonio in condizioni economicamente efficaci ed essere un motore per l’innovazione a basse emissioni di carbonio, contribuendo alla lotta contro il cambiamento climatico.

62 Alla luce di quanto precede, non risulta dall’analisi dello scopo e del contenuto della decisione impugnata che il risultato principale perseguito da tale decisione consista nell’avere una sensibile incidenza sulla scelta di uno Stato membro tra diverse fonti di energia e sulla struttura generale del suo approvvigionamento energetico, cosicché la scelta dell’articolo 192, paragrafo 1, TFUE quale base giuridica della decisione in parola sarebbe erronea alla luce della base giuridica offerta dall’articolo 192, paragrafo 2, primo comma, lettera c), TFUE.

63 Per quanto riguarda l’argomento della Repubblica di Polonia secondo il quale l’obiettivo principale della decisione impugnata consisterebbe in realtà nel far evolvere il mix energetico degli Stati membri mediante un aumento del prezzo delle quote, occorre rilevare che, come risulta tanto dalle disposizioni che dall’economia della direttiva 2003/87, l’ETS è stato concepito come uno strumento quantitativo in cui una quantità predefinita di quote di emissioni viene rilasciata per conseguire l’obiettivo ambientale auspicato, il quale, ai sensi dell’articolo 1 di tale direttiva, consiste nel «promuovere la riduzione di dette emissioni secondo criteri di validità in termini di costi e di efficienza economica». Occorre inoltre sottolineare che tale sistema non interviene direttamente per fissare un prezzo delle quote, il quale è esclusivamente determinato dalle forze del mercato, sulla base, in particolare, della scarsità di quote, associata alla flessibilità offerta dalla possibilità di effettuare scambi. Il segnale trasmesso dal prezzo così creato a livello dell’Unione dovrebbe influenzare le decisioni operative e strategiche degli investitori.

64 Ebbene, occorre rilevare, al pari delle istituzioni convenute, che, da un lato, il prezzo delle quote stabilito nel contratto non influisce in alcun modo sul funzionamento della RSM che resta, per definizione, neutra su questo punto.

65 Dall’altro, tenuto conto delle modalità che disciplinano detto sistema e, in particolare, del fatto che la RSM può bloccare l’ingresso di quote sul mercato oppure liberarne una parte, il probabile effetto di quest’ultima sarà quello di stabilizzare il prezzo delle emissioni piuttosto che farlo aumentare.

66 Tuttavia, a causa del fatto che la quantità totale di quote disponibili nell’ETS diminuisce in funzione di un fattore di riduzione lineare annuale, è insito nella logica di quest’ultimo che il prezzo delle quote aumenti gradualmente nel corso del tempo.

67 Pertanto, nella misura in cui la decisione impugnata corregge una debolezza strutturale dell’ETS, essa contribuisce a che tale sistema emetta un segnale del prezzo del carbonio a livello dell’Unione, che consenta a quest’ultima di raggiungere i suoi obiettivi in materia di riduzione delle emissioni, e comporterà logicamente un aumento del prezzo delle quote nel futuro.

68 Tuttavia, si deve constatare che tali effetti sono solo una conseguenza indiretta dello stretto legame esistente tra la decisione impugnata e la direttiva 2003/87.

69 Pertanto, come rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 24 delle sue conclusioni, dal momento che la RSM è concepita come un complemento o una correzione dell’ETS, il legislatore dell’Unione ha correttamente fondato la decisione impugnata sull’articolo 192, paragrafo 1, TFUE.

70 In tali condizioni, non è necessario esaminare gli asseriti effetti della decisione impugnata sul mix energetico della Repubblica di Polonia.

71 Alla luce delle considerazioni che precedono, il primo motivo deve essere respinto in quanto infondato.

Sul secondo motivo, vertente sulla violazione delle competenze del Consiglio europeo definite all’articolo 15 del TUE e sulla violazione dell’obbligo di leale cooperazione

Argomenti delle parti

72 La Repubblica di Polonia afferma, in sostanza, che le conclusioni del Consiglio europeo del 2014 hanno fissato all’anno 2021 la data di entrata in funzione della RSM.

73 Ebbene, posticipando di due anni tale data, come risulta dall’articolo 1, paragrafo 1, della decisione impugnata, le istituzioni convenute avrebbero interferito con le prerogative del Consiglio europeo e rimesso in discussione la competenza di quest’ultimo a definire gli orientamenti politici in materia di attuazione della legislazione dell’Unione, come garantiti dall’articolo 15 TUE.

74 La Repubblica di Polonia sostiene che il cambiamento della data di attuazione della RSM viola altresì il principio di leale cooperazione, dato che la decisione impugnata conterrebbe un elemento essenziale contrario alle conclusioni del Consiglio europeo.

75 I convenuti e gli intervenienti contestano tali argomenti.

Giudizio della Corte

76 Il secondo motivo di ricorso si divide in due parti, vertenti, rispettivamente, sulla violazione delle competenze del Consiglio europeo definite all’articolo 15 TUE, e sulla violazione del principio di leale cooperazione.

77 Nell’ambito della prima di tali parti, lo Stato membro ricorrente si basa, in sostanza, su un’interpretazione letterale del punto 2.3 delle conclusioni del Consiglio europeo del 2014, secondo la quale quest’ultimo avrebbe fissato il 2021 come data di entrata in vigore della RSM.

