La presentazione di una d.i.a. in sanatoria (o variante in corso d’opera) produce l’effetto che l’Amministrazione non può adottare misure repressive di abusi edilizi senza aver prima vagliato la dichiarazione di inizio di attività e, ciò, all’evidenza, per non correre il rischio che, portata ad esecuzione l’ingiunzione a demolire, risulterebbe vanificato un eventuale provvedimento di accoglimento della variante in sanatoria con il conseguente riconoscimento della legittimità di un opera ormai non più esistente.
Tale obbligo sussiste anche nel caso in cui, prima della presentazione della variante al progetto, le opere siano state considerate abusive dall’amministrazione in quanto non conformi alla normativa urbanistica e quindi oggetto di un provvedimento di demolizione. Anche in questo caso, infatti, l’amministrazione deve valutare la sanabilità dell’opera sia nel caso in cui l’interessato presenti istanza di accertamento di conformità sia nel caso in cui presenti variante in corso d’opera (T.A.R. Emilia-Romagna, Bologna sez. II, 16 Ottobre 2007, n. 858). Tali istanze, infatti, possono incidere sull’esistenza e sul contenuto del potere sanzionatorio dell’amministrazione.
N. 03776/2009 REG.SEN.
N. 00620/2007 REG.RIC.
N. 00745/2007 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia
(Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
Sul ricorso numero di registro generale 620 del 2007, proposto da:
Locum Merle S.a.s. di Maestri Angelo & C., rappresentato e difeso dagli avv. Gian Maria Menzani, Gianpaolo Menzani, con domicilio eletto presso Gian Maria Menzani in Milano, p.za Missori, 3;
contro
Comune di Merlino, rappresentato e difeso dagli avv. Cristina Pelliccia, Adriano Pilia, con domicilio eletto presso Adriano Pilia in Milano, corso di Porta Vittoria n.18;
Sul ricorso numero di registro generale 745 del 2007, proposto da:
Locum Merle Sas di Maestri Angelo & C, rappresentato e difeso dagli avv. Gian Maria Menzani, Gianpaolo Menzani, con domicilio eletto presso Gian Maria Menzani in Milano, p.za Missori, 3;
contro
Comune di Merlino, rappresentato e difeso dagli avv. Cristina Pelliccia, Adriano Pilia, con domicilio eletto presso Adriano Pilia in Milano, corso di Porta Vittoria n.18;
per l’annullamento
previa sospensione dell’efficacia,
quanto al ricorso n. 620 del 2007:
dell’ordinanza a firma del Responsabile del Servizio Tecnico del Comune di Merlino n. 01/2007, prot. n. 0187 del 15 gennaio 2007, notificata il 16 gennaio 2007, nonché dell’atto presupposto costituito dalla comunicazione in data 13 gennaio 2006 di avvio del procedimento di demolizione e per la condanna del Comune al risarcimento degli ingiusti danni patrimoniali subiti e subendi;
quanto al ricorso n. 745 del 2007:
del provvedimento del Comune di Merlino prot. 236 del 18.01.2007 inibitorio dell’inizio dei lavori di cui alla d.i.a. presentata in data 22.12.2006 prot. 5167 e per la condanna del Comune al risarcimento degli ingiusti danni patrimoniali subiti e subendi;
e per l’annullamento, con motivi aggiunti,
del provvedimento del Comune di Merlino prot. 1510 del 23.04.2007 inibitorio dell’inizio dei lavori di cui alla d.i.a. presentata in data 05.04.2007 prot. 1290 a titolo di accertamento di conformità ai sensi dell’art. 37 D.P.R. 380/01 e per la condanna del Comune al risarcimento degli ingiusti danni patrimoniali subiti e subendi.
