Per dichiarare il fallimento il giudice può motivatamente non tenere conto dei bilanci depositati tardivamente
Ai fini della prova dei requisiti di non fallibilità, i bilanci degli ultimi tre esercizi sono quelli già approvati e depositati nel registro delle imprese.
In difetto, il Giudice può – motivatamente – non tenere conto dei bilanci prodotti.
Decisione: Ordinanza n. 13746/2017 Cassazione Civile – Sezione I
Classificazione: Commerciale, Fallimentare, Societario
Il caso.
Il tribunale dichiarava il fallimento di una SRL; la società proponeva reclamo che veniva respinto dalla Corte d’Appello.
La società propone ricorso per la cassazione della pronuncia, affidandosi a cinque motivi
La Cassazione accoglie l’ultimo motivo di ricorso, fondato sulla censura della conclusione della Corte d’Appello circa l’inattendibilità dei bilanci per il loro tardivo deposito.
La decisione.
La Suprema Corte, dopo aver affrontato i primi quattro motivi (vertenti su asseriti vizi di notifica e di instaurazione del contraddittorio) che ha ritenuto inforndati, esamina il quinto motivo di ricorso, relativo alla pretesa inattendibilità dei bilanci relativi agli ultimi tre esercizi per il loro tardivo deposito presso il registro delle imprese.
Il Collegio dapprima ricorda la fonte degli obblighi di deposito: Osserva la Corte che il bilancio di esercizio delle società di capitali, per il quale l’art. 2435, 1° co., cod. civ. (richiamato per la società a responsabilità limitata dall’art. 2478-bis, 2° co.) prevede che, entro trenta giorni dall’approvazione, una copia dello stesso
(corredata dalle relazioni previste dagli art. 2428 e 2429 e dal verbale di approvazione dell’assemblea o del consiglio di sorveglianza), deve essere depositata, a cura degli amministratori, presso l’ufficio del registro delle imprese o spedita al medesimo ufficio, a mezzo di lettera raccomandata (art. 7 bis, D.Lgs. n. 357 del 1994, convertito, con modificazioni, con L. n. 489 del 1994), o attraverso adempimenti telematici.
Poi ne ricorda la valenza: «Si tratta, invero, di un adempimento che assolve ad una funzione meramente informativa, o «conoscitiva», proprio della pubblicità-notizia che, tuttavia, riveste una certa importanza per tutti coloro che vengono a contatto con la società: infatti, l’obbligo di deposito del bilancio risponde all’interesse di ogni utilizzatore del bilancio stesso a conoscere la situazione patrimoniale, finanziaria ed economica della società (cfr. Cass. Sez. 1, Sentenza n. 6018 del 1988)».
Poi afferma, innanzitutto, il seguente principio di diritto: «i bilanci degli ultimi tre esercizi che l’imprenditore è tenuto a depositare, ai sensi dell’art. 15, quarto comma, LF, sono quelli approvati e depositati nel registro delle imprese, ai sensi dell’art. 2435 cod. civ.».
Quindi si esprime sulla possibilità, per il Giudice, di non tenere conto – motivando – dei documenti non depositati o depositati tardivamente: «le ragioni di tutela, anche ai fini concorsuali, di coloro che siano venuti in contatto con l’impresa (potendo aver fatto affidamento sulla fallibilità o meno dell’imprenditore in base ai dati di bilancio), fanno sì che l’esame di siffatti documenti contabili, non depositati o non tempestivamente depositati, possa dar luogo a dubbi circa la loro attendibilità, anche in conseguenza delle tempistiche osservate (o non osservate) nell’esecuzione di tali adempimenti formali, sicché – in tali casi – il giudice potrà non tenere conto dei bilanci prodotti, di conseguenza rimanendo l’imprenditore diversamente onerato della prova circa la sussistenza dei requisiti della non fallibilità».
A questo punto, censura la decisione della Corte di Appello, che «Nel caso in esame, il giudice di merito, sulla base della mancata prova del tempestivo deposito dei bilanci della società fallita presso il registro delle imprese, ha affermato in linea astratta che il solo fatto della violazione delle norme procedimentali, di per sé, «inficia la capacità (dell’atto) di fornire nel procedimento prefallimentare una prova attendibile dei dati in esso riportati», senza tener conto della concreta violazione addebitabile alla società debitrice».