78 A tal riguardo, occorre precisare che il citato punto 2.3, nella sua versione in lingua francese, così recita: «un [ETS] riformato ben funzionante, con uno strumento di stabilizzazione del mercato in linea con la proposta della Commissione, sarà il principale strumento [dell’Unione] per raggiungere tale obiettivo; il fattore annuale di riduzione del tetto massimo di emissioni consentite verrà modificato dall’1,74% al 2,2% a partire [dall’anno] 2021».

79 Dal testo stesso di tale punto risulta che il riferimento esplicito all’anno 2021 non rinvia alla data di attuazione dell’ETS, ma alla data in cui il fattore annuale di riduzione sarà modificato.

80 Tale conclusione è confermata anche dall’analisi di altre versioni linguistiche, nelle quali il segno di interpunzione utilizzato per separare le due frasi di tale punto non è un punto e virgola, come nella versione in lingua francese, ma un punto.

81 Occorre pertanto rilevare, al pari delle istituzioni convenute, che il Consiglio europeo, nelle sue conclusioni del 2014, non ha espressamente fissato una data di entrata in vigore della RSM.

82 La Repubblica di Polonia trae altresì argomenti dal fatto che il Consiglio europeo avrebbe indicato che l’ETS doveva essere accompagnato da uno strumento di stabilizzazione del mercato «in linea con la proposta della Commissione», la quale, alla data in cui il Consiglio europeo si è espresso in tale senso, prevedeva che la RSM entrasse in vigore nel 2021.

83 A tale riguardo, occorre ricordare che l’articolo 15, paragrafo 1, TUE definisce la missione del Consiglio europeo come diretta a dare «all’Unione gli impulsi necessari al suo sviluppo e [a definirne] gli orientamenti e le priorità politiche generali». Tale disposizione precisa che «[esso non] esercita funzioni legislative».

84 Il potere legislativo riservato alla Commissione all’articolo 14, paragrafo 1, TUE e all’articolo 16, paragrafo 1, TUE, il quale si inscrive nel principio dell’attribuzione dei poteri sancito all’articolo 13, paragrafo 2, TUE e, in modo più ampio, nel principio dell’equilibrio istituzionale, caratteristico della struttura istituzionale dell’Unione, implica, per contro, che spetta esclusivamente a tali istituzioni determinare il contenuto di un atto legislativo. (v., per quanto riguarda il potere di iniziativa legislativa riconosciuto alla Commissione, sentenza del 6 settembre 2017, Slovacchia e Ungheria/Consiglio, C‑643/15 e C‑647/15, EU:C:2017:631, punto 146).

85 Ebbene, come ha rilevato l’avvocato generale al paragrafo 33 delle sue conclusioni, il fatto di interpretare il riferimento fatto alla proposta della Commissione del 2014 come un’ingiunzione da parte del Consiglio europeo di non attuare la RSM se non a partire dall’anno 2021 porterebbe, da una parte, a considerare il ruolo del Parlamento e del Consiglio limitato alla registrazione delle conclusioni del Consiglio europeo e, dall’altra, a riconoscere a quest’ultimo il potere di interferire direttamente nella sfera legislativa, in violazione del principio dell’attribuzione dei poteri sancito all’articolo 13, paragrafo 2, TUE.

86 Inoltre, la presunta incidenza della natura «politica» delle conclusioni del Consiglio europeo sul potere legislativo del Parlamento e del Consiglio non può costituire un motivo per l’annullamento, da parte della Corte, della decisione impugnata (v., in tal senso, sentenza del 6 settembre 2017, Slovacchia e Ungheria/Consiglio, C‑643/15 e C‑647/15, EU:C:2017:631, punto 145).

87 La prima parte del secondo motivo deve essere quindi respinta in quanto infondata.

88 Alla luce delle suesposte considerazioni, si deve altresì respingere la seconda parte del secondo motivo.

89 Infatti, come risulta dal punto 85 della presente sentenza, l’interpretazione fornita dallo Stato membro ricorrente avrebbe la conseguenza di pregiudicare le competenze legislative del Parlamento e del Consiglio, in favore del rispetto della volontà politica espressa dal Consiglio europeo.

90 Ebbene, secondo una costante giurisprudenza, la cooperazione leale tra le istituzioni dell’Unione, prevista all’articolo 13, paragrafo 2, TUE, viene esercitata nel rispetto dei limiti dei poteri conferiti a ciascuna istituzione dai Trattati. L’obbligo risultante da tale disposizione non può quindi modificare detti poteri (v., in tal senso, in particolare, sentenze del 14 aprile 2015, Consiglio/Commissione, C‑409/13, EU:C:2015:217, punto 64 e giurisprudenza ivi citata, nonché del 6 ottobre 2015, Consiglio/Commissione, C‑73/14, EU:C:2015:663, punto 84 e giurisprudenza ivi citata). Di conseguenza, tale cooperazione non può pregiudicare, in favore di un’istituzione dell’Unione, l’esercizio da parte di un’altra istituzione delle sue competenze.

91 Ne consegue che il secondo motivo di ricorso deve essere integralmente respinto in quanto infondato.

Sul terzo motivo, vertente sulla violazione dei principi della certezza del diritto e della tutela del legittimo affidamento

Argomenti delle parti

92 Con il terzo motivo, la Repubblica di Polonia afferma, in sostanza, che la data in cui è stata istituita la RSM è stata fissata in violazione dei principi della certezza del diritto e della tutela del legittimo affidamento.

