DIRITTO DEL LAVORO: Lavoratore con contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti – licenziamento intimato da datori di lavoro di piccole dimensioni.
CORTE COSTITUZIONALE 23 giugno – 22 luglio 2022 SENTENZA N. 183
Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. Lavoro - Licenziamento individuale - Lavoratore assunto con contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti - Licenziamento illegittimo intimato da datori di lavoro che non possiedono i requisiti dimensionali di cui all'art. 18, commi ottavo e nono, dello statuto dei lavoratori - Previsione che l'ammontare delle indennita' e' dimezzato e non puo' in ogni caso superare il limite di sei mensilita' - Inammissibilita' delle questioni - Indifferibilita' dell'intervento del legislatore, al fine di garantire appieno la tutela del lavoro. - Decreto legislativo 4 marzo 2015, n. 23, art. 9, comma 1. - Costituzione, artt. 3, primo comma, 4, 35, primo comma, e 117, primo comma; Carta sociale europea, art. 24.
(GU n.30 del 27-7-2022 )
LA CORTE COSTITUZIONALE composta dai signori: Presidente:Giuliano AMATO; Giudici :Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolo' ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANO', Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO, Filippo PATRONI GRIFFI,
ha pronunciato la seguente SENTENZA nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 9, comma 1, del decreto legislativo 4 marzo 2015, n. 23 (Disposizioni in materia di contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti, in attuazione della legge 10 dicembre 2014, n. 183), promosso dal Tribunale ordinario di Roma, in funzione di giudice del lavoro, nel procedimento instaurato da F. M.H. contro Cosi' per Gioco 2 srls, con ordinanza del 26 febbraio 2021, iscritta al n. 84 del registro ordinanze 2021 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 24, prima serie speciale, dell'anno 2021. Visti l'atto di costituzione di F. M.H, nonche' l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; udito nell'udienza pubblica del 7 giugno 2022 il Giudice relatore Silvana Sciarra; uditi gli avvocati Filippo Aiello e Alberto Piccinini per F. M.H. e l'avvocato dello Stato Fabrizio Urbani Neri per il Presidente del Consiglio dei ministri; deliberato nella camera di consiglio del 23 giugno 2022. Ritenuto in fatto 1.- Con ordinanza del 26 febbraio 2021, iscritta al n. 84 del registro ordinanze 2021, il Tribunale ordinario di Roma, in funzione di giudice del lavoro, ha sollevato questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 9, comma 1, del decreto legislativo 4 marzo 2015, n. 23 (Disposizioni in materia di contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti, in attuazione della legge 10 dicembre 2014, n. 183), in riferimento agli artt. 3, primo comma, 4, 35, primo comma, e 117, primo comma, della Costituzione, quest'ultimo in relazione all'art. 24 della Carta sociale europea, riveduta, con annesso, fatta a Strasburgo il 3 maggio 1996, ratificata e resa esecutiva con la legge 9 febbraio 1999, n. 30. La disposizione e' censurata limitatamente alle parole «ove il datore di lavoro non raggiunga i requisiti dimensionali di cui all'articolo 18, ottavo e nono comma, della legge n. 300 del 1970, [...] l'ammontare delle indennita' e dell'importo previsti dall'articolo 3, comma 1, [...] e' dimezzato e non puo' in ogni caso superare il limite di sei mensilita'». 1.1.- Il giudice a quo e' chiamato a decidere sul ricorso proposto da una lavoratrice, licenziata per giustificato motivo oggettivo da un datore di lavoro che non raggiunge i requisiti dimensionali di cui all'art. 18, commi ottavo e nono, della legge 20 maggio 1970, n. 300 (Norme sulla tutela della liberta' e dignita' dei lavoratori, della liberta' sindacale e dell'attivita' sindacale, nei luoghi di lavoro e norme sul collocamento). Il rimettente ritiene che non sia stata dimostrata la sussistenza del giustificato motivo oggettivo, dedotto in termini generici e tautologici, e che il rapporto di lavoro, instaurato dopo il 7 marzo 2015, sia assoggettato alle previsioni degli artt. 3 e 9 del d.lgs. n. 23 del 2015, che dimezzano l'indennizzo spettante al lavoratore ingiustamente licenziato e pongono il limite invalicabile delle sei mensilita' dell'ultima retribuzione percepita. 