BREVISSIME NOTE INTORNO AL CONCETTO DI PROPRIETÀ TEMPORANEA.
Ordinanza della Corte di cassazione civile, Sez. II, n. 10474 del 2022
Micaela Lopinto
Abstract
This short paper focuses on a trait of Italian Private Law.
Annotazione
Si sente parlare di proprietà temporanea da parecchi anni. La civilistica italiana ci insegna che il diritto di proprietà è il diritto reale per eccellenza ed è un diritto “elastico”, ovvero suscettibile di compressione a mezzo della insistenza di diritti reali minori per tutta la loro durata (si pensi al rapporto tra diritto di usufrutto e diritto di proprietà); ci insegna, altresì, che il diritto di proprietà è un diritto “perpetuo”, al più suscettibile di trasferimento, acquisto o rinuncia (abdicativa o traslativa, in questa sede poco importa), capace di estinguersi con il perimento del bene che ne costituisce oggetto. Ecco, quest’ultimo requisito è quello che, a conti fatti, stride pesantemente con il concetto di “temporaneità” della proprietà. Se la proprietà, salvo perimento del bene, è perpetua, come può allora esistere una cd. “proprietà temporanea”? Il conflitto è presto risolto: il carattere della perpetuità non è (ovviamente, si potrebbe aggiungere) incompatibile con situazioni in cui il diritto di proprietà sorge in capo ad un determinato soggetto per poi transitare nella sfera giuridica di un altro soggetto. Non si tratta di una vera deroga rispetto al principio di perpetuità del diritto reale per eccellenza, bensì, semplicemente, siamo di fronte ad una esplicazione più sottile e raffinata del concetto di trasferimento della proprietà; essenza, più in generale, del principio consensualistico o del consenso traslativo che dir si voglia, scolpito graniticamente nell’art. 1376 cc., che deve conciliarsi con le peculiari ipotesi di vendita cd. obbligatoria o, secondo le tesi più recenti, di vendita ad effetti obbligatori immediati e reali differiti (nel cui ambito può essere annoverata la vendita con riserva di proprietà ex art. 1523 cc., di cui si parlerà a breve). Proviamo ad affrontare l’argomento con degli esempi: partiamo da un esempio “escludente” e poi affrontiamo gli istituti che meglio rappresentano le (pur sempre controverse e contestate) forme di proprietà temporanea. Le voci dottrinali più autorevoli (in linea di massima, ma sussiste pur sempre qualche isolata voce contraria) hanno escluso che possa rinvenirsi tale istituto nella cd. multiproprietà, che, al più, esprime un godimento turnario di uno specifico bene. Secondo parte della dottrina, per contro, questa particolare forma di proprietà si sposa con istituti come il Trust, la sostituzione fedecommissaria ex art. 692 cc., la vendita con patto di riscatto o ancora il negozio fiduciario. Volendo limitarci all’esame di queste figure (ma ve ne sarebbero altre, perfino più interessanti, anche inerenti all’ambito successorio), si può certamente osservare come l’istituto del Trust attribuisca al trustee la gestione di una massa di beni nell’interesse di un terzo (normalmente il beneficiary, oppure, in alternativa, nell’interesse dello stesso settlor/disponente) a mezzo di una forma di cd. segregazione patrimoniale. Ancora e proseguendo, la proprietà temporanea si rinviene, come detto, nell’ambito della sostituzione fedecommissaria, originariamente posta a tutela del passaggio generazionale della proprietà ed oggi letta con funzione di tutela dei soggetti deboli. L’art. 692 cc. evoca l’istituto poiché, effettivamente, presuppone l’esistenza di una doppia vocazione: il comma primo, infatti, chiarisce che “ciascuno dei genitori o degli altri ascendenti in linea retta o il coniuge dell’interdetto possono istituire rispettivamente il figlio, il discendente, o il coniuge con l’obbligo di conservare e restituire alla sua morte i beni anche costituenti la legittima, a favore della persona o degli enti che, sotto la vigilanza del tutore, hanno avuto cura dell’interdetto medesimo”. Lo evoca, altresì, il negozio fiduciario, il quale presuppone normalmente il trasferimento della proprietà dal fiduciante al fiduciario, ma lo subordina al rispetto del cd. pactum fiduciae (generando con quest’ultimo, secondo parte della dottrina, un fenomeno riconducibile al collegamento negoziale). Ancora, la disciplina della vendita con patto di riscatto ex art. 1500 cc., al comma primo, chiarisce che “il venditore può riservarsi il diritto di riavere la proprietà della cosa venduta mediante la restituzione del prezzo ed i rimborsi stabiliti dalle disposizioni che seguono”, così sancendo l’esistenza di un diritto di proprietà in capo al compratore “temporaneo” in quanto condizionato dall’esistenza del diritto alla restituzione della proprietà esercitabile dal venditore. Non sono mancate, tuttavia, copiose voci contrarie, volte a negare che, soprattutto negli specifici casi di sostituzione fedecommissaria e di vendita ex art. 1500 cc. poc’anzi esaminata, si sia di fronte ad una vera e propria forma di proprietà temporanea in senso tecnico, preferendo a tale tesi la diversa (e più precisa e dettagliata) qualificazione di cd. “proprietà risolubile” (si tende a ritenere tanto in dottrina quanto in giurisprudenza che la proprietà risolubile, diversamente rispetto alle forme di proprietà temporanea