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DOPPIA PREGIUDIZIALITÀ E PRASSI GIURISPRUDENZIALE.

LA POSIZIONE DEL CONSIGLIO DI STATO:

AMBIVALENZA O MERA DISCREZIONALITÀ?

Vittorio Fazio

Abstract (ita): Lo scritto ha ad oggetto tre ordinanze del Consiglio di Stato, con le quali sono state sollevate, da un lato, due questioni pregiudiziali alla Corte di giustizia dell’Unione europea e, dall’altro, una questione di legittimità costituzionale. Il tema delle questioni è parzialmente sovrapponibile: la contestuale antinomia della disciplina italiana con norme di rango costituzionale e con norme contenute nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione. L’Autore indaga i possibili motivi che hanno indotto i vari Collegi a scegliere un rimedio giurisdizionale in luogo dell’altro.

Abstract (eng): The essay deals with three orders of the Council of State, by which two questions were referred for a preliminary ruling to the Court of Justice of the European Union and, on the other, a question of constitutionality. The matter of the issues is partially overlapping: the contextual antinomy of the Italian discipline with rules of constitutional rank and with rules contained in the Charter of Fundamental Rights of the Union. The Author investigates the possible reasons that led the various Colleges to choose one judicial remedy instead of the other.

Sommario: 1. Premesse. – 2. L’ordinanza del 23 aprile 2021 della Seconda Quarta del Consiglio di Stato, n. 3272. – 3. L’ordinanza del 30 giugno 2021 della Sezione Seconda del Consiglio di Stato, n. 4961. – 4. L’ordinanza del 2 settembre 2021 della Sezione Quarta del Consiglio di Stato, n. 6206. – 5. Brevi conclusioni.

1. Premesse.

È ormai notorio che la dottrina esposta nella sentenza del 14 dicembre 2017, n. 269, della Corte costituzionale si configura come la più rilevante novità giurisprudenziale degli ultimi decenni nell’ambito dei controversi rapporti tra diritto interno e diritto unionale1.

Al precipuo scopo di sventare la minaccia di “una sorta di inammissibile sindacato diffuso di costituzionalità della legge”2, la Consulta si era spinta a sostenere che – nell’eventualità in cui la violazione di un diritto della persona infranga le garanzie presidiate dalla Costituzione e, al contempo, quelle codificate dalla Carta dei diritti dell’Unione – il giudice ordinario fosse tenuto a sollevare apposita questione di legittimità costituzionale, fatto salvo un eventuale ricorso al rinvio pregiudiziale, ex art. 267 TFUE, per le questioni che attengono all’interpretazione o all’invalidità del diritto dell’Unione.

Peraltro, l’effettiva proponibilità di una questione pregiudiziale da parte del giudice comune pareva considerevolmente ridimensionata dall’inciso “per altri profili”, contenuto nel punto n. 5.2 del Considerato in diritto.

Difatti, proprio sulla scorta di una siffatta precisazione, si sarebbe potuti giungere alla conclusione che il potere di effettuare un rinvio pregiudiziale – e all’occorrenza di disapplicare la disciplina interna – fosse precluso al giudice ordinario ogniqualvolta quest’ultimo avesse voluto dare atto dell’illegittimità della normativa interna in ordine agli “stessi profili” della questione già oggetto di un precedente scrutinio di costituzionalità3.

In altri termini, nell’ambito di controversie tanto peculiari, la Corte costituzionale aveva a tutti gli effetti rivendicato per sé un generalizzato “jus primi verbi4.

Cionondimeno, con alcune successive sentenze, la stessa Corte costituzionale ha avuto modo di meglio definire i contorni dell’orientamento espresso col proprio obiter dictum del 2017: ci si riferisce alle sentenze del 21 febbraio 2019, n. 20, e del 21 marzo 2019, n. 63.

Anzitutto, con la prima di tali pronunce, la Consulta ha galvanizzato detto orientamento, dotandolo di maggior vigore giuridico: se con la sentenza n. 269 del 2017 la Corte si era espressa a mezzo di un mero obiter dictum5, con la sentenza n. 20 del 2019 il medesimo orientamento è invece assunto quale vera e propria ratio decidendi.

Per di più, nel medesimo spirito di conferma della propria posizione, Essa ha sostanzialmente esteso la portata applicativa del ragionamento contenuto nella sentenza n. 269 del 20176, chiarendo che la sola circostanza che tra i parametri di giudizio evocati dal giudice rimettente rientrino, oltre a norme della Carta di Nizza, anche disposizioni contenute in direttive dell’Unione europea “non induce a modificare l’orientamento ricordato”7.