93 In primo luogo, essa sostiene che il legislatore dell’Unione non poteva legittimamente modificare i principi di funzionamento dell’ETS, in particolare il numero di quote disponibili sul mercato durante un determinato periodo di scambi, senza compromettere la prevedibilità di tale sistema.

94 Infatti, secondo lo Stato membro ricorrente, la fissazione da parte della direttiva 2003/87 di periodi di scambi non avrebbe soltanto una finalità amministrativa, ma permetterebbe soprattutto alle imprese di definire la loro strategia proprio in funzione del numero di quote disponibili per un determinato periodo.

95 In secondo luogo, la Repubblica di Polonia sostiene che, sulla base degli impegni precedentemente assunti dall’Unione, in particolare del regolamento n. 176/2014 e della proposta della Commissione del 2014, un operatore prudente ed accorto non avrebbe, in alcun caso, potuto prevedere che il numero di quote di emissione disponibili sul mercato sarebbe stato drasticamente limitato negli ultimi anni dell’attuale periodo di scambi.

96 A tale riguardo, la Repubblica di Polonia osserva che il regolamento n. 176/2014 prevedeva che 900 milioni di quote di emissione, ritirati dalla vendita durante gli anni 2014 e 2015, vengano messi all’asta negli anni 2019 e 2020.

97 Inoltre, la pubblicazione di tale regolamento contestualmente alla pubblicazione della proposta della Commissione del 2014, che fissava al 2021 l’entrata in vigore della RSM, avrebbe fatto sorgere in capo agli operatori del mercato fondate aspettative che le soluzioni fornite da detto regolamento sarebbero state successivamente rispettate.

98 La Repubblica di Polonia sostiene, alla luce degli argomenti che precedono, che gli operatori del mercato nutrissero la legittima aspettativa che le quote temporaneamente ritirate fossero reintrodotte sul mercato negli anni 2019 e 2020, e che fondassero le previsioni della loro attività futura sulla fiducia che avevano riposto in tale reintroduzione.

99 Le istituzioni convenute e gli intervenienti contestano l’argomentazione della Repubblica di Polonia.

Giudizio della Corte

100 Al fine di statuire sul terzo motivo, occorre ricordare che dalla giurisprudenza della Corte risulta che il principio della certezza del diritto, il quale ha come corollario il principio della tutela del legittimo affidamento, impone, segnatamente, che le norme giuridiche siano chiare, precise e prevedibili nei loro effetti, in particolare qualora esse possano avere conseguenze sfavorevoli sugli individui e sulle imprese (sentenza del 20 dicembre 2017, Global Starnet, C‑322/16, EU:C:2017:985, punto 46 e giurisprudenza ivi citata).

101 Ebbene, occorre rilevare, innanzitutto, che la decisione impugnata, adottata il 6 ottobre 2015, prevede che la RSM debba essere costituita nel corso del 2018, per essere operativa solo a decorrere dal 1º gennaio 2019.

102 Inoltre, detta decisione descrive in maniera chiara e precisa il funzionamento della RSM, precisando, in particolare, le condizioni e le procedure relative all’integrazione delle quote nella RSM e al loro svincolo da quest’ultima.

103 L’articolo 1 della decisione impugnata prevede che, nel primo anno di attività della RSM, l’8% del numero totale di quote in circolazione sia integrato in tale riserva tra il 1° gennaio e il 1° settembre di detto anno. Successivamente, essa deve procedere alla regolazione dei volumi annuali di quote da mettere all’asta.

104 A norma di tale articolo 1, a partire dal 2019, un numero di quote pari al 12% del numero totale in circolazione è dedotto dal volume di quote che gli Stati membri devono mettere all’asta a norma dell’articolo 10, paragrafo 2, della direttiva 2003/87 ed è integrato nella riserva in un periodo di dodici mesi a decorrere dal 1° settembre di tale anno, salvo che il numero di quote da integrare nella riserva sia inferiore ai 100 milioni. Peraltro, detto articolo 1 prevede che qualora in un anno il numero totale di quote in circolazione sia inferiore a 400 milioni, 100 milioni di quote sono svincolate dalla riserva e aggiunte al volume di quote che gli Stati membri devono mettere all’asta a norma dell’articolo 10, paragrafo 2, della direttiva 2003/87.

105 Il numero totale di quote in circolazione è pubblicato dalla Commissione, sulla base dei criteri stabiliti all’articolo 1, paragrafo 4, della decisione impugnata.

106 L’articolo 3 di detta decisione incarica la Commissione di monitorare l’attuazione della RSM e gli eventuali effetti di quest’ultima sulla competitività, nonché di riesaminare in maniera regolare il suo funzionamento.

107 Infine, viene previsto che i 900 milioni di quote dedotte dal volume da mettere all’asta negli anni tra il 2014 e il 2016, in forza del regolamento n. 176/2014, non saranno aggiunte a quelle da mettere all’asta nel 2019 e nel 2020, ma saranno integrate in detta riserva, al fine di non compromettere l’obiettivo di quest’ultima.

108 La decisione impugnata stabilisce pertanto un regime giuridico obiettivo e trasparente che consente alle persone interessate di essere informate in modo preciso e prevede un periodo transitorio di durata sufficiente per consentire agli operatori economici di adattarsi al nuovo sistema istituito.

109 In tali condizioni, si deve ritenere che la Repubblica di Polonia non sia riuscita a dimostrare alcuna violazione, da parte della decisione impugnata, del principio della certezza del diritto.