in senso stretto, faccia riferimento ad un trasferimento incerto nell’“an”, poiché subordinato al verificarsi di una circostanza “x” dedotta in condizione). Nell’ottica della proprietà “risolubile” e non “temporanea” si inserisce con maggiore vigore e certezza in dottrina la vendita con riserva di proprietà ex art. 1523 cc. La disposizione chiarisce, al comma primo, che “nella vendita a rate con riserva della proprietà il compratore acquista la proprietà della cosa col pagamento dell’ultima rata di prezzo, ma assume i rischi dal momento della consegna”. Essa va letta in combinato disposto con l’art. 1526 cc., comma primo, il quale dispone che “se la risoluzione del contratto ha luogo per l’inadempimento del compratore, il venditore deve restituire le rate riscosse, salvo il diritto a un equo compenso per l’uso della cosa, oltre al risarcimento del danno”. All’elenco qui sinteticamente stilato (che tiene pur sempre conto delle divergenze di vedute emerse in dottrina e delle sottigliezze terminologiche, che inducono a parlare di proprietà temporanea in senso lato, proprietà temporanea in senso tecnico e stretto e proprietà risolubile), si aggiunge l’ipotesi emersa attraverso l’analisi del caso concreto oggetto di una recente ordinanza del 2022, la quale si sofferma sulla configurabilità della proprietà temporanea in relazione al diritto di superficie. Questo il passaggio fondamentale della pronuncia: (Par. 6.2)“Il Comune che, nell’ambito di un programma di edilizia residenziale pubblica, a norma dell’art. 35 della I. n. 865 del 1971, abbia attribuito ad una cooperativa edilizia un diritto di superficie ad aedificandum a tempo determinato, non è litisconsorte necessario nel giudizio promosso dal vicino nei confronti della cooperativa per violazione delle distanze legali, atteso che con la costituzione del diritto di superficie predetto si realizza un’ipotesi di proprietà temporanea a favore degli assegnatari, che esclude la contemporanea proprietà dell’ente concessionario, non essendo giuridicamente concepibile che più soggetti siano proprietari dello stesso bene (Cass. n. 8476 del 1995); il Comune che, nell’ambito di un programma di edilizia residenziale pubblica, a norma dell’art. 35 della I. n. 865 del 1971, abbia attribuito ad una cooperativa edilizia un diritto di superficie ad aedificandum a tempo determinato, non è litisconsorte necessario nei giudizi aventi ad oggetto le domande di rivendicazione e di restituzione di parte della proprietà superficiaria asseritamene oggetto di illegittima occupazione per sconfinamento, atteso che con la costituzione del diritto di superficie predetto si realizza un’ipotesi di proprietà temporanea a favore degli assegnatari, che esclude la contemporanea proprietà dell’ente concessionario, non essendo giuridicamente configurabile che più soggetti siano proprietari esclusivi dello stesso bene (cfr. Cass. n. 12911 del 2002; Cass. n. 20692 del 2016)”.
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CORTE DI CASSAZIONE CIVILE, SEZ. II, N. 10474 ANNO 2022
5.1. Con il primo motivo, la ricorrente, lamentando la violazione o la falsa applicazione degli artt. 952-956 e 832 ss. c.c. nonché degli artt. 100, 101 e 102 c.p.c., in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c., ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello ha omesso d’integrare il contraddittorio con il Comune di Roma in quanto proprietario del suolo.
5.2. La violazione delle disposizioni contenute nell’atto d’obbligo del 31/5/1993 tra la coop. edilizia Cidalcase e il Comune, infatti, poteva comportare la decadenza del concessionario dal diritto di superficie per cui il relativo esame e la relativa statuizione avrebbero potuto avvenire solo in presenza in giudizio del Comune di Roma.
5.3. Il Comune, in effetti, ha aggiunto la ricorrente, si era riservato la facoltà, in caso d’inottemperanza della concessionaria, di provvedere in proprio a quanto formava oggetto dell’atto d’obbligo in questione.
5.4. D’altra parte, la pronuncia di condanna della Piccolomini alla riduzione in pristino del fabbricato investe i diritti e gli interessi del dominus soli sicché, in definitiva, ha concluso la ricorrente, la pronuncia, ove non fosse integrato il contraddittorio, sarebbe inutiliter data.
6.1. Il motivo è infondato. La ricorrente, in effetti, pretende di fondare la sussistenza di un litisconsorzio necessario con il Comune di Roma sul presupposto che il giudizio ha investito i diritti dello stesso, e cioè la proprietà del suolo e quelli attribuiti dall’atto d’obbligo del 31/5/1993, senza, tuttavia, considerare che, in realtà, le domande proposte dalle parti, riguardando esclusivamente il diritto d’uso spettante all’acquirente sull’immobile interrato e i diritti (restitutori e risarcitori) conseguenti in capo a quest’ultimo e al successivo acquirente dello stesso cespite, non hanno in alcun modo inciso né sul diritto di proprietà del suolo in capo al Comune, che aveva concesso alla cooperativa edilizia il relativo diritto di superficie ad aedificandum, né sulle pretese azionabili dallo stesso in caso d’inottemperanza agli obblighi assunti dalla cooperativa con il predetto atto del 31/5/1993 (quale emerge nel testo riprodotto in ricorso a p. 4, 5 e 6).
