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ECONOMIA CIRCOLARE: DALLA MALA GESTIO, ALLA LOTTA AL CRIMINE. – QUOTIDIANO LEGALE
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ECONOMIA CIRCOLARE: DALLA MALA GESTIO, ALLA LOTTA AL CRIMINE.

Discarica rifiuti

 

 

ECONOMIA CIRCOLARE: DALLA MALA GESTIO, ALLA LOTTA AL CRIMINE

 

 Francesca Fuscaldo

 

Sommario: 1. Introduzione; 2. Economia circolare; 3. Il ritardo e l’inadeguatezza normativa; 4. La forza della collaborazione; 5. Conclusione.

 

 

Abstract.This contribution analyzes the circular economy model, with particular reference to the implementation limits in order to identify possible remedies.

Riassunto. Il presente contributo analizza il modello dell’economia circolare, con particolare riferimento ai limiti attuativi al fine di individuare i possibili rimedi.

 

 

1. Introduzione

In Italia, e non solo, l’economia circolare si presenta come una stella cadente: bella, luminosa ma che dura giusto il tempo di farti sperare, per poi svanire nel mare magnum del crimine ambientale.

Più facile a dirsi che a farsi sicuramente. Basta pensare agli innumerevoli spuntoni di sigaretta gettati in ogni ove, come fossero dei caduti in guerra abbandonati al loro destino. E dagli spuntoni, alle discariche abusive passa poco. Giusto il tempo di individuare un posticino dimenticato e finalmente ci si libera delle cose superflue, dei materiali cementizi, dei divani, delle reti, di tutto quello che si possiede e che non si sa più gestire. Non serve rivolgere l’attenzione alla criminalità organizzata, che in materia di rifiuti trae la sua manna. Basta pensare in piccolo e guardare dentro le nostre case per capire che qualcosa non funziona. E’ solo che quando si tratta di giudicare gli altri si è sempre pronti a prendere la parola mentre quando siamo noi a sbagliare, la responsabiltà è della raccolta differenziata che non viene gestita bene, della raccolta degli ingombranti che spesso avviene dopo lunghi mesi di attesa, della mancanza dei cestini per la spazzatura. Vige la responsabilità e non l’autoresponsabilità. Rispettare l’ambiente è una questione, prima che giuridica, culturale. Date tali premesse, parlare di economia circolare diventa quasi utopico. Eppure, lo si vuole fare perché, se si ha una possibilità per migliorare, la si deve conoscere e sfruttare.

2. Economia circolare

L’economia circolare1 è un modello di produzione e consumo che si basa sul riutilizzo dei materiali e dei prodotti al fine di ottenere un risparmio in termini, sia di costi di produzione ex novo, sia dei costi legati allo smaltimento dei rifiuti. Inoltre, è funzionale sia alla riduzione dell’inquinamento ambientale (si pensi al processo di estrazione delle materie prime che comporta, necessariamente, consumo di energia e dunque emissioni di anidride carbonica), sia dello spreco delle risorse quantitativamente limitate, a fronte della continua crescita della popolazione a livello mondiale e non da ultimo, si presta ad essere un valido strumento per combattere l’illecito ambientale.

In sostanza, una volta che il prodotto viene introdotto nel mercato consumeristico, dopo aver terminato la sua funzione di medio-lungo termine, quando è possibile, viene scomposto e i materiali recuperati vengono reintrodotti nel ciclo economico2.

L‘economia circolare si realizza attraverso un intervento programmatico scandito in fasi che, vanno da quella preventiva, rivolta a ridurre a monte la possibilità di generare rifiuti, fino al riciclo vero e proprio (riemmissione in commercio per un nuovo utilizzo) e solo quando questo non è possibile, si entra nella fase del recupero (scomposizione del prodotto in altri materiali ad uso diverso). Da ultimo, quando non si può procedere neanche tramite il recupero, i materiali vengono classificati come rifiuti e destinati allo smaltimento.