110 Per quanto riguarda la possibilità di far valere il principio della tutela del legittimo affidamento, emerge da una giurisprudenza costante che essa si estende a qualsiasi operatore economico nel quale un’istituzione abbia fatto sorgere fondate speranze. Ai sensi di tale giurisprudenza, costituiscono un esempio di assicurazioni idonee a far nascere fondate aspettative, a prescindere dalla forma in cui vengono comunicate, informazioni precise, incondizionate e concordanti che promanano da fonti autorizzate ed affidabili (sentenza del 14 marzo 2013, Agrargenossenschaft Neuzelle, C‑545/11, EU:C:2013:169, punti 24 e 25 nonché giurisprudenza ivi citata).

111 Per contro, qualora un operatore economico prudente ed accorto sia in grado di prevedere l’adozione di un provvedimento dell’Unione idoneo a ledere i suoi interessi, egli non può invocare il beneficio del principio della tutela del legittimo affidamento nel caso in cui detto provvedimento venga adottato (sentenza del 14 marzo 2013, Agrargenossenschaft Neuzelle, C‑545/11, EU:C:2013:169, punto 26).

112 Inoltre, per quanto riguarda l’invocazione del principio della tutela del legittimo affidamento dovuta all’azione del legislatore dell’Unione, occorre rammentare che la Corte ha riconosciuto a detto legislatore un ampio margine di discrezionalità quando la sua azione implica scelte di natura politica, economica e sociale, e quando è chiamato ad effettuare apprezzamenti e valutazioni complessi (sentenza del 16 dicembre 2008, Arcelor Atlantique e Lorraine e a., C‑127/07, EU:C:2008:728, punto 57).

113 Nella fattispecie in esame, si deve constatare che agli operatori economici partecipanti all’ETS non è stata data alcuna garanzia tale da giustificare che questi ultimi abbiano riposto un legittimo affidamento nel fatto che il numero di quote non sarebbe stato modificato nel corso dei periodi di scambio.

114 Anzitutto, come osservano le istituzioni convenute, diverse disposizioni della direttiva 2003/87 prevedono esplicitamente che possa essere necessario adattare le norme relative all’ETS.

115 Il considerando 22 di tale direttiva prevede in particolare che quest’ultima «dovrebbe essere riesaminata alla luce degli sviluppi che si registreranno in tale contesto e per tener conto dell’esperienza acquisita nella sua attuazione».

116 Ai sensi della clausola di riesame prevista all’articolo 9, terzo comma, di detta direttiva, «[l]a Commissione riesamina il fattore lineare e, se del caso, presenta una proposta al Parlamento europeo e al Consiglio a decorrere dal 2020, in vista dell’adozione di una decisione entro il 2025».

117 L’articolo 29 della stessa direttiva menziona esplicitamente l’ipotesi di un cattivo funzionamento del mercato del carbonio, constatato dalla Commissione nell’ambito di una relazione presentata al Parlamento e al Consiglio e che può contenere, se del caso, proposte di miglioramento.

118 Ebbene, si deve constatare che nessuna di tali disposizioni limita il potere di intervento del legislatore dell’Unione durante i periodi di scambio.

119 Inoltre, le varie modifiche apportate alla direttiva 2003/87 mostrano che, a più riprese, atti legislativi e non legislativi, peraltro non contestati dalla Repubblica di Polonia, hanno modificato la disponibilità delle quote nel corso di un periodo di scambio.

120 A titolo di esempio, l’articolo 1, punto 9, della direttiva 2009/29, che modifica l’articolo 9 della direttiva 2003/87, ha fatto iniziare la diminuzione lineare annua delle quote «dall’anno intermedio del periodo dal 2008 al 2012».

121 L’articolo 1 della decisione n. 1359/2013/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 17 dicembre 2013, recante modifica della direttiva 2003/87/CE volta a chiarire le disposizioni sul calendario delle aste di quote di gas a effetto serra (GU 2013, L 343, pag. 1), che ha modificato l’articolo 10, paragrafo 4, della direttiva 2003/87, prevede che «[q]ualora una valutazione indichi, per i singoli settori industriali, che non si prevede un impatto significativo sui settori o sottosettori soggetti a un elevato rischio di rilocalizzazione delle emissioni di carbonio, la Commissione può, in circostanze eccezionali, adeguare il calendario per il periodo di cui all’articolo 13, paragrafo 1, con inizio il 1° gennaio 2013, al fine di garantire il corretto funzionamento del mercato».

122 Infine, il regolamento n. 176/2014 della Commissione prevedeva, al suo articolo 1, una riduzione, nel periodo 2014-2016, del volume di quote da mettere all’asta per ogni anno determinato.

123 Pertanto, come rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 42 delle sue conclusioni, non è stata data alcuna garanzia, né in occasione dell’adozione della direttiva 2003/87, né in occasione dell’adozione della direttiva 2009/29 che l’ha modificata, secondo la quale il funzionamento dell’ETS, quale originariamente descritto, dovrebbe restare immutato o potrebbe essere modificato soltanto al termine di ogni periodo di scambi di quote.

124 Tale conclusione si impone anche per via delle caratteristiche specifiche dell’ETS.

125 In primo luogo, come è stato ricordato al punto 112 della presente sentenza, l’ETS è un sistema complesso, nell’ambito del quale la Corte ha riconosciuto al legislatore dell’Unione, quando è chiamato a ristrutturarlo, la facoltà di ricorrere ad un approccio per fasi e di procedere in funzione dell’esperienza acquisita (v., in tal senso, sentenza del 16 dicembre 2008, Arcelor Atlantique et Lorraine e a., C‑127/07, EU:C:2008:728, punto 57).