6.2. Questa Corte, del resto, ha già affermato che: – il Comune che, nell’ambito di un programma di edilizia residenziale pubblica, a norma dell’art. 35 della I. n. 865 del 1971, abbia attribuito ad una cooperativa edilizia un diritto di superficie ad aedificandum a tempo determinato, non è litisconsorte necessario nel giudizio promosso dal vicino nei confronti della cooperativa per violazione delle distanze legali, atteso che con la costituzione del diritto di superficie predetto si realizza un’ipotesi di proprietà temporanea a favore degli assegnatari, che esclude la contemporanea proprietà dell’ente concessionario, non essendo giuridicamente concepibile che più soggetti siano proprietari dello stesso bene (Cass. n. 8476 del 1995); – il Comune che, nell’ambito di un programma di edilizia residenziale pubblica, a norma dell’art. 35 della I. n. 865 del 1971, abbia attribuito ad una cooperativa edilizia un diritto di superficie ad aedificandum a tempo determinato, non è litisconsorte necessario nei giudizi aventi ad oggetto le domande di rivendicazione e di restituzione di parte della proprietà superficiaria asseritamene oggetto di illegittima occupazione per sconfinamento, atteso che con la costituzione del diritto di superficie predetto si realizza un’ipotesi di proprietà temporanea a favore degli assegnatari, che esclude la contemporanea proprietà dell’ente concessionario, non essendo giuridicamente configurabile che più soggetti siano proprietari esclusivi dello stesso bene (cfr. Cass. n. 12911 del 2002; Cass. n. 20692 del 2016).
7.1. Con il secondo motivo, la ricorrente, lamentando la violazione o la falsa applicazione degli artt. 1418, 1346, 1419, comma 2°, 1421, 1453, 1218, 1223 e 1494 c.c., dell’art. 41 sexies della I. n. 1150 del 1942, introdotto dalla I. n. 765 del 1967, dell’art. 9, comma 5, della I. n. 122 del 1989, dell’art. 40, comma 2, della I. n. 47 del 1985, in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c., ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello ha confermato la sentenza di primo grado che ha condannato la Piccolomini al risarcimento dei danni nei confronti sia del primo acquirente che del secondo, senza, tuttavia, considerare che tanto la nullità parziale del contratto che la stessa aveva concluso con il Leonardo, nella parte in cui si era riservata la proprietà del locale interrato, in quanto stipulato in violazione dell’art. 9, comma 5, della I. n. 122 cit., quanto la nullità totale del contratto stipulato con il Ceccarelli, in quanto stipulato in violazione di norme cogenti ed inderogabili ed, in particolare, dell’atto d’obbligo per notar Misurale del 1993, determinando, il primo, la sostituzione ope legis della norma elusa ed, il secondo, l’improduttività di qualsiasi effetto che non fosse la restituzione di quanto pagato, non poteva comportare né la risoluzione dei contratti né il risarcimento del danno a carico della convenuta.
8.1. Il motivo è inammissibile. La questione posta dalla ricorrente, infatti, non risulta in alcun modo trattata dalla sentenza impugnata. Ed è, invece, noto che, secondo il costante insegnamento di questa Corte (cfr. Cass. n. 20694 del 2018; Cass. n. 15430 del 2018), qualora una determinata questione giuridica, come quella sopra esposta, implichi un accertamento di fatto (vale a dire i presupposti fattuali che, a fronte della stipulazione di un contratto in tutto o in parte nullo ovvero di un contratto risolto, attribuiscano ai rispettivi acquirenti il diritto al risarcimento dei conseguenti danni) e non risulti in alcun modo trattata dalla sentenza impugnata, il ricorrente che proponga la suddetta questione in sede di legittimità, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, ha l’onere (rimasto, nella specie, del tutto inadempiuto) non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione dinanzi al giudice di merito, ma anche, per il principio di specificità del motivo, di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la questione stessa.
8.2. D’altra parte, come visto, la corte d’appello, per un verso, ha dichiarato la “nullità della clausola del contratto di vendita (per notar Di Fazio) con il quale la Piccolomini si riservava la proprietà del box auto e della cantina” e, per altro verso, ha pronunciato “la risoluzione del contratto di vendita di quest’ultimo al Ceccarelli, che subisce l’evizione o la perdita del diritto d’uso dello stesso”. Ed è noto, come si evince dalle norme previste, rispettivamente, dagli artt. 1338 e 1483 c.c., che tanto la nullità del contratto (compresa, evidentemente, quella che ipso iure investe gli atti di cessione di aree destinate a parcheggio conclusi in violazione dell’art. 9, comma 5, della I. n. 122 del 1989, in comb. disp. degli artt. 1418 e 1346 c.c.), quanto la risoluzione del contratto di compravendita conseguente alla perdita sopravvenuta del bene acquistato (e al corrispondente inadempimento, ove imputabile, del venditore) non sono affatto incompatibili con il diritto del (rispettivo) compratore al risarcimento dei danni conseguentemente subiti, che, anzi, (alle condizioni ivi previste) senz’altro gli attribuiscono.
9. Con il terzo motivo, la ricorrente, lamentando la violazione o la falsa applicazione degli artt. 99, 100 e 36 c.p.c., in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c., ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello, pur a fronte di conclusioni nelle quali l’attore aveva dichiarato la sua disponibilità a versare le somme integrative eventualmente dovute quale corrispettivo contrattuale e/o quali canoni per il diritto reale, non ha considerato, per un verso, che la convenuta aveva a sua volta rappresentato l’accettazione dell’offerta fatta dall’attore in ipotesi di integrazione ope legis del contratto, una volta che fosse stata annullata la clausola di riserva, con la conseguente esclusione della necessità di proporre una specifica domanda riconvenzionale, e, per altro verso, che il tribunale aveva, pertanto, erroneamente ritenuto che la domanda riconvenzionale della convenuta fosse tardiva.