Visti i ricorsi con i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio e le memorie del Comune di Merlino;
Vista l’ordinanza del T.A.R. Lombardia, Milano, sez. II, 12 aprile 2007 n. 568;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 02/04/2009 il dott. Alberto Di Mario e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:
FATTO
La società ricorrente era stata autorizzata dal Comune a realizzare un edificio residenziale in forza della d.i.a. n. 32/2004. A seguito di accertamenti il Comune ha comunicato in data 18.12.2006 l’avvio del procedimento di demolizione dell’edificio in corso di costruzione, a seguito della quale la ricorrente ha presentato in data 22.12.2006 d.i.a. in variante. In data 16.01.2007 il Comune ha emanato ordinanza di demolizione n. 1/2007. In data 18.01.2007, poi, il Comune ha emanato provvedimento inibitorio della d.i.a. in variante presentata dalla ricorrente. Da ultimo la ricorrente ha presentato d.i.a. con funzione di accertamento di conformità che è stata inibita con provvedimento in data 23 aprile 2007 prot. 1510.
Contro l’ordine di demolizione la ricorrente ha sollevato i seguenti motivi in fatto ed in diritto.
I) Violazione ed errata applicazione dell’art. 37 D.P.R. 380/01. Eccesso di potere per difetto di motivazione, evidente irragionevolezza e manifesta contraddittorietà. Secondo la ricorrente tale norma non prevederebbe la sanzione della demolizione ma solo quella pecuniaria, trattandosi di variante non essenziale.
II) Violazione degli artt. 7, 8 e 10 L. 241/90 e difetto di istruttoria in quanto la comunicazione di avvio del procedimento non conteneva la previsione della possibilità di presentare osservazioni.
III) Violazione dell’art. 10 L. 241/90. Difetto di istruttoria e contraddittorietà manifesta sotto ulteriore profilo. Secondo i ricorrenti il Comune non avrebbe tenuto in considerazione la d.i.a. in variante presentata prima dell’adozione del provvedimento di demolizione, che risulterebbe quindi viziato per difetto di istruttoria.
IV) Violazione dell’art. 7 bis L. 241/90. Difetto di motivazione e di istruttoria in quanto il provvedimento impugnato non avrebbe motivato in merito alle osservazioni presentate dal privato. V) Violazione e mancata applicazione dell’art. 37 D.P.R. 380/01. Difetto di motivazione e di istruttoria sotto ulteriore profilo in quanto il Comune avrebbe ordinato la demolizione senza aver esaminato la d.i.a. in variante presentata.
VI) Violazione e mancata applicazione degli artt. 1,2,3 L.R. 26/1995 e dell’art. 54 l.r. 12/2005. Carenza di istruttoria e di motivazione sotto diversi profili in quanto la L.R. 26/1995 prevede che il maggior volume determinato dall’utilizzo di materiali che permettono il risparmio energetico non si conta ai fini dell’altezza degli edifici, mentre l’art. 54 L.R. 12/2005 chiarisce che l’aumento dell’altezza in misura inferiore ad un metro costituisce variante non essenziale che non comporta l’adozione della sanzione demolitoria.
La difesa del Comune sostiene, in merito al primo e quinto motivo di ricorso, che la sanzione della demolizione, prevista dal provvedimento impugnato, sarebbe corretta in quanto non sarebbe possibile presentare una d.i.a. per opere non conformi alle previsioni degli strumenti urbanistici. Con riferimento al secondo motivo sostiene che la comunicazione di avvio del procedimento, benché priva dell’informazione che era possibile presentare memorie scritte e documenti, avrebbe comunque permesso alla ricorrente di partecipare al procedimento. Con riferimento al terzo motivo sostiene che l’autonoma valutazione della d.i.a. in variante non avrebbe inciso sulla correttezza degli accertamenti effettuati dall’amministrazione e sulla loro fondatezza. Con riferimento al quarto motivo sostiene che non vi era alcun obbligo di motivare in merito alle osservazioni presentate in quanto la d.i.a. in variante appartiene ad altro procedimento. Con riferimento al sesto motivo di ricorso richiama il contenuto del provvedimento impugnato.
Con il ricorso 745/2007 la ricorrente ha impugnato il provvedimento in data 18.01.2007 inibitorio della d.i.a. in variante presentata dalla ricorrente per i seguenti motivi in fatto ed in diritto.
I) Violazione e falsa applicazione dell’art. 23 D.P.R. 300/01 e dell’art. 42 L.R. 12/2005 in quanto il provvedimento inibitorio non sarebbe stato comunicato nel termine di trenta giorni previsto dalla legge.