1.2.- L'indennita' dovrebbe essere individuata «nello stretto varco risultante fra il minimo di tre e il massimo di sei mensilita'» e sarebbe inidonea, pertanto, «a soddisfare il test di adeguatezza» e a garantire il riconoscimento di un'indennita' personalizzata. Il tenore letterale della disposizione censurata sarebbe inequivocabile e non si presterebbe ad alcuna interpretazione costituzionalmente orientata, che consenta di salvaguardare l'adeguatezza e la dissuasivita' del rimedio previsto dal legislatore. Il rimettente prospetta il contrasto con gli artt. 3, primo comma, 4, 35, primo comma, e 117, primo comma, Cost., quest'ultimo in relazione all'art. 24 della Carta sociale europea. Le censure muovono dal rilievo che la distinzione delle tutele in base ai requisiti occupazionali del datore di lavoro sia fondata «su un elemento che risulta esterno al rapporto di lavoro» e si giustifichi alla luce del carattere piu' problematico del riassorbimento del lavoratore nelle realta' di piccole dimensioni. La tutela del diritto al lavoro, che si tradurrebbe nell'imposizione di limiti al potere di recesso del datore di lavoro, potrebbe essere anche affidata a un meccanismo monetario, a condizione che sia garantita la complessiva adeguatezza del risarcimento, prescritta anche dall'art. 24 della Carta sociale europea. Il rimettente assume che «la previsione di un indennizzo cosi' esiguo», non superiore alle sei mensilita' e senza neppure «l'alternativa della riassunzione», non attui un adeguato contemperamento degli interessi in conflitto. La previsione censurata, difatti, «nella parte in cui determina un limite massimo del tutto inadeguato e per nulla dissuasivo», non garantirebbe «un'equilibrata compensazione» e «un adeguato ristoro» del pregiudizio e non svolgerebbe la necessaria funzione deterrente. Secondo il giudice a quo, l'art. 24 della Carta sociale europea, nell'imporre un congruo indennizzo o altra adeguata riparazione nel caso di licenziamento intimato senza un valido motivo, vieterebbe in linea di principio la predeterminazione di un tetto massimo, che svincola l'indennita' dal danno subito e non presenta un carattere sufficientemente dissuasivo. La «funzione compensativa» e «l'efficacia deterrente della tutela indennitaria» sarebbero compromesse, inoltre, dalla previsione di un'indennita' «ricompresa in un divario fra tre e sei mensilita'», che rappresenterebbe «una forma pressoche' uniforme di tutela» e finirebbe per attribuire rilievo esclusivo al «numero degli occupati». Si tratterebbe di «criterio trascurabile nell'ambito di quella che e' l'attuale economia», che non consentirebbe alcun adeguamento dell'importo riconosciuto alle peculiarita' del caso concreto e, in particolare, alla «gravita' della violazione», al piu' significativo criterio delle dimensioni dell'impresa, legato anche ai «dati economico finanziari ricavabili dai bilanci». 2.- Si e' costituita in giudizio la parte ricorrente nel giudizio principale e ha chiesto di accogliere le questioni di legittimita' costituzionale sollevate dal Tribunale di Roma. 2.1.- In punto di ammissibilita', la parte evidenzia che il giudice a quo ha esposto in modo esauriente i fatti di causa e ha offerto un'adeguata motivazione circa la rilevanza delle questioni e l'impraticabilita' di una interpretazione adeguatrice. Il petitum sarebbe stato formulato in termini inequivocabili e solleciterebbe a questa Corte un intervento «a rime obbligate». 2.2.