Per converso, occorre debitamente segnalare l’eliminazione del controverso inciso “per altri profili”, precedentemente riferito al margine residuo di proponibilità di quesiti pregiudiziali che facciano seguito all’incidente di legittimità costituzionale8. Ne consegue il venir meno d’ogni preclusione di sorta alla proposizione di un rinvio pregiudiziale da parte del giudice comune, il quale potrebbe quindi rimettere alla Corte di giustizia persino questioni di contenuto analogo a quelle già decise dalla Corte costituzionale9.

Con la successiva sentenza di marzo, la Consulta è tornata nuovamente sul tema, ulteriormente ravvicinando la propria posizione al principio di primauté del diritto sovranazionale e, dunque, attenuando il rischio di destabilizzare il delicato meccanismo di integrazione europea10.

Difatti, sulla scia della pronuncia di appena un mese prima, la Corte costituzionale ha definitivamente chiarito, seppur velatamente, che il giudice comune mantiene una piena discrezionalità nello stabilire se attribuire priorità al rinvio pregiudiziale ovvero alla questione di legittimità costituzionale.

Ciò si evince, in particolare, dal punto n. 4.3 del Considerato in diritto, ove si sostiene che resta pur sempre fermo il potere del giudice comune di procedere egli stesso al rinvio pregiudiziale “anche dopo”11 il giudizio incidentale di legittimità costituzionale.

Inoltre, quale immediata conseguenza di tale assunto, si ribadisce che resta altresì fermo il potere di non applicare la disposizione nazionale in contrasto con i diritti sanciti dalla Carta dei diritti dell’Unione, sempreché ne ricorrano i presupposti.

Per concludere, alla luce di un ponderato studio di tutte e tre le pronunce trattate, la regola originariamente contenuta nella sentenza n. 269 del 2017 viene – più o meno comprensibilmente – riesaminata e riformata dalla stessa Consulta, nel delicato tentativo di mantenere saldo il proprio ruolo di garante dei diritti costituzionali. Stante la complessità di una siffatta missione, la c.d. “regola 269” finisce ineluttabilmente col divenire la risultante di un bizantino bilanciamento tra ciò che viene esplicitamente affermato dalla Corte costituzione e ciò che, viceversa, viene implicitamente lasciato intendere.

2. L’ordinanza del 23 aprile 2021 della Seconda Quarta del Consiglio di Stato, n. 3272.

È in questo peculiare quadro che va collocata l’ordinanza di rinvio pregiudiziale del 23 aprile 2021 della Sezione Quarta del Consiglio di Stato, il cui giudizio a quo traeva origine da un ricorso proposto per l’annullamento di alcuni atti legati al concorso pubblico, per titoli ed esami, per il conferimento di 120 posti di commissario della carriera dei funzionari della Polizia di Stato, indetto con bando del 2 dicembre 2019, nella parte in cui prevedono – quale requisito di partecipazione – il non aver compiuto il trentesimo anno di età.

In tutta evidenza, l’anzidetta controversia manifestava la potenziale incompatibilità della censurata normativa interna con la disciplina europea che vieta le discriminazioni anche sulla base dell’età e, al contempo, con svariate disposizioni di rango costituzionale12. In altri termini, la materia del contendere era articolata al punto da integrare tutti gli estremi del fenomeno della doppia pregiudizialità.

Difatti, l’art. 21 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea vieta qualsiasi forma di discriminazione, espressamente richiamando – tra i vari discrimination grounds – l’età. Tale richiamo normativo, peraltro, assume un evidente rilievo in quanto funzionalmente connesso alla direttiva 2000/78/CE, le cui disposizioni vanno a tutti gli effetti considerate attuative dell’art. 21 testé citato.

Cionondimeno, forte delle più recenti statuizioni della Corte costituzionale sull’argomento, la Sezione Quarta ha immediatamente rilevato la propria discrezionalità nel decidere quale delle due questioni sollevare per prima13.

Proprio nell’esercizio di un siffatto margine di azione, il Consiglio di Stato ha ritenuto di attribuire priorità alla questione di compatibilità con il diritto sovranazionale, evidenziando che la questione da ponderare fosse minuziosamente e “specificamente disciplinata dalle norme europee”14.

Non a caso, tale ultima affermazione è immediatamente seguita da un’esaustiva rassegna della normativa europea e da un’esauriente ricostruzione delle principali pronunce della Corte lussemburghese in tema di discriminazioni fondate sull’età.

Tutto ciò considerato, e altresì ritenendo che il contrasto emerso non fosse tale da poter essere superato con la mera disapplicazione (rectius non applicazione) della norma nazionale in favore di quella europea, la Sezione Quarta ha provveduto – nel prudente esercizio delle proprie prerogative – alla sospensione del giudizio pendente e alla consequenziale trasmissione degli atti alla Corte di giustizia dell’Unione europea.