10. Il motivo è inammissibile per difetto della necessaria specificità. La ricorrente, infatti, non deduce né dimostra, riproducendo in ricorso il testo dell’atto d’appello, se e quando aveva censurato la sentenza del tribunale per aver, in ipotesi erroneamente, ritenuto inammissibile perché tardiva la domanda riconvenzionale che la stessa assume di aver proposto in primo grado. Ed è, invece, noto che, in linea di principio, l’esercizio del potere di esame diretto degli atti del giudizio di merito, riconosciuto al giudice di legittimità ove sia denunciato un error in procedendo, presuppone comunque l’ammissibilità del motivo di censura, onde il ricorrente non è dispensato dall’onere di specificare il contenuto della critica mossa alla sentenza impugnata, indicando anche puntualmente i fatti processuali alla base dell’errore denunciato, dovendo tale specificazione essere contenuta, a pena d’inammissibilità, nello stesso ricorso per cassazione, per il principio di specificità dei relativi motivi (cfr. Cass. n. 24048 del 2021). Pertanto, ove il ricorrente censuri la statuizione del giudice d’appello che ha considerato tardiva una domanda riconvenzionale che invece lo stesso assume di aver presentato tempestivamente, ha l’onere di precisare, nel ricorso, non solo le ragioni per cui ritiene erronea tale statuizione e tempestiva la domanda riconvenzionale ma anche, riportandone il contenuto nella misura a tal fine necessaria, le censure che avverso la statuizione di tardività assunta dal tribunale aveva proposto con l’atto d’appello.
11.1. Con il quarto motivo, la ricorrente, lamentando la violazione o la falsa applicazione degli artt. 1175, 1176, 1218, 1223 e 2236 c.c., nonché la violazione o la falsa applicazione degli artt. 28, 58, 76 e 47 della legge notarile e dell’art. 9, comma 5, della I. n. 122 del 1989, in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c., ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello, travisando i fatti descritti nei documenti acquisiti nel corso dell’istruttoria, ha escluso la responsabilità del notaio Di Fazio e del notaio Cerini sul rilievo che tanto l’uno, quanto l’altro avevano verificato la conoscenza da parte dei contraenti dell’atto d’obbligo per notar Misurale.
11.2. Così facendo, tuttavia, ha osservato la ricorrente, la corte d’appello ha omesso di considerare che, in realtà, il notaio, richiesto della redazione di un atto pubblico di trasferimento immobiliare, ha l’obbligo di compiere tutte le attività, preparatorie e successive, per assicurare la certezza dell’atto da rogare ed il conseguimento del suo scopo tipico, verificando, in particolare, l’esistenza di tutte le condizioni necessarie a garantire ai contraenti l’esatta produzione di tutti gli effetti giuridici che essi si propongono di conseguire, sicché, in mancanza, risponde dei danni conseguenti.
11.3. Nel caso in esame, peraltro, ha aggiunto la ricorrente, negli atti rogati dai notai Di Fazio e Cerini si fa riferimento non all’atto d’obbligo per notar Misurale del 31/5/1993 ma alla convenzione stipulata il 4/3/1994 a rogito del medesimo notaio.
11.4. I notai, quindi, avrebbero dovuto essere ritenuti responsabili della nullità degli atti rogati per aver omesso di effettuare le visure urbanistiche posto che le dispense formulate sul punto dai contraenti non erano giustificate da esigenze concrete delle parti e l’esonero si era estrinsecato in una mera clausola di stile.
11.5. I notai, del resto, a norma degli artt. 28, 58, 76 e 47 della legge notarile, non potevano ricevere e neppure autenticare gli atti di compravendita in quanto espressamente proibiti dalla legge o manifestamente contrari a norme imperative, come previsto dall’art. 9, comma 5, della I. n. 122 del 1989 e dall’art. 40, comma 2, della I. n. 47 del 1985 e come ribadito dall’art. 47 del d.P.R. n. 380 del 2001.
11.6. Peraltro, a fronte dell’inesatto adempimento da parte dei notai, sarebbe stato loro onere dimostrare l’esatto adempimento quale fatto estintivo della propria obbligazione, per cui, in mancanza, la corte d’appello avrebbe dovuto accogliere la domanda di manleva proposta dalla venditrice convenuta.
11.7. I notai, infine, ha concluso la ricorrente, se avessero effettuato le visure di rito, avrebbero potuto accertare che l’atto d’obbligo per notar Misurale del 31/5/1993, trascritto il 2/6/1993, prevedeva che la concessionaria cooperativa si era obbligata, nei confronti del Comune, a mantenere permanentemente la destinazione d’uso dei locali al piano interrato al servizio dell’edificio nonché a destinare e mantenere permanentemente a parcheggio privato al servizio dell’edificio “la superficie a parcheggio” indicata nella planimetria ad esso allegata.
12.1. Con il quinto motivo, la ricorrente, lamentando travisamento del fatto che si risolve in un vizio della motivazione nonché l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360 n. 5 c.p.c., ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello ha ritenuto che nei rogiti dei notai De Fazio e Cerini i contraenti avevano dichiarato di avere piena conoscenza dell’atto d’obbligo per notar Misurale senza, tuttavia, considerare che, in realtà, nei predetti rogiti si fa esclusivo riferimento alla convenzione stipulata il 4/3/1994 a rogito notar Misurale e che i notai, pertanto, non avevano informato le parti dei vincoli imposti dall’atto d’obbligo, pur se trascritto, del 31/5/1993, al quale i relativi rogiti non fanno alcun cenno.
