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“Darsi dei limiti è il gesto che distingue la civiltà dalla barbarie”: il limite e la decrescita secondo Serge Latouche

di Valentina Cavanna. Serge Latouche, nato a Vannes nel 1940, è un economista francese. E’ professore emerito all’Università di Parigi XI e tra gli autori della “Revue du MAUSS”. “Limite” è il titolo dell’opera pubblicata in Italia nel Settembre 2012 dalla casa editrice Bollati Boringhieri.

In questo libro Latouche affronta quello che è il concetto chiave della “decrescita”: il limite, appunto.

L’uomo moderno … ha preteso … di liberarsi da qualsiasi limite…”. Oggi tuttavia, “siamo entrati nell’era dei limiti”: essi, infatti, risorgono nella forma di catastrofi (cambiamento climatico, contaminazione nucleare, esaurimento delle risorse naturali rinnovabili e non rinnovabili, crisi sociali etc). “L’illimitatezza moderna è un mostro unico e proteiforme”, dalle diverse sfaccettature. Così l’Autore introduce l’opera, in cui descrive i limiti geografici, politici, culturali, ecologici, economici, della conoscenza, morali. Ognuno di essi è stato messo in dubbio con la modernità; tuttavia, essi riemergono oggi ancor più forti.

Nel presente contributo, si intende ripercorrere brevemente – senza pretese di esaustività – il pensiero di Latouche su tale tema.

Innanzitutto, la globalizzazione per l’Autore “è la trasgressione ufficializzata di tutte le norme sociali, morali e ambientali”. Infatti, essa provoca “la distruzione delle identità culturali” ed “è stata per il capitalismo una tappa decisiva sulla strada della scomparsa di ogni limite. Infatti permette di investire e disinvestire dove si vuole e quando si vuole, in spregio degli uomini e della biosfera”.

Latouche critica la crescita illimitata della nostra società (la “crescita per la crescita”), nonché “l’ordinaria dismisura della nostra epoca”. Infatti, nel nostro sistema “l’economia diventa addirittura una nuova «cattolicità»”. L’Occidente è una “megamacchina tecnoeconomica anonima e ormai senza volto”. L’uomo è spinto verso l’ “iper-consumo”, attraverso la “colonizzazione dell’immaginario delle masse” e la sollecitazione del desiderio, che è insaziabile (e su tale ultimo aspetto richiama Durkheim). Dura è la critica nei confronti della pubblicità.

Latouche afferma poi che i limiti ecologici sono i più evidenti tra quelli a cui l’uomo si trova di fronte. Stiamo distruggendo non il nostro pianeta, bensì il nostro ecosistema, ossia le nostre possibilità di sopravvivervi. Il superamento dei limiti della crescita “ci condanna al crollo”. L’Autore richiama poi le teorie di Georgescu-Roegen, il quale ha elaborato il concetto di “bioeconomia”, cioè il pensare l’economia all’interno della biosfera, nonché la c.d. “quarta legge della termodinamica”, ossia l’impossibilità di una crescita infinita in un mondo finito. In altri termini, sulla base degli assunti della seconda legge della termodinamica nonché del fenomeno dell’entropia, si nota come la crescita economica abbia necessariamente dei limiti; secondo Latouche, pertanto, il processo economico è di natura entropica. I limiti della crescita sono definiti sia dalla quantità disponibile di risorse naturali non rinnovabili, sia dalla velocità di rigenerazione della biosfera delle risorse rinnovabili; in altri termini, dalla finitezza del pianeta. Oggi, secondo Latouche, vi è un utilizzo spregiudicato di queste risorse. Le attività umane e l’economia odierna stanno distruggendo l’ambiente, malgrado si parli da più parti di ecologia. La nostra società, basata sulla “crescita per la crescita” (ossia “produrre di più, senza tenere conto della natura delle diverse produzioni”, secondo la definizione di Joseph Schumacher), non è sostenibile. Ciò si riscontra anche nei risultati dell’“impronta” ecologica.

Nei suoi scritti Latouche ha affrontato anche il tema dello sviluppo sostenibile ed ha affermato che esso è un ossimoro, “un ingannevole tentativo per salvare la crescita”.

Latouche contesta altresì la pretesa illimitatezza della conoscenza e della scienza, che si scontra con i limiti fisici ed intellettuali dell’uomo. “Si assiste … a una tecnicizzazione del quotidiano, di cui sono illustrazioni le chimere come gli OGM, le nanotecnologie, la clonazione, l’allevamento industriale dei pesci ecc”. A tal proposito, cita Francis Fukuyama, che vede nei successi della biotecnologia la fine della storia umana e l’inizio di una nuova storia, oltre l’umano. L’Autore richiama altresì, in modo critico, il pensiero di James Watson, sostenitore delle potenzialità della genetica. Latouche ritiene che si stia perpetrando un oltraggio all’umanità, in un tempo in cui “le manipolazioni genetiche minacciano di compromettere la biodiversità”.

Contesta l’educazione fatta nelle scuole, laddove non si allude alla “insostenibilità del nostro sistema” ed “i bambini vengono indottrinati convincendoli che non esistono limiti né alle risorse naturali né alle capacità umane”.

Egli è sostenitore della decrescita. Il termine decrescita è già stato formulato alla fine degli anni sessanta da teorici come Ivan Illich (al quale Latouche compie numerosi richiami). Riprendendo il suo volume “Breve trattato sulla decrescita serena”, edito in Italia da Bollati Boringhieri, l’Autore ribadisce la necessità delle otto “R”: Rivalutare, Riconcettualizzare, Ristrutturare, Ridistribuire, Rilocalizzare, Ridurre, Riutilizzare, Riciclare. Nel volume “La scommessa della decrescita”, edito da Feltrinelli, afferma che “l’idea di decrescita nasce … sia dalla consapevolezza della crisi ecologica sia dalla tradizione della critica della tecnica e dello sviluppo”. E precisa che “la decrescita non è un concetto, almeno non nel senso tradizionale del termine … non è il termine simmetrico di “crescita” … è una parola d’ordine che significa abbandonare l’obiettivo della crescita per la crescita”; per cui, a rigore, più che di decrescita bisognerebbe parlare di “a-crescita”. Ciò al fine di individuare gli elementi per “una politica del doposviluppo”. Decrescita significa un progetto politico “che consiste nella costruzione di società conviviali autonome e sobrie”. Nel Nord del mondo, occorre una decrescita dell’impronta ecologica (e dunque del PIL): occorre “far decrescere il “ben-avere” statistico per migliorare il “ben-essere” vissuto”.  Il cambiamento si può avere solo con le “otto R” nonché con un mutamento di valori, una rivoluzione culturale. Esempi possono essere il cibarsi di alimenti prodotti in una dimensione locale; ammodernare gli edifici per ridurre il consumo residenziale di energia; ridurre il tempo di lavoro imposto e diffondere il lavoro come “valore” all’interno della società.

Alla fine di “Limite” Latouche avverte che, essendo la dismisura economica il veicolo di tutte le altre, la decrescita assume una dimensione ambiziosa: la questione dell’autolimitazione riguarda l’essere collettivo, l’umanità o la società, al fine della sua stessa sopravvivenza.

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