Infine, rispetto ai quesiti postigli, il Giudice lussemburghese si è espresso con sentenza del 17 novembre 2022, rilevando un contrasto tra la normativa italiana e quella europea, contemplando la prima un requisito anagrafico non proporzionato, “salve le verifiche che spettano al giudice del rinvio”15.

3. L’ordinanza del 30 giugno 2021 della Sezione Seconda del Consiglio di Stato, n. 4961.

Viceversa, in termini diametralmente opposti si è orientata la Sezione Seconda del Consiglio di Stato, nell’ambito di una controversia avente ad oggetto alcuni atti legati al concorso pubblico, per titoli ed esami, per il conferimento di 19 posti di commissario tecnico psicologo della Polizia di Stato, indetto con bando del 2 maggio 2019, nella parte in cui prevedono – quale requisito di partecipazione – il non aver compiuto il trentesimo anno di età.

In maniera non dissimile rispetto a quanto si è avuto modo di osservare nel precedente paragrafo, la questione in esame riproponeva l’esigenza di addivenire a una decisione della vicenda posta al vaglio del Giudice, dovendosi preliminarmente stabilire quale indirizzo adottare rispetto al fenomeno della doppia pregiudizialità.

Sul punto, invero, il Consiglio di Stato non manca di confrontarsi con le determinazioni fatte proprie dalla Sezione Seconda, evidenziando di non condividere affatto i “dubbi sistemici” espressi nella precedente ordinanza del 23 aprile 2021 del medesimo Consiglio.

Difatti, mentre la Sezione Quarta era giunta a dubitare della conformità al diritto unionale della normativa nazionale contemplativa di limiti di età per l’accesso alla generalità dei ruoli direttivi della Polizia di Stato, la Sezione Seconda – viceversa – ha ritenuto di dover circoscrivere i propri dubbi di legittimità entro il più ristretto perimetro dell’accesso al ruolo tecnico di funzionario psicologo16.

Ciò che più distingue l’iter logico-argomentativo rispettivamente prescelto dalle due Sezioni del Consiglio di Stato attiene, quindi, all’effettiva portata della questione.

Più nello specifico, infatti, la Sezione Quarta aveva sospettato dell’illegittimità della normativa nazionale nella misura in cui fissa i limiti massimi di età per l’accesso a tutti i ruoli direttivi della Polizia di Stato.

Un’illegittimità tanto estesa e generalizzata non poteva che essere rilevata attraverso l’accertamento della violazione del principio europeo di non discriminazione in base all’età (così come sancito dagli articoli 21 CDFUE e 10 TFUE, nonché regolato dalla direttiva 2000/78/CE), il quale – in considerazione delle più larghe maglie con le quali il principio in parola è inteso ed applicato, anche alla luce dell’interpretazione che ne è resa dal Giudice lussemburghese – meglio si presta alla risoluzione di simili problematiche.

Al contrario, la Sezione Seconda ha ridimensionato notevolmente la portata della questione, ritenendo che l’illegittimità della normativa nazionale andasse circoscritta alla fissazione di limiti massimi di età per l’accesso ai soli ruoli tecnici.

In tale ottica, l’ordinanza del 30 giugno 2021 pone l’accento su un duplice profilo di irragionevolezza della normativa nazionale. D’un lato, infatti, si censura un’irragionevole disparità di trattamento rispetto ai diversi limiti di età, previsti dallo stesso diritto interno, per l’accesso ad altri ruoli tecnici della Polizia di Stato (così, per medici e veterinari, il limite è fissato nel trentacinquesimo anno di età); dall’altro, invece, si lamenta un’irragionevole equiparazione del limite di età previsto per l’accesso ai ruoli dei funzionari della Polizia di Stato, i quali tuttavia espletano funzioni propriamente di polizia.

Tutto ciò considerato, si addiviene alla conclusione che – nella mente della Sezione Seconda – il vero focus del problema non attiene tanto all’incompatibilità (sistemica) della normativa nazionale con il divieto di discriminazione in base all’età, quanto all’incompatibilità (parziale) della medesima normativa con il principio costituzionale di uguaglianza, attesa l’intrinseca irragionevolezza del limite massimo di trent’anni per la partecipazione al concorso per l’accesso a un ruolo meramente tecnico.

In tal senso, un ulteriore indice rivelatore di tale impostazione va rintracciato nei timori manifestati dalla medesima Sezione, la quale è dell’avviso che le considerazioni della Sezione Quarta rechino in sé l’ulteriore rischio di “attagliarsi anche ai ruoli degli ispettori, dei sovrintendenti e degli agenti e assistenti”17.

In estrema sintesi, le due Sezioni assumono – quale dato di partenza – un diverso tenore dell’illegittimità del vincolo anagrafico previsto dalla normativa italiana, conseguentemente mutando il corso dell’argomentazione giuridica che serve a rilevare detta illegittimità. A sua volta, è proprio il diverso percorso logico-argomentativo seguito dalle due Sezioni a giustificare la diversa meta rispettivamente raggiunta: il rinvio pregiudiziale, ex art. 267 TFUE, per la Sezione Quarta del Consiglio di Stato; la questione di legittimità costituzionale per la Sezione Seconda.