13.1. Il quarto motivo è fondato, nei limiti che seguono, con assorbimento delle residue censure e del quinto.
13.2. In effetti, come ripetutamente affermato da questa Corte, il notaio incaricato della redazione e autenticazione di un contratto di compravendita immobiliare non è un destinatario passivo delle dichiarazioni delle parti e non può quindi, limitarsi ad accertare la volontà delle stesse e sovrintendere alla compilazione dell’atto ma ha l’obbligo di compiere l’attività, preparatoria e successiva, necessaria ad assicurare tanto la serietà e la certezza dell’atto giuridico da rogarsi, quanto l’attitudine dello stesso ad assicurare il conseguimento del suo scopo tipico e del risultato pratico voluto dalle parti della relativa stipulazione (Cass. n. 24733 del 2007; Cass. n. 26020 del 2011; Cass. n. 11246 del 2020), vale a dire l’interesse che l’operazione contrattuale è volta a soddisfare (Cass. n. 7283 del 2021; Cass. n. 11296 del 2020; Cass. n. 12482 del 2017; Cass. SU n. 13617 del 2012), a partire, evidentemente, dal compimento delle attività che concernono la sussistenza delle condizioni di validità e di efficacia dell’atto medesimo (cfr. Cass. n. 5946 del 1999, in motiv.).
13.3. L’inosservanza dei suddetti obblighi accessori da parte del notaio dà conseguentemente luogo, a suo carico, a responsabilità contrattuale per inadempimento dell’obbligazione di prestazione d’opera intellettuale, a nulla rilevando che la legge professionale non contenga alcun esplicito riferimento a tale peculiare forma di responsabilità, dovendosi peraltro escludere alla luce di tale obbligo la configurabilità del concorso colposo del danneggiato ai sensi dell’art. 1227 c.c. (Cass. n. 24733 del 2007; Cass. n. 11296 del 2020).
13.4. Il notaio, dovendo compiere l’attività necessaria ad assicurare la serietà e la certezza degli effetti tipici e il risultato pratico perseguito ed esplicitato dalle parti, ha, in particolare, l’obbligo nei confronti delle stesse di informazione e di consiglio (Cass. n. 7283 del 2021). Tale obbligo, che sussiste nei confronti di tutte le parti dell’atto (cfr. Cass. n. 26855 del 2020) e trova fondamento nella clausola generale di buona fede oggettiva quale criterio determinativo ed integrativo della prestazione contrattuale, che impone il compimento di quanto utile e necessario alla salvaguardia degli interessi della controparte (cfr. Cass n. 16990 del 2015), si concretizza, tra l’altro, nel dovere di dissuasione dei clienti dalla stipula dell’atto, salvo espressa dispensa delle parti (Cass. n. 20297 del 2019, in motiv.), che consiste nell’avvertire le parti degli effetti derivanti dai vincoli giuridici eventualmente gravanti sull’immobile, come quelli derivanti dall’esistenza di una trascrizione o iscrizione pregiudizievole sul bene oggetto di trasferimento (Cass. n. 7283 del 2021, in motiv.), e, più in generale, delle problematiche, che una persona non dotata di competenza specifica non sarebbe in grado di percepire, collegate al possibile rischio, ad es., che una vendita immobiliare possa risultare inefficace a causa della condizione giuridica dell’immobile (Cass. n. 7707 del 2007), sicché, ad esempio, il notaio che abbia la conoscenza o anche il solo sospetto di un’iscrizione pregiudizievole gravante sull’immobile oggetto della compravendita, deve informarne le parti, quand’anche sia stato esonerato dalle visure, essendo tenuto comunque all’esecuzione del contratto di prestazione d’opera professionale secondo i canoni della diligenza qualificata di cui all’art. 1176, comma 2°, c.c. e della buona fede (Cass. n. 15726 del 2010).
13.5. Solo nel caso in cui il notaio sia stato espressamente esonerato, per concorde volontà delle parti, dallo svolgimento delle attività accessorie e successive, necessarie per il conseguimento del risultato voluto dalle parti e, in particolare, dal compimento delle cosiddette “visure catastali” e ipotecarie allo scopo di individuare esattamente il bene e verificarne la libertà da pregiudizi, deve escludersi la sussistenza della responsabilità professionale del notaio stesso in quanto detta clausola non può essere considerata meramente di stile essendo stata parte integrante del negozio, a condizione, peraltro, che la stessa appaia giustificata da esigenze concrete delle parti, come nel caso della sussistenza di ragioni di urgenza di stipula dell’atto addotte dalle parti medesime (Cass. n. 25270 del 2009; Cass. n. 5868 del 2006).
13.6. Deve, per contro, ritenersi estraneo all’obbligo di diligenza relativo all’attività esercitata dal notaio solo quello di fornire informazioni oppure consigli non basati sullo stato degli atti a disposizione del professionista e sulle circostanze di fatto specificamente esistenti, note o comunque prevedibili, dovendosi valutare la diligenza del notaio ex ante e non ex post e, dunque, giammai sulla base di circostanze future e meramente ipotetiche (cfr. Cass. n. 20297 del 2019). Non rientrano, pertanto, tra gli obblighi di informativa e di consulenza, cui è tenuto il notaio al momento del rogito, tutti gli ipotetici ed eventuali scenari di rischio correlati a una trascrizione o iscrizione pregiudizievole (Cass. n. 20297 del 2019).