- Quanto al merito delle questioni, la disposizione censurata non consentirebbe di adeguare l'ammontare dell'indennita', «ridotto fra tre e sei mensilita'», alle particolarita' del caso concreto, in base ai criteri valorizzati dalla stessa giurisprudenza di questa Corte. Nel caso di specie, sarebbe soltanto il numero degli occupati, poco significativo ai fini della valutazione dell'effettiva forza economica dell'impresa, a determinare l'ammontare dell'indennita'. La tutela riconosciuta dalla legge, con un indennizzo di «misura esigua», non sarebbe ne' adeguata, ne' dissuasiva. A sostegno della razionalita' del criterio individuato dal legislatore, non si potrebbero neppure invocare le considerazioni di questa Corte, che ha reputato compatibile con la Costituzione, nelle imprese piu' piccole, un regime di tutela esclusivamente indennitaria. In tali fattispecie, si coglierebbero ragioni legate all'esigenza di salvaguardare la natura fiduciaria del rapporto di lavoro e di non gravare tali imprese di costi eccessivi. Ragioni che non si adatterebbero a un sistema di tutela eminentemente indennitaria. La parte rileva, inoltre, che la disciplina censurata si applica alla «quasi totalita' delle imprese nazionali» e alla «gran parte dei lavoratori». L'accoglimento delle questioni, nei termini prospettati dal rimettente, varrebbe a conferire portata generale alla regola di cui all'art. 3 del d.lgs. n. 23 del 2015, che gia' consentirebbe di attribuire rilievo alle dimensioni dell'impresa. Ove tale strada non apparisse percorribile, si potrebbe comunque caducare la fissazione del tetto massimo delle sei mensilita', senza incidere sulla regola del dimezzamento dell'importo delle indennita'. 3.- E' intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, e ha chiesto di dichiarare inammissibili, irrilevanti o comunque manifestamente infondate le questioni sollevate dal Tribunale di Roma. 3.1.- In linea preliminare, l'interveniente reputa le questioni inammissibili, in quanto si tratterebbe di «scegliere tra piu' opzioni normative», in un ambito riservato alla discrezionalita' del legislatore. Lo stesso rimettente non avrebbe indicato soluzioni alternative atte a rideterminare l'indennita' in diversa, e piu' adeguata, misura. Ulteriore profilo di inammissibilita' si riscontrerebbe nella carente motivazione in ordine alla rilevanza. Il rimettente non avrebbe illustrato le ragioni dell'inadeguatezza dell'indennizzo che e' chiamato a liquidare nel caso di specie. 3.2.- Nel merito, le questioni non sarebbero comunque fondate. Spetterebbe alla discrezionalita' del legislatore la scelta dei tempi e dei modi della tutela contro i licenziamenti illegittimi, tutela che ben potrebbe essere esclusivamente monetaria. Il dimezzamento previsto per i «contesti occupazionali di minori dimensioni» sarebbe coerente con un apparato di tutele che attribuisce rilievo alle dimensioni dell'impresa. Peraltro, all'interno dell'intervallo fra le tre e le sei mensilita', il giudice ben potrebbe modulare l'indennita' alla stregua dei criteri enucleati da questa Corte. Ne' si potrebbe invocare, in senso contrario, la decisione del Comitato europeo dei diritti sociali dell'11 febbraio 2020, che non terrebbe conto della possibilita' di ottenere il risarcimento di danni ulteriori rispetto a quelli prodotti dal licenziamento illegittimo e neanche della necessita' di una predeterminazione dell'importo massimo, al fine di attuare il «necessario bilanciamento fra gli opposti interessi». 4.- Hanno presentato opinioni scritte, come amici curiae, l'Associazione Comma2 - Lavoro e' dignita' e la Confederazione generale italiana del lavoro (CGIL). Le opinioni sono state ammesse con decreto del Presidente del 2 maggio 2022, sentito il Giudice relatore. 5.- In prossimita' dell'udienza, ha depositato memoria illustrativa la parte, insistendo per l'accoglimento delle conclusioni gia' rassegnate. 5.1.- Non sarebbero fondate le eccezioni di inammissibilita' formulate dalla difesa dello Stato. Il rimettente avrebbe indicato puntualmente l'intervento idoneo a porre rimedio ai vizi denunciati, che consisterebbe nell'eliminazione del dimezzamento e del tetto massimo delle sei mensilita'. Questa Corte potrebbe limitarsi a caducare il limite delle sei mensilita', senza incidere sul dimezzamento. Sarebbe esaustiva anche la motivazione in punto di rilevanza e di inadeguatezza dell'indennizzo. Non si ravviserebbero, pertanto, le lacune segnalate nell'atto di intervento. 5.2.- Nel merito, la difesa dello Stato non avrebbe confutato in maniera convincente le censure mosse dal giudice a quo. 6.