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Controversie aventi ad oggetto sanzioni disciplinari adottate dagli organi di giustizia sportiva,

N. 160 SENTENZA 17 aprile – 25 giugno 2019

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Giustizia amministrativa - Controversie aventi  ad  oggetto  sanzioni
  disciplinari adottate dagli organi di giustizia sportiva  -  Tutela
  delle   posizioni   soggettive   giuridicamente    rilevanti    per
  l'ordinamento generale. 
- Decreto-legge 19 agosto  2003,  n.  220  (Disposizioni  urgenti  in
  materia di giustizia sportiva)  -  convertito,  con  modificazioni,
  nella legge 17 ottobre 2003, n. 280 - art. 2, commi 1, lettera  b),
  e 2. 

(GU n.27 del 3-7-2019 )

 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Giorgio LATTANZI; 
Giudici  :Aldo  CAROSI,  Marta  CARTABIA,  Mario   Rosario   MORELLI,
  Giancarlo CORAGGIO,  Giuliano  AMATO,  Silvana  SCIARRA,  Daria  de
  PRETIS, Nicolo' ZANON, Franco  MODUGNO,  Augusto  Antonio  BARBERA,
  Giulio  PROSPERETTI,  Giovanni  AMOROSO,  Francesco  VIGANO',  Luca
  ANTONINI, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 2, commi 1,
lettera  b),  e  2,  del  decreto-legge  19  agosto  2003,   n.   220
(Disposizioni urgenti in materia di giustizia sportiva),  convertito,
con modificazioni, nella legge 17 ottobre 2003, n. 280, promosso  dal
Tribunale amministrativo regionale per  il  Lazio,  nel  procedimento
vertente tra Luigi Dimitri e il Comitato olimpico nazionale  italiano
(CONI) e altri, con ordinanza dell'11 ottobre 2017,  iscritta  al  n.
197 del registro ordinanze 2017 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale
della Repubblica n. 3, prima serie speciale, dell'anno 2018. 
    Visti  gli  atti  di  costituzione  di   Luigi   Dimitri,   della
Federazione italiana giuoco calcio (FIGC), del CONI nonche' l'atto di
intervento del Presidente del Consiglio dei ministri. 
    udito  nell'udienza  pubblica  del  17  aprile  2019  il  Giudice
relatore Daria de Pretis; 
    uditi gli  avvocati  Amina  L'Abbate  per  Luigi  Dimitri,  Luigi
Medugno per la FIGC, Giulio Napolitano e  Alberto  Angeletti  per  il
CONI e l'avvocato dello  Stato  Carlo  Sica  per  il  Presidente  del
Consiglio dei ministri. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ordinanza dell'11 ottobre 2017, iscritta al n.  197  reg.
ord. 2017, il Tribunale amministrativo  regionale  per  il  Lazio  ha
sollevato questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 2, commi
1, lettera b),  e  2,  del  decreto-legge  19  agosto  2003,  n.  220
(Disposizioni urgenti in materia di giustizia sportiva),  convertito,
con  modificazioni,  nella  legge  17  ottobre  2003,  n.   280,   in
riferimento agli artt. 24, 103 e 113 della Costituzione. 
    Nella parte sottoposta allo scrutinio di questa Corte,  l'art.  2
del d.l. n.  220  del  2003  (rubricato  «Autonomia  dell'ordinamento
sportivo») stabilisce che la disciplina  delle  questioni  aventi  ad
oggetto  «i  comportamenti  rilevanti  sul   piano   disciplinare   e
l'irrogazione ed applicazione delle  relative  sanzioni  disciplinari
sportive» (comma 1, lettera b) e' riservata all'ordinamento  sportivo
e che in tale materia «le societa', le associazioni, gli affiliati ed
i tesserati hanno l'onere  di  adire,  secondo  le  previsioni  degli
statuti e regolamenti del  Comitato  olimpico  nazionale  italiano  e
delle Federazioni sportive di cui gli articoli 15 e  16  del  decreto
legislativo  23  luglio  1999,  n.  242,  gli  organi  di   giustizia
dell'ordinamento sportivo» (comma 2). 
    Le questioni sono sorte nel corso del  giudizio  promosso  da  un
dirigente sportivo tesserato della Federazione italiana giuoco calcio
(FIGC) per l'annullamento,  previa  sospensione  e  con  condanna  al
risarcimento dei danni, della decisione del 14 febbraio 2017 con  cui
il Collegio di garanzia dello  sport  istituito  presso  il  Comitato
olimpico  nazionale  italiano  (CONI),  quale  organo  di   giustizia
sportiva di ultima istanza,  ha  confermato  l'irrogazione  nei  suoi
confronti della sanzione disciplinare dell'inibizione per  tre  anni,
disposta dalla Corte federale di appello della FIGC con decisione del
5 ottobre 2016, in parziale riforma  della  decisione  del  Tribunale
federale. 
    Il ricorrente nel processo  principale  lamenta  l'illegittimita'
della decisione del Collegio di garanzia dello sport, per  non  avere
essa dichiarato  estinto  il  giudizio  disciplinare,  in  violazione
dell'art. 34-bis, comma 2, del codice  di  giustizia  sportiva  della
FIGC (adottato con decreto del commissario ad acta della FIGC del  30
luglio 2014 e approvato con deliberazione del presidente del CONI del
31 luglio 2014). La decisione della Corte federale di appello sarebbe
stata pronunciata, infatti, oltre il termine di sessanta giorni dalla
data di proposizione del reclamo, previsto dalla citata  disposizione
a pena di estinzione del procedimento. 
    Nello stesso giudizio si sono  costituiti  la  FIGC  e  il  CONI,
eccependo il difetto di giurisdizione del  giudice  amministrativo  a
conoscere della domanda di annullamento della decisione emessa da  un
organo di giustizia sportiva in materia disciplinare. In capo a  tale
giudice residuerebbe infatti la  sola  cognizione  della  domanda  di
risarcimento del danno. L'eccezione si fonda sul  disposto  dell'art.
2, commi 1,  lettera  b),  e  2  del  d.l.  n.  220  del  2003,  come
interpretato da questa Corte con la sentenza n. 49 del 2011. 
    Il giudice a quo riferisce di avere contestualmente accolto,  con
separata ordinanza, la domanda cautelare e di aver  rinviato  il  suo
esame al merito. L'efficacia del  provvedimento  impugnato  e'  stata
cosi'  sospesa  «fino   alla   decisione   da   parte   della   Corte
Costituzionale» delle questioni sollevate in questa sede. 
    1.1.- Ad avviso del rimettente,  i  commi  1,  lettera  b),  e  2
dell'art. 2 del d.l. n.  220  del  2003  presenterebbero  profili  di
illegittimita'  costituzionale  anche  nell'interpretazione   fornita
dalla sentenza n. 49  del  2011.  Secondo  tale  pronuncia,  resa  su
questioni simili a quelle riportate ora all'esame  di  questa  Corte,
nelle controversie aventi per oggetto sanzioni disciplinari  sportive
non  tecniche  incidenti  su  situazioni  soggettive  rilevanti   per
l'ordinamento   statale   e'   possibile    proporre    al    giudice
amministrativo, in regime  di  giurisdizione  esclusiva,  domanda  di
risarcimento del danno, mentre non  e'  possibile  richiedere  tutela
annullatoria. 
    Cosi' interpretata, la normativa violerebbe gli artt. 103  e  113
Cost. sotto profili «non compiutamente  esaminati»  dalla  precedente
pronuncia, perche' «ritenuti "assorbiti" nella censura concernente la
violazione dell'art. 24 Cost.». Permarrebbe inoltre il contrasto  con
l'art. 24 Cost. «letto in combinato disposto con gli stessi artt. 103
e  113  Cost.»,  gia'  esaminato  da   questa   Corte,   in   ragione
dell'esclusione della tutela giurisdizionale di tipo caducatorio. 
    Sulla rilevanza, il rimettente osserva che  l'applicazione  delle
disposizioni censurate, come interpretate dalla sentenza  n.  49  del
2011, preclude al ricorrente  nel  processo  principale  di  ottenere
l'annullamento di una sanzione disciplinare  irrogata  e  non  ancora
scontata. 
    1.2.- Nel merito, con la prima questione, il giudice a quo prende
le mosse dalla qualificazione delle decisioni  disciplinari  sportive
come provvedimenti amministrativi, espressione  dei  poteri  pubblici
attribuiti alle federazioni sportive nazionali e al CONI.  In  quanto
tali, le decisioni disciplinari sarebbero idonee,  come  riconosciuto
anche dalla sentenza  n.  49  del  2011,  a  incidere  su  situazioni
soggettive aventi la consistenza di interesse legittimo,  sicche'  ai
loro titolari non potrebbe essere negata la  tutela  di  annullamento
dinanzi  agli  organi  della  giustizia   amministrativa,   pena   la
violazione degli evocati artt. 103 e 113 Cost. 