13.7. Nel caso in esame, come visto, la corte d’appello, dopo aver evidenziato che la I. n. 122 del 1989 aveva previsto un vincolo inderogabile che si traduce in un diritto reale d’uso dell’area parcheggio in favore delle unità abitative dei condomini e, quindi, del relativo acquirente, come l’attore: – innanzitutto, ha ritenuto che il contratto di vendita intercorso tra la Piccolomini e l’attore, stipulato con atto per notar Di Fazio in data 10/10/2003, fosse, nella parte in cui la venditrice si era riservata la proprietà del piano interrato (e, quindi, del box), viziato da nullità (confermando la pronuncia del tribunale che aveva dichiarato la “nullità della clausola del contratto di vendita (per notaio Di Fazio) con il quale la Piccolomini si riservava la proprietà del box auto e della cantina”); – in secondo luogo, una volta riconosciuto all’acquirente “il diritto d’uso” del predetto cespite ed il conseguente diritto ad averne la “disponibilità” dalla venditrice, ha confermato la pronuncia con cui il tribunale aveva dichiarato la risoluzione del contratto con il quale, a mezzo di atto per notar Cerini del 31/5/2006, il medesimo box era stato, in seguito, venduto dalla Piccolomini (che, come visto, se n’era riservata la proprietà) al Ceccarelli: e ciò sul rilievo che “l’esistenza del vincolo d’infrazionalità e la conseguente pretesa del Leonardo di ottenere il trasferimento, o la disponibilità d’uso, dell’interrato comporta automaticamente la risoluzione del contratto di vendita di quest’ultimo al Ceccarelli, che subisce l’evizione o la perdita del diritto d’uso dello stesso”.
13.8. La stessa corte, tuttavia, pur a fronte della (parziale) nullità del primo contratto di vendita (stipulato il 10/10/2003), nella parte in cui “la Piccolomini si riservava la proprietà del box auto e della cantina”, e della (conseguente) risoluzione del secondo contratto (stipulato il 31/5/2006) di vendita (dello stesso box) a favore del Ceccarelli, “che subisce l’evizione o la perdita del diritto d’uso dello stesso”, ha escluso, tanto con riguardo al primo, quanto con riguardo al secondo, la responsabilità dei notai che avevano rogato i rispettivi atti (e cioè, rispettivamente, il notaio Cesidio Di Fazio ed il notaio Claudio Cerini) nei confronti (per quel che ancora rileva) della venditrice: sul rilievo, quanto al primo, che il notaio Di Fazio aveva ricevuto “assicurazioni dalle parti circa la piena conoscenza dell’atto d’obbligo per notar Misurale” nonché “l’espressa dispensa” dall’incarico di provvedere agli accertamenti urbanistici e amministrativi in quanto già svolti dalle parti attraverso tecnici di propria fiducia, e, quanto al secondo, che il notaio Cerini aveva verificato “la conoscenza da parte dei contraenti dell’atto d’obbligo per notar Misurale”, “non comportando il suo incarico professionale ulteriori accertamenti”.
13.9. La corte d’appello, però, così giudicando, ha erroneamente trascurato di verificare (in tal modo cadendo nel vizio di falsa applicazione delle norme, come sopra riassunte, che disciplinano la responsabilità professionale del notaio nei confronti delle parti) se, in fatto, i notai che hanno rogato gli atti in questione avessero (non tanto prefigurato alle parti tutti i possibili scenari futuri circa l’evoluzione dei rispettivi titoli di acquisto quanto, piuttosto, e più semplicemente) svolto, in concreto, i necessari accertamenti, di natura tecnica e giuridica, in ordine alla effettiva e stabile idoneità degli atti medesimi a produrre e conservare nel tempo gli effetti giuridici che le parti evidentemente si proponevano di realizzare e, all’esito, se avevano adeguatamente informato le parti (non già, semplicemente, dell’esistenza dell’atto d’obbligo del 31/5/1993 ma, più radicalmente) dell’esito di tali accertamenti, se del caso dissuadendoli, in ragione dei rischi conseguenti, dalla relativa stipulazione.
13.10. Risulta, invero, oltremodo evidente che i notai, in ragione dei doveri di buona fede e di diligenza professionale cui erano tenuti, dovevano quantomeno dubitare, fornendo alle parti le necessarie informazioni sul punto e tentando con le stesse la conseguente dissuasione, dell’effettiva idoneità degli atti rogati a realizzare effettivamente gli effetti giuridici e lo scopo pratico che i contraenti si proponevano di conseguire, e cioè, rispettivamente, con il primo atto di vendita, la conservazione in capo alla venditrice del diritto di proprietà del box nonostante la vendita dell’appartamento cui lo stesso accedeva e, con il secondo atto di vendita, il trasferimento del diritto di proprietà del box medesimo in favore di un terzo diverso dall’acquirente dell’appartamento, non potendo gli stessi ignorare, per la diligenza professionale che deve assistere l’adempimento delle obbligazioni assunte nei confronti delle parti, né la nullità dell’atto di trasferimento del box separatamente dall’appartamento, né (in conseguenza della nullità della riserva di proprietà in capo alla venditrice ivi contenuto) la possibile perdita del bene da parte del secondo acquirente.