Infine, è giusto il caso di avvedersi della pronuncia che – nel caso di specie – è seguita al rinvio alla Corte costituzionale: la sentenza del 22 dicembre 2022, n. 262, a mezzo della quale la Consulta ha accolto la doglianza di incostituzionalità della normativa censurata “nella parte in cui prevede che il limite di età «non superiore a trenta anni» si applica al concorso per l’accesso al ruolo dei funzionari tecnici psicologi della Polizia di Stato”18.

Con tale pronuncia, peraltro, la Corte costituzionale si limita a dare atto della diversità di vedute delle due Sezioni del Consiglio di Stato, senza purtuttavia esprimere valutazioni di sorta su tale divergenza, né tantomeno ritenendo di tornare sul controverso tema della doppia pregiudizialità19.

4. L’ordinanza del 2 settembre 2021 della Sezione Quarta del Consiglio di Stato, n. 6206.

Nell’arco di qualche mese, anche la Sezione Quarta del Consiglio di Stato è stata chiamata a pronunciarsi in ordine alla stessa normativa rispetto alla quale la Sezione Seconda aveva infine deciso di sollevare questione di legittimità costituzionale.

Sul punto, il Collegio investito della questione si è dichiarato a conoscenza del fatto che altra Sezione del Consiglio di Stato aveva già deciso di sollevare la questione di legittimità della norma contemplativa del limite anagrafico e, ciononostante, lo Stesso ha ugualmente ritenuto di dover promuovere un rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia20.

In termini analoghi a quanto già esposto nel precedente paragrafo, il Decidente “ritiene di osservare che la questione oggetto della citata ordinanza n. 4961/2021 solo in parte coincide con quella sollevata nell’ambito di questo giudizio”21.

Difatti, viene debitamente osservato che la Sezione Seconda fonda la presunta incostituzionalità della normativa censurata non già sul “carattere discriminatorio generale in base all’età” della disciplina medesima, quanto semmai sulla più limitata irragionevole disparità di trattamento rispetto ad altre norme interne, le quali prevedono limiti di età superiore per l’accesso ad altri corpi militari con ruoli assimilabili (ossia ruoli essenzialmente tecnici).

Preliminarmente chiarita la coincidenza meramente parziale delle questioni, la Sezione Quarta ha quindi riproposto – in termini per lo più sovrapponibili22 – lo stesso percorso logico-argomentativo seguito con l’ordinanza del mese di aprile, infine disponendo la sospensione del giudizio pendente e la consequenziale trasmissione degli atti alla Corte di giustizia dell’Unione europea.

5. Brevi conclusioni.

A ben vedere, tutte le ordinanze trattate sono esemplificative dell’interferenza sul sistema di tutela dei diritti che è generata dalla sopravvenienza delle garanzie approntate dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.

Cionondimeno, tale interferenza non deve necessariamente destare un senso di preoccupazione, dal momento che è proprio in ragione di quest’ultima che si è venuto a formare un concorso di rimedi giurisdizionali, il quale non può che arricchire gli strumenti di tutela dei diritti fondamentali23. L’utente del diritto, quindi, potrebbe solamente beneficiare di un siffatto arricchimento, se si eccettua – certo – il grave vulnus che potrebbe discenderne per la (non più) ragionevole durata del processo24.

D’altro canto, stabilire quale sia il più efficiente strumento di tutela è tutt’altro che agevole.

D’un lato, infatti, occorre guardare alle esigenze di garanzia del singolo individuo, rispetto alle quali la disapplicazione (rectius non applicazione) costituisce – senz’ombra di dubbio alcuna – il meccanismo più idoneo a garantire un celere soddisfacimento delle proprie pretese.

Dall’altro, invece, v’è da considerare la complessità dei soggetti i cui diritti sono (o potrebbero) essere lesi, rispetto alla quale una declaratoria di incostituzionalità – con effetti erga omnes – sarebbe più idonea a soddisfare esigenze sottese di certezza ed effettività dei diritti medesimi.

Difatti, la non applicazione di una norma presuppone l’instaurazione – volta per volta – di una contesa giudiziaria: instaurazione evidentemente non necessaria nell’eventualità in cui sia già intervenuta una declaratoria di incostituzionalità, la quale – al contrario – potrebbe addirittura prevenire l’ulteriore e reiterata violazione di diritti fondamentali.

Infine, atteso il diverso esito cui sono rispettivamente giunte la Sezione Quarta e la Sezione Seconda, v’è da chiedersi se la condotta del Consiglio di Stato possa qualificarsi come ambivalente o contraddittoria.

