di Carlo Rapicavoli –
La deliberazione della Sezione Autonomie della Corte dei Conti n. 22/2017, che considera ancora vigenti i divieti imposti alle Province dalla Legge 190/2014, conferma ancora una volta l’urgenza del ripristino della legalità costituzionale, che risulta ancora violata soprattutto a seguito dell’esito del referendum del 4 dicembre.
E’ stata la stessa sezione Autonomie ad affermare, in audizione parlamentare del 23 febbraio, che “Con il venir meno della «programmata soppressione delle Province», si impone la necessità che, nelle politiche pubbliche di settore, l’operatività di detti Enti – previsti tanto dall’art. 114 che dall’art. 118 della Costituzione come soggetti istituzionali destinatari di funzioni proprie e fondamentali e funzioni conferite – non risenta più degli effetti di questa prospettiva condizionata” e la sezione di controllo del Veneto “Risulta irragionevole e non proporzionata la reiterazione sine die di divieti posti dal legislatore nazionale in occasione di un processo di riordino, espressamente adottato in vista di una modifica costituzionale all’epoca effettivamente in corso, ma che risulta venuta meno dall’esito referendario».
In diversi interventi, la Corte dei Conti (sez. controllo Veneto n. 316/2017) e la stessa Corte Costituzionale, con varie argomentazioni, inducono a ritenere che l’urgenza di ripristinare la “gestione ordinaria” degli Enti è giustificata, alla luce di una interpretazione unitaria della trama costituzionale ed in una prospettiva di integrazione degli strumenti di democrazia diretta nel sistema di democrazia rappresentativa delineato dal dettato costituzionale, al solo fine di impedire che l’esito della consultazione popolare, ai fini di quanto previsto dall’art. 75 della Costituzione, venga posto nel nulla e che ne venga vanificato l’effetto utile (Corte costituzionale n. 199/2012), dal momento che ora, venuta meno la paventata abrogazione della norma costituzionale che le contemplava quali soggetti dell’ordinamento giuridico, le Province mantengono in pieno la loro natura di organi costituzionalmente previsti come enti locali, che svolgono le funzioni fondamentali stabilite dalla L. 56/2014.
Va detto poi che il giudice delle leggi ha reiteratamente sottolineato contenuti sostanziali dei precetti costituzionali finalizzati a garantire il diritto alla prestazione dei servizi, assicurati anche dall’esercizio delle funzioni amministrative che non possono venir meno e che devono essere adeguate a livelli minimi essenziali al di sotto dei quali i finanziamenti destinati agli organi attributari della competenza a svolgere dette funzioni e a garantire i livelli delle prestazioni, qualora risultino insufficienti si appalesano altresì inutili (Corte costituzionale sentenza n. 10/2016). Così come la forte riduzione delle risorse destinate a funzioni esercitate con carattere di continuità ed in settori di notevole rilevanza sociale risulta manifestamente irragionevole proprio per l’assenza di proporzionate misure che ne possano in qualche modo giustificare il dimensionamento (su analoga questione, sentenza n. 188 del 2015).
Ancora più cogente sovviene il richiamo alla violazione dell’art. 3 della Costituzione causato dall’inadeguatezza dei servizi per l’insufficienza delle risorse: «profilo di garanzia (che) presenta un carattere fondante nella tavola dei valori costituzionali e non può essere sospeso nel corso del lungo periodo di transizione che accompagna la riforma delle autonomie territoriali» (Corte costituzionale, sentenza n. 10/2016).
Gli abnormi ed insostenibili tagli alle risorse disponibili, l’assenza di ogni possibile effettiva programmazione degli interventi (dal 2015 sono possibili solo bilanci annuali, peraltro approvati a fine esercizio), il permanere del divieto assoluto di assunzioni, anche a tempo determinato, rendono estremamente difficoltosa l’erogazione dei servizi e gli interventi manutentivi essenziali per viabilità ed edilizia scolastica.
Il permanere di ingiustificate compressioni dell’autonomia organizzativa e finanziaria delle Province risulta ormai palesemente incostituzionale ed impone un immediato ripristino della legalità.