- All'udienza del 7 giugno 2022, le parti hanno insistito per l'accoglimento delle conclusioni rassegnate negli scritti difensivi. Considerato in diritto 1.- Con l'ordinanza di cui al reg. ord. n. 84 del 2021, il Tribunale ordinario di Roma, in funzione di giudice del lavoro, ha sollevato questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 9, comma 1, del decreto legislativo 4 marzo 2015, n. 23 (Disposizioni in materia di contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti, in attuazione della legge 10 dicembre 2014, n. 183), che regola l'indennita' spettante nel caso di licenziamento illegittimo intimato da datori di lavoro che non possiedono i requisiti dimensionali di cui all'art. 18, commi ottavo e nono, della legge 20 maggio 1970, n. 300 (Norme sulla tutela della liberta' e dignita' dei lavoratori, della liberta' sindacale e dell'attivita' sindacale, nei luoghi di lavoro e norme sul collocamento). Il rimettente denuncia il contrasto con gli artt. 3, primo comma, 4, 35, primo comma, e 117, primo comma, della Costituzione, quest'ultimo in relazione all'art. 24 della Carta sociale europea, riveduta, con annesso, fatta a Strasburgo il 3 maggio 1996, ratificata e resa esecutiva con la legge 9 febbraio 1999, n. 30. 1.1.- Lo statuto dei lavoratori, all'art. 18, ottavo comma, si riferisce al «datore di lavoro, imprenditore o non imprenditore, che in ciascuna sede, stabilimento, filiale, ufficio o reparto autonomo nel quale ha avuto luogo il licenziamento occupa alle sue dipendenze piu' di quindici lavoratori o piu' di cinque se si tratta di imprenditore agricolo, nonche' al datore di lavoro, imprenditore o non imprenditore, che nell'ambito dello stesso comune occupa piu' di quindici dipendenti e all'impresa agricola che nel medesimo ambito territoriale occupa piu' di cinque dipendenti, anche se ciascuna unita' produttiva, singolarmente considerata, non raggiunge tali limiti, e in ogni caso al datore di lavoro, imprenditore e non imprenditore, che occupa piu' di sessanta dipendenti». L'art. 18, nono comma, della legge n. 300 del 1970 puntualizza che, ai fini del computo del numero dei dipendenti, «si tiene conto dei lavoratori assunti con contratto a tempo indeterminato parziale per la quota di orario effettivamente svolto, tenendo conto, a tale proposito, che il computo delle unita' lavorative fa riferimento all'orario previsto dalla contrattazione collettiva del settore». Non si computano coniuge e parenti del datore di lavoro entro il secondo grado in linea diretta e in linea collaterale. Per i datori di lavoro che non presentano i descritti requisiti occupazionali, l'art. 9, comma 1, del d.lgs. n. 23 del 2015 prevede una indennita' di importo dimezzato rispetto a quello stabilito dall'art. 3, comma 1, del d.lgs. n. 23 del 2015 e comunque determinato «nello strettissimo intervallo fra tre e sei mensilita'». 1.2.- Sull'ammontare dell'indennita' vertono le censure prospettate nell'odierno giudizio. Nel condividere le censure di illegittimita' costituzionale formulate dalla parte ricorrente, il rimettente argomenta che la previsione di un indennizzo non superiore alle sei mensilita', senza neppure l'alternativa della riassunzione, non attuerebbe un ragionevole bilanciamento degli interessi contrapposti. In particolare, la disposizione censurata, «nella parte in cui determina un limite massimo del tutto inadeguato e per nulla dissuasivo», non garantirebbe «un'equilibrata compensazione» e «un adeguato ristoro» del pregiudizio e non assolverebbe alla necessaria funzione deterrente. Un'indennita' cosi' modulata rappresenterebbe «una forma pressoche' uniforme di tutela» e attribuirebbe rilievo esclusivo al «numero degli occupati», elemento «trascurabile nell'ambito di quella che e' l'attuale economia». Non sarebbero valorizzati, al contrario, i molteplici criteri che questa Corte ha individuato nelle sentenze n. 194 del 2018 e n. 150 del 2020, allo scopo di adeguare il risarcimento alla peculiarita' del caso concreto. Al generico richiamo all'art. 44 Cost., neppure ribadito nel dispositivo dell'ordinanza di rimessione, non corrisponde un'autonoma censura, che concorra a definire il thema decidendum devoluto all'esame di questa Corte. 