    1.3.-  Con  la  seconda  questione,  il  rimettente  deduce   che
l'equipollenza tra tutela reale e tutela risarcitoria, non  derivando
da un principio generale dell'ordinamento, non puo' essere  affermata
«[a]l di fuori di un'espressa scelta legislativa» e che le previsioni
di questo tipo rinvenibili nel sistema hanno natura  eccezionale.  In
particolare esse non farebbero venire meno  la  distinzione  generale
«tra regole di invalidita' e regole  risarcitorie»,  in  forza  della
quale l'invalidita' degli atti amministrativi puo' essere contestata,
innanzitutto, con  il  rimedio  caducatorio,  cio'  che  consente  la
restaurazione  della  situazione  giuridica  violata  attraverso   la
rimozione dell'atto. Neppure la facolta' di proporre in via  autonoma
la domanda di risarcimento del danno, a seguito del superamento della
cosiddetta "pregiudiziale amministrativa", consentirebbe di  ritenere
equipollenti le due forme di tutela. 
    Di quanto sopra si avrebbe  conferma  considerando  che:  con  la
tutela reale chi e' colpito da una sanzione disciplinare  illegittima
in corso di applicazione puo' ottenere il ripristino della situazione
soggettiva  compromessa;  la  tutela  risarcitoria  importa  per   il
danneggiato un «penetrante onere probatorio», avente per oggetto  gli
elementi costitutivi dell'illecito civile; il risarcimento del  danno
sia in forma specifica che per equivalente, a differenza del  rimedio
«ripristinatorio», farebbe conseguire al creditore  una  «prestazione
diversa da quella originaria» anziche' il  bene  della  vita  oggetto
della lesione. 
    La limitazione della tutela al solo rimedio risarcitorio -  anche
se  fosse  ancora  esperibile  il  rimedio  demolitorio,  come  nella
fattispecie dedotta nel giudizio a quo - comprometterebbe  dunque  il
diritto di  difesa  e  il  principio  di  effettivita'  della  tutela
giurisdizionale. 
    2.- Il ricorrente nel processo principale  si  e'  costituito  in
giudizio con atto depositato il  5  febbraio  2018,  concludendo  per
l'accoglimento delle questioni. 
    A suo avviso, la sentenza n. 49 del 2011 dovrebbe essere rivista.
La norma censurata esprimerebbe infatti la scelta del legislatore  di
riservare all'ordinamento sportivo le controversie relative  a  tutte
le sanzioni disciplinari e di escludere pertanto la  rilevanza  delle
sanzioni disciplinari sportive per l'ordinamento della Repubblica,  e
con essa ogni tutela da parte del giudice statale. 
    L'interpretazione operata con la sentenza n.  49  del  2011,  che
postula  il  riconoscimento  della  (sola)  tutela  risarcitoria,  si
risolverebbe in una  sovrapposizione  di  questa  Corte  alle  scelte
riservate  al  legislatore,  mentre  sarebbe  corretto   lasciare   a
quest'ultimo, a seguito della dichiarazione di  illegittimita'  della
norma, la decisione circa l'an e il quomodo di  un  intervento  sulle
forme di tutela concedibili dal giudice  statale,  nel  rispetto  dei
principi  costituzionali.   In   mancanza,   si   riespanderebbe   la
giurisdizione del giudice  amministrativo,  con  pienezza  di  tutela
caducatoria e risarcitoria. 
    In  conclusione,  la  previsione  di   totale   irrilevanza   per
l'ordinamento  statale  dei   provvedimenti   disciplinari   sportivi
dovrebbe essere  considerata  costituzionalmente  illegittima,  ferma
restando la possibilita'  per  il  legislatore,  una  volta  corretto
l'errore di fondo, di disciplinare, eventualmente anche  limitandole,
le tutele ammissibili. 
    Meriterebbe adesione, infine, la tesi del giudice a  quo  secondo
cui il rimedio risarcitorio non sarebbe un equipollente della  tutela
«correttiva», soprattutto in presenza di sanzioni disciplinari idonee
a precludere ogni possibilita' lavorativa. 
    3.- Anche la FIGC, parte resistente nel processo  principale,  si
e' costituita in giudizio, con atto depositato il  31  gennaio  2018,
concludendo a sua volta per  l'inammissibilita'  e  comunque  per  la
manifesta infondatezza delle questioni. 
    In fatto, essa riferisce che dopo la pronuncia dell'ordinanza  di
rimessione il provvedimento cautelare reso dal giudice a quo e' stato
revocato dal Consiglio di Stato, sul rilievo che «alla stregua  della
consolidata giurisprudenza  amministrativa  e  della  sentenza  della
Corte  costituzionale  11  febbraio   2011,   n.   49,   difetta   la
giurisdizione del giudice amministrativo sull'azione di  annullamento
esperita avverso la sanzione  disciplinare  dell'inibizione  per  tre
anni irrogata ad un  tesserato  con  provvedimento  del  Collegio  di
garanzia (a sezioni unite) dello Sport». 
    Nel merito, la FIGC osserva che la sentenza n. 49  del  2011  non
avrebbe pretermesso i profili di censura  attinenti  alla  violazione
degli artt. 103 e  113  Cost.,  e  li  avrebbe  invece  espressamente
considerati nel valutare non  irragionevole  il  bilanciamento  degli
interessi  coinvolti  operato  dalla  norma  censurata,  giungendo  a
escludere, sulla base dell'analisi sistematica degli artt. 24, 103  e
113 Cost., che il particolare sistema di protezione previsto  per  le
controversie  di  specie  comporti  la  lesione  del   principio   di
effettivita'  della  tutela  giurisdizionale.  Cio'  risulterebbe  in
particolare dai passaggi della motivazione in cui e'  precisato  che,
«anche  se  nell'ordinanza  si  fa  riferimento  ai  sopracitati  tre
articoli della Costituzione, la censura  ha  un  carattere  unitario,
compendiabile nel dubbio che  la  normativa  censurata  precluda  "al
giudice statale" [...] di conoscere questioni che riguardino  diritti
soggettivi o interessi legittimi», e che gli artt. 103  e  113  Cost.
sarebbero  stati  evocati  in  quanto  «rappresentano  il  fondamento
costituzionale   delle   funzioni   giurisdizionali    del    giudice
amministrativo che il rimettente,  ai  sensi  di  quanto  dispone  la
normativa di cui deve fare applicazione, individua come  il  "giudice
naturale" delle suddette controversie». 
    Non  vi  sarebbero  dunque  aspetti  nuovi  o  non  adeguatamente
apprezzati che giustifichino il riesame della questione da  parte  di
questa Corte. Neppure rileverebbero in  questo  senso  la  «predicata
natura   provvedimentale   degli   atti   irrogativi   di    sanzioni
disciplinari» e le connesse implicazioni sulla  natura  di  interesse
legittimo della posizione soggettiva dei destinatari delle  sanzioni.
Della consapevolezza di tale natura vi sarebbe  ampia  traccia  nella
sentenza n. 49 del 2011, che enuncia compiutamente le ragioni per cui
l'esclusione  della  tutela  di  annullamento,   volta   ad   evitare
un'ingerenza diretta del giudice statale nei contenziosi disciplinari
sportivi  rimessi  alla   sola   giustizia   associativa,   lasciando
impregiudicata la possibilita' di agire in giudizio per  ottenere  il
risarcimento del danno da violazione di un diritto soggettivo o di un
interesse legittimo, realizzerebbe un ragionevole punto di equilibrio
tra  i  contrapposti  valori   e   dell'effettivita'   della   tutela
giurisdizionale   e   dell'autonomia    dell'ordinamento    sportivo,
presidiata dagli artt. 2 e 18 Cost. 
    Ipotesi di esclusiva tutela  risarcitoria  per  equivalente,  del
resto, non sarebbero ignote all'ordinamento, come si desume dall'art.
30, comma 2, dell'Allegato 1 (Codice del processo amministrativo)  al
decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104  (Attuazione  dell'articolo
44 della legge 18 giugno 2009, n. 69, recante delega al  governo  per
il riordino  del  processo  amministrativo),  che,  nel  disciplinare
l'azione di condanna, richiama l'art. 2058 del codice civile, secondo
cui il risarcimento  in  forma  specifica  e'  configurato  come  una
eventualita'. Un ulteriore indice del  superamento  del  rapporto  di
necessaria  complementarieta'   dell'azione   risarcitoria   rispetto
all'azione di annullamento sarebbe offerto  dall'art.  34,  comma  3,
cod. proc. amm., secondo  cui  «[q]uando,  nel  corso  del  giudizio,
l'annullamento del provvedimento impugnato non risulta piu' utile per
il ricorrente,  il  giudice  accerta  l'illegittimita'  dell'atto  se
sussiste l'interesse ai fini risarcitori»,  diventando  improcedibile
l'azione di annullamento. 
    Il  rimettente  non  prenderebbe  in  considerazione  le  ragioni
esposte nella sentenza n. 49 del 2011, dirette a  perimetrare  l'area
degli strumenti di tutela sulla base della  ragionevole  ponderazione
degli interessi in gioco, qualora le decisioni disciplinari  sportive
incidano su posizioni soggettive rilevanti per l'ordinamento statale.
Anche per la ripetitivita' degli  argomenti  che  la  sorreggono,  la
questione   sarebbe    dunque    inammissibile,    prim'ancora    che
manifestamente infondata. 