II) Violazione ed errata applicazione dell’art. 41 L.R. 12/05, erroneità della motivazione in quanto il Comune avrebbe negato la possibilità alla ricorrente di presentare d.i.a. in variante anche dopo che le opere sono state realizzate.
III) Violazione ed errata applicazione art. 9 n.t.a. del PRG. Eccesso di potere per contraddittorietà dei dati istruttori in quanto il Comune non avrebbe applicato nella misura dell’altezza l’art. 9 n.t.a. del PRG che permette di escludere dal computo delle altezze il piano di campagna.
IV) Violazione e mancata applicazione degli artt. 1,2,3 L.R. 26/1995. Carenza di istruttoria e di motivazione sotto diversi profili in quanto il Comune non ha tenuto conto che la legge citata esclude dal computo delle altezze gli spessori dei materiali destinati a garantire il risparmio energetico.
V) Violazione ed errata applicazione L.R. 26/1995 in quanto la ricorrente aveva allegato alla DIA anche i coefficienti di risparmio previsti dalla legge, mentre il provvedimento comunale è motivato con riferimento alla mancata specificazione dei dati di calcolo richiesti dalla L.R. 26/1995.
VI) Violazione art. 11 DPR 380/01. Secondo la ricorrente il provvedimento non sarebbe motivato correttamente ove le nega la legittimazione a presentare la d.i.a. in quanto essa aveva ricevuto dai promissari acquirenti esplicita autorizzazione ad intrattenere tutti i rapporti con il Comune fino al rilascio del certificato di abitabilità.
La difesa del Comune sostiene che il provvedimento interdittivo della d.i.a. poteva essere adottato anche dopo il termine di 30 giorni dalla presentazione della d.i.a.. In secondo luogo afferma che la d.i.a. in variante non sarebbe ammessa nel caso di alterazione della sagoma dell’edificio. Controbatte al terzo e quarto motivo di ricorso sostenendo la correttezza dei calcoli effettuati dal Comune e la lacunosità della relazione tecnica presentata dalla ricorrente. Ritiene quindi che non sussista violazione dell’art. 11 del D.P.R. 380/01 in quanto l’ufficio tecnico si sarebbe limitato a segnalare la discrasia tra la presentazione della d.i.a. e l’avvenuta alienazione di diverse unità immobiliari a terzi.
Con il ricorso per motivi aggiunti la ricorrente ha poi impugnato il provvedimento inibitorio della d.i.a. emanato dal Comune in data 23.04.2007 prot. 1510 per i seguenti motivi in fatto ed in diritto. Violazione artt. 41, 42 e 37 DPR 380/01; violazione art. 3 L. 241/90 in quanto, diversamente da quanto previsto nel provvedimento impugnato, l’accertamento di conformità può essere proposto anche a mezzo d.i.a..
La difesa comunale afferma, invece, che la d.i.a. non sarebbe idonea a svolgere la funzione di accertamento di conformità.
DIRITTO
Preliminarmente, avuto riguardo alla connessione soggettiva ed oggettiva dei procedimenti sopra epigrafati, s’impone la riunione dei ricorsi e, dunque, una trattazione congiunta dei medesimi.
Con riferimento al primo ricorso il Collegio ritiene, in primo luogo, fondati ed assorbenti il terzo ed il quinto motivo di ricorso che hanno denunciato sotto diversi profili il difetto di motivazione e di istruttoria dei provvedimenti impugnati in quanto il Comune avrebbe ordinato la demolizione senza aver esaminato la d.i.a. in variante presentata.
Dall’esame degli atti del giudizio risulta che il Comune in data 13 dicembre 2006 ha formalizzato, con il provvedimento prot. 4986, gli accertamenti riguardanti l’immobile in questione. Con successivo provvedimento in data 13.12.2006 ha comunicato l’avvio del procedimento per l’adozione degli atti sanzionatori conseguenti.
In data 22.12.2006 la ricorrente ha presentato d.i.a. in variante ed in data 15.01.2007 il Comune ha ordinato la demolizione senza aver preso in alcun modo in considerazione la variante presentata, che è stata valutata con provvedimento autonomo in data 16.01.2007.