2.- Occorre, in primo luogo, esaminare le eccezioni preliminari mosse dall'Avvocatura generale dello Stato, intervenuta in giudizio in rappresentanza e a difesa del Presidente del Consiglio dei ministri. 3.- Ha priorita' logica l'esame dell'eccezione di inammissibilita' per carente motivazione in punto di rilevanza. Il giudice a quo non avrebbe spiegato per quali ragioni, nel caso concreto, risulti equo un indennizzo piu' elevato. 3.1.- L'eccezione deve essere disattesa. Questa Corte e' costante nell'affermare che «[l]'applicabilita' della disposizione al giudizio principale e' sufficiente a radicare la rilevanza della questione, che non postula un sindacato piu' incisivo sul concreto pregiudizio ai principi costituzionali coinvolti» (sentenza n. 174 del 2016, punto 2.1. del Considerato in diritto). A tale riguardo, questa Corte ha specificato che, «[a]nche nella prospettiva di un piu' diffuso accesso al sindacato di costituzionalita' (sentenza n. 77 del 2018, punto 8 del Considerato in diritto) e di una piu' efficace garanzia della conformita' della legislazione alla Carta fondamentale, il presupposto della rilevanza non si identifica nell'utilita' concreta di cui le parti in causa potrebbero beneficiare (sentenza n. 20 del 2018, punto 2. del Considerato in diritto)» (sentenza n. 174 del 2019, punto 2.1. del Considerato in diritto). 3.2.- Le questioni di legittimita' costituzionale sono state sollevate in un giudizio di impugnazione di un licenziamento per giustificato motivo oggettivo. Il datore di lavoro, rimasto contumace, non ha ottemperato all'onere di dimostrare le ragioni inerenti all'attivita' produttiva, all'organizzazione del lavoro e al suo regolare funzionamento, cosi' come stabilisce l'art. 5 della legge 15 luglio 1966, n. 604 (Norme sui licenziamenti individuali). Il rimettente evidenzia che il datore di lavoro non possiede i requisiti occupazionali di cui all'art. 18, commi ottavo e nono, dello statuto dei lavoratori e che al licenziamento e' applicabile ratione temporis la disciplina dell'art. 9, comma 1, del d.lgs. n. 23 del 2015. Il giudice a quo ha dunque illustrato, con motivazione adeguata, le ragioni che rendono necessaria l'applicazione della previsione censurata, requisito necessario e sufficiente ai fini della rilevanza delle questioni sollevate. 4.- L'Avvocatura generale dello Stato, in secondo luogo, imputa al rimettente di avere demandato a questa Corte la rideterminazione dell'indennizzo adeguato e, conseguentemente, la scelta «tra piu' opzioni normative, tutte ugualmente conformi a Costituzione», in mancanza di «parametri normativi alternativi». Da questa angolazione, sarebbe evidente lo sconfinamento nella sfera riservata alla discrezionalita' del legislatore. 4.1.- L'eccezione e' fondata, nei termini e per i motivi di seguito precisati. 4.2.- Questa Corte, gia' nella sentenza n. 45 del 1965, ha ricondotto la tutela contro i licenziamenti illegittimi agli artt. 4 e 35 Cost., interpretati in una prospettiva unitaria. In quell'occasione si affermo' che, pur non essendo il diritto al lavoro assistito dalla garanzia della stabilita' dell'occupazione, spetta al legislatore, «nel quadro della politica prescritta dalla norma costituzionale», adeguare le tutele in caso di licenziamenti illegittimi (punto 4 del Considerato in diritto). In armonia con tali principi, la protezione riconosciuta al lavoro dalla Costituzione, ribadita anche dall'art. 24 della Carta sociale europea, e' stata collocata in un quadro contraddistinto dall'integrazione delle garanzie e dalla loro massima espansione (sentenza n. 194 del 2018, punto 14 del Considerato in diritto). Il rimettente avvalora i dubbi di legittimita' costituzionale con il richiamo alle sentenze n. 194 del 2018 e n. 150 del 2020, che, in merito all'indennita' per i licenziamenti viziati dal punto di vista, rispettivamente, sostanziale e formale, hanno censurato un meccanismo di determinazione ancorato al rigido e uniforme