    Neppure coglierebbe nel segno  la  considerazione  che  «[a]l  di
fuori  di  una  espressa  scelta  legislativa  [...]  non  [potrebbe]
ricavarsi sulla base dei principi  generali  dell'ordinamento  alcuna
equipollenza  tra  forme  di  tutela  reale   e   forme   di   tutela
risarcitoria»: innanzitutto, perche' la  soluzione  adottata  sarebbe
frutto invece di una scelta legislativa consapevolmente  compiuta  in
questo senso, «desumibile dall'impianto sistemico della  novella  del
2003 e dalle sue finalita' ispiratrici»; in secondo luogo, perche' la
sentenza n. 49 del 2011 non avrebbe affermato l'equipollenza  tra  le
due tutele, ma, sul presupposto della diversita' dei rimedi,  avrebbe
giudicato  il  rimedio  risarcitorio  idoneo  a  offrire  un'adeguata
riparazione, tenuto conto della ricordata esigenza di  commisurare  i
poteri  di  intervento  del  giudice   statale   alle   esigenze   di
salvaguardia dell'autonomia riconosciuta,  in  materia  disciplinare,
agli organi della giustizia sportiva. 
    Infine, secondo la FIGC il rimettente  darebbe  erroneamente  per
scontata la natura di provvedimenti amministrativi, in  quanto  «atti
posti in essere dalle Federazioni in qualita' di  organi  del  CONI»,
delle sanzioni disciplinari sportive. Nell'esercizio  delle  funzioni
disciplinari previste dai rispettivi codici di  giustizia,  tuttavia,
le federazioni nazionali sportive non  agirebbero  quali  organi  del
CONI, sicche'  -  nonostante  le  loro  decisioni  siano  rimesse  al
sindacato giustiziale di ultima  istanza  del  Collegio  di  garanzia
dello sport, incardinato presso il CONI - mancherebbe un rapporto  di
loro immedesimazione organica con l'ente di vertice  dell'ordinamento
sportivo. 
    La  fonte  attributiva  della  potesta'  sanzionatoria  in   sede
"endofederale" dovrebbe invece essere individuata  nell'accettazione,
da parte dei  tesserati  e  delle  societa'  affiliate,  dei  vincoli
nascenti dal legame associativo, costituente una  situazione  diversa
dai casi in cui le federazioni operano facendo uso di poteri previsti
da una norma di rango primario e conferiti per delega dal CONI. 
    Se dunque i dubbi di costituzionalita' sollevati  dal  rimettente
si  fondassero  solo  sull'affermata  natura  provvedimentale   delle
sanzioni  disciplinari  sportive,  risulterebbero  messi   in   forse
dall'opinabilita'  della  premessa.  L'attribuzione   della   domanda
risarcitoria alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo,
invero, non deriverebbe  dalla  qualificazione  delle  sanzioni  come
provvedimenti amministrativi, bensi' dalla «configurazione  normativa
del   percorso   cui   e'   subordinato   l'accesso    alla    tutela
giurisdizionale». Tale «percorso» imporrebbe l'esaurimento dei rimedi
giustiziali dell'ordinamento sportivo, destinati a concludersi con la
decisione  di  legittimita'  di  un  organo  di  ultima  istanza  (il
menzionato Collegio di garanzia dello sport) facente  capo  al  CONI,
che  ne  ha  sancito  la  costituzione   e   definito   attribuzioni,
composizione e modalita' di funzionamento,  e  davanti  al  quale  le
federazioni  rivestono  il  ruolo  di   parti,   in   una   posizione
ontologicamente incompatibile con quella di organi del CONI. 
    4.- Con atto depositato il 6 febbraio 2018, si e'  costituito  in
giudizio anche il CONI, parte  resistente  nel  processo  principale,
concludendo per  l'inammissibilita'  e  comunque  per  l'infondatezza
delle questioni. 
    In via preliminare,  le  questioni  sarebbero  inammissibili  per
difetto  di  rilevanza,  perche'  il  potere  cautelare  che  il  TAR
rimettente ha provvisoriamente  esercitato,  sospendendo  l'efficacia
dell'atto impugnato fino alla decisione di questa Corte,  si  sarebbe
ormai esaurito e sarebbe  venuto  definitivamente  meno  per  effetto
della gia' ricordata pronuncia con  cui  il  Consiglio  di  Stato  ha
riformato l'ordinanza di sospensione. 
    Le questioni sarebbero in  ogni  caso  manifestamente  infondate,
perche' l'ordinanza di rimessione non offrirebbe elementi ulteriori e
diversi rispetto a quelli gia' esaminati nella  sentenza  n.  49  del
2011. 
    Si dovrebbe considerare, inoltre, che  l'interpretazione  offerta
nella citata pronuncia e' stata  costantemente  seguita  dai  giudici
amministrativi,  dimostrandosi  capace  di   conciliare   il   valore
dell'autonomia dell'ordinamento sportivo con le  esigenze  di  tutela
degli interessati, e che e' stata medio tempore  approvata  dal  CONI
una riforma organica della giustizia sportiva, che ha  rafforzato  le
garanzie  processuali   di   tesserati   e   affiliati   nonche'   le
caratteristiche  di  indipendenza  e  di   terzieta'   degli   organi
giudicanti. 
    Contrariamente a quanto sostiene il giudice a quo, la sentenza n.
49 del 2011 non avrebbe omesso di esaminare i  profili  di  contrasto
con gli artt. 103 e 113 Cost., e avrebbe  invece  ricondotto  a  tali
parametri il fondamento costituzionale dell'attribuzione  al  giudice
amministrativo della giurisdizione esclusiva nella specifica  materia
delle sanzioni disciplinari sportive. Gli stessi parametri verrebbero
inoltre  in  evidenza  nella  citata  pronuncia  anche  la'  dove  e'
esaminata l'eccezione preliminare di inammissibilita' delle questioni
per difetto di giurisdizione del giudice rimettente, sul  presupposto
della natura arbitrale delle decisioni disciplinari impugnate. 
    Il rimettente avrebbe poi completamente trascurato di considerare
la contrapposizione tracciata dalla  sentenza  n.  49  del  2011  fra
annullamento  in  via  principale  e  cognizione  incidentale   della
legittimita' delle decisioni disciplinari, in funzione  della  tutela
risarcitoria,   omettendo   cosi'   di   assolvere   all'obbligo   di
interpretare la  norma  in  senso  costituzionalmente  orientato.  In
definitiva  si  chiederebbe  ora   a   questa   Corte   di   rivedere
integralmente la sua precedente pronuncia e di  superare  il  diritto
vivente che si e' conformato a essa,  anche  in  sede  nomofilattica,
sulla base di argomenti gia' approfonditamente esaminati. 
    Ne conseguirebbe un'ulteriore ragione di  manifesta  infondatezza
e, prim'ancora, di inammissibilita' delle questioni. 
    Il   giudice   a   quo   avrebbe   poi   errato   nel    ritenere
costituzionalmente incompatibile una scelta interpretativa implicante
l'equipollenza tra la tutela di annullamento e la tutela risarcitoria
al di fuori dei casi espressamente previsti dalla legge. Nel caso  di
specie,  infatti,  l'equipollenza  sarebbe  affermata   dalla   norma
censurata,   la'   dove   essa,    pur    riservando    all'autonomia
dell'ordinamento sportivo la competenza a  decidere  le  controversie
aventi  ad  oggetto  gli   atti   di   irrogazione   delle   sanzioni
disciplinari, tuttavia «consente la proposizione di domande  volte  a
ottenere  il  risarcimento  del  danno  innanzi  alle   giurisdizioni
amministrative».  L'ordinamento  conoscerebbe   del   resto   diverse
ipotesi,  menzionate  nella  sentenza  n.  49  del  2011,  di  tutela
meramente   risarcitoria,   in    particolare    nell'ambito    della
giurisdizione esclusiva. 
    L'attuale sistema di tutela  giurisdizionale  nelle  controversie
relative  alle  sanzioni  disciplinari  sportive   realizzerebbe   un
contemperamento - costituzionalmente corretto - tra  le  garanzie  di
accesso  al  giudice  e  di  autonomia   dell'ordinamento   sportivo,
consentendo di  ricorrere  in  piu'  gradi  davanti  a  organi  della
giustizia sportiva dotati di ampia autonomia  e  indipendenza,  e  di
chiedere al giudice statale - esauriti i gradi del giudizio  sportivo
- il risarcimento  del  danno  derivante  dalla  lesione  di  diritti
soggettivi o interessi legittimi, nonche' di  vedere  incidentalmente
accertata l'illegittimita' della decisione emessa in ambito sportivo,
a «riparazione  piena  e  satisfattiva  della  dignita'  personale  e
[dell']onore professionale». 
    5.- Il Presidente del Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e
difeso  dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,  e'  intervenuto  in
giudizio con atto depositato il 7 febbraio  2018,  chiedendo  che  le
questioni siano dichiarate inammissibili e comunque infondate. 
