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Dopo il risultato elettorale, è cambiata davvero la politica? – QUOTIDIANO LEGALE
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Dopo il risultato elettorale, è cambiata davvero la politica?

di Carlo Rapicavoli – Superata la sbornia elettorale, l’auspicio è che si cominci davvero a discutere del futuro del nostro Paese.

Unanimi i commenti sul rinnovamento: nulla potrà essere più come prima.

Il punto è: come sarà?

Le dichiarazioni dei primi giorni purtroppo attestano ancora i vecchi schemi personalistici.

Il no secco, senza alcuna consultazione degli eletti, di Grillo ad un ipotetico Governo Bersani, escludendo a priori – con frasi colorite – qualunque confronto sui programmi di tale Governo, dimostra soltanto una scelta tattica, per nulla innovativa.

E’ evidente che, dopo il clamoroso risultato elettorale, è molto più conveniente, per consolidare e aumentare i consensi, “non sporcarsi le mani” con un sostegno al Governo, dimostrare l’incapacità della vecchia politica e trovare le migliori soluzioni per il Paese, tornare presto alle urne e riscuotere un più largo consenso.

Le reazioni di molti iscritti, che invece si appellano alla responsabilità, è il segno che davvero qualcosa sta cambiando.

E’ giunto il momento di passare dalla protesta alla proposta; un rifiuto del dialogo non risulta comprensibile ed accettabile, se non altro per responsabilità nei confronti di milioni di cittadini, che, con il loro voto, hanno dato il mandato di rappresentare le loro istanze in Parlamento, per indirizzare le scelte di Governo, non per continuare a fruire del benefico effetto in termini di consenso elettorale del “tanto peggio, tanto meglio”.

Il risultato elettorale, che si è tradotto nell’assenza di una maggioranza al Senato, potrebbe tradursi in un ritorno alla democrazia parlamentare, come sancita dalla nostra Costituzione, dopo anni nei quali si è svilito il ruolo del Parlamento e la produzione legislativa si è tradotta in un susseguirsi di decreti legge e di questioni di fiducia poste dal Governo.

L’esperienza del Governo Monti è emblematica.

Ma proprio perché siamo in una democrazia parlamentare, che si fonda sul rapporto di fiducia Governo- Parlamento, è imperativo trovare un consenso maggioritario su un programma di Governo e sulla composizione dell’esecutivo su cui esprimere il voto di fiducia.

In assenza di una maggioranza politica precostituita, il consenso va ricercato sul programma, superando i vecchi schemi.

La democrazia parlamentare non impone alcuna scelta al Presidente della Repubblica per il conferimento dell’incarico di formare il Governo, che non necessariamente deve corrispondere al leader di una delle coalizioni.

Al di là delle storture derivanti dall’attuale pessima legge elettorale, che induce a parlare e confrontarsi su candidati premier, che non trovano alcuna legittimazione costituzionale ma che sono solo frutto di accordi politici, in assenza di una maggioranza, potrà guidare il Governo soltanto chi riesce a raccogliere sulla proposta programmatica consensi parlamentari sufficienti ad ottenere il voto di fiducia.

E’ una grande sfida per la politica, soprattutto per la “nuova” politica che il Movimento 5 stelle si è candidato di rappresentare.

Sarà possibile questo?

Sarà possibile un dialogo se il leader carismatico del Movimento, senza alcuna consultazione dei parlamentari eletti, bolla come impraticabile qualunque dialogo, per lo più fondato non su programmi ma sulle persone?

E’ semplicistico e impraticabile nel nostro sistema costituzionale affermare che si potrà trovare il consenso soltanto sulle singole proposte di legge ma mai su un programma di governo.

Chi lo afferma sa che non è possibile.

Senza un voto di fiducia, non si può formare alcun Governo e irrimediabilmente si dovrà tornare alle urne o tentare ipotesi di larghe intese molto simili a quelle che hanno caratterizzato il Governo tecnico.

Allora è forse questa la strategia ed è forse questo l’obiettivo del leader del Movimento 5 stelle.

Né può essere indicata come modello l’esperienza siciliana, se non altro per il fatto che il sistema elettorale regionale prevede l’elezione diretta del Presidente che esclude conseguentemente ogni rapporto fiduciario con l’assemblea regionale e pertanto non necessita, per la formazione della Giunta Regionale, di un voto di fiducia e di una maggioranza numerica precostituita in assemblea.

Forse la sbornia elettorale non è ancora superata.

Dalla “vecchia” politica si leggono le consuete dichiarazioni: c’è bisogno di una legislatura costituente; bisogna trovare un largo accordo per le riforme istituzionali e posi si torna al voto; etc.

Dichiarazioni che si ripetono da decenni.

L’Italia ha bisogno di un Governo che governi, che affronti i temi del lavoro, dell’occupazione, dell’assistenza.

Ci si confronti su un programma condiviso di Governo per i prossimi mesi e si verifichi se è raggiungibile un accordo, senza pregiudizi.

Che sia il Parlamento ad affrontare il tema delle riforme istituzionali e poi, se necessario, si torni alle elezioni.

Se c’è una “nuova” politica, è necessario che si appalesi, senza tatticismi.

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