Invero, per potersi propriamente parlare di ambivalenza, bisognerebbe anzitutto sincerarsi della piena sovrapponibilità delle questioni poste al vaglio dei due Collegi, ciò che certamente non si verifica nell’ambito delle prime due ordinanze (id est quelle del mese di aprile e del mese di giugno).

Viceversa, il discorso si fa relativamente più complicato nella misura in cui si pongono tra loro in confronto l’ordinanza del 30 giugno 2021, n. 4961, e l’ordinanza del 2 settembre 2021, n. 6206, attesa la sostanziale coincidenza della normativa censurata.

Tuttavia, fatta eccezione per l’anzidetto punto di convergenza (di rilievo meramente formale), tra le ultime due ordinanze emerge un’evidente e sostanziale dissonanza sotto il diverso profilo della portata giuridica delle questioni sottese, così come rispettivamente stimata dai diversi Decidenti.

Come già detto, infatti, solamente la Sezione Quarta è giunta al punto di dubitare funditus della conformità della normativa italiana al diritto unionale. Al contrario, la Sezione Quarta ha circoscritto l’illegittimità della medesima normativa al più limitato profilo dell’irragionevole disparità di trattamento nell’accesso a ruoli professionali assimilabili.

Non a caso, prestando attenzione all’iter logico-argomentativo dell’ordinanza n. 4961 del 2021, emerge l’eloquente mancanza di qualsiasi riferimento alla doppia pregiudiziale e alle problematiche che ne derivano25. Difatti, avendo immediatamente ridimensionato la portata dell’illegittimità della disciplina italiana, la Sezione Seconda si è preclusa ogni possibilità di rilevare la contestuale violazione di norme di rilievo sovranazionale.

Ne consegue, quindi, l’ovvia impossibilità di definire la condotta processuale tenuta dal Consiglio di Stato come ambivalente o contraddittoria, giacché – nell’ottica della Sezione Seconda – la questione di legittimità costituzionale rappresentava l’unica via percorribile.

Viceversa, laddove fosse stato rilevato il parallelo contrasto con la normativa unionale e ciononostante la Sezione Seconda avesse prescelto il vaglio di legittimità costituzionale, la conclusione sarebbe stata diametralmente opposta, potendosi configurare – in seno al Consiglio di Stato – un pensiero bicefalo.

A questo punto, semmai, si dovrebbe meglio apprezzare il fatto che, prim’ancora di dover scegliere tra i vari moduli processuali astrattamente ipotizzabili in caso di doppia pregiudizialità, assume un rilievo decisivo – a valle d’ogni problema – la discrezionalità di cui gode il giudice comune in ordine alla stessa configurabilità del fenomeno.

Soppesando con peculiare avvedutezza il tenore dell’illegittimità di una norma nazionale, infatti, il giudice comune può sempre – o quantomeno in quei casi in cui la violazione di disposizioni contenute nella Carta di Nizza non sia manifesta – aggirare le difficoltà legate all’individuazione della Corte meritevole della “prima parola”.

Nell’eventualità in cui la violazione di un diritto garantito dalla Carta dei diritti dell’Unione sia manifesta, invece, il giudice ordinario non potrebbe omettere di rilevare la doppia pregiudizialità senza correre il rischio di fare uso di distorsivi artifizi interpretativi.

Epperò, anche in una siffatta ipotesi, resterebbe pur sempre fermo l’indiscusso potere della Corte costituzionale di rilevare da sé l’ulteriore contrasto di norme contenute nella Carta di Nizza, eventualmente procedendo Ella medesima al rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia: ipotesi – questa – che potrebbe consentire l’instaurazione di un dialogo tra Corti all’insegna di una nomofilachia osmotica fra parametri nazionali ed europei26.

1 La rilevanza del principio formulato con la pronuncia in esame è tale da aver “scosso” tutti i primi commentatori: v. ex plurimis A. Ruggeri, Svolta della Consulta sulle questioni di diritto eurounitario assiologicamente pregnanti, attratte nell’orbita del sindacato accentrato di costituzionalità, pur se riguardanti norme dell’Unione self-executing (a margine di Corte cost. n. 269 del 2017), in Rivista di Diritti Comparati, n. 3, 2017, pp. 234-247; C. Caruso, La Corte costituzionale riprende il «cammino comunitario»: invito alla discussione sulla sentenza n. 269 del 2017, in Forum di Quaderni costituzionali, 18 dicembre 2017; L. Salvato, Quattro interrogativi preliminari al dibattito aperto dalla sentenza n. 269 del 2017, in Forum di Quaderni costituzionali, 18 dicembre 2017; A. Guazzarotti, Un “atto interruttivo dell’usucapione” delle attribuzioni della Corte costituzionale? In margine alla sent. n. 269/2017, in Forum di Quaderni costituzionali, 18 dicembre 2017; G. Scaccia, L’inversione della “doppia pregiudiziale” nella sentenza della Corte costituzionale n. 269 del 2017: presupposti teorici e problemi applicativi, in Forum di Quaderni Costituzionali, 25 gennaio 2018; A. Anzon Demmig, La Corte riprende il proprio ruolo nella garanzia dei diritti costituzionali e fa un altro passo avanti a tutela dei “controlimiti”, in Forum di Quaderni Costituzionali, 28 febbraio 2018; L.S. Rossi, La sentenza 269/2017 della Corte costituzionale italiana: obiter “creativi” (o distruttivi?) sul ruolo dei giudici italiani di fronte al diritto dell’Unione europea, in Federalismi.it, n. 3, 2018.