    In  primo  luogo,  la   motivazione   sulla   rilevanza   sarebbe
insufficiente, in quanto il giudice a quo  non  afferma  di  ritenere
fondata  l'eccezione  «procedurale»  proposta  dal   ricorrente   nel
processo principale. Nonostante la natura preliminare della questione
di giurisdizione, il giudice a quo, al fine di «rendere esaustiva  la
motivazione dell'ordinanza» e farle cosi' superare  la  soglia  della
rilevanza, avrebbe dovuto eseguire una «valutazione prospettica»  del
bene  della  vita  richiesto,  che  si  identificherebbe  -  se   non
direttamente  con  la  giurisdizione  del   giudice   adito   -   con
l'annullamento della decisione disciplinare impugnata. 
    Le questioni sarebbero inammissibili, e comunque infondate, anche
perche' il rimettente criticherebbe la sentenza n. 49 del 2011  senza
sottoporre a questa  Corte  nuove  argomentazioni  o  nuovi  elementi
rispetto a quelli gia' esaminati, limitandosi  ad  affermare  che  le
sanzioni  irrogate  dalla  giustizia   sportiva   hanno   natura   di
provvedimenti  amministrativi,  sindacabili  come  tali  davanti   al
giudice amministrativo. 
    Quest'ultimo  presupposto  non  sarebbe  comunque  condivisibile,
poiche' i provvedimenti adottati dalle federazioni sportive nazionali
presentano tale natura quando recidono il rapporto di tesseramento  o
di  affiliazione,  che  e'  condizione  essenziale  per   l'esercizio
dell'attivita' sportiva non amatoriale.  Al  contrario,  le  sanzioni
disciplinari esauriscono la loro efficacia all'interno  del  rapporto
di tesseramento o di affiliazione e rimangono cosi'  confinate  nella
sfera  sportiva  e   «privatistica,   come   tale   irrilevante   per
l'ordinamento giuridico statale», salvo il  diritto  al  risarcimento
del danno che derivi dalla sanzione, previo incidentale  accertamento
della sua illegittimita' da parte del giudice amministrativo. 
    6.-  Le  parti  costituite  e  l'interveniente  hanno  depositato
memorie in prossimita' dell'udienza. 
    6.1.- Il ricorrente  nel  processo  principale,  replicando  alle
eccezioni di inammissibilita', osserva che il potere  del  giudice  a
quo non si e' esaurito con la concessione interinale  della  cautela,
poiche'  all'esito  della  decisione  di  questa  Corte   l'incidente
cautelare dovra' essere comunque definito, in attesa della  pronuncia
sul merito. Ai fini della rilevanza, inoltre, lo stesso giudice a quo
non avrebbe dovuto valutare anche la fondatezza delle  censure  mosse
al provvedimento impugnato, ma solo la questione preliminare relativa
all'ammissibilita' della domanda di annullamento. 
    Nel  merito,  le  questioni  non  riprodurrebbero   quelle   gia'
esaminate dalla sentenza n. 49 del 2011, che si sarebbe  limitata  ad
affermare che la norma censurata  non  preclude  qualsiasi  forma  di
tutela giurisdizionale, essendo ammessa dal diritto vivente la tutela
risarcitoria.  La  questione  sarebbe  stata  respinta,  dunque,  con
esplicito riferimento alla sola violazione dell'art. 24 Cost., mentre
in questa sede il giudice a quo  solleverebbe  questioni  non  ancora
esaminate. 
    6.2.- La FIGC insiste per l'inammissibilita' e, comunque, per  la
manifesta infondatezza delle  questioni,  richiamando  e  illustrando
ulteriormente le deduzioni gia' svolte. 
    Anche a suo avviso,  il  sopravvenuto  accoglimento  dell'appello
contro  l'ordinanza  cautelare  di  sospensione   inciderebbe   sulla
rilevanza delle questioni, se riferita al petitum cautelare.  Ove  la
rilevanza dovesse invece  apprezzarsi  con  riguardo  al  petitum  di
merito,  la  motivazione  fornita  dal  giudice  a  quo  non  sarebbe
sufficiente, in quanto «il deficit di tutela paventato potrebbe [...]
ipoteticamente profilarsi soltanto qualora il giudice amministrativo,
dopo avere accertato la  illegittimita'  degli  atti  impugnati  alla
stregua del sindacato incidentale che gli e' pacificamente consentito
ai  fini  risarcitori,   dovesse   essere   costretto   ad   abdicare
all'esercizio del potere di annullamento per la limitazione  reputata
incompatibile con il dettato costituzionale». 
    Le  sanzioni  disciplinari  sportive  non  avrebbero  natura   di
provvedimenti amministrativi, in quanto la  potesta'  punitiva  delle
federazioni troverebbe fonte esclusiva  nell'accettazione,  da  parte
dei tesserati e delle societa'  affiliate,  degli  obblighi  nascenti
dalla  costituzione  del  legame  associativo,  sicche'  le  sanzioni
sportive si collocherebbero nell'area  del  cosiddetto  "indifferente
giuridico",  potendo   «approdare   alla   cognizione   del   giudice
amministrativo  quale  incidentale  elemento  di  valutazione   della
ricorrenza, nell'operato federale,  degli  indici  rivelatori  di  un
illecito civile, perseguibile ai sensi  dell'art.  2043  cod.  civ.».
Inoltre, si dovrebbe respingere la tesi del giudice a quo secondo cui
le federazioni sarebbero sempre  organi  del  CONI,  posto  che  esse
agiscono, di regola, nella veste di associazioni  private,  svolgendo
funzioni   di   rilevanza   pubblicistica   solo    quando    operano
nell'esercizio dei poteri loro  conferiti  direttamente  dalla  legge
ovvero  su  delega  del   CONI,   nel   quadro   di   una   relazione
intersoggettiva non piu' configurabile in termini di  immedesimazione
organica, a seguito della riforma introdotta dal decreto  legislativo
23 luglio 1999, n. 242  (Riordino  del  Comitato  olimpico  nazionale
italiano - C.O.N.I., a norma dell'articolo 11 della L. 15 marzo 1997,
n. 59), che ha conferito alle  federazioni  un'autonoma  personalita'
giuridica. 
    Ne' si potrebbe affermare che, negando la natura autoritativa del
potere disciplinare, non si  spiega  l'attribuzione  dei  contenziosi
risarcitori alla giurisdizione esclusiva del giudice  amministrativo,
in quanto il rapporto di «preordinazione teleologica» tra lo sport  e
«la cura del benessere fisico in termini  di  salute,  di  formazione
della personalita', di educazione  alla  cooperazione  ed  alla  sana
competizione, elementi tutti  che  afferiscono  alla  dignita'  della
persona umana (e che, dunque  oggi  rilevano  ai  sensi  dell'art.  2
Cost.)», si  riflette  necessariamente  sul  perimetro  della  tutela
risarcitoria, giustificando la previsione di «una particolare  tutela
giurisdizionale  pubblica,  che   ha   per   basi   espresse   quelle
dell'organizzazione pubblicistica  dell'attivita'  sportiva  e  della
garanzia del suo legittimo funzionamento». 
    6.3.- Il  CONI  illustra  i  profili  di  inammissibilita'  delle
questioni per  difetto  di  motivazione,  sia  sulla  rilevanza,  non
essendo  esaminato  il  fondamento  nel  merito  della   domanda   di
annullamento, sia  sulla  non  manifesta  infondatezza,  non  essendo
considerata la motivazione della sentenza n. 49 del  2011,  la'  dove
essa giudica positivamente il bilanciamento operato  dal  legislatore
tra i valori costituzionali «cristallizzati dagli artt. 2 e 18 Cost.»
e il diritto alla pienezza della tutela giurisdizionale sancito dagli
artt. 24 e 113 Cost. 
    Nel merito, ribadisce che, a  differenza  di  quanto  afferma  il
giudice a quo, la  citata  sentenza  n.  49  del  2011  avrebbe  gia'
considerato  la  censura,  mettendone  in   evidenza   il   carattere
sostanzialmente unitario e scrutinandola alla luce del  principio  di
effettivita' della tutela giurisdizionale, che investe congiuntamente
gli stessi  parametri  evocati  in  questa  sede,  quando  si  faccia
questione di interessi legittimi. 
    Affermare che  la  tutela  di  annullamento,  pur  avendo  natura
costituzionalmente necessaria, puo' essere sostituita con  la  tutela
risarcitoria  solo  mediante  una  scelta  espressa  del  legislatore
sarebbe contraddittorio, in quanto  il  legislatore  potrebbe  invece
operare tale scelta  anche  per  implicito  e  l'interprete  potrebbe
raggiungere   lo   stesso   risultato    attraverso    una    lettura
costituzionalmente orientata della disciplina vigente.  L'ordinamento
conosce invero significative  ipotesi  di  limitazione  della  tutela
giurisdizionale  in  forma  specifica,   prima   fra   tutte   quella
disciplinata dall'art. 2058 cod. civ. 
    Il giudice a quo avrebbe ulteriormente errato nel qualificare  le
sanzioni sportive come provvedimenti  amministrativi,  in  quanto  le
federazioni   sportive   avrebbero   natura   di   associazioni   con
personalita'  giuridica  di  diritto  privato,   svolgenti   funzioni
pubblicistiche solo nei casi previsti dall'art. 23 dello statuto  del
CONI, nei quali non ricadono le decisioni di natura disciplinare. 
