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COVID-19: LA TEMPESTA IMPERFETTA.

Acqua

 

LA TEMPESTA IMPERFETTA.

 

Paolo Sceusa

 

Non c’è nulla che mi dia di più l’idea di una tempesta perfetta, del silenziamento generalizzato e brutale delle opinioni sgradite al manovratore.

Già mi sembrava indigesto il livello quotidiano, sempre maggiore, dei mezzi leciti e illeciti di persuasione di chiunque non aderisse, rapidamente, pedissequamente e integralmente al vangelo vaccinale: dal traino degli spot di quel bel blu-governativo, affidato ossessivamente a conduttori, attori e cantanti, alla monotematicità preconcetta dei talk-show televisivi di vaglia, alle prospettazioni nemmeno tanto velatamente minacciose dei capi politici e di governo, verso chiunque nutrisse perplessità, di qualunque genere, verso il Verbo neo-scientista di stretta osservanza. Come se nell’universo mondo esistesse un consenso scientifico unanime verso quel Verbo.
Come se, al contrario, esso non conoscesse una seria e argomentata dubitabilità, serenamente esposta da una schiera tutt’altro che risibile di scienziati e di premi Nobel della ricerca medica e biologica.
Il tutto, coronato dagli interventi puntualmente cadenzati della moral suasion esternata ai suoi pretesi massimi livelli: quelli del Capo dello Stato. La cui continua reiterazione fa dubitare quantomeno della persuasività, specie quando volti a realizzare il primato purchessia della salute su qualunque tipo di libertà, collettiva e individuale.
Eppure, Signor Presidente, ci sono generazioni intere di donne e di uomini che, in tutto il mondo, per quelle Libertà, altro che alla salute hanno rinunciato: alla loro stessa vita.
Certo, la paventata saturazione dei posti letto nelle terapie intensive, ultimamente contingentati per decreto all’ulteriore ribasso, è importante. Mi rendo conto.
Ma dicevo della tempesta. Io la vedo, nel silenziamento delle opinioni, bollate come fake-news sol che dubitino del Verbo, pur di cercare di coprirle del ridicolo a cui i regimi, da sempre, cercano di consegnare le minoranze.
Che quella tempesta la sollevino i tristi corifei delle principali fonti televisive e giornalistiche (in questa fase pressoché monocordi), non mi sorprende: non sono nato ieri e ho strumenti di lettura e di analisi che mi consentono di sgamarli in tre millisecondi. Fosse tutta lì, la direi tempesta, questa tempesta, ma non anche perfetta.
Dopotutto le fonti filo-governative italiane, da sempre, più che silenziare il dissenso, lo soverchiano col peso schiacciante del loro, davvero immeritato, crisma di sedicente “particolare e blasonata attendibilità” (… fossero almeno la BBC, quella d’altri tempi, intendo).
No, la tempesta rischia di farsi perfetta, quando la coltre censoria pretende di ammantare e di annichilire proprio le fonti alternative del libero flusso delle informazioni.
Fosse pure di quelle cialtrone.
Lo ripeto: fosse pure di quelle più cialtrone. Dove la cialtroneria, infatti, non difetta, tanto quanto, tra le fonti blasonate.
Ed è questo che allora rischia di gettarmi nella più profonda costernazione. Solo che a me, personalmente, la costernazione non abbatte: mi spinge solo ad alzarmi in piedi e a levare più alta la voce. Non per urlare, non sono il tipo, ma solo per provare a farmi sentire un pochino più in là della ristretta cerchia di chi da sempre mi conosce e, forse, mi sopporta.
Sì, ma con quali mezzi? Che mezzi ho io, da sempre privo di accesso, come quasi tutti noi, ai canali del dibattito blasonato (peraltro ben attrezzato a stritolare subito e vigliaccamente qualunque suo ospite dissonante)?