criterio dell'anzianita' di servizio. Nelle pronunce richiamate, questa Corte ha ribadito che la modulazione delle tutele contro i licenziamenti illegittimi e' demandata all'apprezzamento discrezionale del legislatore, vincolato al rispetto del principio di eguaglianza, che vieta di omologare situazioni eterogenee e di trascurare la specificita' del caso concreto. In una vicenda che vede direttamente implicata la persona del lavoratore, si rivela di importanza primaria la valutazione del giudice, chiamato, nell'alveo dei criteri individuati dalla legge, ad attuare la necessaria «personalizzazione del danno subito dal lavoratore, pure essa imposta dal principio di eguaglianza» (sentenza n. 194 del 2018, punto 11 del Considerato in diritto e, nello stesso senso, sentenza n. 150 del 2020, punto 9 del Considerato in diritto). Tra tali criteri, rilevano anche il numero dei dipendenti occupati, le dimensioni dell'impresa, il comportamento e le condizioni delle parti, tipizzati dall'art. 8 della legge n. 604 del 1966, confermati dalla legge 11 maggio 1990, n. 108 (Disciplina dei licenziamenti individuali) e largamente sperimentati nell'esperienza applicativa. Inoltre, un organico sistema di tutele si incentra sul principio di ragionevolezza, «che questa Corte, nell'ambito della disciplina dei licenziamenti, ha declinato come necessaria adeguatezza dei rimedi, nel contesto di un equilibrato componimento dei diversi interessi in gioco e della specialita' dell'apparato di tutele previsto dal diritto del lavoro» (sentenza n. 150 del 2020, punto 13 del Considerato in diritto). Un rimedio adeguato, che assicuri un serio ristoro del pregiudizio arrecato dal licenziamento illegittimo e dissuada il datore di lavoro dal reiterare l'illecito, si impone in forza della «speciale tutela riconosciuta al lavoro in tutte le sue forme e applicazioni, in quanto fondamento dell'ordinamento repubblicano (art. 1 Cost.)» (sentenza n. 125 del 2022, punto 6 del Considerato in diritto). 4.3.- Tali esigenze di effettivita' e di adeguatezza della tutela si impongono anche per i licenziamenti intimati da datori di lavoro di piu' piccole dimensioni (di cui ai citati commi ottavo e nono dell'art. 18 dello statuto dei lavoratori). Questa Corte, nel dichiarare non fondati i dubbi di legittimita' costituzionale della disciplina, che per tali datori di lavoro escludeva la reintegrazione, ha posto l'accento sulla natura fiduciaria del rapporto di lavoro nell'ambito delle descritte realta' organizzative, sull'opportunita' di non gravarle di oneri eccessivi e, infine, sulle tensioni che l'esecuzione di un ordine di reintegrazione potrebbe ingenerare (sentenze n. 2 del 1986, n. 189 del 1975 e n. 152 del 1975). Inoltre, le «dimensioni che il datore di lavoro abbia conferito alla organizzazione della sua attivita'» rappresentano un «dato aderente alla realta' economica di comune esperienza» (sentenza n. 55 del 1974, punto 4 del Considerato in diritto). In questa prospettiva, «la componente numerica dei lavoratori ha riflessi sul modo di essere e di operare del rapporto di lavoro organizzato», soprattutto in ragione del «criterio economico suggerito per regolare gli interessi delle aziende aventi un minor numero di dipendenti, pur senza trascurare gli interessi dei lavoratori» (sentenza n. 81 del 1969, punto 4 del Considerato in diritto). 4.4.- L'assetto delineato dal d.lgs. n. 23 del 2015 e' profondamente mutato rispetto a quello analizzato dalle piu' risalenti pronunce di questa Corte. La reintegrazione e' stata circoscritta entro ipotesi tassative per tutti i datori di lavoro e le dimensioni dell'impresa non assurgono a criterio discretivo tra l'applicazione della piu' incisiva tutela reale e la concessione del solo ristoro pecuniario. In un sistema imperniato sulla portata tendenzialmente generale della tutela monetaria, la specificita' delle piccole realta' organizzative, che pure permane nell'attuale sistema economico, non puo' giustificare un sacrificio sproporzionato del diritto del lavoratore di conseguire un congruo ristoro del pregiudizio sofferto. 5.