L’adozione del modello politico e socio-economico dell’economia circolare, è avvenuta a seguito dei ripetuti interventi dell’Unione Europea3. L’Italia, infatti, non può dirsi un Paese modello in tale ambito, basti pensare al ritardo normativo ed organizzativo in materia. Di particolare importanza è la direttiva UE 2018/851, in modifica alla direttiva 2008/98 CE (direttiva rifiuti4), la quale prevede che “la gestione dei rifiuti nell’Unione dovrebbe essere migliorata e trasformata in una gestione sostenibile5 dei materiali per salvaguardare, tutelare e migliorare la qualità dell’ambiente6”. Proprio l’obiettivo della sostenibilità (gestire in maniera efficiente la produzione economica al fine di garantire la qualità, intesa anche come salubrità dell’ambiente, in ordine alla conservazione del pianeta), e i principi di prevenzione e di precauzione7 ( di cui all’art. 191 TFUE) risultano essere rispettati attraverso tale modello.

Il punto centrale, allora, non è l’individuazione di un rimedio efficiente per la riduzione dell’inquinamento ambientale e per la sostenibilità del pianeta, ma la sua realizzazione concreta8.

3. Il ritardo e l’inadeguatezza normativa

Lo Stato italiano, è stato più volte sottoposto a procedura di infrazione9 a causa del mancato o ritardato recepimento delle direttive UE in materia ambientale10. Si pensi che la Direttiva rifiuti del 1975, venne recepita solo 22 anni dopo con il c.d. Decreto Ronchi11, il quale, ha introdotto sia la liberalizzazione dei servizi in materia di gestione dei rifiuti, avendo come obiettivo quello di abbattere le diseconomie di scala prodotte dalla mala gestio pubblica (attuazione del principio di concorrenza), in ordine alla riduzione degli sprechi e all’efficientamento della gestione, sia il concetto stesso di riuso dei materiali, individuato come soluzione alla riduzione della produzione dei rifiuti, considerata il grave problema che impedisce la sostenibilità ambientale a danno delle future generazioni. Con il Decreto Ronchi e le successive modifiche, l’Italia ha attuato una politica ambientale orientata alla prevenzione, alla precauzione e all‘autoresponsabilità (chi inquina paga). La mala gestio in tema di rifiuti, infatti, costituisce il nodo cruciale da sciogliere al fine di concretizzare una politica ambientale che realizzi lo sviluppo sostenibile del territorio, bilanciando la tutela ambientale con le esigenze della produzione (si prevedono l’introduzione di metodi di produzione ecosostenibili).

In materia penale, il deficit di tutela12 nei confronti del bene ambiente è stato parzialmente superato con l’introduzione del Testo unico ambientale13 (poche ipotesi contravvenzionali, che hanno avuto scarsa efficacia deterrente, per lo più impostate sulla tecnica del pericolo astratto) e con la riforma del 2015 (d.lgs n.68)14 che non a caso è intervenuta immediatamente dopo il clamore mediatico scatenato dal caso Eternit15. Infatti, a seguito di tali episodi, data l’inefficacia della tutela penalistica, ridotta al minimo16, considerata l’assenza dell’incriminazione in relazione al disastro ambientale e all’inquinamento ambientale e data la vetustità dell’interpretazione giurisprudenziale, costretta ad applicare, anche in assenza di pericolo per la pubblica incolumità, il c.d. disastro innominato17 ex art. 434 c.p. (divieto di analogia in malam partem, difetto chiarezza della fattispecie), si è finalmente sentita l’esigenza di un intervento punitivo ad ampio respiro.