La presentazione di una d.i.a. in sanatoria (o variante in corso d’opera) produce infatti l’effetto che l’Amministrazione non può adottare misure repressive di abusi edilizi senza aver prima vagliato la dichiarazione di inizio di attività e, ciò, all’evidenza, per non correre il rischio che, portata ad esecuzione l’ingiunzione a demolire, risulterebbe vanificato un eventuale provvedimento di accoglimento della variante in sanatoria con il conseguente riconoscimento della legittimità di un opera ormai non più esistente.
Tale obbligo sussiste anche nel caso in cui, prima della presentazione della variante al progetto, le opere siano state considerate abusive dall’amministrazione in quanto non conformi alla normativa urbanistica e quindi oggetto di un provvedimento di demolizione. Anche in questo caso, infatti, l’amministrazione deve valutare la sanabilità dell’opera sia nel caso in cui l’interessato presenti istanza di accertamento di conformità sia nel caso in cui presenti variante in corso d’opera (T.A.R. Emilia-Romagna, Bologna sez. II, 16 Ottobre 2007, n. 858). Tali istanze, infatti, possono incidere sull’esistenza e sul contenuto del potere sanzionatorio dell’amministrazione.
La variante, infatti, può essere idonea a ricondurre l’opera nell’ambito delle legittimità sanando la difformità dal titolo originario. E’ il caso delle varianti minori di cui all’art. 22 del D.P.R. 380/01, che possono essere presentate anche per opere già realizzate, purchè prima del termine dei lavori (Cass. pen. sez. III, 5 marzo 2009, n. 9922), e comportano l’applicazione della sola sanzione amministrativa pecuniaria.
L’obbligo di esame preventivo della variante in corso d’opera si desume, in particolare, dal comma 2 dell’art. 22 del D.P.R. 380/01, secondo il quale ai fini dell’attività di vigilanza urbanistica ed edilizia, nonché ai fini del rilascio del certificato di agibilità, tali denunce di inizio attività costituiscono parte integrante del procedimento relativo al permesso di costruzione dell’intervento principale.
In virtù del collegamento esistente tra il titolo originario e la d.i.a. in variante non è quindi possibile che il Comune adotti provvedimenti sanzionatori senza aver valutato preventivamente le opere realizzate alla luce del titolo edilizio completo di tutti gli atti successivi che lo integrano.
La mancata valutazione preventiva della d.i.a. in variante presentata costituisce inoltre violazione dell’obbligo di valutazione di memorie scritte e documenti presentati dagli interessati nel procedimento ai sensi dell’art. 10 L. 241/90 in quanto si tratta di atto pertinente con l’oggetto del procedimento sanzionatorio dal quale sorge l’obbligo dell’amministrazione di valutazione.
Da tali considerazioni consegue che l’ordinanza di demolizione impugnata con il primo ricorso dev’essere annullata.
Con il secondo ricorso la ricorrente ha impugnato il provvedimento 18.01.2007 prot. 236 inibitorio della d.i.a. in variante presentata.
Con il primo motivo la ricorrente denuncia violazione ed errata applicazione dell’art. 23 D.P.R. 380/01 in quanto il provvedimento inibitorio della d.i.a. non sarebbe stato adottato entro 30 giorni dalla presentazione dell’istanza.
Il motivo è infondato.
Al fine del rispetto del termine previsto dalla legge è infatti sufficiente che il provvedimento sia stato formato nei termini, così come espressamente previsto dall’art. 23 comma 6 del D.P.R. 380/01, secondo il quale il dirigente deve, entro il termine di 30 giorni indicato al comma 1, riscontrare l’assenza di una o più delle condizioni stabilite. Tale termine è stato, nel caso di specie rispettato in quanto il provvedimento è stato protocollato in data 18.01.2007 a fonte della d.i.a. presentata in data 21.12.2006.
Per ragioni logiche si ritiene ora necessario affrontare prima i motivi terzo e quarto relativi alla legittimità dei contenuti della d.i.a. presentata e poi affrontare il secondo motivo, relativo alla possibilità di presentare la d.i.a. in sanatoria, in quanto questa possibilità è riservata alle d.i.a. minori indicate all’art. 22 c. 2 del D.P.R. 380/01.