126 In secondo luogo, si deve sottolineare, al pari delle istituzioni convenute, che l’ETS, quale strumento principale della politica climatica dell’Unione, è uno strumento permanente, non limitato nel tempo, che produce i suoi effetti al di là dei periodi di scambio e in tutti questi ultimi.

127 I periodi di scambio, adottati al fine di allineare l’ETS sulle scadenze previste dai pertinenti strumenti internazionali, non possono impedire al legislatore di intervenire su tale strumento in quanto tale, qualora risulti che quest’ultimo non è più in grado di raggiungere gli obiettivi per i quali è stato istituito.

128 Pertanto, un’interpretazione della direttiva 2003/87 secondo la quale il legislatore potrebbe adattare le norme relative all’ETS soltanto alla fine di un periodo di scambio non solo non trova alcun fondamento nella direttiva stessa, ma sarebbe inoltre contraria alla giurisprudenza della Corte relativa all’ETS.

129 Infine, in risposta agli argomenti dedotti dalla Repubblica di Polonia e sintetizzati ai punti da 94 a 96 della presente sentenza, occorre ricordare che la proposta della Commissione del 2014 costituisce un atto preparatorio che, per definizione, non può essere considerato definitivo. Un atto siffatto non poteva far sorgere fondate speranze in quanto, tenuto conto della natura stessa del processo legislativo dell’Unione, una proposta iniziale sarà, per ipotesi, oggetto di modifiche nel corso di tale processo. Di conseguenza, tale proposta non può fornire un’assicurazione precisa e incondizionata, ai sensi della giurisprudenza ricordata al punto 110 della presente sentenza.

130 Per quanto riguarda gli argomenti della Repubblica di Polonia relativi agli impegni assunti dall’Unione a norma del regolamento n. 176/2014, occorre sottolineare che quest’ultimo è stato adottato nell’ambito del potere di esecuzione di cui dispone la Commissione nel settore interessato e che esso non poteva essere interpretato nel senso che costituisce una garanzia del fatto che nessun intervento legislativo avrebbe determinato la caducità del suo contenuto.

131 Peraltro, sia la proposta della Commissione del 2014 che il regolamento n. 176/2014 dimostrano chiaramente che le istituzioni interessate si preoccupavano dello squilibrio endemico che caratterizzava l’ETS e prevedevano l’adozione di misure appropriate.

132 A tale riguardo, il considerando 3 del regolamento n. 176/2014 prevede, in particolare, che «[è] opportuno tener conto dei mutamenti eccezionali intervenuti negli elementi determinanti per l’equilibrio tra domanda e offerta di quote».

133 La proposta della Commissione del 2014 è accompagnata da una valutazione d’impatto che illustra lo squilibrio strutturale che ha caratterizzato l’ETS, sottolineando la necessità di adottare misure regolamentari. In essa vengono valutate diverse opzioni d’intervento, alcune delle quali indicano una data di entrata in funzione della RSM anteriore al 2021.

134 Inoltre, una grave disfunzione dell’ETS riguardante la sua capacità di creare un segnale in termini di prezzo era conosciuta al pubblico, al più tardi, dopo la pubblicazione della relazione sulla situazione del mercato del carbonio nel 2012. Tale relazione prevedeva due tipi di misure per risolvere i problemi individuati, vale a dire, da un lato, la revisione del calendario delle aste come misura a breve termine, e, dall’altro, l’adozione di misure strutturali, articolate a loro volta in sei opzioni, tra cui quella che consiste nell’accantonare, in via permanente, un certo numero di quote nel terzo periodo di scambio dell’ETS.

135 Ebbene, alla luce di quanto precede, si deve constatare che un operatore economico prudente ed accorto non poteva attendersi che il quadro legislativo di cui trattasi restasse invariato e che le istituzioni interessate non adottassero alcuna misura al fine di rimediare allo squilibrio strutturale che caratterizza l’ETS prima del 2020.

136 In tali condizioni, si deve respingere il terzo motivo di ricorso in quanto infondato.

Sui motivi quarto e quinto

Argomenti delle parti

137 Con il quarto motivo, la Repubblica di Polonia sostiene che la decisione impugnata violi il principio di proporzionalità, in quanto le misure da essa previste non soddisfano il criterio della necessità e impongono ai soggetti che partecipano all’ETS oneri eccessivamente elevati.

138 La costituzione di una RSM non sarebbe una misura indispensabile per raggiungere l’obiettivo di riduzione delle emissioni del 20% entro il 2020, conformemente agli impegni internazionali dell’Unione.

139 Lo Stato membro ricorrente osserva che il livello di riduzione previsto dall’ETS è stato fissato determinando il numero totale di quote di emissione autorizzato per il periodo 2013-2020. Di conseguenza, il ritiro dal mercato di quote di emissione assegnate per tale periodo obbligherebbe l’Unione e i suoi Stati membri a realizzare un obiettivo di riduzione più elevato rispetto a quelli attualmente indicati, a livello internazionale, per il secondo periodo di impegno del protocollo di Kyoto allegato alla convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici.

140 Ne conseguirebbe che la decisione impugnata non soddisfa il criterio della necessità.

141 La decisione impugnata sarebbe inoltre sproporzionata poiché imporrebbe alle imprese oneri che non sono indispensabili per il raggiungimento del livello di riduzione delle emissioni del 20% stabilito dall’UE, conformemente ai propri impegni internazionali.