La legge di riforma del 201518 ha riorganizzato, in ottica sistematica, le poche fattispecie penali presenti nel Testo unico ambientale, ha introdotto ex novo un apposito titolo (VI bis) all’interno del codice penale dedicato, appunto, agli ecoreati e ha inserito tali fattispecie nei reati presupposto per la responsabilità penale degli enti ex art. 25 undecies (si pensi che le attività degli enti sono quelle maggiormente prolifere di rischi legati alla commissione degli illeciti ambientali). La riforma penale si caratterizza per aver introdotto misure prettamente sanzionatorie (passaggio dal pericolo astratto, al modello dei reati di pericolo concreto e di danno) rivolte a punire gli autori degli illeciti (efficacia deterrente). Si pensi alle fattispecie dell’inquinamento ambientale ex art. 452 bis e del disastro ambientale ex art. 452 quater punito anche a titolo di colpa, all’aggravante per il delitto associativo ex art. 452 octies (associazione per delinquere e di stampo mafioso) e a quella generica ex art.452 nonies (applicabile per tutte le fattispecie), all’applicazione della confisca, anche per equivalente (artt. 452 undecies e 452 quaterdecies). Misure finalizzate ad assicurare il recupero dei luoghi inquinati e la risocializzazione dell’autore dell’illecito, attraverso un sistema sanzione-premio. In quest’ottica, ci si riferisce alla valorizzazione delle condotte riparatorie (si pensi al ravvedimento operoso ex art. 452-decies per coloro che collaborano con le autorità prima della definizione del giudizio) e ripristinatorie (si pensi alla pena accessoria del ripristino dello stato dei luoghi ex art. 452 duodecies c.p.e all’ulteriore sanzione per l’omessa bonifica). Misure di prevenzione (art. 301 T.U.A.) rivolte ad analizzare le aree di rischio e ad individuare un tempestivo intervento al fine di paralizzare il possibile inquinamento dei luoghi a queste riconnessi19.

Anche a livello costituzionale, l’ambiente, fino alla riforma del 2022, che ha introdotto modifiche in tal senso agli artt. 9 e 41 (visione ecocentrica), non era considerato un bene tutelato direttamente ma, solo in via intepretativa attraverso, sia la tutela del Paesaggio e del patrimonio artistico (art. 9 Cost.), sia del diritto alla salute (art.32 Cost.), essendo considerato un bene strumentale alla tutela di altri interessi personali costituzionalmente rilevanti: vita, salute (visione antropocentrica20).

Le ragioni del ritardo normativo, sono da rinvenirsi nel deficit organizzativo e di risorse da una parte, e in una “strana” impostazione culturale dall’altra. Ebbene si, adottare una politica ambientale in generale e il sistema dell’economia circolare nello specifico, implica predisporre un’organizzazione reticolare su tutto il territorio e trasmettere all’intera popolazione la cultura della tutela ambientale e del riuso.

E’ proprio la disorganizzazione a livello territoriale che crea delle falle nell’attuazione della politica ambientale. Infatti, in base al principio di prossimità (ex art. 118 Cost.), gli enti che hanno la responsabilità della gestione amministrativa dei rifiuti sono i Comuni (sebbene, la competenza generale in relazione alla tutela ambientale appartenga in modo esclusivo allo Stato ex art. 117 Cost.), i quali, spesso non hanno le capacità finanziarie e strutturali per organizzare e attuare una politica ambientale efficiente e con essa, il modello dell’economia circolare. Si pensi, all’eterno problema delle discariche abusive (un mare di rifiuti abbandonati in ogni angolo dei territori comunali), al ritardo dell’introduzione della raccolta differenziata, all’assenza di isole ecologiche nella maggiorparte dei territori che, per le problematiche sopra evidenziate ne avrebbero più bisogno, alla mancata attuazione di misure preventive e di controllo territoriale, per stanare e combattere le attività criminali21. Proprio in materia di ecoreati, si registrano risultati insoddisfacenti, soprattutto a fronte della riorganizzazione normativa. Basta osservare i dati emersi dal rapporto Ecomafia del 202222, stilato da Legambiente, il quale, ha fatto registrare un notevole incremento del numero degli ecoreati commessi, soprattutto in relazione ai rifiuti, la maggiorparte dei quali si distribuisce, non a caso, nelle Regioni maggiormente colpite dai fenomeni mafiosi (Sicilia, Calabria, Campania e Puglia, che da sole totalizzano circa il 44% dei crimini commessi in materia di rifiuti).

Sono dati che ci invitano al dovere di compiere delle riflessioni sull’evidente inefficienza organizzativa delle Istituzioni pubbliche e sull’ineffettività del sistema penale sanzionatorio. A fronte di tali risultati, ci si deve chiedere quali potrebbero essere i rimedi.