Con il terzo motivo la ricorrente denuncia la violazione ed errata applicazione art. 9 n.t.a. del PRG ed eccesso di potere per contraddittorietà dei dati istruttori in quanto il Comune non avrebbe applicato, nella misura dell’altezza indicata nel provvedimento inibitorio, l’art. 9 n.t.a. del PRG che permette di escludere dal computo delle altezze il piano di campagna.
Il motivo è fondato.
Dalla documentazione prodotta in giudizio risulta che la ricorrente ha presentato una d.i.a. in variante postuma (v. pag. 2 della d.i.a.) ai sensi dell’art. 22 c. 2 del D.P.R. 380/01 dalla quale risulta che l’altezza totale dell’immobile è pari a m. 9,10. Dagli elaborati grafici risulta però che in tale altezza è stata computata anche la quota +0,15 rispetto alla sede stradale che, ai sensi dell’art. 9 delle n.t.a. comunali, dev’essere invece scomputata dal calcolo. Ne consegue che il provvedimento non poteva discostarsi, nell’indicazione dell’altezza, da quanto già accertato dal Comune.
Con il quarto motivo di ricorso la ricorrente denuncia la violazione e mancata applicazione degli artt. 1,2,3 L.R. 26/1995, carenza di istruttoria e di motivazione sotto diversi profili in quanto il Comune non ha tenuto conto che la legge citata esclude dal computo delle altezze gli spessori dei materiali destinati a garantire il risparmio energetico.
Il motivo è fondato.
L’art. 1 della legge regionale n. 26 del 20-04-1995 stabilisce, al comma 3, che le disposizioni contenute nella legge prevalgono sui regolamenti e sulle altre norme comunali; restano invariate le norme sulle distanze minime.
Da un’interpretazione letterale della norma deve ritenersi che le modalità di calcolo delle volumetrie edilizie e dei rapporti di copertura previste dalla L.R. 26/1995 limitatamente ai casi di aumento degli spessori dei tamponamenti perimetrali e orizzontali per il perseguimento di maggiori livelli di coibentazione termo acustica o di inerzia termica possono derogare a tutte le norme locali diverse da quelle relative alle distanze minime e quindi anche a quelle relative all’altezza massima.
In secondo luogo tali modalità di calcolo, a differenza di quanto affermato dalla difesa comunale, si applicano anche agli elementi orizzontali intermedi, così come dichiarato dai ricorrenti, nei limiti di 15 centimetri l’uno, come previsto dall’art. 2 della medesima legge regionale.
Con il quinto motivo la ricorrente denuncia violazione della L.R. 26/1995 ed eccesso di potere per genericità, carenza di istruttoria ed indeterminatezza in quanto il Comune, nel contestare la mancanza di dati o calcoli che dimostrino il fine degli interventi proposti e l’effettivo miglioramento energetico o di qualità degli edifici, non ha tenuto conto della documentazione presentata dalla ricorrente ed allegata alla pratica edilizia.
Il motivo è fondato.
Poiché la ricorrente ha presentato ampia documentazione delle finalità di risparmio energetico che intendeva realizzare con gli interventi previsti il Comune avrebbe dovuto motivare in merito ai vizi di tale documentazione tecnica, mentre si è limitato ad affermazioni apodittiche – come la mancanza di alcun dato o calcolo – che non corrispondono alla situazione di fatto esistente. Né a tale scopo può sovvenire la relazione tecnica presentata da un tecnico incaricato dal Comune in quanto la prospettazione, per la prima volta, in giudizio delle ragioni che hanno effettivamente determinato la scelta controversa si rivela confliggente con il divieto di integrazione ex post della
motivazione dell’atto impugnato (cfr. ex multis Cons. Stato., sez. IV, 2 aprile 2008, n. 1498 ; 7 maggio 2007, n. 1975).
Venendo ora al secondo motivo la ricorrente denuncia violazione dell’art. 41 L.R. 12/05 in quanto il diniego di assenso alla d.i.a. sarebbe dipeso dal fatto che le opere erano già state realizzate.