    Lo stesso legislatore, pur consapevole della pronuncia di  questa
Corte e della conforme  giurisprudenza  amministrativa,  non  avrebbe
mutato la sua scelta nemmeno  in  occasione  della  recente  modifica
introdotta all'art. 3, comma 1, del d.l. n. 220 del 2003 dall'art. 1,
comma 647,  della  legge  30  dicembre  2018,  n.  145  (Bilancio  di
previsione  dello  Stato  per  l'anno  finanziario  2019  e  bilancio
pluriennale per il triennio 2019-2021). Con  essa,  intervenendo  sui
rapporti tra giustizia sportiva e giustizia statale,  il  legislatore
si e' limitato a riservare alla giustizia statale la cognizione delle
controversie «aventi ad oggetto  i  provvedimenti  di  ammissione  ed
esclusione dalle  competizioni  professionistiche  delle  societa'  o
associazioni sportive professionistiche, o comunque  incidenti  sulla
partecipazione a competizioni professionistiche». 
    6.4.- Il Presidente  del  Consiglio  dei  ministri  ribadisce  le
eccezioni  di  inammissibilita'  delle  questioni  per  mancanza   di
elementi e argomenti nuovi rispetto a quelli gia' esaminati da questa
Corte e osserva che l'autonomia dell'ordinamento sportivo deriva  dal
riconoscimento - da parte dell'ordinamento giuridico dello Stato, che
in tal modo  autolimita  la  propria  sovranita'  -  della  sfera  di
autonomia dei fenomeni associazionistici e di  carattere  collettivo,
nel rispetto dei principi di cui agli artt. 2 e 18 Cost. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio - adito da
un dirigente sportivo tesserato  della  Federazione  italiana  giuoco
calcio (FIGC) per l'annullamento, previa sospensione e  con  condanna
al risarcimento dei danni, della decisione del Collegio  di  garanzia
dello sport istituito presso il Comitato olimpico nazionale  italiano
(CONI), che ha confermato  l'irrogazione  nei  suoi  confronti  della
sanzione disciplinare dell'inibizione per  tre  anni  disposta  dalla
Corte federale di appello della  FIGC  -  dubita  della  legittimita'
costituzionale  dell'art.  2,  commi  1,  lettera  b),   e   2,   del
decreto-legge 19 agosto 2003, n. 220 (Disposizioni urgenti in materia
di giustizia sportiva), convertito, con modificazioni, nella legge 17
ottobre 2003, n. 280. 
    Nella parte sottoposta all'esame di questa Corte,  l'art.  2  del
d.l.  n.  220  del  2003   (rubricato   «Autonomia   dell'ordinamento
sportivo») stabilisce che e' riservata  all'ordinamento  sportivo  la
disciplina  delle  questioni  aventi  ad  oggetto  «i   comportamenti
rilevanti sul piano  disciplinare  e  l'irrogazione  ed  applicazione
delle relative sanzioni disciplinari sportive» (comma 1, lettera  b),
e che in tale materia «le societa', le associazioni, gli affiliati ed
i tesserati hanno l'onere  di  adire,  secondo  le  previsioni  degli
statuti e regolamenti del  Comitato  olimpico  nazionale  italiano  e
delle Federazioni sportive di cui gli articoli 15 e  16  del  decreto
legislativo  23  luglio  1999,  n.  242,  gli  organi  di   giustizia
dell'ordinamento sportivo» (comma 2). 
    Ad avviso del rimettente, le citate disposizioni  presenterebbero
profili di illegittimita' costituzionale  anche  nell'interpretazione
fornita dalla sentenza n. 49 del 2011. In base a tale pronuncia, resa
su questioni analoghe a quelle  riportate  ora  all'esame  di  questa
Corte, nelle controversie aventi per  oggetto  sanzioni  disciplinari
sportive non tecniche incidenti su  situazioni  soggettive  rilevanti
per  l'ordinamento  statale  e'   possibile   proporre   domanda   di
risarcimento  del  danno  al  giudice  amministrativo  in  regime  di
giurisdizione   esclusiva,   mentre   resta   sottratta   alla    sua
giurisdizione la tutela di annullamento. 
    Anche cosi' interpretata, la normativa violerebbe gli artt. 103 e
113 della Costituzione sotto profili  «non  compiutamente  esaminati»
dalla  precedente  pronuncia,  perche'  «ritenuti  "assorbiti"  nella
censura  concernente  la  violazione  dell'art.   24   Cost.».   Essa
continuerebbe inoltre a presentare i profili di contrasto con  l'art.
24 Cost. «letto in combinato disposto con gli stessi artt. 103 e  113
Cost.», gia' esaminati da questa Corte in ordine all'esclusione della
tutela caducatoria davanti al giudice statale. 
    2.- Vanno considerate in via preliminare le  eccezioni  sollevate
dalle  parti  costituite  in  giudizio,  nonche'  il  rilievo   della
normativa intervenuta in materia. 
    2.1.- Il CONI ha eccepito l'inammissibilita' delle questioni  per
difetto di rilevanza, in quanto il potere esercitato  dal  giudice  a
quo  contestualmente  all'atto  di  rimessione,  di  sospensione  del
provvedimento impugnato fino alla decisione di questa  Corte,  si  e'
esaurito per effetto della  successiva  pronuncia  del  Consiglio  di
Stato, che, accogliendo l'appello proposto dalla FIGC, ha respinto la
domanda cautelare. Analoga eccezione e' stata  sollevata  dalla  FIGC
nella memoria depositata in prossimita' dell'udienza. 
    L'eccezione non e' fondata. 
    L'intervenuta ordinanza del Consiglio di Stato non altera  invero
la pregiudizialita' delle  questioni  sulle  quali  questa  Corte  e'
chiamata a pronunciarsi. La definizione dell'incidente cautelare  non
fa venire meno la necessita' per il giudice rimettente  di  applicare
l'art. 2, commi 1, lettera b), e 2, del d.l. n. 220  del  2003,  come
interpretato da questa Corte con la sentenza  n.  49  del  2011,  per
decidere  sull'eccezione  preliminare  di  difetto  di  giurisdizione
sull'azione di annullamento, sollevata  dalle  parti  resistenti  nel
giudizio a quo. 
    A  cio'  si  aggiunga,  in  ogni  caso,  che   le   vicende   del
provvedimento  cautelare  successive  all'ordinanza  di   rimessione,
compresa la sua riforma  in  appello,  non  sono  idonee  a  produrre
effetti sul giudizio costituzionale.  Per  costante  orientamento  di
questa  Corte,  il  giudizio  incidentale  di  costituzionalita'   e'
autonomo rispetto al giudizio a quo, nel senso che non risente  delle
vicende successive all'atto di rimessione che concernono il  rapporto
dedotto nel processo principale, come  previsto  dall'art.  18  delle
Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale. La
rilevanza della questione deve quindi essere valutata alla luce delle
circostanze sussistenti  al  momento  dell'ordinanza  di  rimessione,
senza che assumano rilievo eventi sopravvenuti (ex plurimis, sentenze
n. 276 del 2016, n. 236 del 2015, n. 242 e n. 164 del  2014,  n.  120
del 2013, n. 274 e n. 42 del 2011), e in quel momento essa certamente
sussisteva. 
    2.2.- Il  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri  ha  eccepito
l'inammissibilita' delle questioni sotto due ulteriori profili. 
    2.2.1. - In primo luogo, e' eccepito il  difetto  di  motivazione
sulla rilevanza, in quanto il giudice a quo avrebbe  dovuto  eseguire
anche una «valutazione prospettica» del bene della vita richiesto, da
identificare non nel riconoscimento della giurisdizione  del  giudice
adito ma nell'annullamento della decisione disciplinare impugnata, in
quanto lesiva, secondo il ricorrente nel processo principale, di  una
regola «procedurale» sull'estinzione del  giudizio  disciplinare.  Un
analogo profilo di inammissibilita' e'  sollevato  dalla  FIGC  nella
memoria depositata in prossimita' dell'udienza. 
    L'eccezione non e' fondata. 
    Secondo  la   costante   giurisprudenza   costituzionale,   «[l]a
motivazione sulla rilevanza e' da intendersi correttamente  formulata
quando illustra le  ragioni  che  giustificano  l'applicazione  della
disposizione  censurata  e  determinano  la  pregiudizialita'   della
questione  sollevata   rispetto   alla   definizione   del   processo
principale» (ex plurimis, sentenza n. 105 del 2018),  essendo  a  tal
fine sufficiente la non implausibilita'  delle  ragioni  addotte  (ex
plurimis, sentenze n. 93, n. 39 e n. 32 del 2018). 
    Il  rimettente  osserva  che  «[l]a  norma  de  qua,  cosi'  come
interpretata dal giudice delle leggi [...], precluderebbe all'odierno
ricorrente di ottenere l'annullamento della sanzione  disciplinare  a
lui irrogata [...], che  solo  consentirebbe  l'immediato  ripristino
della  situazione  giuridica  soggettiva,  asseritamente  lesa».   La
motivazione,  incentrata  sul  carattere  decisivo  della   questione
preliminare e sulla  necessita',  per  risolverla,  di  applicare  la
normativa censurata, e' sufficiente a dare conto della rilevanza, non
essendo richiesta a  tali  fini  una  delibazione  nel  merito  della
domanda di annullamento, la cui cognizione da parte del giudice a quo
e' preclusa dalla stessa normativa censurata. 