142 Con il suo quinto motivo, la Repubblica di Polonia sostiene che gli effetti della decisione impugnata non sono stati debitamente esaminati.

143 In primo luogo, tale Stato membro sostiene che la valutazione d’impatto che ha accompagnato la proposta della Commissione del 2014 era insufficiente sotto il profilo della valutazione delle ripercussioni della decisione impugnata sugli Stati membri, nonché sul mercato delle quote di emissione. Detto Stato membro afferma che tale valutazione presenta molte lacune riguardanti aspetti fondamentali, quali gli effetti della decisione impugnata sul mercato del lavoro, la competitività delle imprese ed il tenore di vita all’interno della società.

144 In secondo luogo, la Repubblica di Polonia sostiene che le valutazioni effettuate nel corso dei negoziati che hanno preceduto l’adozione della decisione impugnata non sono state rese pubbliche, né sono state oggetto di una consultazione pubblica.

145 In terzo luogo, la Repubblica di Polonia afferma che, modificando in maniera significativa la proposta della Commissione del 2014, senza aver effettuato una valutazione adeguata e completa degli effetti delle modifiche previste, le istituzioni convenute hanno violato l’obbligo loro incombente di analizzare debitamente detti effetti.

146 Le istituzioni convenute e gli intervenienti contestano l’argomentazione presentata dalla Repubblica di Polonia a sostegno del quarto e del quinto motivo.

Giudizio della Corte

147 Con il suo quarto motivo, la Repubblica di Polonia sostiene, in sostanza, che la decisione impugnata viola il principio di proporzionalità in quanto comporta la realizzazione di obiettivi di riduzione delle emissioni superiori a quelli risultanti sia dagli impegni internazionali che vincolano l’Unione sia dalla direttiva 2003/87.

148 Con il suo quinto motivo, tale Stato membro contesta, da un lato, alla Commissione di avere effettuato una valutazione d’impatto soggettiva e incompleta e, dall’altro, al Parlamento e al Consiglio di non avere, a loro volta, analizzato le conseguenze delle misure che essi si apprestavano ad adottare, misure che differivano dalle proposte i cui effetti erano stati valutati dalla Commissione. Esso contesta, inoltre, al Parlamento e al Consiglio di non aver organizzato consultazioni pubbliche aperte nel corso della procedura legislativa.

149 Occorre esaminare congiuntamente tali due motivi.

150 Occorre sottolineare preliminarmente che, in un contesto tecnico complesso ed evolutivo, il legislatore dell’Unione dispone di un ampio potere discrezionale per determinare l’ampiezza delle misure che adotta, segnatamente quanto alla valutazione di elementi in fatto altamente complessi di ordine scientifico e tecnico, mentre il sindacato del giudice dell’Unione deve limitarsi ad esaminare se l’esercizio di tale potere non sia viziato da errore manifesto o da sviamento di potere o, ancora, se il legislatore non abbia manifestamente oltrepassato i limiti del suo potere discrezionale. In un tale contesto, il giudice dell’Unione non può infatti sostituire la sua valutazione degli elementi di fatto di ordine scientifico e tecnico a quella del legislatore cui il Trattato ha affidato tale compito (sentenza dell’8 luglio 2010, Afton Chemical, C-343/09, EU:C:2010:419, punto 28).

151 Inoltre, l’ampio potere discrezionale del legislatore dell’Unione, che implica un sindacato giurisdizionale limitato del suo esercizio, non riguarda esclusivamente la natura e la portata delle disposizioni da adottare, ma anche, in una certa misura, l’accertamento dei dati di fatto (sentenze del 7 settembre 2006, Spagna/Consiglio, C-310/04, EU:C:2006:521, punto 121, e dell’8 luglio 2010, Afton Chemical, C-343/09, EU:C:2010:419, punto 33).

152 Tuttavia, siffatto controllo giurisdizionale, anche se ha portata limitata, richiede che le istituzioni dell’Unione, da cui promana l’atto di cui trattasi, siano in grado di dimostrare dinanzi alla Corte che l’atto è stato adottato attraverso un effettivo esercizio del loro potere discrezionale, che presuppone la valutazione di tutti gli elementi e di tutte le circostanze rilevanti della situazione che tale atto era inteso a disciplinare (sentenza del 7 settembre 2006, Spagna/Consiglio, C-310/04, EU:C:2006:521, punto 122, e dell’8 luglio 2010, Afton Chemical, C-343/09, EU:C:2010:419, punto 34).

153 Ne deriva che le dette istituzioni devono, almeno, poter produrre ed esporre in modo chiaro e inequivocabile i dati di base che hanno dovuto essere presi in considerazione per fondare le misure controverse di tale atto e dai quali dipendeva l’esercizio del loro potere discrezionale (sentenza del 7 settembre 2006, Spagna/Consiglio, C-310/04, EU:C:2006:521, punto 123).

154 A tale riguardo, si deve rilevare che la relazione sulla situazione del mercato del carbonio nel 2012 ha costituito una prima base che consente di comprendere il problema legato all’eccedenza di quote nell’ambito dell’ETS e ha esaminato le possibili risposte normative. Tale valutazione è stata seguita, nel gennaio 2014, dalla valutazione d’impatto che ha accompagnato la proposta della Commissione del 2014.

155 Contrariamente a quanto sostiene la Repubblica di Polonia, risulta da tale valutazione che la Commissione ha esaminato in dettaglio, al punto 6 della stessa, diverse opzioni per porre rimedio allo squilibrio che caratterizza l’ETS, nonché le sub-opzioni costituite da varianti di tali opzioni.