13.11. Ed infatti, per quanto riguarda il primo atto di vendita, la Corte (premesso che dalla sentenza impugnata emerge il fatto, rimasto incontestato fra le parti, che nella specie si tratta, ratione temporis, di area di parcheggio disciplinata dalla I. n. 122 del 1989: cd. legge Tognoli) non può che rilevare come gli atti di cessione di aree destinate a parcheggio, conclusi in violazione dell’art. 9, comma 5, della I. n. 122 cit., in comb. disp. degli artt. 1418 e 1346 c.c., sono ipso iure nulli poiché sottraggono, mediante riserva al venditore o trasferimento a terzi, la relativa superficie alla sua inderogabile destinazione a parcheggio.
13.12. L’art. 9 della I. n. 122 cit., in effetti, nel testo in vigore all’epoca degli atti in questione (e cioè gli anni 2003 e 2006), aveva espressamente stabilito, per un verso, che “i proprietari di immobili possono realizzare nel sottosuolo degli stessi ovvero in locali siti al piano terreno parcheggi da destinarsi a pertinenza delle singole unità immobiliari e ciò anche in deroga agli strumenti urbanistici e ai regolamenti edilizi vigenti” (comma 1) e, per altro verso, che i Comuni “su richiesta dei privati interessati o di imprese di costruzione o di società anche cooperative, possono prevedere, nell’ambito del programma urbano dei parcheggi, la realizzazione di parcheggi da destinare a pertinenza di immobili privati su aree comunali o nel sottosuolo delle stesse”, a mezzo della cessione (subordinatamente alla “stipula di una convenzione nella quale siano previsti: a) la durata della concessione del diritto di superficie per un periodo non superiore a novanta anni; b) il dimensionamento dell’opera ed il piano economico-finanziario previsti per la sua realizzazione; c) i tempi previsti per la progettazione esecutiva, la messa a disposizione delle aree necessarie e la esecuzione dei lavori; d) i tempi e le modalità per la verifica dello stato di attuazione nonché le sanzioni previste per gli eventuali inadempimenti”) del relativo “diritto di superficie” (comma 4), prevedendo, tanto per gli uni, quanto per gli altri (e, quindi, a prescindere dalla natura privata o pubblica dell’area interessata), che “i parcheggi realizzati ai sensi del presente articolo non possono essere ceduti separatamente dall’unità immobiliare alla quale sono legati da vincolo pertinenziale” e che “i relativi atti di cessione sono nulli” (comma 5).
13.13. L’art. 9 della I. n. 122 cit. detta, pertanto, una disciplina vincolistica (tuttora efficace per le aree che, come nel caso in esame, sono di proprietà pubblica: l’art. 9, comma 5, seconda parte, nel testo attualmente in vigore, prevede che “i parcheggi realizzati ai sensi del comma 4 non possono essere ceduti separatamente dall’unità immobiliare alla quale sono legati da vincolo pertinenziale e i relativi atti di cessione sono nulli, ad eccezione di espressa previsione contenuta nella convenzione stipulata con il comune, ovvero quando quest’ultimo abbia autorizzato l’atto di cessione”) diversa da quella che vige per i parcheggi di cui alla cd. legge ponte: mentre questi ultimi possono essere alienati separatamente dall’unità immobiliare cui accedono, fermo restando il diritto di uso in capo al proprietario e/o utilizzatore dell’immobile principale, i parcheggi costruiti in base alla legge Tognoli, al contrario, sono assoggettati a vincolo di destinazione e a vincolo di inscindibilità dall’unità principale, e cioè “a utilizzazione vincolata” e, al tempo stesso, “a circolazione controllata” (Cass. n. 1664 del 2012, in motiv.).
13.14. Questa Corte, in effetti, ha ripetutamente affermato che, in tema di aree destinate a parcheggio nei complessi condominiali di nuova costruzione, mentre il vincolo di destinazione ex artt. 18 della I. n. 765 del 1967 e 26 della I. n. 47 del 1985 implica l’insorgenza dell’obbligo non già di trasferire la proprietà dell’area destinata a parcheggio insieme alla costruzione quanto, piuttosto, di non eliminare il vincolo esistente, così creando in capo all’acquirente dell’appartamento un diritto reale d’uso sull’area medesima, come individuata sulla base della concessione edilizia, laddove, al contrario, nel caso dei parcheggi soggetti al vincolo pubblicistico d’inscindibilità con l’unità immobiliare, introdotto dall’art. 2 della I. n. 122 del 1989, il proprietario dell’unità abitativa può pretendere una determinata autorimessa, essendo tali parcheggi assoggettati a un regime di circolazione controllata e di utilizzazione vincolata e, di conseguenza, non trasferibili in via autonoma (Cass. n. 22364 del 2017; Cass. n. 2248 del 2012; in precedenza, Cass. n. 21003 del 2008; Cass. SU n. 12793 del 2005).
13.15. Per ciò che concerne, invece, il secondo atto d’acquisto, la Corte ritiene che la caducità del titolo non poteva essere diligentemente ignorata dal notaio che l’aveva rogato in ragione, per un verso, della (come visto, testuale e, quindi, evidente) nullità della riserva di proprietà in capo alla venditrice contenuta nel primo e del conseguente diritto del primo acquirente all’uso del box, e, per altro verso, del serio rischio che, in ragione della conseguente evizione, venisse meno, come poi è accaduto, l’atto di vendita operato dalla venditrice del predetto cespite, di cui si era (illegittimamente) riservato la proprietà, in favore di un terzo compratore.