    2.2.2.- In secondo luogo, le  questioni  sarebbero  inammissibili
poiche' il rimettente si sarebbe limitato a criticare la sentenza  n.
49 del  2011  senza  sottoporre  a  questa  Corte  nuovi  elementi  o
argomentazioni rispetto a quelli gia' a suo tempo da essa  esaminati,
affermando semplicemente che le  sanzioni  irrogate  dalla  giustizia
sportiva hanno natura  di  provvedimenti  amministrativi,  come  tali
sindacabili davanti al giudice amministrativo. 
    Nemmeno  questa  eccezione  e'  fondata.  La  riproposizione   di
questioni identiche a quelle gia' dichiarate  non  fondate  -  se  di
questo si dovesse trattare nel caso di  specie  -  non  comporterebbe
comunque, nemmeno in mancanza di nuovi argomenti che possano militare
nel  senso  di  una  diversa  soluzione,   l'inammissibilita'   delle
questioni stesse ma, in ipotesi, la loro manifesta  infondatezza  (ex
plurimis, ordinanze n. 96 del 2018, n. 162, n. 138 e n. 91 del  2017,
n. 290 del 2016). 
    2.3.- Ancora in via preliminare conviene ricordare che,  dopo  la
pronuncia dell'ordinanza di rimessione, il d.l. n. 220  del  2003  e'
stato  oggetto  di  modificazioni,  ancorche'  non   riguardanti   la
normativa censurata, ad opera della legge 30 dicembre  2018,  n.  145
(Bilancio di previsione dello Stato per  l'anno  finanziario  2019  e
bilancio pluriennale per il triennio 2019-2021). 
    In particolare, l'art. 1, comma 647, della citata  legge  n.  145
del 2018 ha aggiunto alla fine del comma 1 dell'art. 3  del  d.l.  n.
220 del 2003 alcune previsioni riguardanti le  controversie  relative
ai provvedimenti  di  ammissione  ed  esclusione  dalle  competizioni
professionistiche   delle   societa'    o    associazioni    sportive
professionistiche,  o  comunque  incidenti  sulla  partecipazione   a
competizioni professionistiche. 
    Non  investendo  tuttavia  nemmeno  indirettamente  la  normativa
censurata, che concerne le sanzioni disciplinari  sportive,  si  deve
concludere che lo ius superveniens lascia inalterato, per quello  che
qui rileva, il quadro normativo di riferimento. 
    3.- Nel merito le questioni sollevate non sono fondate. 
    3.1.- Il rimettente  lamenta  innanzitutto  la  violazione  degli
artt. 103 e 113 Cost. La qualificazione delle decisioni  disciplinari
sportive come provvedimenti amministrativi,  espressione  dei  poteri
pubblici attribuiti alle federazioni sportive nazionali  e  al  CONI,
imporrebbe di classificare come  interessi  legittimi  le  situazioni
soggettive da essi incise, con la conseguenza che  ai  loro  titolari
non potrebbe essere negata  la  tutela  di  annullamento  davanti  al
giudice amministrativo, pena la violazione  delle  citate  previsioni
costituzionali in tema di garanzie giurisdizionali  contro  gli  atti
della pubblica amministrazione. 
    3.2. - Il giudice a quo afferma innanzitutto  che,  sotto  questo
aspetto, la nuova questione proposta presenterebbe profili diversi da
quelli valutati nella sentenza n. 49  del  2011.  In  tale  pronuncia
sarebbe stata trattata solo la  questione  sollevata  in  riferimento
all'art. 24 Cost., con "assorbimento"  della  prospettata  violazione
degli artt. 103 e 113 Cost.,  che  il  rimettente  chiede  venga  ora
esaminata. 
    Tale preliminare rilievo sulla portata della sentenza n.  49  del
2011 va respinto. Nella citata pronuncia questa Corte, scrutinando la
legittimita' costituzionale dell'art. 2, commi 1, lettera  b),  e  2,
del d.l. n. 220 del 2003 in riferimento agli  artt.  24,  103  e  113
Cost., da' espressamente conto del «carattere unitario» della censura
sulla quale e' chiamata ad esprimersi, che «non  attiene  ad  aspetti
specifici relativi  alle  suddette  disposizioni  costituzionali,  in
quanto si incentra su un unico profilo»,  «compendiabile  nel  dubbio
che la  normativa  [...]  precluda  "al  giudice  statale"  [...]  di
conoscere questioni che riguardino  diritti  soggettivi  o  interessi
legittimi». Invocando gli  artt.  103  e  113  Cost.  -  prosegue  la
sentenza - il  giudice  a  quo  non  ha  prospettato  «illegittimita'
costituzionali diverse da quelle formulate con  riferimento  all'art.
24  Cost.»,  ma  ha  indicato  «il  fondamento  costituzionale  delle
funzioni giurisdizionali del giudice amministrativo che il rimettente
[stesso], ai sensi di quanto dispone la normativa di  cui  deve  fare
applicazione, individua come il  "giudice  naturale"  delle  suddette
controversie» (punto 4.4. del Considerato in diritto). 
    Nel suo impianto complessivo,  d'altro  canto,  la  sentenza  non
omette di considerare i profili di illegittimita' allora segnatamente
prospettati  -  e  ora  riproposti  dall'odierno  rimettente   -   in
riferimento agli artt. 103 e 113 Cost. In  essa  si  afferma  che  la
previsione di una «diversificata modalita' di tutela giurisdizionale»
dei diritti  soggettivi  e  degli  interessi  legittimi  limitata  al
risarcimento del danno per equivalente  -  secondo  l'interpretazione
offerta   dal   diritto   vivente   -   e'   idonea   a   scongiurare
l'illegittimita' della norma censurata. Tale conclusione -  raggiunta
sul rilievo che il legislatore ha realizzato in questo  modo  un  non
irragionevole bilanciamento degli interessi in  gioco  -  implica  un
giudizio di compatibilita' costituzionale della «esplicita esclusione
della diretta giurisdizione sugli atti attraverso i quali sono  [...]
irrogate le sanzioni disciplinari» (punto  4.5.  del  Considerato  in
diritto), esclusione che comprende la tutela  reale  degli  interessi
legittimi sui quali le sanzioni eventualmente incidano. Cosicche'  e'
evidente che, la' dove afferma che «la mancanza  di  un  giudizio  di
annullamento» non viola «quanto  previsto  dall'art.  24  Cost.»,  la
sentenza n. 49 del 2011 non lascia spazio nemmeno ai diversi dubbi di
legittimita' per violazione degli artt. 103 e  113  Cost.,  i  quali,
secondo  le  parole  della   stessa   pronuncia,   costituiscono   il
«fondamento costituzionale» della tutela demolitoria. 
    A cio' si puo'  aggiungere  che  non  apporta  nuovi  profili  di
illegittimita',  diversi  da  quelli  gia'  esaminati,   nemmeno   la
prospettata  qualificazione  delle  decisioni  degli   organi   della
giustizia sportiva come provvedimenti amministrativi, dal momento che
la stessa sentenza n.  49  del  2011  non  esclude  che  le  sanzioni
sportive  possano   ledere   anche   situazioni   giuridiche   aventi
consistenza di interesse legittimo e ne  colloca  di  conseguenza  la
tutela risarcitoria per equivalente nell'ambito  della  giurisdizione
esclusiva  del  giudice  amministrativo   secondo   quanto   previsto
dall'art. 133, comma 1,  lettera  z),  dell'Allegato  1  (Codice  del
processo amministrativo) al decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104
(Attuazione dell'art. 44 della legge 18 giugno 2009, n.  69,  recante
delega al Governo per il riordino del processo amministrativo). 
    3.2.1.- La pronuncia richiamata considera dunque in modo unitario
e sistematico la compatibilita' della  normativa  censurata  con  gli
artt. 24, 103 e 113 Cost. e in  questa  prospettiva  estende  la  sua
analisi al profilo della pienezza e  dell'effettivita'  della  tutela
giurisdizionale degli interessi legittimi,  contrariamente  a  quanto
assunto dal giudice a quo, che pretende  di  isolare  tale  specifico
profilo e di escluderlo dal decisum senza considerare,  come  sarebbe
stato necessario, che «l'art. 24, come pure il  successivo  art.  113
Cost.,  enunciano  [entrambi]  il  principio  dell'effettivita'   del
diritto di difesa, il  primo  in  ambito  generale,  il  secondo  con
riguardo alla tutela contro gli atti della pubblica  amministrazione»
(ex plurimis, sentenza n. 71 del 2015). 