156 Si deve inoltre rilevare che, per quanto riguarda in particolare l’opzione che prevede la creazione della RSM, la Commissione ha altresì valutato, al punto 7.1.3 della valutazione d’impatto, varie ipotesi con differenti date di entrata in funzione di tale riserva, mentre l’esame dei criteri relativi alla definizione delle soglie per la messa in circolazione delle quote o il loro collocamento in tale riserva è stata oggetto dei punti 6.2.3.2 e 7.1 di tale valutazione.

157 Inoltre, da detta valutazione emerge anche che la Commissione ha esaminato in dettaglio una serie di aspetti economici e sociali connessi alle diverse opzioni previste.

158 Così, il punto 7.2.3 della medesima valutazione d’impatto contiene alcune conclusioni relative all’effetto della RSM sull’evoluzione del prezzo delle quote. I punti 7.3 e 7.4 di detta valutazione illustrano le osservazioni relative alle questioni della vendita all’asta e della competitività. Il punto 7.4.2 di detta valutazione riguarda più precisamente i potenziali effetti indiretti sul prezzo dell’energia elettrica, mentre il punto 7.5 della stessa riguarda gli effetti sociali e gli effetti sul mercato del lavoro. Infine, il punto 7.6 della medesima valutazione stima l’impatto sull’ambiente.

159 Peraltro, occorre ricordare che la Corte ha dichiarato che la valutazione d’impatto non vincola né il Parlamento né il Consiglio (sentenza dell’8 luglio 2010, Afton Chemical, C‑343/09, EU:C:2010:419, punto 57).

160 Dal fascicolo presentato alla Corte risulta che il legislatore ha preso in considerazione anche altre risultanze divenute disponibili nel corso dei negoziati che hanno preceduto l’adozione della decisione impugnata.

161 In particolare, per arricchire il dibattito all’interno del Consiglio e del Parlamento, la Commissione ha organizzato, il 25 giugno 2014, una riunione di esperti dedicata agli effetti delle misure previste sul mercato e sul funzionamento della RSM. Un dibattito su tale riserva, che ha riunito operatori del mercato ed esperti nazionali, si è svolto l’8 settembre 2014. Infine, il 5 novembre dello stesso anno il Parlamento ha organizzato un seminario dedicato alla RSM, aperto al pubblico e nel quale ha altresì proceduto a valutazioni complementari riguardanti la data di entrata in funzione di tale riserva.

162 Inoltre, dal fascicolo presentato alla Corte risulta anche che, nelle riunioni del Consiglio, varie delegazioni hanno presentato la loro valutazione dell’incidenza delle diverse opzioni, durante le riunioni del gruppo «Ambiente». Così, le deliberazioni riguardanti la proposta di decisione sono state alimentate dalla base fattuale sulla quale i delegati di tutti gli Stati membri si sono basati per definire la loro posizione in tali riunioni.

163 Da quanto precede risulta che, nel corso della procedura legislativa, il Parlamento e il Consiglio hanno preso in considerazione i dati scientifici disponibili allo scopo di esercitare effettivamente il loro potere discrezionale.

164 Come hanno sottolineato le istituzioni convenute, un certo numero di riunioni e di seminari organizzati dalle istituzioni dell’Unione in merito alla RSM erano pubblici o, quanto meno, il contenuto di tali riunioni e seminari è stato reso pubblico. Peraltro, si sono svolte consultazioni pubbliche anche nell’ambito dell’elaborazione della proposta di decisione dalla Commissione.

165 In ogni caso, come correttamente sostenuto dal Consiglio e dal Parlamento, occorre precisare che il carattere non pubblico di talune consultazioni non può rimettere in discussione la legittimità della decisione impugnata, poiché il legislatore non è tenuto a ignorare i fatti contenuti in documenti non pubblici o menzionati in riunioni non pubbliche.

166 Inoltre, come ha rilevato l’avvocato generale al paragrafo 54 delle sue conclusioni, al Parlamento, al Consiglio o alla Commissione non può essere mossa la censura di non aver tenuto conto della presunta situazione particolare della Repubblica di Polonia rispetto al mercato del carbonio.

167 Infatti, dalla giurisprudenza della Corte risulta che il legislatore non è tenuto a tenere conto della situazione particolare di uno Stato membro qualora l’atto dell’Unione ha un impatto in tutti gli Stati membri e presuppone che sia garantito un equilibrio tra i diversi interessi in gioco, tenuto conto degli obiettivi perseguiti da tale atto. Di conseguenza, la ricerca di un siffatto equilibrio che non prenda in considerazione la situazione particolare di un solo Stato membro, ma quella dell’insieme degli Stati membri dell’Unione, non può essere considerata contraria al principio di proporzionalità (v., per analogia, sentenza del 18 giugno 2015, Estonia/Parlamento e Consiglio, C‑508/13, EU:C:2015:403, punto 39).

168 Ne consegue che il legislatore disponeva di elementi sufficienti, ai sensi della giurisprudenza richiamata ai punti 152 e 153 della presente sentenza, per effettuare le scelte che figurano nella decisione impugnata.