14. Il ricorso, nei limiti esposti, dev’essere, pertanto, accolto e la sentenza impugnata, per l’effetto, cassata con rinvio, per un nuovo esame, alla corte d’appello di Roma che, in differente composizione, provvederà anche sulle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
La Corte così provvede: rigetta il primo motivo, dichiara l’inammissibilità del secondo e del terzo e accoglie, nei limiti esposti, il quanto motivo, assorbito il quinto; cassa, in relazione al motivo accolto, la sentenza impugnata con rinvio, per un nuovo esame, alla corte d’appello di Roma che, in differente composizione, provvederà anche sulle spese del presente giudizio.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 25 febbraio 2022.
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Bibliografia Essenziale
Ordinanza Corte di cassazione civile, Sez. II, n. 10474 Anno 2022 in www.cortedicassazione.it, http://www.italgiure.giustizia.it/xway/application/nif/clean/hc.dll?verbo=attach&db=snciv&id=./20220331/snciv@s20@a2022@[email protected];
Sulla configurabilità della sostituzione fedecommissaria come forma di proprietà temporanea, ex multis: Proprietà e diritti reali – Vol. I (Il diritto privato nella giurisprudenza, a cura di P. Cendon), 2011, Utet Giuridica, Cap. IV – 4.2.7;
Sulla non configurabilità della sostituzione fedecommissaria, della vendita con patto di riscatto e della vendita con riserva di proprietà come forma di proprietà temporanea, preferendo ad essa la tesi della proprietà risolubile (o, più semplicemente, della vendita obbligatoria ad effetti reali differiti per l’art. 1523 cc.), ex multis: M. Santise, Coordinate ermeneutiche di diritto civile, Giappichelli Editore, Terza Edizione, 2017, Torino, pp. 320 e ss.; sul rapporto tra Trust e sostituzione fedecommissaria, http://www.fedoa.unina.it/10103/1/imparato_vincenzo_27.pdf, pp. 31 e ss., consultato in data 02/08/2022; G. Petrelli, Rassegna di diritto civile, Edizioni Scientifiche Italiane, 2/2016, disponibile all’indirizzo internet di seguito riportato, consultato in data 03/08/2022 http://www.gaetanopetrelli.it/catalog/documenti/00000650/Proprieta%20fiduciaria,%20art.%202645-ter%20e%20condizione.pdf;
Sulla configurabilità (genericamente, senza scendere nel dettaglio della distinzione tra proprietà temporanea in senso stretto e proprietà risolubile) della sostituzione fedecommissaria e della vendita con patto di riscatto come forma di proprietà temporanea, ex multis: M. Fratini, Il sistema del diritto civile – I diritti reali, le successioni e la famiglia, Vol. IV, Dike, pp. 30 – 31; sulla vendita con riserva di proprietà: M. Fratini, Il sistema del diritto civile – I singoli contratti, Vol. V, Dike, 2017, pp. 11 – 12;
Spiega le ragioni della critica alla tesi che configura la proprietà temporanea in relazione alla vendita con patto di riscatto S. Cervelli, I diritti reali – Manuale e applicazioni pratiche dalle lezioni di Guido Capozzi, II Ed., Giuffrè, Milano, pp. 58 e ss.;
Sulla configurabilità del negozio fiduciario (e del Trust) come forma di proprietà temporanea, con cenni rivolti anche al diritto di superficie, ex multis: Sui mobili confini del diritto, Università di Catania, a cura di Michela Cavallaro, Filippo Romeo, Elsa Bivona, Margherita Lazzara, Giappichelli, pp. 465 e ss., disponibile full text all’indirizzo internet di seguito riportato: https://books.google.it/books?id=p_JmEAAAQBAJ&pg=PA465&lpg=PA465&dq=Trust+e+Negozio+fiduciario+Propriet%C3%A0+Temporanea&source=bl&ots=_xgOx6–s1&sig=ACfU3U1mSwpTIVZkE4TSsrJBIjpJ4BnpDg&hl=it&sa=X&ved=2ahUKEwihh460lKj5AhW0W_EDHUAoBiQ4eBDoAXoECAUQAw, consultato in data 02/08/2022; G. Petrelli, Proprietà destinata, fiducia e situazioni giuridiche condizionate, in Riv. Fondazione Italiana del Notariato, https://elibrary.fondazionenotariato.it/articolo.asp?art=48/4808&mn=3, consultato in data 02/08/2022;
R. Calvo, I legati oggettivamente complessi, in Biblioteca online della Fondazione Italiana del Notariato, disponibile in versione full text all’indirizzo internet di seguito riportato https://biblioteca.fondazionenotariato.it/art/legati-oggettivamente-complessi.html, consultato in data 03/08/2022; A. Quarato, Lo statuto del contratto di affidamento fiduciario, in www.rivistacorteconti.it, N. 1/2020, con particolare riferimento alla nota 19, disponibile in versione full text all’indirizzo internet di seguito riportato, consultato in data 03/08/2022 http://www.rivistacorteconti.it/export/sites/rivistaweb/RepositoryPdf/RivistaCartacea/2020/rivista_1/rivistacdc_1_2020_01_08_dottrina.pdf;
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Sulla figura del Trust: C. Massimo Bianca (con la collaborazione di Mirzia Bianca), Istituzioni di diritto privato, Giuffrè, 2014, pp. 179 e ss.