4. La forza della collaborazione

Le difficoltà gestionali in relazione alle politiche ambientali, dovute alle limitate capacità finanziarie, alla carenza di capitale umano e alla c.d. mala gestio provocata dal clientelismo, dai traffici illeciti diffusi a macchia di leopardo su tutto il territorio nazionale, possono essere affrontate solo attraverso la collaborazione23 tra enti e forze politiche. Ci si riferisce in modo particolare ai Comuni di piccole dimensioni, alle zone disagiate, agli enti territoriali soggiogati dalla criminalità organizzata. E’ in queste, tante, realtà che si deve lavorare maggiormente, sia a livello politico che burocratico al fine di “bonificare queste terre” dalle problematiche socio-economiche che le affliggono e che azzerano in partenza ogni possibilità di progresso. Quello dei crimini ambientali, infatti, è un problema radicato sull’intero territorio nazionale ma, che risulta maggiormente diffuso nelle zone in cui le ecomafie la fanno da padrone. La gestione dei rifiuti, in particolar modo, è sempre stata uno dei maggiori interessi della criminalità organizzata e mafiosa. Il perché è presto detto, pochissime risorse da investire a fronte di un ritorno economico cospicuo. La logica è quella di imporre costi di smaltimento minori rispetto a quelli che si dovrebbero affrontare seguendo lo schema legale24. In tal modo, si diffonde la cultura del risparmio economico facile, in grado di attirare un gran numero di imprese, soprattutto se esposte a crisi economiche.

Come coordinare, allora, l’economia circolare e la riduzione del crimine legato ai rifiuti?

Si è già detto, che l’economia circolare è un modello economico-socio-politico che necessita di una stabile organizzazione. Per tale ragione non potrà mai trovare approdo in un contesto territoriale soggiogato dalla mancanza di controllo, dovuta alle scarse ricorse umane ed economiche necessarie per sostenere un simile progetto. Invero, sono tanti i primi cittadini che ne hanno contezza e che si rivolgono alle Istituzioni pubbliche superiori al fine di cercare sostegno economico e organizzativo. Dai loro appelli emerge in modo univoco una certezza: da soli non ce la possiamo fare! Non bastano le riforme, non basta ricorrere alla penalizzazione e all’inasprimento delle sanzioni già previste. Non basta organizzare sulla carta. Serve la c.d. law in action.

L’economia circolare implica un sistema reticolare che deve essere attuato cominciando dalle reti inter-istituzionali. E’ lo stesso principio di sussidiarietà consacrato in Costituzione che ce lo ricorda (artt. 5, 118). Un’azione legale e burocratica che deve essere essa stessa circolare: top-dawn e botton-up! In verità, già vi sono degli strumenti interni che puntano sulla forza della collaborazione, si pensi alle Unioni dei Comuni, alle fusioni (introdotte dalla legge Delrio, n.56/2014) ma, queste tipologie non hanno fatto registrare risultati soddisfacenti. La causa principale, la si rinviene nell’attaccamento identitario che contraddistingue le singole realtà comunali. Per neutralizzare tale problematica, si potrebbe pensare di attuare forme associative25 che siano in grado di rafforzare il controllo e la gestione ambientale di una certa area territoriale, senza minare l’identità degli enti comunali i quali, si ritroverebbero a cooperare per il bene comune e di riflesso per il bene del proprio territorio. Inoltre, per ridurre la predisposizione al crimine, bisognerebbe agire sui punti di forza della criminalità organizzata/mafiosa richiamati sopra, attuando una controspinta verso la legalità. Tale risultato, potrebbe essere raggiunto attraverso la riduzione dei costi legati alla gestione dei rifiuti, rendendo di fatto l’illecito ambientale una scelta poco appetibile(richiamo all’utilitarismo). Ecco allora, che il modello di economia circolare potrebbe rivelarsi un valido strumento per ridurre, in modo considerevole, gli illeciti ambientali legati ai rifiuti. Certo è, che vi è bisogno di un intervento che abbia un importante consistenza economica-organizzativa ma, che potrebbe trovare la sua soluzione proprio nella forza della collaborazione.