Per meglio cogliere il senso dello scalpore destato dall’obiter dictum contenuto nella sentenza n. 269 del 2017 della Corte costituzionale, può essere utile evidenziare che quest’ultimo, oltre a stridere con il principio di supremazia del diritto sovranazionale, ha avuto vasta risonanza anche da un punto di vista eminentemente pratico (seppur, beninteso, con esclusivo riferimento alle ipotesi di c.d. doppia pregiudizialità).

Difatti, l’indirizzo precedentemente dominante era teso – quantomeno nelle ipotesi di contrasto tra norma interna e norma sovranazionale dotata di effetto diretto – alla previa proposizione della questione pregiudiziale dinanzi alla Corte di giustizia dell’Unione europea, giacché la risoluzione del contrasto con il diritto sovranazionale avrebbe certamente potuto condizionare l’applicabilità della norma censurata nel giudizio a quo e, di conseguenza, la rilevanza d’ogni eventuale questione di legittimità costituzionale che sarebbe stata sollevata sulla medesima.

In altri termini, la Corte costituzionale esigeva che il giudice comune risolvesse ogni questione attinente al diritto sovranazionale con l’intervento della Corte di giustizia, quale vera e propria condicio sine qua non per l’esame nel merito della questione di legittimità costituzionale: in tali termini, M. Cartabia, Considerazioni sulla posizione del giudice comune di fronte a casi di “doppia pregiudizialità”, comunitaria e costituzionale, in Il Foro Italiano, 1997, Parte Quinta, c. 222-225.

Per una più generale ed approfondita disamina della giurisprudenza costituzionale sviluppatasi negli anni intorno al canone della doppia pregiudiziale, v. G. Amoroso, La doppia pregiudizialità — costituzionale ed europea — nel quadro della giurisprudenza della Corte costituzionale e della Corte di giustizia, in Il Foro Italiano, 2020, Parte Quinta, c. 265-274.

L’Autore suddivide in tre distinte fasi l’atteggiamento assunto dalla Consulta rispetto alla doppia pregiudizialità: la prima ha inizio nel 1964 e termina nel 1995; la seconda ha inizio nel 1995 e termina nel 2017; la terza ed ultima fase, invece, è stata inaugurata proprio dall’emissione della sentenza n. 269 del 2017.

2 Corte cost., sent. 14 dicembre 2017, n. 269.

3 Per una più approfondita disamina del significato potenzialmente riconducibile all’inciso “per altri profili”, v. G. Comazzetto, Cronaca di una svolta annunciata: doppia pregiudizialità e dialogo tra Corti, a un anno dalla sentenza n. 269/2017, in Federalismi.it, n. 24, 2018; C. Schepisi, I futuri rapporti tra le Corti dopo la sentenza n. 269/2017 e il controllo erga omnes alla luce delle reazioni dei giudici comuni, in Federalismi.it, n. 22, 2018;

4 Latinismo adoperato, sin dai suoi primi scritti sull’argomento, da G. Scaccia., il quale ha peraltro ripreso l’espressione “diritto alla prima parola” utilizzata da A. Guazzarotti, op. cit., p. 2.

5 Particolare non sottaciuto dalla Sezione Lavoro della Corte di cassazione che, nel ritenere inopportuna – rispetto al caso di specie – l’impostazione di cui alla sentenza n. 269 del 2017 della Corte costituzionale, ha comunque rilevato che “il principio affermato nel punto 5.2 della citata sentenza (discussa in dottrina per i suoi effetti in ordine all’immeditato e tempestivo esercizio dei poteri che al Giudice ordinario attribuisce l’ordinamento dell’Unione onde garantire una pronta effettività ai diritti che sono garantiti a livello sovranazionale) costituisca un mero obiter dictum, in quanto la sentenza è (sul punto) di inammissibilità e sotto altro profilo di rigetto e quindi non ha natura obbligante per il Giudice ordinario offrendo solo una proposta metodologica” (Corte cass., Sez. Lav., sent. 17 maggio 2018, n. 12108).