    Nel  merito  la  sentenza  n.  49  del  2011  esclude  che  delle
menzionate disposizioni costituzionali  vi  sia  stata  lesione,  dal
momento che la normativa contestata, nell'interpretazione offerta dal
diritto vivente e fatta propria  da  questa  Corte,  tiene  ferma  la
possibilita', per chi ritenga di essere stato leso nei suoi diritti o
interessi legittimi da atti di irrogazione di sanzioni  disciplinari,
di agire in giudizio per ottenere il risarcimento  del  danno  e  che
questa forma di tutela per equivalente, per quanto diversa rispetto a
quella  di  annullamento  in  via  generale  assegnata   al   giudice
amministrativo, risulta in ogni caso  idonea,  nella  fattispecie,  a
corrispondere al  vincolo  costituzionale  di  necessaria  protezione
giurisdizionale dell'interesse legittimo. La scelta  legislativa  che
la esprime e' frutto  infatti  del  non  irragionevole  bilanciamento
operato dal legislatore fra il menzionato principio costituzionale di
pienezza ed effettivita' della tutela giurisdizionale e  le  esigenze
di salvaguardia dell'autonomia dell'ordinamento sportivo - che  trova
ampia tutela negli artt. 2 e 18 Cost.  -  «bilanciamento  che  lo  ha
indotto  [...]   ad   escludere   la   possibilita'   dell'intervento
giurisdizionale maggiormente incidente» su tale autonomia, mantenendo
invece ferma la tutela per equivalente. 
    3.2.2.- Chiarito cosi' che i profili di censura  della  normativa
contestata in riferimento agli artt. 103 e 113 Cost. risultano essere
stati diffusamente esaminati nella piu' volte citata sentenza  n.  49
del 2011, questa Corte ritiene che non vi siano ragioni di sorta  per
discostarsi  dalle  conclusioni  di  infondatezza   della   questione
espresse nella stessa pronuncia, che meritano di essere integralmente
confermate,  sia  per  quanto  riguarda   il   rilievo   dei   valori
costituzionali in gioco, sia per quanto attiene alla  valutazione  di
ragionevolezza del  bilanciamento  operato  dal  legislatore  con  la
articolata definizione - nella disciplina definita nel  d.l.  n.  220
del 2003 cosi' come interpretata dal diritto vivente  -  del  sistema
della tutela giurisdizionale in ambito sportivo. 
    Richiamando per il resto quanto  gia'  ampiamente  esposto  nella
citata  sentenza,  e'  sufficiente  sottolineare  di  seguito  alcuni
profili la cui trattazione e' sollecitata dalle argomentazioni svolte
nell'ordinanza di rimessione. 
    Il  primo  riferimento  e'  alla  natura,  per   taluni   profili
originaria  e  autonoma,  dell'ordinamento  sportivo,   che   di   un
ordinamento  giuridico   presenta   i   tradizionali   caratteri   di
plurisoggettivita', organizzazione e normazione propria. 
    Nel  quadro  della  struttura  pluralista   della   Costituzione,
orientata  all'apertura  dell'ordinamento  dello   Stato   ad   altri
ordinamenti, anche il sistema dell'organizzazione sportiva, in quanto
tale e nelle sue diverse articolazioni  organizzative  e  funzionali,
trova protezione nelle previsioni costituzionali  che  riconoscono  e
garantiscono i diritti dell'individuo,  non  solo  come  singolo,  ma
anche nelle formazioni sociali in cui si esprime la sua  personalita'
(art. 2 Cost.) e che assicurano il diritto di associarsi  liberamente
per fini che non sono vietati al singolo  dalla  legge  penale  (art.
18). Con la conseguenza che eventuali collegamenti con  l'ordinamento
statale,  allorche'  i  due  ordinamenti  entrino  reciprocamente  in
contatto  per  intervento  del  legislatore  statale,  devono  essere
disciplinati tenendo conto dell'autonomia di quello sportivo e  delle
previsioni costituzionali in cui essa trova radice. 
    Per altro verso,  la  disciplina  legislativa  di  meccanismi  di
collegamento,   anche   diretto,   fra   l'ordinamento   sportivo   e
l'ordinamento statale trova un limite  nel  necessario  rispetto  dei
principi e dei diritti costituzionali. 
    La regolamentazione statale  del  sistema  sportivo  deve  dunque
mantenersi nei limiti di quanto risulta necessario  al  bilanciamento
dell'autonomia del  suo  ordinamento  con  il  rispetto  delle  altre
garanzie costituzionali che possono venire in rilievo, fra  le  quali
vi  sono  -  per  quanto  qui  interessa  trattando  della  giustizia
nell'ordinamento sportivo - il diritto di difesa e  il  principio  di
pienezza ed  effettivita'  della  tutela  giurisdizionale  presidiati
dagli artt. 24, 103 e 113 Cost. 
    In  termini  concreti  tutto  cio'   fa   si'   che   la   tutela
dell'autonomia dell'ordinamento sportivo, se non  puo'  evidentemente
comportare un sacrificio completo  della  garanzia  della  protezione
giurisdizionale  dei  diritti  e  degli  interessi  legittimi,   puo'
tuttavia giustificare scelte legislative che,  senza  escludere  tale
protezione, la conformino in modo da evitare intromissioni  con  essa
"non armoniche", come il legislatore ha valutato che fosse, nel  caso
in esame, la tutela costitutiva. 
    Con la sentenza n. 49 del  2011,  come  visto,  questa  Corte  ha
adottato una pronuncia adeguatrice che individua nell'interpretazione
offerta dal diritto vivente la «chiave di  lettura»  della  normativa
sottoposta al suo esame, idonea a fugare il dubbio, giustificato  dal
dato letterale della norma censurata, che essa precluda ogni forma di
protezione giurisdizionale. In base a tale ricostruzione  il  giudice
amministrativo puo' comunque conoscere delle  questioni  disciplinari
che riguardano diritti  soggettivi  o  interessi  legittimi,  poiche'
l'esplicita riserva a favore della giustizia sportiva, se esclude  il
giudizio di annullamento, non intacca tuttavia  la  facolta'  di  chi
ritenga di essere stato leso  nelle  sue  posizioni  soggettive,  ivi
comprese quelle di interesse legittimo,  di  agire  in  giudizio  per
ottenere il risarcimento del danno. A tali fini non opera infatti  la
riserva a favore della giustizia sportiva,  davanti  alla  quale  del
resto la pretesa risarcitoria non potrebbe essere fatta valere. 
    Questa scelta interpretativa,  costituzionalmente  orientata,  si
fonda su una valutazione di non  irragionevolezza  del  bilanciamento
effettuato  dal  legislatore,  che  ha   escluso   «la   possibilita'
dell'intervento giurisdizionale maggiormente incidente sull'autonomia
dell'ordinamento sportivo» (punto 4.5. del Considerato in diritto)  e
limitato l'intervento stesso alla  sola  tutela  per  equivalente  di
situazioni soggettive coinvolte in questioni nelle quali  l'autonomia
e  la  stabilita'  dei  rapporti  costituisce  di  regola  dimensione
prioritaria rispetto alla tutela reale in  forma  specifica,  per  il
rilievo che i profili tecnici e disciplinari  hanno  nell'ambito  del
mondo sportivo. Ambito nel quale, invero,  le  regole  proprie  delle
varie discipline  e  delle  relative  competizioni  si  sono  formate
autonomamente secondo gli sviluppi propri dei diversi  settori  e  si
connotano normalmente per un forte grado di specifica tecnicita'  che
va per quanto possibile preservato. 
    3.2.3.-  Deve  essere  poi  respinta  la   tesi   del   carattere
costituzionalmente  necessitato  della   tutela   demolitoria   degli
interessi    legittimi,    dal    quale    il    rimettente    desume
l'incompatibilita' con  gli  artt.  103  e  113  Cost.  di  qualsiasi
limitazione legislativa  di  tale  forma  di  tutela  giurisdizionale
contro gli atti e i provvedimenti della pubblica amministrazione. 
    Come questa Corte ha gia' avuto modo di affermare, se e' fuor  di
dubbio che i principi fondamentali del nostro sistema  costituzionale
espressi dagli  artt.  24  e  113  Cost.  devono  avere  applicazione
rigorosa a garanzia delle posizioni giuridiche dei  soggetti  che  ne
sono titolari, cio' non significa  che  il  citato  art.  113  Cost.,
correttamente interpretato, sia diretto ad assicurare in ogni caso  e
incondizionatamente   una   tutela   giurisdizionale   illimitata   e
invariabile  contro  l'atto  amministrativo,  spettando   invece   al
legislatore ordinario un certo spazio di  valutazione  nel  regolarne
modi ed efficacia (sentenze n. 100 del 1987, n. 161 del 1971 e n.  87
del 1962). Ancora piu' precisamente, questa Corte  ha  affermato  che
«[i]l [...] secondo comma dell'art. 113 non puo' essere  interpretato
senza collegarlo col comma che lo segue immediatamente e che contiene
la norma, secondo la quale la legge puo' determinare quali organi  di
giurisdizione   possano   annullare   gli   atti    della    pubblica
Amministrazione nei casi e  con  gli  effetti  previsti  dalla  legge
medesima.  Il  che  sta  a  significare  che  codesta   potesta'   di
annullamento non e' riconosciuta a tutti indistintamente  gli  organi
di giurisdizione, ne' e' ammessa in tutti i casi, e  non  produce  in
tutti i casi i medesimi effetti» (sentenza n.  87  del  1962).  Cio',
fermo restando naturalmente che, affinche' il precetto costituzionale
di cui agli artt. 24 e 113 Cost. possa dirsi rispettato, e'  comunque
«indispensabile [...] che la norma, la quale si discosti dal  modello
accolto in via generale per l'impugnazione degli atti amministrativi,
sia improntata a ragionevolezza e adeguatezza» (sentenza n.  100  del
1987). 