E ne precisa la ragione: «In tal modo, tuttavia, esso è pervenuto ad una affermazione (l’inattendibilità dei documenti prescritti dall’art. 15, IV co., LF) che, considerata la natura dichiarativa della pubblicità di quegli atti, non appare corretta, perché è stata compiuta senza l’accertamento concreto della specifica vicenda oggetto di esame».
Richiamandosi a una recente decisione, il Collegio ricorda che «questa Corte ha già avuto modo di avvertire che, «ai fini della prova, da parte dell’imprenditore, della sussistenza dei requisiti di non fallibilità di cui all’art. 1, comma 2, I.fall., i bilanci degli ultimi tre esercizi costituiscono la base documentale imprescindibile, ma non anche una prova legale, sicché, ove ritenuti motivatamente inattendibili dal giudice, l’imprenditore rimane onerato della prova circa la ricorrenza dei requisiti della non fallibilità.» (Sez. 1, Sentenza n. 24548 del 2016)».
E, quindi, censura l’operato del giudice del merito nel caso deciso: «Ciò che è appunto mancato nella specie perché, se i dati contenuti nel bilancio non costituiscono una prova legale, come si è detto, neppure si può negare in astratto la loro attendibilità, così come ha fatto il giudice a quo, e ciò sulla base della non risultanza della data del loro deposito nel registro delle imprese, senza uno specifico accertamento ed una conseguente concreta motivazione del perché egli sia giunto a quella conclusione di inattendibilità».
Nell’accogliere il motivo di ricorso, la Suprema Corte rinvia alla Corte di Appello in diversa composizione, la quale dovrà riesaminare la questione attenendosi al seguente principio di diritto: «in tema di fallimento, ai fini della prova della sussistenza dei requisiti di non fallibilità di cui all’art. 1, comma secondo, I.fall., i bilanci degli ultimi tre esercizi che l’imprenditore è tenuto a depositare, ai sensi dell’art. 15, quarto comma, I.fall., sono quelli già approvati e depositati nel registro delle imprese, ai sensi dell’art. 2435 c.c.; sicché, ove difettino tali requisiti, o essi non siano ritualmente osservati, il giudice può motivatamente non tenere conto dei bilanci prodotti, rimanendo l’imprenditore onerato della prova circa la sussistenza dei requisiti della non fallibilità».
Osservazioni.
La Cassazione, in sostanza, ha censurato la Corte d’Appello per il mancato accertamento, nel caso concreto, della inattendibilità dei bilanci tardivamente depositati.
Nel principio di diritto affermato, viene chiarito che il Giudice può non tenere conto dei bilanci prodotti tardivamente, ma deve motivarne le ragioni.
Inoltre, rimane sempre in capo all’imprenditore l’onere della prova circa la sussistenza dei requisiti di non fallibilità che – qualora il giudice accerti l’inattendibilità dei bilanci tardivamente depositati – può essere comunque potezialmente fornita con altri elementi.
Giurisprudenza rilevante.
Cass. 6018/1988
Cass. 24548/2016
Disposizioni rilevanti.
REGIO DECRETO 16 marzo 1942, n. 267
Disciplina del fallimento, del concordato preventivo, dell’amministrazione controllata e della liquidazione coatta amministrativa
Art. 1 – Imprese soggette al fallimento e al concordato preventivo
Sono soggetti alle disposizioni sul fallimento e sul concordato preventivo gli imprenditori che esercitano una attività commerciale, esclusi gli enti pubblici.
Non sono soggetti alle disposizioni sul fallimento e sul concordato preventivo gli imprenditori di cui al primo comma, i quali dimostrino il possesso congiunto dei seguenti requisiti:
a) aver avuto, nei tre esercizi antecedenti la data di deposito della istanza di fallimento o dall’inizio dell’attività se di durata inferiore, un attivo patrimoniale di ammontare complessivo annuo non superiore ad euro trecentomila;
b) aver realizzato, in qualunque modo risulti, nei tre esercizi antecedenti la data di deposito dell’istanza di fallimento o dall’inizio dell’attività se di durata inferiore, ricavi lordi per un ammontare complessivo annuo non superiore ad euro duecentomila;
c) avere un ammontare di debiti anche non scaduti non superiore ad euro cinquecentomila.