6 Dell’ampliamento delle potenzialità applicative del nuovo metodo di risoluzione delle antinomie tra diritto interno e diritto sovranazionale, quale introdotto con la pronuncia n. 269 del 2017, si sono interessati già i primi commentatori della sentenza n. 20 del 2019, tra i quali A. Ruggeri, La Consulta rimette a punto i rapporti tra diritto eurounitario e diritto interno con una pronunzia in chiaroscuro (a prima lettura di Corte cost. Sent. n. 20 del 2019), in Consulta Online, fasc. 1, 2019, pp. 113-119.

Per un più completo esame della questione, anche alla luce della successiva sentenza n. 63 del 2019, v. S. Catalano, Doppia pregiudizialità: una svolta ‘opportuna’ della Corte costituzionale, in Federalismi.it, n. 10, 2019.

7 Corte cost., sent. 21 febbraio 2019, n. 20.

8 Sul punto, si rinvia all’esaustivo contributo di G. Vitale, I recenti approdi della Consulta sui rapporti tra Carte e Corti. Brevi considerazioni sulle sentenze nn. 20 e 63 del 2019 della Corte costituzionale, in Federalismi.it, n. 10, 2019.

9 Di tale avviso appare, seppur senza trascurare la latente possibilità dell’instaurarsi di nuovi conflitti sul punto, ampia parte della letteratura. Ex plurimis, A. Ruggeri, La Consulta rimette a punto i rapporti tra diritto eurounitario e diritto interno con una pronunzia in chiaroscuro (a prima lettura di Corte cost. Sent. n. 20 del 2019), cit.; G. Vitale, op. cit.; S. Catalano, op.cit.

10 Non a caso, la sentenza n. 63 del 2019 viene salutata con favore dai primi commentatori, tra i quali – in particolare – A. Ruggeri, I rapporti tra Corti europee e giudici nazionali e l’oscillazione del pendolo, in Consulta Online, fasc. 1, 2019, pp. 157-182.

11 L’espressione adoperata dalla Corte costituzionale lascia chiaramente intendere una preferenza – da parte della stessa Consulta – per la previa proposizione di una questione di legittimità costituzionale.

Nel medesimo senso A. Ruggeri, I rapporti tra Corti europee e giudici nazionali e l’oscillazione del pendolo, cit., il quale rileva “che l’ipotesi della disapplicazione è presa in considerazione con specifico riguardo al caso di rinvio pregiudiziale presentato dopo la conclusione del giudizio di costituzionalità (con esito evidentemente di rigetto della questione); ciò che, forse, tradisce la velata preferenza per la prospettazione in prima battuta del dubbio di costituzionalità alla Consulta. E però la circostanza per cui il rinvio stesso può aversi anche prima della rimessione degli atti al giudice costituzionale spiana la via – a me pare – alla disapplicazione immediata della norma nazionale, ove quest’esito sia sollecitato dalla risposta del giudice eurounitario”.

12 In particolare, dall’ordinanza del 23 aprile 2021 si ricava che il ricorso in appello contenesse due distinti motivi, i quali peraltro riproponevano in parte quelli già dedotti durante il primo grado di giudizio.

Con il primo motivo, si lamentava la violazione: dell’art. 3 della legge del 15 maggio 1997, n. 197; della direttiva 2000/78/CE del 27 novembre 2000; dell’art. 21 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea; dell’art. 10 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea.

Con il secondo, invece, si lamentava la violazione di molteplici articoli della Costituzione. Nel dettaglio: degli artt. 3, 4 e 97 Cost., sotto il profilo di un’ingiustificata limitazione al diritto al lavoro; dell’art. 3 Cost., sotto il profilo di un’ingiustificata disparità di trattamento rispetto ai concorsi per qualifiche professionali analoghe in altre forze dell’ordine; dell’art. 76 Cost., sotto il profilo di un eccesso di delega ad opera del d.lgs. n. 95/2017, atteso che la legge-delega non avrebbe riguardato la materia dei limiti di età per l’accesso.

13 V. punto n. 7.2 della premessa in fatto dell’ordinanza, ove si legge che “la Corte costituzionale nazionale, in particolare con le sentenze 21 febbraio 2019 n. 20 e 21 marzo 2019 n. 63, ha stabilito che nei casi di c.d. doppia pregiudizialità […] spetta al Giudice a quo di decidere quale delle due questioni sollevare per prima”.

14 Punto n. 7.3 della premessa in fatto dell’ordinanza del 23 aprile 2021, n. 3272.

15 V. Corte di giustizia, Sez. VII, V.T. c. Ministero dell’Interno (Italia), causa C-304/21, sent. 17 novembre 2022, con nota di A. Fernicola, La prevedibile illegittimità del filtro anagrafico nel concorso per commissari di Polizia, in Argomenti di Diritto del Lavoro, n. 1, 2023, pp. 202-218.