5. Conclusione

L’economia circolare è sicuramente un modello di politica ambientale-economica che ha tutti i requisiti per ottenere risultati soddisfacenti in merito agli obbiettivi, sia della sostenibilità ambientale e della riduzione dell’inquinamento, sia della lotta al crimine ambientale, attraverso un’azione diversa e più efficiente basata sull’analisi costi-benefici. Quanto premesso necessità però, di un sistema organizzato a rete in modo da assicurare la collaborazione inter-territoriale e intra-territoriale tra gli enti e le forze politiche. Infatti, i costi da affrontare sono elevati, soprattutto nel breve periodo, sia in termini di capitale monetario/finanziario, sia di capitale umano i quali, possono essere gestiti solo attraverso una grande organizzazione che lavori in maniera coordinata per la realizzazione degli stessi obiettivi. A titolo provocatorio, e anche di più, si potrebbe prendere come modello, proprio l’organizzazione mafiosa, sfruttandone i punti di forza (un grande vertice che decide in linea generale, controlla e sostiene tutte le micro-cellule che operano sulle aree territoriali di competenza e che insieme, gestiscono, sovvenzionano e controllano l’operato dei singoli partecipanti e degli esecutori concreti, la c.d. manovalanza) e diffondendo come fa quest’ultima, una vera e propria cultura: il metodo circolare.

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Note

1C.FELIZIANI, I rifiuti come risorse. L’”anello mancante” per un’economia circolare, in F. De Leonardis (a cura di), Studi in tema di economia circolare, Macerata, 2019, p. 91 ss.

2E’ dalla possibilità di riutilizzo dei materiali che si ricava il concetto di economia circolare.

3Nel settembre del 2014 la Commissione UE invia al Parlamento Europeo, al Consiglio, al Comitato Economico e Sociale Europeo e al Comitato delle Regioni una comunicazione dal titolo “Verso un’economia circolare: programma per un’Europa a zero rifiuti” Tra i punti programmati spicca quello di: “Istituire un quadro strategico che favorisca l’emergere dell’economia circolare, ricorrendo a misure che combinino la regolamentazione intelligente, strumenti basati sul mercato, la ricerca e l’innovazione, incentivi, lo scambio di informazioni e il sostegno a iniziative volontarie. Cfr. Comunicazione della Commissione al Parlamento Europeo, al Consiglio, al Comitato Economico e Sociale Europeo e al Comitato delle Regioni – COM(2014) 398 del 25 settembre 2014.

4G.M.,VAGLIASINDI., La direttiva 2008/99 CE e il Trattato di Lisbona: verso un nuovo volto del diritto penale ambientale italiano, in Dir. Comm. intern., 2010

5Il principio della sostenibilità è stato recepito dall’art. 3 quater del T.U.A.

6In Italia, la Direttiva UE 2018/851 è stata attuata con il D.lgs. 116/2020 in modifica al decreto legislativo 3 aprile 2006 n. 152, prevedendo in particolare all’articolo 117 l’obiettivo dell’economia circolare e l’attuazione di un Piano nazionale di comunicazione e conoscenza ambientale in relazione a quest’ultima.

7Recepiti dall’art. 3 ter del T.U.A.

8In particolare ci si riferisce agli alti costi nel breve periodo, che richiedono la disponibilità di una certa capacità finanziaria, ai problemi legati alla cultura della popolazione di riferimento e alle difficoltà nella gestione del territorio in termini di controllo e dissuasione dall’illecito. Sul tema si prenda visione del rapporto stilato dall’ U.B.A. (agenzia tedesca) The Impossibilities of the Circular Economy, disponibile su file:///C:/Users/France/Downloads/9781000819540.pdf

9Trovi il dato su https://www.openpolis.it/le-infrazioni-europee-allitalia-sullambiente/

10Si ricordi che l’Unione Europea in materia ambientale ha competenza concorrente agli Stati e che proprio in tale ambito, si è delineato l’ampliamento dell’intervento unionale in materia di diritto penale (obblighi di tutela penale attraverso sanzioni deterrenti, dissuasive ed effettive).

11Con il d. lgs n. 22/1997 viene introdotto il metodo dell’economia circolare, individuato come principale strumento per ridurre lo spreco delle risorse ed apportare i criteri dell’efficienza e della razionalità alla gestione del servizio.