Il motivo merita accoglimento.
L’art. 22 c. 2 del D.P.R. 380/01 stabilisce che sono, altresì, realizzabili mediante denuncia di inizio attività le varianti a permessi di costruire che non incidono sui parametri urbanistici e sulle volumetrie, che non modificano la destinazione d’uso e la categoria edilizia, non alterano la sagoma dell’edificio e non violano le eventuali prescrizioni contenute nel permesso di costruire. Ai fini dell’attività di vigilanza urbanistica ed edilizia, nonché ai fini del rilascio del certificato di agibilità, tali denunce di inizio attività costituiscono parte integrante del procedimento relativo al permesso di costruzione dell’intervento principale e possono essere presentate prima della dichiarazione di ultimazione dei lavori.
A seguito dell’applicazione della L.R. 26/1995, così come in precedenza analizzata, si deve ritenere che le modifiche apportate con la dia in variante rientrino nei limiti stabiliti dalla norma.
In particolare tale legge, disponendo che i volumi creati in conformità alle sue disposizioni non vanno computati a diversi fini, permette di escludere che le modifiche di altezza realizzate abbiano inciso sul volume e sui parametri urbanistici. Deve inoltre escludersi anche la modifica della sagoma, come affermato dalla difesa comunale, in considerazione del fatto che la sagoma della costruzione concerne il contorno che viene ad assumere l’edificio ivi comprese le strutture perimetrali con gli aggetti e gli sporti (Corte di Cassazione penale, sez. III, 09/03/2006 n. 8303).
La modifica così proposta rientra quindi nelle varianti minori di cui all’art. 22 del D.P.R. 380/01, che possono essere presentate anche per opere già realizzate, purchè prima del termine dei lavori (Cass. pen. sez. III, 5 marzo 2009, n. 9922).
Con il sesto motivo la ricorrente denuncia violazione dell’art. 11 D.P.R. 380/01 in quanto il Comune avrebbe erroneamente negato alla medesima la legittimazione a presentare la d.i.a. in variante.
Il motivo merita accoglimento in quanto dalla documentazione presentata risulta che la ricorrente avesse ricevuto mandato dai proprietari a tenere i rapporti con il Comune relativi agli immobili oggetto del giudizio.
L’accoglimento del secondo ricorso comporta la sopravvenuta carenza di interesse a ricorrere nei confronti del provvedimento inibitorio dell’istanza di accertamento di conformità emanato dal Comune in data 23.04.2007 prot. 1510 in quanto l’accertamento in merito alla legittimità della variante in corso d’opera rende superflua la presentazione dell’accertamento di conformità in quanto il presupposto per l’assenso alla dia in variante è la conformità della variante proposta alla disciplina urbanistica ed edilizia dei luoghi.
Da ultimo devono respingersi le domande risarcitorie in quanto del tutto sfornite di prova ed in quanto la ricorrente non ha in alcun modo controdedotto alla perizia tecnica presentata dal Comune in merito all’idoneità degli aumenti di volume realizzati a garantire i risparmi energetici asseritamente realizzati, non permettendo così al Collegio di verificare la fondatezza della pretesa.
Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia, sede di Milano, Sezione Seconda, così definitivamente pronunciando sui ricorsi in epigrafe, accoglie i ricorsi riuniti e per l’effetto annulla i provvedimenti impugnati nei limiti di cui in motivazione.
Condanna il Comune al pagamento delle spese ed onorari di causa che liquida in via forfettaria in € 2.500,00 (duemilacinquecento/00) a favore della ricorrente, oltre I.V.A. e C.P.A. come per legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Milano nella camera di consiglio del giorno 02/04/2009 con l’intervento dei Magistrati:
Mario Arosio, Presidente
Silvana Bini, Primo Referendario
Alberto Di Mario, Referendario, Estensore
L’ESTENSORE IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 19/05/2009
(Art. 55, L. 27/4/1982, n. 186)
IL SEGRETARIO
Diritto urbanistico – edilizia Codice dell’urbanistica ed edilizia