    3.2.4. Le limitazioni alla tutela giurisdizionale -  delle  quali
il rimettente si duole sottolineando la mancanza  di  un  rimedio  di
integrale ripristino della posizione  soggettiva  compromessa  -  non
solo  restano,  come  appena  visto,  nell'ambito  di  cio'  che   e'
costituzionalmente tollerabile in esito al  descritto  bilanciamento,
ma non sono comunque ignote al sistema normativo. 
    Come ricordato anche nella sentenza n. 49 del  2011  (punto  4.5.
del Considerato in dirtto, dove si  menziona  il  disposto  dell'art.
2058 del codice civile, richiamato dall'art.  30  cod.  proc.  amm.),
l'esclusione  della  tutela  costitutiva   di   annullamento   e   la
limitazione della  protezione  giurisdizionale  al  risarcimento  per
equivalente non e' un'opzione sconosciuta al nostro  ordinamento.  Si
tratta, al contrario, di una scelta che corrisponde a una «tecnica di
tutela assai diffusa e ritenuta pienamente legittima  in  numerosi  e
delicati  comparti»,  tra  i  quali  l'ambito  lavoristico,  come  ha
osservato la giurisprudenza di legittimita' occupandosi proprio delle
disposizioni  qui  censurate  (Corte  di  cassazione,  sezioni  unite
civili, sentenza 13 dicembre 2018, n. 32358). E anche  questa  Corte,
pronunciandosi sullo stesso tema delle tutele obbligatorie in  ambito
lavoristico, «ha espressamente negato che il bilanciamento dei valori
sottesi agli artt. 4  e  41  Cost.,  terreno  su  cui  non  puo'  non
esercitarsi  la  discrezionalita'   del   legislatore,   imponga   un
determinato regime di tutela (sentenza n. 46 del 2000, punto  5.  del
Considerato in diritto)»,  riconoscendo  che  «[i]l  legislatore  ben
puo',  nell'esercizio  della  sua  discrezionalita',   prevedere   un
meccanismo di tutela anche solo risarcitorio-monetario  (sentenza  n.
303 del 2011), purche' un tale meccanismo si  articoli  nel  rispetto
del principio di ragionevolezza» (sentenza n. 194 del 2018). 
    D'altro canto, se, come appena visto, il risarcimento rappresenta
in linea generale una forma in se' non inadeguata di protezione delle
posizioni dei  soggetti  colpiti  dalle  sanzioni  sportive,  non  va
trascurato  il  rilievo  che  assume,  nell'ambito  di  una   vicenda
connotata pubblicisticamente quale quella  in  esame,  l'accertamento
incidentale condotto dal giudice  amministrativo  sulla  legittimita'
dell'atto, di cui anche  gli  organi  dell'ordinamento  sportivo  non
possono non tenere conto. 
    L'esclusione della tutela  costitutiva  non  comporta  di  regola
conseguenze costituzionalmente inaccettabili nemmeno sul piano  della
adeguatezza della tutela cautelare, nel senso dell'impossibilita'  di
ottenere la  sospensione  interinale  dell'efficacia  degli  atti  di
irrogazione  delle  sanzioni  disciplinari  sportive.  L'esigenza  di
protezione  provvisoria  delle  pretese  fatte  valere  in  giudizio,
ricadente essa stessa  nell'ambito  di  operativita'  delle  garanzie
offerte dagli artt. 24, 103 e 113  Cost.,  puo'  trovare  invero  una
risposta  nei  caratteri  di  atipicita'  e  ampiezza  delle   misure
cautelari a disposizione di tale giudice - che in  base  all'art.  55
cod.  proc.  amm.  puo'  adottare  le  «misure  cautelari  [...]  che
appaiono,  secondo  le  circostanze,  piu'   idonee   ad   assicurare
interinalmente gli effetti della decisione sul  ricorso»  -  e  nella
possibilita' che in questo ambito vengano disposte anche  ingiunzioni
a pagare somme in via provvisoria. 
    3.3.- In secondo luogo, il TAR rimettente chiede espressamente un
riesame della questione gia' decisa  da  questa  Corte  nella  citata
sentenza n. 49 del 2011, sull'assunto che  permarrebbero  profili  di
contrasto con l'art. 24 Cost. letto in  combinato  disposto  con  gli
stessi artt. 103 e 113 Cost., perche' la  sentenza  n.  49  del  2011
avrebbe riconosciuto la «equipollenza» tra le due  forme  di  tutela,
caducatoria e risarcitoria, in  mancanza  di  un  principio  generale
dell'ordinamento che lo consenta  e  di  una  «espressa  scelta»  del
legislatore, che dovrebbe avere comunque natura eccezionale. 
    In questa prospettiva i motivi di censura  si  risolvono  in  una
critica alla  pronuncia  di  questa  Corte  nella  parte  in  cui  ha
giudicato conforme a Costituzione un assetto normativo che,  in  base
al diritto vivente, riconosce al destinatario della sanzione la  sola
tutela risarcitoria. La critica tende, in  definitiva,  a  dimostrare
che le  disposizioni  censurate,  anche  se  interpretate  nel  senso
accolto dalla sentenza n. 49 del 2011, violerebbero l'art. 24  Cost.,
riconoscendo una tutela che non equivale a  quella  caducatoria,  sia
per la diversita' del  bene  della  vita  conseguibile  ope  iudicis,
giacche' con l'annullamento di una sanzione disciplinare  non  ancora
eseguita si puo' ottenere il  completo  ripristino  della  situazione
soggettiva compromessa, anziche' una «prestazione diversa  da  quella
originaria», sia per l'aggravio dell'onere probatorio da assolvere ai
fini del risarcimento del danno,  avente  per  oggetto  gli  elementi
costitutivi dell'illecito civile. 
    Il giudice a quo muove da una lettura non corretta della sentenza
n. 49 del 2011, la quale non afferma la  «equipollenza»  tra  le  due
tutele, ma si limita a escludere che la mancanza di  un  giudizio  di
annullamento  sia  di  per  se'  in  contrasto  con  quanto  previsto
dall'art. 24 Cost., in quanto la disciplina in discussione  riconosce
all'interessato,  secondo  il  diritto  vivente,  «una  diversificata
modalita' di tutela giurisdizionale». La  sentenza  prende  le  mosse
dall'espresso presupposto che la forma di tutela per equivalente  sia
sicuramente diversa rispetto a quella in via generale  attribuita  al
giudice amministrativo, ma giudica il rimedio risarcitorio di  regola
idoneo a garantire un'attitudine riparatoria adeguata (punto 4.5. del
Considerato in diritto). 
    La soluzione non si fonda dunque su  una  presunta  equiparazione
dei due rimedi, che all'evidenza non sussiste, ma, come ripetuto piu'
volte, sulla non irragionevolezza dello specifico limite  legislativo
posto  alla  tutela  delle  posizioni   soggettive   lese,   la   cui
introduzione non deve ritenersi  in  assoluto  preclusa  dalle  norme
costituzionali che garantiscono il diritto di difesa e  il  principio
di effettivita' della tutela giurisdizionale. 
    Per tutte le ragioni gia' esposte sopra, non e' quindi pertinente
il richiamo, operato dal giudice a quo, alla  natura  generale  della
tutela   caducatoria   di   fronte   all'invalidita'    degli    atti
amministrativi, e alla prospettata eccezionalita' delle  disposizioni
che ne prevedono la sostituzione con quella risarcitoria. E del resto
e' lo stesso giudice a  quo  che,  nell'ipotizzare  che  alla  tutela
generale di annullamento possa sostituirsi il risarcimento del danno,
sia pure per scelta legislativa eccezionale, finisce per  presupporre
che la prima non ha natura costituzionalmente inderogabile. 
    4.- In conclusione, le questioni non sono fondate  sotto  nessuno
dei profili prospettati dal rimettente. 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    dichiara non fondate le questioni di legittimita'  costituzionale
dell'art. 2, commi 1, lettera b), e 2, del  decreto-legge  19  agosto
2003, n. 220 (Disposizioni urgenti in materia di giustizia sportiva),
convertito, con modificazioni, nella legge 17 ottobre 2003,  n.  280,
sollevate dal Tribunale amministrativo regionale  per  il  Lazio,  in
riferimento  agli  artt.  24,  103  e  113  della  Costituzione,  con
l'ordinanza indicata in epigrafe. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 17 aprile 2019. 
 
                                F.to: 
                    Giorgio LATTANZI, Presidente 
                     Daria de PRETIS, Redattore 
                     Roberto MILANA, Cancelliere 
 
    Depositata in Cancelleria il 25 giugno 2019. 
 
                   Il Direttore della Cancelleria 
                        F.to: Roberto MILANA 
 
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