12Si pensi al problema del decorso della prescrizione. Sul punto si faccia riferimento alla nota pronuncia della Cassazione, sentenza del 19 novembre 2014, n. 7941, Schmidheiny, in C.E.D. Cassazione, sul caso Eternit proprio in ordine ai rapporti tra l’applicazione del disastro innominato ex art. 434 c.p. e al decorso del termine prescrizionale.

13D. lgs. 152/2006 che ha abrogato e sostituito il Decreto Ronchi, apportando organicità normativa in materia di tutela ambientale.

14F., PALAZZO, I nuovi reati ambientali. Tra responsabilità degli individui e responsabilità dell’ente, in Dir. Pen. Cont., n. 1/2018;

C., RUGA RIVA, La disciplina dei rifiuti, in M. Pelissero (a cura di), Reati contro l’ambiente e il territorio, Torino, II ed. 2019, p. 167 ss.

Siracusa, L., La legge 22 maggio 2015, n. 68 sugli “ecodelitti”: una svolta “quasi” epocale per il diritto penale dell’ambiente, in Dir. Pen. Cont., n. 2/2015; In senso contrario si vedano Padovani T., Legge sugli ecoreati, un impianto inefficace che non aiuta l’ambiente, in Guida al dir., n. 32/2015, pp. 10 e Patrono P., I nuovi delitti contro l’ambiente: il tradimento di un’attesa riforma, 11 gennaio 2016, in www.lalegislazionepenale.eu.

15G.L., GATTA, Il diritto e la giustizia penale davanti al dramma dell’amianto: riflettendo sull’epilogo del caso Eternit, in Dir. Pen. Cont., n. 1/2015

16Prima dell’intervento di riforma del 2015, l’unico delitto in materia ambientale era rivolto a punire l’organizzazione del traffico illecito di rifiuti, introdotto dalla legge n.93/2001 e rivolto a contrastare l’attività della criminalità organizzata e non la tutela in via diretta dell’ambiente.

17Sulle problematiche applicative si veda S. ZIRULIA, Etenit il disastro è prescritto. Le motivazioni della Cassazione, in riv. Diritto Penale Contemporaneo, 24 febbraio 2015

18Recepisce la direttiva U.E. 2008/99/CE del 19 novembre 2008, incentrata sulla protezione dell’ambiente mediante il ricorso al diritto penale. Sul punto, si ricorda che l’U.E. non dispone di competenza diretta in materia penale, eccetto per le materie transnazionali ma, può indirizzare gli Stati ad adottare una tutela penalistica effettiva e dissuasiva nelle materie in cui ha interessi.

19Si procederà alla valutazione scientifica del pericolo e della probabilità del suo verificarsi in un particolare contesto (c.d. risk assessment), per poi valutare quali siano i provvedimenti più idonei a ridurre il rischio ad un livello accettabile (c.d. risk management).

20In ottica penalistica, considerare l’ambiente come un bene strumentale alla tutela di altri interessi, significa svilire l’essenza del bene giuridico, relegandolo di fatto, a mera funzione.

21Gli ecoreati, nonostante gli interventi normativi, non scendono di numero, soprattutto nelle Regioni dove la criminalità organizzata la fa da padrone.

22Trovi tutti i dati su https://www.legambiente.it/comunicati-stampa/ecomafia-2022-presentati-i-dati-sui-reati-ambientali-in-italia/

23La leale collaborazione, insieme al principio di sussidiarietà ad essa funzionale, è un principio espresso dall’art. 3 quinquies del T.U.A. e lo si ricava anche dall’art.118 Cost.

24Conformemente al principio “chi inquina paga”, l’art. 15 della direttiva 2006/12/CE 7 stabilisce che «il costo dello smaltimento dei rifiuti deve essere sostenuto: a) dal detentore che consegna i rifiuti ad un raccoglitore o ad una impresa di cui all’articolo 9; e/o b) dai precedenti detentori o dal produttore del prodotto causa dei rifiuti.

25Per un esempio di associazionismo tra enti comunali in materia di gestione ambientale del territorio si veda https://comunivirtuosi.org/le-nostre-proposte-per-lambiente/

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