16 Con specifico riferimento alla non manifesta infondatezza della questione, la Sezione Seconda afferma senza mezzi termini che “questo Collegio non ritiene di far propri siffatti dubbi «sistemici»” (v. Cons. St., Sez. II, ord. 30 giugno 2021, n. 4961).

17 Cons. St., Sez. II, ord. 30 giugno 2021, n. 4961.

18 Corte cost., sent. 22 dicembre 2022, n. 262.

19 Letto l’intero testo della sentenza, si avvertirà la totale assenza di qualsiasi menzione al tema. Il termine “doppia pregiudizialità” non viene mai adoperato dalla Corte costituzionale, la quale manca altresì di richiamare i propri precedenti giurisprudenziali sul punto (id est sentenze n. 269 del 2017 e nn. 20 e 63 del 2019).

20 È quanto emerge, a chiare lettere, dal punto n. 12 della Premessa in fatto dell’ordinanza n. 6206 del 2021.

21 Cons. St., Sez. IV, ord. 2 settembre 2021, n. 6206.

22 Fatta eccezione per l’accennata diversità di vedute tra la Sezione Seconda e la Sezione Quarta del Consiglio di Stato, è appena il caso di rilevare che l’ordinanza n. 6206 del 2021 differisce dalla precedente ordinanza n. 3272 del 2021 sotto un ulteriore e residuo profilo, attinente al “punto di vista del giudice del rinvio”.

Più in particolare, con l’ordinanza del mese di aprile, il Decidente ravvisava la sostanziale inesistenza di precedenti in termini, fatta salva la sola ordinanza di rinvio pregiudiziale del 28 novembre 2019 della stessa Sezione Quarta del Consiglio di Stato, n. 8154. Purtuttavia, l’ordinanza in questione era relativa alla diversa questione del vincolo anagrafico previsto per l’accesso al concorso notarile, la quale attività lavorativa è oggettivamente diversa da quella di polizia.

Viceversa, con l’ordinanza del mese di settembre, il Decidente disponeva evidentemente di un più attinente precedente in termini: per l’appunto, l’ordinanza n. 3272 del 2021, emessa appena sei mesi prima.

23 V. punto n. 2.3 del Considerato in diritto della sentenza del 21 febbraio 2019, n. 20, della Corte costituzionale, ove si sostiene che “in generale, la sopravvenienza delle garanzie approntate dalla CDFUE rispetto a quelle della Costituzione italiana genera, del resto, un concorso di rimedi giurisdizionali, arricchisce gli strumenti di tutela dei diritti fondamentali e, per definizione, esclude ogni preclusione”.

24 In tale ottica, non può sottacersi che il corso della giurisprudenza di merito successivo all’introduzione della “regola 269”, così come modificatasi (o chiaritasi) nel tempo, ha fornito degli sviluppi preoccupanti.

In particolare, ci si riferisce – tra i vari percorsi processuali prospettabili in caso di doppia pregiudizialità – all’eventualità in cui si realizzi una sorta di triangolazione giurisdizionale: il giudice comune investe “in prima battuta” la Corte costituzionale, la quale – a sua volta – opera un rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia. Dopo che quest’ultima si è pronunciata sul quesito propostole, la Corte costituzionale può quindi decidere dell’incidente di costituzionalità e, infine, restituire gli atti al giudice rimettente. Solamente al termine di questi passaggi, il giudice comune potrà definire il giudizio principale e dare una risposta alle parti in causa.

Sui percorsi processuali possibili nell’ambito delle ipotesi di doppia pregiudizialità v. G. Amoroso, La «doppia pregiudiziale» e l’individuazione della Corte (costituzionale o di giustizia) cui il giudice può rivolgersi «in prima battuta», in Il Foro Italiano, 2022, Parte Quinta, c. 1-11.

25 Fatta eccezione solamente per quella parte dell’ordinanza in cui ci si limita a dare atto di non condividere le considerazioni fatte proprie dalla Sezione Quarta, le quali hanno diversamente condotto al rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia dell’Unione europea.

26 In termini similari v. G. Amoroso, La «doppia pregiudiziale» e l’individuazione della Corte (costituzionale o di giustizia) cui il giudice può rivolgersi «in prima battuta», cit., il quale sostiene che “la complementarietà del concorso di rimedi giurisdizionali consente di disegnare vari percorsi processuali alternativi e possibili […] che valorizzano il dialogo tra le due corti e favoriscono la formazione di una nomofilachia costituzionale integrata mediante l’osmosi dei parametri, nazionali (diretti) ed europei (interposti), in modo flessibile ed equilibrato, sì da elevare lo standard di tutela dei diritti fondamentali nel rispetto delle specificità essenziali del sistema costituzionale nazionale, le quali connotano la sua identità”.