E bastava poco per cancellare o rendere difficoltoso il ricordo. Il principio dei governanti dello stato orwelliano in 1984 “chi controlla il passato controlla il futuro” era applicato nell’antichità, dall’Egitto a Roma con l’istituto della damnatio memoriae e, in tempi più recenti, nell’Unione sovietica: la distruzione di una statua o l’alterazione di una fotografia (come ci ha raccontato Milan Kundera, ne “Il libro del riso e dell’oblio”) potevano essere sufficienti.
Oggi, al contrario, dimenticare e difficile. Tutto è ricordabile: di tutto resta traccia, soprattutto nell’immensa quantità di dati – oltre quattro milioni – immessi quotidianamente nel web. Internet non dimentica, si diceva nei primi anni di diffusione del Web.
Così, accanto al diritto al ricordo e a essere ricordati, e accanto al dovere di ricordare fatti, avvenimenti e persone che sarebbe più comodo dimenticare (per il quale in molti Stati, tra cui l’Italia, sono state istituite apposite giornate) dovrà collocarsi, nel disegno istituzionale della memoria europea, un nuovo diritto: il diritto all’oblio.
A questo fine Viviane Reding, Commissario alla giustizia dell’Unione europea, insieme ad esperti europei della privacy, ha posto le basi di questo nuovo diritto in un regolamento “concernente la tutela delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali e la libera circolazione di tali dati”. Il regolamento deve sostituire la direttiva 95/46/CE in materia di privacy attualmente vigente ed è attualmente all’esame del Parlamento e del Consiglio dell’Unione. Dovrebbe divenire esecutivo all’interno di tutti gli Stati membri entro il 2015.
Che cosa prevede la nuova normativa?
Il considerando 53 del Regolamento stabilisce che “ogni persona deve avere il diritto di rettificare i dati personali che la riguardano e il “diritto all’oblio”, se la conservazione di tali dati non è conforme al presente regolamento. In particolare, l’interessato deve avere il diritto di chiedere che siano cancellati e non più sottoposti a trattamento i propri dati personali che non siano più necessari per le finalità per le quali sono stati raccolti o altrimenti trattati…”.
Questo principio è contenuto nell’articolo 17 del testo regolamentare. L’art. 17, però, prevede che il responsabile del trattamento non ha l’obbligo di procedere alla cancellazione dei dati, se la conservazione è resa necessaria, tra l’altro, “…per l’esercizio del diritto alla libertà di espressione in conformità dell’articolo 80…”. Quest’ultima disposizione stabilisce che gli Stati membri debbono prevedere, per il trattamento dei dati personali effettuato esclusivamente a scopi giornalistici o di espressione artistica o letteraria, le esenzioni o le deroghe alle disposizioni concernenti i principi generali e i diritti dell’interessato al fine di conciliare il diritto alla protezione dei dati personali e le norme sulla libertà d’espressione.
Ma possono convivere il diritto e il dovere al ricordo con il diritto all’oblio senza attriti o interferenze? A prima vista, entrambi sembrano affondare le loro radici nel più ampio diritto alla privacy che dovrebbe tutelare la libera scelta della persona di ricordare o dimenticare
Non è così, però.
Il diritto all’oblio può porsi in vario modo in rotta di collisione con il diritto e il dovere di ricordare; come pure il diritto alla privacy, di cui il diritto all’oblio è componente, può confliggere con la libertà di espressione e l’interesse privato all’identità personale con l’interesse pubblico alla conoscenza.
E allora, che cosa si può o si deve ricordare e che cosa si può o si deve dimenticare? Limitiamoci a considerare il web e prendiamo in considerazione tre casi nei quali assume rilevanza il diritto all’oblio, partendo dal più semplice.
Il primo caso non dà luogo a particolari contestazioni: chi mette informazioni riguardanti la propria vita privata sul proprio sito web o sulla propria pagina di un social network deve sempre avere la possibilità di cancellarle senza dover richiedere permessi o autorizzazioni al gestore del network.
Ma la cancellazione dell’informazione sgradita dal proprio sito non garantisce all’interessato che essa scompaia dalla rete: può infatti essere stata ripresa e riprodotta in altri siti o da altri utenti dello stesso social network.
Ipotizziamo che un utente di Facebook abbia immesso sulla propria pagina una foto che lo ritrae durante un evento pubblico (un matrimonio, una partita di calcio) con un personaggio politico caduto successivamente in disgrazia o con una conoscenza occasionale che poi si scopre essere un boss mafioso, e che questa foto sia stata ripresa da altri utilizzatori di Facebook, o riprodotta in altri siti (magari inizialmente con soddisfazione del nostro utente).