Solo quelli come questi: i cenacoli della riflessione e della critica giuridica, dello studio, dell’insegnamento (tutta roba che fa emettere gridolini di gioia agli addetti ai lavori, ma che annoia mortalmente tutti gli altri) e poi…? E poi basta, almeno per quanto mi riguarda. O meglio, mi riguardava, finché, spinto dalla sete di aria fresca, non ho cominciato ad andare a vedere che c’era, che si diceva su facebook… su youtube… perfino su instagram. Su twitter no: troppo pochi caratteri per la mia troppo modesta capacità di sintesi. Lì puoi al massimo lanciare degli slogan. Non fa per me.
Ebbene, con l’avvento del Verbo, quei luoghi di creduta (ahimè, ahinoi) nuova, aperta e rivoluzionaria libertà di espressione, di dibattito, di dissenso, giustamente sbarrabili (ma di fatto mai sbarrati) ai lerci latori di ingiurie, di violenze, di discriminazioni, ebbene quei luoghi di libera espressione del pensiero si sono ormai trasformati in un novello rivoltante Indice (Index librorum prohibitorum). Solo ancor più asfissiante e ancor più intollerabile, perché ci aveva illusi. E ci ha traditi. Era questo, dunque? Era soltanto l’ennesimo miserabile trucchetto per far finta di aprire e per poi rinchiuderci in nuovi recinti? Per esercitare ancor meglio e più biecamente il pungolo e il marchio rovente sui capi di bestiame?
Questa è la tempesta perfetta che vedo io. Ma se la vedo io, che non mi sono mai sentito particolarmente dotato delle virtù migliori, allora possono vederla in tanti. Allora potete vederla in tanti, colleghi e amici. Giuristi e non giuristi. Persone semplicemente libere, che vivono con gli occhi aperti. E se la vedete, se la vediamo, allora è una tempesta sì, ma molto meno che perfetta.
E allora sputatevi sulle mani. Mano alle sartie e alle vele dell’opposizione giudiziaria, di una nuova opposizione politica, libera e pacifica. Ognuno si faccia nocchiero della sua propria barca. Ogni persona di buon senso e di buoni sentimenti, li dispieghi. Ognuno armato di null’altro che della sua propria scienza e coscienza e della voglia di divulgarla apertamente.
Non importa se quei contenitori, che illusoriamente abbiamo creduto neutrali e ospitali, si sono rivelati parte del gioco al massacro dei nostri diritti e delle nostre libertà. Quella di libera espressione del pensiero, sopra a tutte le altre.
Con tutto il rispetto per Lei e per chi altri non sia d’accordo con noi o con Lei, noi non intendiamo rinunciarci, Signor Presidente.
Ce ne sono altri, di contenitori della libera espressione. Nuovi, piccoli, ma capaci di crescere se ne vorremo ingrossare le fila. Io non ne ho nessuno in particolare da suggerirvene. Non voglio farlo. Andateveli a cercare. Ed è meglio che siano tanti, piuttosto che pochi. Troveremo il modo di spingerli a collegarsi, senza gelosie. Perché restino autonomi, soggetti solo alla nostra sovranità e libertà di espressione. C’è bisogno di una federazione, l’unica che conta davvero, per conto mio: quella tra i canali che favoriscano la libertà di espressione, nel rispetto dei più deboli e delle minoranze. A loro serve il diritto, non a chi già brandisce la clava. Dobbiamo essere solo pronti ad abbandonare al loro misero destino quei nuovi canali che dovessero mostrare il minimo segno di voltafaccia, di interesse al tracciamento, alla raccolta dei dati e, infine,
all’orientamento del pensiero comune a scopo di dominazione.
Nessuno ha il diritto di dirci cosa dobbiamo pensare. Tantomeno quello di provare a imporcelo.
Infine, da leguleio libertario a legulei libertari (gli altri continuino pure ad astenersi): raccogliamo attorno a noi i legittimati ad agire. I legittimati a ricorrere contro chi ne spegne le voci sui social, facebook, youtube, e gli altri autoproclamatisi vigilantes dei nostri cervelli, divenuti garanti soltanto dei loro profitti, non sono dei. Non sono invincibili. Non sono nemmeno così forti come si credono e come forse li credete.
Non fu Golia, alla fine, il vincitore.

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