I limiti di cui alle lettere a), b) e c) del secondo comma possono essere aggiornati ogni tre anni con decreto del Ministro della giustizia, sulla base della media delle variazioni degli indici ISTAT dei prezzi al consumo per le famiglie di operai ed impiegati intervenute nel periodo di riferimento.
Art. 15 – Procedimento per la dichiarazione di fallimento
Il procedimento per la dichiarazione di fallimento si svolge dinanzi al tribunale in composizione collegiale con le modalità dei procedimenti in camera di consiglio.
Il tribunale convoca, con decreto apposto in calce al ricorso, il debitore ed i creditori istanti per il fallimento; nel procedimento interviene il pubblico ministero che ha assunto l’iniziativa per la dichiarazione di fallimento.
Il decreto di convocazione è sottoscritto dal presidente del tribunale o dal giudice relatore se vi è delega alla trattazione del procedimento ai sensi del sesto comma. Il ricorso e il decreto devono essere notificati, a cura della cancelleria, all’indirizzo di posta elettronica certificata del debitore risultante dal registro delle imprese ovvero dall’Indice nazionale degli indirizzi di posta elettronica certificata delle imprese e dei professionisti. L’esito della comunicazione è trasmesso, con modalità automatica, all’indirizzo di posta elettronica certificata del ricorrente. Quando, per qualsiasi ragione, la notificazione non risulta possibile o non ha esito positivo, la notifica, a cura del ricorrente, del ricorso e del decreto si esegue esclusivamente di persona a norma dell’articolo 107, primo comma, del decreto del Presidente della Repubblica 15 dicembre 1959, n. 1229, presso la sede risultante dal registro delle imprese. Quando la notificazione non può essere compiuta con queste modalità, si esegue con il deposito dell’atto nella casa comunale della sede che risulta iscritta nel registro delle imprese e si perfeziona nel momento del deposito stesso. L’udienza è fissata non oltre quarantacinque giorni dal deposito del ricorso e tra la data della comunicazione o notificazione e quella dell’udienza deve intercorrere un termine non inferiore a quindici giorni.
Il decreto contiene l’indicazione che il procedimento è volto all’accertamento dei presupposti per la dichiarazione di fallimento e fissa un termine non inferiore a sette giorni prima dell’udienza per la presentazione di memorie e il deposito di documenti e relazioni tecniche. In ogni caso, il tribunale dispone che l’imprenditore depositi i bilanci relativi agli ultimi tre esercizi, nonché una situazione patrimoniale, economica e finanziaria aggiornata; può richiedere eventuali informazioni urgenti.
I termini di cui al terzo e quarto comma possono essere abbreviati dal presidente del tribunale, con decreto motivato, se ricorrono particolari ragioni di urgenza. In tali casi, il presidente del tribunale può disporre che il ricorso e il decreto di fissazione dell’udienza siano portati a conoscenza delle parti con ogni mezzo idoneo, omessa ogni formalità non indispensabile alla conoscibilità degli stessi.
Il tribunale può delegare al giudice relatore l’audizione delle parti. In tal caso, il giudice delegato provvede all’ammissione ed all’espletamento dei mezzi istruttori richiesti dalle parti o disposti d’ufficio.
Le parti possono nominare consulenti tecnici.
Il tribunale, ad istanza di parte, può emettere i provvedimenti cautelari o conservativi a tutela del patrimonio o dell’impresa oggetto del provvedimento, che hanno efficacia limitata alla durata del procedimento e vengono confermati o revocati dalla sentenza che dichiara il fallimento, ovvero revocati con il decreto che rigetta l’istanza.
Non si fa luogo alla dichiarazione di fallimento se l’ammontare dei debiti scaduti e non pagati risultanti dagli atti dell’istruttoria prefallimentare è complessivamente inferiore a euro trentamila. Tale importo è periodicamente aggiornato con le modalità di cui al terzo comma dell’articolo 1.