Chi ha pubblicato la foto divenuta compromettente può pretendere che essa sia cancellata anche dai siti – siano essi un’altra pagina di un social network o il sito di un organo di informazione – ove essa è stata riprodotta e, se venga opposto un rifiuto, ha diritto di ottenerne la rimozione dal gestore del social network o dai motori di ricerca che rinviano alla notizia (Google, Yahoo e gli altri), ed eventualmente di rivolgersi all’autorità giudiziaria all’autorità che garantisce il rispetto della privacy?
Questo secondo caso impone di risolvere una questione più complessa: prevale il mio diritto all’oblio o il diritto altrui di conservare foto o documenti sulla propria pagina del social network che io stesso avevo immesso nel dominio pubblico e reso quindi disponibili.
Ancor più complesso è il terzo caso, quello dell’immissione della foto, scattata magari da un altro partecipante alla cerimonia divenuta per me sgradita sulla sua pagina di un social network senza il mio consenso. In questo caso il mio diritto all’oblio si scontra con il diritto altrui alla libertà di espressione e, più in generale, se chi immette la foto è un organo di informazione, con il diritto di liberamente informare il pubblico di fatti che possono essere di interesse generale.
In questa materia, dopo un dibattito durato vari anni che ha visto contrapposte – come è agevole immaginare – le posizioni dei garanti della privacy da un lato e dei sostenitori della libertà di espressione, sostenuti dai principali motori di ricerca, Google e Facebook in primo piano, che hanno sostenuto la loro impossibilità di svolgere la funzione di “custodi della Rete”, è intervenuta, come si è detto, l’Unione europea con il progetto di regolamento che è in corso di approvazione, prendendo posizione a favore dei primi.
In particolare, il Commissario Reading ha osservato che l’attuale normativa della privacy in Europa risale al 1995, allorché Internet copriva solo l’1% dell’informazione. Oggi, copre il 97%. Un adeguamento è quindi necessario, al fine di proteggere la privacy non solo dei singoli utenti, ma anche il patrimonio di dati riguardanti la propria attività delle società e delle imprese che operano nel mercato comune.
“I dati personali sono la moneta dell’odierno mercato digitale” ha osservato Viviane Reding “e, come ogni moneta, anche I dati personali richiedono stabilità e fiducia. Solo se gli utenti e i consumatori hanno la sicurezza che i loro dati sono ben protetti, il commercio e i rapporti online con la Pubblica Amministrazione continueranno a svilupparsi e nuovi servizi potranno essere creati” (dal testo della Conferenza “The EU Data Protection Reform 2012: Making Europe the Standard Setter for Modern Data Protection Rules in the Digital Age” al Convegno Innovation Conference Digital, Life, Design tenuto a Monaco il 22 January 2012).
Torniamo allora ai nostri casi. Sia nel secondo che nel terzo caso, chiunque dimostri il proprio interesse ha diritto di chiedere la eliminazione di dati che lo riguardano che compaiono nel web, sia al soggetto che li ha immessi, sia al network ove sono contenuti, sia infine ai motori di ricerca che me permettono la rilevazione. La cancellazione dovrà essere effettuata tempestivamente, a meno che il loro mantenimento online non sia ritenuto necessario per l’esercizio della libertà di espressione, così come definita dagli Stati membri nel proprio ordinamento.
Le proteste non sono mancate, e in prima linea sono stati proprio Google, Yahoo e gli altri motori di ricerca che si rifiutano di fare “i poliziotti del web” e soprattutto di assumersi l’onere di stabilire quando prevalga il diritto all’oblio e quando prevalga invece la libertà di espressione. Per tornare ai nostri casi, Facebook o Google, a fronte di una richiesta di cancellazione della foto divenuta compromettente da parte dell’interessato, dovranno valutare se prevalga, in quel caso, la libertà di espressione e di comunicazione oppure se debba prevalere il diritto all’oblio, con il rischio di essere trascinati davanti all’Autorità giudiziaria da quello dei due contendenti che veda lesa la propria posizione.
A questo, non va dimenticato che secondo la Corte europea dei diritti dell’uomo i limiti posti alla libertà di espressione del pensiero devono sempre essere interpretati in modo restrittivo: a questo fine, la Corte opera sempre una verifica delle interferenze che vengono poste alla libertà di espressione e di informazione, al fine di accertare se esse siano proporzionate in relazione allo scopo perseguito e siano giustificate in termini di pertinenza e sufficienza (si veda per esempio CEDU, Sunday Times v. United Kingdom, ric. N.13166/87, 26\11\1991).