169 Per quanto riguarda, più in particolare, il quarto motivo, vertente sulla violazione del principio di proporzionalità, si deve ricordare che tale principio costituisce parte integrante dei principi generali del diritto dell’Unione e esige che gli strumenti istituiti da una disposizione del diritto dell’Unione siano idonei a realizzare i legittimi obiettivi perseguiti dalla normativa di cui trattasi e non vadano oltre quanto è necessario per raggiungerli (sentenza del 17 ottobre 2013, Billerud Karlsborg e Billerud Skärblacka, C‑203/12, EU:C:2013:664, punto 34 e giurisprudenza ivi citata).

170 La Corte ha inoltre precisato che, per quanto riguarda il sindacato giurisdizionale di tali condizioni, come è stato constatato al punto 150 della presente sentenza, occorre tuttavia riconoscere al legislatore dell’Unione un ampio potere discrezionale in un settore che richiede da parte sua scelte di natura politica, economica e sociale e rispetto al quale esso è chiamato ad effettuare valutazioni complesse. Quindi, nel suo sindacato giurisdizionale sull’esercizio di siffatta competenza, la Corte non può sostituire la propria valutazione a quella del legislatore dell’Unione. Essa potrebbe tutt’al più censurarne la scelta normativa soltanto qualora apparisse manifestamente errata, oppure qualora gli inconvenienti che ne derivano per alcuni operatori economici fossero sproporzionati rispetto ai vantaggi che essa presenta per altri (sentenza del 17 ottobre 2013, Billerud Karlsborg e Billerud Skärblacka, C‑203/12, EU:C:2013:664, punto 35 e giurisprudenza ivi citata).

171 Ebbene, come è stato ricordato nell’ambito dell’esame del primo motivo di ricorso, la decisione impugnata ha l’obiettivo di garantire il corretto funzionamento dell’ETS e di migliorare la capacità della direttiva 2003/87 di permettere la realizzazione degli obiettivi perseguiti da quest’ultima a partire dalla data di entrata in funzione dell’RSM e senza limiti di tempo.

172 Alla luce di tale obiettivo, e tenuto conto dei dati di cui disponevano le istituzioni interessate alla data in cui esse sono intervenute, il contenuto dell’atto adottato non può essere validamente contestato.

173 Infatti, la relazione sulla situazione del mercato del carbonio nel 2012 aveva messo in evidenza lo squilibrio strutturale di cui soffriva l’ETS, rendendo necessario un intervento legislativo ai fini del ripristino del buon funzionamento di quest’ultimo. Al fine di porre termine a tale squilibrio, era fondamentale ridurre il numero di quote. Tuttavia, come indicato nel considerando 4 della decisione impugnata, ritoccando il fattore lineare si sarebbe ottenuta soltanto una diminuzione graduale dell’eccedenza, cosicché il mercato del carbonio avrebbe dovuto continuare a funzionare per oltre un decennio con un’eccedenza di circa 2 miliardi di quote.

174 La creazione di una RSM, nella quale le quote in eccesso sono integrate in modo temporaneo, costituisce, di conseguenza, una soluzione appropriata per ridurre il numero di quote, senza la cancellazione delle stesse. Questa soluzione ha anche permesso, da un lato, di prendere in considerazione l’ipotesi in cui l’equilibrio del sistema verrebbe minacciato non più da un’eccedenza di quote, ma da un deficit di quote, in quanto è stato previsto che la riserva libererebbe sul mercato le quote che erano state in essa temporaneamente integrate, e, dall’altro, di rafforzare la resilienza dell’ETS di fronte ad eventi di grande portata che possono perturbare gravemente l’equilibrio tra la domanda e l’offerta di quote.

175 Il meccanismo previsto dalla decisione impugnata risulta dunque idoneo alla realizzazione dell’obiettivo di ridurre la volatilità del mercato, senza andare al di là di quanto era necessario per raggiungerlo.

176 Pertanto, la scelta normativa operata dal legislatore dell’Unione non risulta manifestamente erronea, ai sensi della giurisprudenza citata al punto 170 della presente sentenza.

177 Infine, la Repubblica di Polonia non ha dimostrato che gli svantaggi derivanti da tale scelta siano sproporzionati rispetto ai vantaggi che essa per altro verso presenta, in ragione, da un lato, della mancanza di un collegamento diretto tra la RSM e la determinazione del prezzo delle quote e, dall’altro, del fatto che la stabilizzazione del prezzo delle quote rientra manifestamente nell’obiettivo della decisione impugnata.

178 Alla luce delle considerazioni che precedono, occorre respingere anche il quarto e il quinto motivo in quanto infondati e, pertanto, respingere integralmente il ricorso.

Sulle spese

179 Ai sensi dell’articolo 138, paragrafo 1, del regolamento di procedura della Corte, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. La Repubblica di Polonia, rimasta soccombente, dev’essere condannata, conformemente alla domanda del Parlamento e del Consiglio, alle spese sostenute da tali due istituzioni.

180 Inoltre, conformemente all’articolo 140, paragrafo 1, del regolamento di procedura, il Regno di Danimarca, la Repubblica federale di Germania, il Regno di Spagna, la Repubblica francese, il Regno di Svezia, nonché la Commissione sopporteranno, in quanto parti intervenienti, le proprie spese.

Per questi motivi, la Corte (Seconda Sezione) dichiara e statuisce:

1) Il ricorso è respinto.

2) La Repubblica di Polonia è condannata alle spese sostenute dal Parlamento europeo e dal Consiglio dell’Unione europea.

3) Il Regno di Danimarca, la Repubblica federale di Germania, il Regno di Spagna, la Repubblica francese, il Regno di Svezia, nonché la Commissione europea sopporteranno le proprie spese.

Firme

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