- Il rimettente, in continuita' con la giurisprudenza di questa Corte, segnala le disarmonie insite nella predeterminazione dell'indennita' stabilita nell'ipotesi di datori di lavoro che non raggiungono i requisiti dimensionali di cui all'art. 18 della legge n. 300 del 1970. Tali disarmonie traggono origine, per un verso, dall'esiguita' dell'intervallo tra l'importo minimo e quello massimo dell'indennita' e, per altro verso, dal criterio distintivo individuato dal legislatore, che si incardina sul numero degli occupati. 5.1.- Quanto al primo profilo, si deve rilevare che un'indennita' costretta entro l'esiguo divario tra un minimo di tre e un massimo di sei mensilita' vanifica l'esigenza di adeguarne l'importo alla specificita' di ogni singola vicenda, nella prospettiva di un congruo ristoro e di un'efficace deterrenza, che consideri tutti i criteri rilevanti enucleati dalle pronunce di questa Corte e concorra a configurare il licenziamento come extrema ratio. 5.2.- Quanto al secondo profilo, si deve evidenziare che il limitato scarto tra il minimo e il massimo determinati dalla legge conferisce un rilievo preponderante, se non esclusivo, al numero dei dipendenti, che, a ben vedere, non rispecchia di per se' l'effettiva forza economica del datore di lavoro, ne' la gravita' del licenziamento arbitrario e neppure fornisce parametri plausibili per una liquidazione del danno che si approssimi alle particolarita' delle vicende concrete. Invero, in un quadro dominato dall'incessante evoluzione della tecnologia e dalla trasformazione dei processi produttivi, al contenuto numero di occupati possono fare riscontro cospicui investimenti in capitali e un consistente volume di affari. Il criterio incentrato sul solo numero degli occupati non risponde, dunque, all'esigenza di non gravare di costi sproporzionati realta' produttive e organizzative che siano effettivamente inidonee a sostenerli. Il limite uniforme e invalicabile di sei mensilita', che si applica a datori di lavoro imprenditori e non, opera in riferimento ad attivita' tra loro eterogenee, accomunate dal dato del numero dei dipendenti occupati, sprovvisto di per se' di una significativa valenza. 5.3.- In conclusione, un sistema siffatto non attua quell'equilibrato componimento tra i contrapposti interessi, che rappresenta la funzione primaria di un'efficace tutela indennitaria contro i licenziamenti illegittimi. 6.- Si deve riconoscere, pertanto, l'effettiva sussistenza del vulnus denunciato dal rimettente e si deve affermare la necessita' che l'ordinamento si doti di rimedi adeguati per i licenziamenti illegittimi intimati dai datori di lavoro che hanno in comune il dato numerico dei dipendenti. Al vulnus riscontrato, tuttavia, non puo' porre rimedio questa Corte. Non si ravvisa, infatti, una soluzione costituzionalmente adeguata, che possa orientare l'intervento correttivo e collocarlo entro un perimetro definito, segnato da grandezze gia' presenti nel sistema normativo e da punti di riferimento univoci. 6.1.- Si deve rilevare, in primo luogo, che la fattispecie sottoposta allo scrutinio di questa Corte non puo' essere comparata con quella esaminata nelle sentenze n. 194 del 2018 e n. 150 del 2020. In quel frangente, i rimettenti hanno chiesto la caducazione di un criterio di computo dell'indennita' parametrato sulla sola anzianita' di servizio. Peraltro, rimosso il meccanismo individuato dal legislatore, e' stato possibile rinvenire nel sistema criteri collaudati, idonei a indirizzare la valutazione del giudice e a supplire all'eliminazione di un parametro fisso e immutabile. Nel caso di specie, il rimettente non chiede a questa Corte di caducare un meccanismo di determinazione, parte integrante di un sistema che comunque si ricompone secondo linee coerenti. La richiesta concerne piuttosto la ridefinizione - in melius per il lavoratore illegittimamente licenziato - della stessa soglia massima dell'indennita', in difetto di soluzioni predefinite che possano circoscrivere il carattere manipolativo dell'intervento auspicato, ridefinizione che spazia in un intervallo di plurime soluzioni possibili, anche in ragione delle diverse caratteristiche dei datori di lavoro di piccole dimensioni. 6.2.- Le argomentazioni addotte dal rimettente, a sostegno dei dubbi di legittimita' costituzionale, prefigurano, quindi, una vasta gamma di alternative e molteplici si rivelano le soluzioni atte a superare le incongruenze censurate. Nella stessa direzione muovono anche i rilievi della parte, che pure sottendono una molteplicita' di opzioni. 6.2.1.- Il legislatore ben potrebbe tratteggiare criteri distintivi piu' duttili e complessi, che non si appiattiscano sul requisito del numero degli occupati e si raccordino alle differenze tra le varie realta' organizzative e ai contesti economici diversificati in cui esse operano. Non spetta, dunque, a questa Corte scegliere, tra i molteplici criteri che si possono ipotizzare, quelli piu' appropriati. 6.2.2.- Il giudice a quo prospetta, quale soluzione idonea, anche l'eliminazione del regime speciale previsto per i piccoli datori di lavoro. Anche tale soluzione non potrebbe che essere rimessa all'apprezzamento discrezionale del legislatore, per le ragguardevoli implicazioni sistematiche che presenta. 6.2.3.- Tenuto conto dei principi enunciati dalla giurisprudenza di questa Corte e alla luce delle innovazioni legislative intervenute (art. 3 del decreto-legge 12 luglio 2018, n. 87, recante «Disposizioni urgenti per la dignita' dei lavoratori e delle imprese», convertito, con modificazioni, nella legge 9 agosto 2018, n. 96), le soglie dell'indennita' dovuta potranno essere rimodulate secondo una pluralita' di criteri. Anche da questo punto di vista, trova conferma l'ampio spettro delle soluzioni che il legislatore, nella sua discrezionalita', potrebbe elaborare. 7.- A ognuna delle scelte ipotizzabili corrispondono, infatti, differenti opzioni di politica legislativa. Si profilano, dunque, ineludibili valutazioni discrezionali, che, proprio perche' investono il rapporto tra mezzi e fine, non possono competere a questa Corte. Rientra, infatti, nella prioritaria valutazione del legislatore la scelta dei mezzi piu' congrui per conseguire un fine costituzionalmente necessario, nel contesto di «una normativa di importanza essenziale» (sentenza n. 150 del 2020), per la sua connessione con i diritti che riguardano la persona del lavoratore, scelta che proietta i suoi effetti sul sistema economico complessivamente inteso. Come gia' questa Corte ha segnalato (sentenza n. 150 del 2020, punto 17 del Considerato in diritto), la materia, frutto di interventi normativi stratificati, non puo' che essere rivista in termini complessivi, che investano sia i criteri distintivi tra i regimi applicabili ai diversi datori di lavoro, sia la funzione dissuasiva dei rimedi previsti per le disparate fattispecie. Nel dichiarare l'inammissibilita' delle odierne questioni, questa Corte non puo' conclusivamente esimersi dal segnalare che un ulteriore protrarsi dell'inerzia legislativa non sarebbe tollerabile e la indurrebbe, ove nuovamente investita, a provvedere direttamente, nonostante le difficolta' qui descritte (sentenza n. 180 del 2022, punto 7 del Considerato in diritto).
per questi motivi LA CORTE COSTITUZIONALE dichiara inammissibili le questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 9, comma 1, del decreto legislativo 4 marzo 2015, n. 23 (Disposizioni in materia di contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti, in attuazione della legge 10 dicembre 2014, n. 183), sollevate, in riferimento agli artt. 3, primo comma, 4, 35, primo comma, e 117, primo comma, della Costituzione, quest'ultimo in relazione all'art. 24 della Carta sociale europea, riveduta, con annesso, fatta a Strasburgo il 3 maggio 1996, ratificata e resa esecutiva con la legge 9 febbraio 1999, n. 30, dal Tribunale ordinario di Roma, in funzione di giudice del lavoro, con l'ordinanza indicata in epigrafe. Cosi' deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 23 giugno 2022. F.to: Giuliano AMATO, Presidente Silvana SCIARRA, Redattore Igor DI BERNARDINI, Cancelliere Depositata in Cancelleria il 22 luglio 2022. Il Cancelliere F.to: Igor DI BERNARDINI